Il “Giorno
della memoria” fu istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU, che nel
novembre del 2005 (Risoluzione 60/7), rifiutando qualsiasi negazione
dell’Olocausto e condannando senza riserve tutte le manifestazioni (su base etnica
o religiosa) di intolleranza, incitamento, molestia o violenza contro persone o
comunità, designò il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di
sterminio di Auschwitz, come Giornata internazionale di commemorazione in
memoria delle vittime dell’Olocausto. Certamente è una celebrazione che
riguarda innanzitutto il popolo ebraico, così tragicamente colpito dalla Shoah,
ma proprio per questo suo carattere tocca ogni uomo, cosciente della propria
umanità. Il “Giorno della memoria” ha dunque una portata universale. La memoria
della Shoah, pur conservando la sua irriducibile singolarità, lo sterminio di
un intero popolo, pensato, pianificato, realizzato con un misto di burocratica
freddezza e di efferata crudeltà, per sua natura non può che rendere più
acutamente attenti nei confronti di ogni sistematica violazione e cancellazione
della dignità umana ovunque avvenga. Far memoria della Shoah significa dunque
anche lottare per la verità storica circa violenze e genocidi del passato e
impegno affinché non si ripetano nel presente. Un presente purtroppo così
carico di terribili violenze. L’Olocausto ha certamente una sua unicità. E il
dolore e la sofferenza del popolo appartengono alle fibre più intime del popolo
ebraico. La “soluzione finale”, maturata come punto d’arrivo della persecuzione
nazista, è un disegno di inaudita radicalità, nello scopo e nei metodi
utilizzati. I “campi di sterminio”, espressione di questo orribile progetto,
sono una tragica peculiarità del nazismo. I nazisti sterminando il popolo
ebraico miravano anche a cancellare quell’esperienza della persona umana
portatrice di un valore assoluto, persona libera e responsabile, di cui il
popolo ebraico era da sempre testimone. Quell’esperienza che aveva generato
tutta la tradizione umanistica della civiltà giudeo-cristiana. E per questa ragione, almeno per i nazisti
più radicali, lo stesso cristianesimo, proprio per il suo inscindibile legame
con l’ebraismo, era destinato all’estinzione (lo scopo che sia i protestanti
che i massoni perseguono oggi). Quel che era in gioco era l’idea stessa che
ogni uomo ha una coscienza libera, che lo chiama a giudicare ciò che è bene e
ciò che è male, giusto e ingiusto e lo chiama alla responsabilità personale.
Una coscienza che si interroga sul significato del vivere e dell’agire. Proprio
quello che i nazisti non potevano accettare: l’uomo nuovo nazionalsocialista
doveva essere liberato dal fardello della coscienza, dal compito di “pensare”
nel senso più profondo del termine. Tutta la cultura ebraica, non per nulla
definita dai nazisti “dissolutrice”, testimoniava proprio il contrario. Ciò
detto, questa “unicità” non va messa in concorrenza rispetto ad altre tragiche
forme di violenza di cui è segnata la storia passata e presente. Pensiamo solo
ai milioni di vittime del terrore staliniano. Poi non dimentichiamo che ogni
vittima ha lo stesso valore. E questa consapevolezza è parte viva dell’ethos
ebraico. Terezin, non distante da Praga, era un campo di transito verso i campi
di sterminio (circa 140000 ebrei, di cui 15000 bambini, vi vennero deportati,
un quarto di essi morì nel campo e 88000 vennero deportati vero i campi di
sterminio). Era un campo in cui furono deportati anche molti artisti ed
intellettuali.
Stalin,
Marx e le persecuzioni “rosse” contro gli Ebrei
Secondo il censimento del 1897, l'ultimo
disponibile prima della rivoluzione, gli appartenenti alla religione ebraica
che vivevano nell'Impero Russo erano 5.500.000; di questi solo per l'1 % il
russo era la propria lingua madre, per il 97 % l'yiddish. Questa popolazione
era quasi tutta confinata nella cosiddetta "Zona di Residenza", ai
confini occidentali dell'Impero Russo, dove spesso gli ebrei costituivano la
maggioranza della popolazione. La maggior parte era impiegata in lavori manuali,
soprattutto artigianato e commercio, ed erano anche molto poveri, tanto che in
quegli anni ne emigrò all'incirca un milione. Le tendenze politiche più
diffuse fra gli ebrei erano il sionismo ed il socialismo. Gli aderenti ai vari
movimenti sionisti erano circa 300.000 al momento dello scoppio della
rivoluzione (Schechtmann). Vi era anche un partito socialista solamente
ebraico: il Bund. All'interno del Partito Social Democratico Russo gli ebrei
erano soprattutto fra i menscevichi; tanto che Stalin, parlando del VII
Congresso del Partito Social Democratico Russo, disse che i bolscevichi, in
quanto gli unici veri russi, avrebbero potuto fare un pogrom. Infatti, durante la Prima Guerra Mondiale gli ebrei vennero visti dal governo come dei
nemici interni e subirono dure persecuzioni. In questa situazione la rivoluzione
di Febbraio e la fine dello zarismo furono accolti con sollievo immenso. Il
Governo Provvisorio abolì subito ogni forma di restrizione per gli ebrei (20
Marzo 1917). Cominciò così un periodo di circa due anni di rinascita culturale
per gli ebrei in cui sembrò che nel nuovo stato vi sarebbe stata l'uguaglianza
e l'autonomia di tutte le nazionalità. L'unico
trattato specifico prerivoluzionario è dello stesso Marx. É un trattato del 1943, premarxista, e antisemita. Marx
identifica l'ebraismo con il potere del denaro, per questo lo ritiene una forma
di alienazione, così come l'antisemitismo. Marx comunque tratta l'argomento
come il problema di una minoranza religiosa risolvibile con l'assimilazione, i
bolscevichi invece lo avvertiranno come un problema etnico. Infatti l'unico
altro saggio prerivoluzionario che parli in qualche modo dell'argomento è
quello di Stalin del 1913: "Il marxismo e la questione nazionale". Fu
scritto sotto la guida di Lenin. La definizione di nazione è la seguente: "Una nazione è una comunità storicamente
evoluta e stabile, con un linguaggio, territorio, vita economica e formazione
comuni, che si esprime in una comunanza di cultura". Data questa
definizione, gli ebrei ne vengono esclusi in quanto privi di territorio. Stalin inoltre dice chiaramente che gli
ebrei non possono essere una nazione in quanto non hanno una classe contadina,
che la tendenza per loro è verso l'assimilazione e che l'abolizione della Zona
di Residenza accellererà le cose. Sembra quindi che la posizione dei
bolscevichi nei confronti degli ebrei fosse quella di negare che essi
fossero una nazionalità, eppure dissero che avevano un "carattere
nazionale" (Lenin). Nel 1914 Lenin presentò alla Duma una carta per
l'uguaglianza delle nazionalità, e tra esse menzionava gli ebrei. Il fatto è
che i bolscevichi non riconosco valore al concetto di nazione, ma solo a
quello di classe. Per loro l'argomento è sempre secondario. Quindi, una volta
tolte le leggi discriminatorie, non avevano un interesse particolare nelle
questioni inerenti le minoranze etniche, linguistiche etc… né a definirle
perfettamente. Tutto questo almeno fino a prima della rivoluzione. Sono
convinti che il socialismo avrebbe risolto tutti questi mali. Anche la
rivoluzione di Ottobre fu bene accolta e molti ebrei si unirono solo allora ai
bolscevichi. Infatti fino ad allora il partito bolscevico era stato
probabilmente il partito socialista con il minor numero di ebrei, quelli che
c'erano erano però in posti di comando. Ciò incrementò l'antisemitismo dei
Bianchi che si dettero a pogrom nelle zone da loro occupate, pogrom che
causarono la morte di un numero di persone fra le 180.000 e le 200.000 secondo
stime ufficiali sovietiche. Quando andarono al potere i bolscevichi, nonostante
le loro teorie che negavano il carattere nazionale degli ebrei, si trovarono di
fronte ad un vero e proprio popolo, con una propria lingua, cultura etc…
Scegliendo come categoria quella etnica, invece che quella
religiosa, il problema rientrava in schemi più comprensibili e razionali. Un
riconoscimento politico del carattere nazionale degli ebrei era già avvenuto
nel Gennaio del 1918 con la creazione di un Commissariato per gli Affari
Nazionali Ebraici, sezione speciale del Commissariato delle Nazionalità, sotto
la guida di Stalin. Il compito del Commissariato ebraico (YevCom), oltre
alla diffusione delle idee bolsceviche tra gli ebrei, era quello di abolire
tutte le istituzioni comunitarie ed autonome ebraiche e di trasferire i loro
fondi e proprietà al Commissariato stesso. Lo scioglimento delle organizzazioni
autonome ebraiche fu formalizzato con un decreto il 5 Agosto del 1919. Sempre
nel 1918 il Partito Comunista creò delle Sezioni Ebraiche (Yevsktsii)
all'interno della sua struttura. Il loro compito era quello di fare propaganda
fra i lavoratori ebrei in yiddish. Queste furono assai più importanti del
Commissariato e presto ne assunsero le funzioni. In esse confluirono molti
ex-bundisti. Infatti la soluzione etnica si avvicinava molto a quella proposta
dal Bund di autogoverno. In genere fu dato uno spazio molto ampio a tutta la
parte della cultura ebraica che era laica ed in yiddish, proprio per
trasformare completamente gli ebrei da religione a gruppo etnico. Ad esempio
vennero create scuole in yiddish o venne dato impulso a quelle già esistenti. La parte religiosa e sionista della cultura
ebraica, che si esprimevano in lingua ebraica vennero invece perseguitate.
L'ebraico, unica fra le lingue, venne dichiarato "linguaggio
reazionario" e di fatto vietato. La prima a farsi sentire fu la
persecuzione contro la religione, ebraica e non. Il 23 Gennaio 1918 il
Consiglio dei Commissari del Popolo emanò un decreto, intitolato "sulla
separazione della chiesa dallo stato e della chiesa dalla scuola". Ciò che
colpiva di più la comunità ebraica era il divieto di insegnamento religioso. Le
Comunità ebraiche furono sciolte (Ottobre 1918) con l'aiuto della Yevsektsja.
Ciò creò problemi per la sostituzione della loro attività variegata,
soprattutto nel campo dell'educazione. Contro tutti i membri del clero furono
prese misure quali privazione dei diritti civili, discriminazione verso
l'intera famiglia nella concessione di tessere annonarie, discriminazione
nell'assistenza medica etc… diffamazione pubblica e, come ultima ratio, accusa
di attività controrivoluzionaria. Tutta la persecuzione avvenne nel segno
dell'uguaglianza: uguaglianza di persecuzione per tutte le religioni. La misura
era uno per uno: per ogni prete deportato un rabbino, per ogni chiesa chiusa
una sinagoga. Poiché il numero di preti
e di chiese era enormemente superiore, la religione ebraica finì con l'essere
la maggiormente perseguitata. La persecuzione contro il sionismo
avvenne più lentamente. Le autorità non avversavano in modo particolare il
sionismo, lo avvertivano come un movimento esotico che non dava noia a nessuno;
gli unici a cui dava noia erano quelli dell'Yevsekstja che dovevano subirne la
concorrenza fra le masse ebraiche. In realtà il sionismo durò più a lungo del
suo maggiore nemico: la Yevsektsja. Questa infatti fu sciolta nel 1930, dopo essere
già stata ridotta. Essa aveva esaurito il suo compito demolitore delle
istituzioni ebraiche, l'unico compito che le era stato assegnato, e quindi non
era più necessario tenerla in vita. Un altro colpo che il regime inferse agli
ebrei fu dal punto di vista economico. Come abbiamo visto gli ebrei erano
soprattutto artigiani e commercianti, quindi piccolo borghesi. Durante la NEP essi ripresero queste loro attività, quando essa finì circa 1.120.000
ebrei dovettero chiudere le loro piccole attività. Molti di questi nuovi
disoccupati si riversarono nelle città, e particolarmente nei centri
industriali. Per coloro che rimasero nella Zona di Residenza la situazione era
disastrosa, l'unico lavoro ancora disponibile era quello agricolo. Nel 1925
vien fondata la "Società per l'insediamento sulla terra di lavoratori
ebrei", conosciuta come Geserd, suo fautore fu Kalinin, molto
interessato alla causa degli ebrei. Poiché in Ucraina non c'era abbastanza terra
per assorbire tutti gli ebrei russi come contadini, e quei pochi che vi furono
insediati provocarono le reazioni antisemite delle popolazioni locali, fu
deciso di trasferire la zona di insediamento in una zona dell'URSS meno
abitata. Fu scelto il Biro-Bidzan, al confine con la Cina, perché era
strategicamente importante che fosse popolato. L'obbiettivo delle autorità
sovietiche nel creare uno stato ebraico era quello di ottenere il sostegno
finanziario, degli ebrei americani, e di risolvere il problema degli ebrei
sovietici, cercando di allontanarli così dal sionismo. Dal 1928 cominciò la
propaganda a favore dell'insediamento in Biro-Bidzan, diretta anche agli ebrei
stranieri: pochissimi ebrei sovietici e nessun ebreo straniero risposero
all'appello. Il numero degli arrivati era di poche centinaia l'anno. Ben presto
divenne maggiore il numero di coloro che se ne andavano rispetto a quelli che
arrivavano. Le condizioni di vita erano pessime, ed anche la tanto propagandata
libertà culturale era irrisoria. Nel 1934 la zona fu proclamata Regione
Autonoma, anche per renderla più attraente agli ebrei. Kalinin disse che in
quel modo gli ebrei, unica fra tutte le nazionalità a non avere uno stato
proprio, avrebbero avuto uno stato che ne avrebbe salvaguardato la cultura
nazionale; coloro che non volevano andarci si sarebbero dovuti assimilare. Seguendo
questo criterio fin da quegli anni la cultura ebraica al di fuori del
Biro-Bidzan fu ostacolata. La scelta era fra il Biro-Bidzan e l'assimilazione.
Da allora il Biro-Bidzan servì più che altro a scopo intimidatorio: di
tanto in tanto, fino a periodi recenti, veniva detto che gli ebrei sarebbero
stati tutti deportati in Biro-Bidzan. Finora abbiamo analizzato l'atteggiamento
della autorità, vediamo adesso quello della popolazione sovietica nei confronti
degli ebrei. La Russia ha una lunga tradizione di antisemitismo popolare,
ricordiamo per inciso i pogrom che fino a pochi anni prima erano comuni
ed i pogrom commessi dai Bianchi. L'avvento del comunismo fui sentito, soprattutto
dai contadini impregnati della propaganda antisemita religiosa, come la
vittoria degli ebrei. Ad esempio gli
archivi del partito comunista relativi a Smolensk (gli unici consultabili),
parlano di contadini che fanno un pogrom e minacciano di uccidere per
rappresaglia tutti gli ebrei della città se gli ori della chiesa fossero stati
presi dalla autorità. L'antisemitismo crebbe in maniera preoccupante
durante la NEP, in quanto gli ebrei ne erano i principali beneficiari e
venivano visti da molti, fra cui anche membri del partito, come degli
speculatori. Infatti neanche l'apparato sovietico era esente da
antisemitismo. Per molti di loro
l'antisemitismo era una variante del sentimento contro la borghesia e lo
ritenevano conforme al comunismo (come d'altronde avevano fatto molti populisti
nel secolo precedente). Non erano però solo gli elementi meno istruiti del
partito ad essera antisemiti; Kalinin nel 1926 affermò che "l'intellighenzia russa è
forse più antisemita oggi che sotto lo Zar". Fu infatti proprio da
quell'anno che cominciò lo sforzo fatto dal partito contro l'antisemitismo
(1926-30). Il fenomeno era infatti divenuto allarmante; si ha notizia
soprattutto di violenza commesse da studenti che chiedevano l'introduzione del numerus clausus. Dal momento che gli
ebrei vennero riconosciuti come "nazionalità" e non più come
religione, anche i loro figli erano compresi. Così in Urss essere ebrei non era
una scelta privata, ma una faccenda legale. Questo provvedimento non aveva un
carattere antisemita, né razzista in genere. Inevitabilmente lo assunse con il
tempo. Infatti nonostante le varie promesse la menzione della nazionalità è
rimasta obbligatoria fino a tempi recentissimi (crollo del comunismo?). A metà
degli anni '30 il patriottismo sovietico dei tempi dell'industrializzazione
cominciò a trasformarsi in nazionalismo russo. Se fino ad allora tutte
le minoranze avevano avuto la libertà più ampia, adesso si comincia dire che le
nazionalità più piccole devono assimilarsi. Dal 1937 un motivo valido per essere deportati poteva essere anche solo
la nazionalità. Nel 1937 infatti avviene la prima deportazione di una nazionalità intera: la minoranza coreana in
Urss (che venne deportata dall'Estremo Oriente al Kazhakistan). Nel 1940 furono
deportati gli estoni ed i finlandesi da Leningrado sulla base del cognome. Nel
1941 tocco ai tedeschi del Volga, anche qui sulla base del cognome (Ginzburg!).
Subito dopo la guerra toccò ai ceceni, ai tatari ed a varie altre etnie
caucasiche. In queste deportazioni furono spostate centinaia di migliaia di
persone, di tutte le età nel giro di pochi giorni. La definizione tecnica fu
"confinati speciali". Le uniche eccezioni furono i coniugi sposati
con un membro di un'altra etnia. L'arma dell'antisemitismo viene usata per
la prima volta dalla propaganda nel conflitto fra Stalin e Trocki.
Trocki stesso denunciò la cosa chiedendo in una lettera a Bucharin se fosse
possibile che nelle cellule operaie a Mosca si facesse agitazione antisemita
(Deutsher, "Il profeta disarmato"). In Urss divenne opinione comune ritenere che le principali vittime
delle purghe degli anni '30
fossero gli ebrei. La diffusione del nazionalismo colpì anche la cultura
ebraica. Furono chiuse scuole e centri culturali ebraici. Il patto
Ribbentrop-Molotov accellerò le cose. Infatti
l'antisemitismo durante il patto Ribbentrop-Molotov fu una sorta di omaggio ai
nuovi alleati; ad esempio sui giornali si scriveva che l'antisemitismo nazista
era principalmente diretto contro la religione ebraica e che era dovere degli
atei marxisti aiutare i nazisti in questa campagna. Nel 1942 fu fondato il Comitato
Antifascista Ebraico, ufficialmente il 6 Aprile del 1942. Salomon Mikhoels,
un noto attore, ne fu il presidente, Aynikayt il suo organo. I compiti
del Comitato dapprima furono quelli di fare propaganda tra gli ebrei sovietici,
e di usare gli esempi di eroismo degli ebrei sovietici all'estero per muovere
gli ebrei dei paesi stranieri verso la guerra contro Hitler. Subito dopo la
creazione del Comitato Mikhoels e Feffer vennero mandati in Gran Bretagna ed in
Usa per raccogliere denaro per l'Armata Rossa ed i civili sovietici. Nel
frattempo la diplomazia sovietica prese contatti con esponenti sionisti in Palestina,
valutando la possibilità di un sostegno sovietico alla creazione dello stato di
Israele, in cambio del sostegno del movimento sionista (questo mentre i
sionisti in Urss continuavano ad essere perseguitati).
La
situazione antisemita dopo la guerra
L'odio antisemita accumulato durante la guerra
non sparì d'un colpo, anzi. Soprattutto nelle regioni che erano state occupate
il ritorno dei sopravvissuti fu molto malvisto. Molti che avevano collaborato
temevano di essere riconosciuti, molti che avevano approfittato della scomparsa
degli ebrei per appropriarsi delle loro case, dei loro posti di lavoro vedevano
altrettanto male il loro ritorno. Ciò significò che gli ebrei non
dovevano più avere cariche importanti in nessun ambito e che le istituzione
ebraiche, scuole in yiddish, teatri etc… non sarebbero state più tollerate. Vediamo
adesso le perdite subite dagli ebrei russi durante la guerra. Gli ebrei
sterminati dai nazisti ammontano circa a 700.000 persone (Reitlinger). In
realtà secondo il dato di crescita demografica, gli ebrei nel 1959 avrebbero
dovuto esser 4.000.000, quindi negli anni dal 1939 al 1959 il loro tasso di
decrescita è stato di 1.700.000 persone; oltre allo sterminio nazista bisogna
infatti aggiungere i morti dovuti più propriamente alla guerra, quelli dovuti
alle purghe degli anni neri etc. Le annessioni di territori quali le
repubbliche baltiche etc… hanno però fatto rimanere il numero degli ebrei quasi
invariato. Infatti nel censimento del 1959 gli ebrei in Urss erano 2.500.000
circa. Diffusi soprattutto in Russia, Ucraina, Moldavia, repubbliche
baltiche etc. Poiché la popolazione ebraica è prevalentemente urbana si stima
che a Mosca l'11% della popolazione sia composto da ebrei, il 9,8% a
Leningrado, il 13,8% a Kiev fino ad un massimo di 19,8% di ebrei a Kishinev
(Levenberg). Salomon Mikhoels, presidente del Comitato Antifascista
Ebraico e noto attore del teatro yiddish, è la prima vittima della campagna
contro il "nazionalismo ebraico"; venne assassinato nel Gennaio del
1948 e il Comitato sciolto (Novembre). In quello stesso anno vennero arrestati
tutti i più importanti rappresentanti della cultura yiddish sovietici. Gli
arresti continuarono fino al 1953. Secondo
la lista fatta a New York dopo il 1956 dal Congresso per la Cultura ebraica fra
deportati e fucilati gli artisti yiddish, o comunque ebrei, coinvolti erano
qualche centinaio. La maggior parte fu subito deportata in Siberia, i più
importanti venero sottoposti ad interrogatori lunghissimi (e durante i quali
molti morirono). Lo scopo era di farli confessare di star preparando una
rivolta armata per la secessione delle Crimea, dove doveva essere fondato uno
stato sionista, satellite degli USA. Gli interrogatori dovevano probabilmente
(Pinkus) concludersi con un grande processo pubblico. Il primo processo
pubblico contro gli ebrei avvenne fuori dall'URSS: il processo Slanski,
in Cecoslovacchia, quando i più importanti dirigenti, di origine ebraica, del
partito comunista ceco, furono accusati di essere spie sioniste (27 Novembre
1952). Infatti nel frattempo i rapporti con Israele si erano deteriorati e la
definizione del sionismo come movimento reazionario venne ritirata fuori
e si cominciò a costruire una base teorica per opporsi allo stato di Israele
(comunque già nel processo contro Rayk nel 1949 il sionismo era stata una delle
accuse); la scusa formale era il dire che ci si aspettava che Israele
diventasse un paese socialista. Il processo Slanski servì per vedere che
effetto avrebbe fatto ad Ovest un attacco del genere. Si ricordi che anche nel
processo Slanski si parlò di "medici avvelenatori". Cerchiamo di
capire quali possono essere stati i motivi per lanciare una tale campagna, che
avrebbe dovuto concludersi con un processo pubblico. Al XIX Congresso del
Partito nell'Ottobre del 1952 il Politburo era stato ristrutturato.
Probabilmente Stalin voleva cominciare un'enorme purga per eliminare i
vecchi leader dell'apparato, quali Berja, Molotov etc. Per condurre questa
purga non fu scelta la via segreta, per altro possibile, perché Stalin voleva
creare un clima di tensione in vista di una nuova guerra, che egli
riteneva imminente (così come era avvenuto negli anni '30). Il pretesto furono gli ebrei probabilmente
a causa dell'antisemitismo di Stalin, che negli ultimi anni era aumentato fino
a raggiungere un livello di paranoia
(come Hitler?). Ad esempio se dei medici erano potuti arrivare a
tanto, ciò significava che gli organi di sicurezza, e cioè Berja, erano
complici, etc…I successori di Stalin si trovarono d'accordo almeno nel
rinunciare agli aspetti demenziali della sua politica, tra cui l'antisemitismo.
Radio Mosca annunciò che le accuse contro i medici erano state costruite e che
essi erano innocenti. Vennero fatti dei passi per liberare i prigionieri
superstiti dai campi di concentramento e molti ebrei riottennero i posti che
avevano perso con la campagna anti-cosmopolita. Comunque le campagne antisemite
in Cecoslovacchia ed in Romania cominciarono proprio allora, e non sembrarono
risentire di questi cambiamenti, che in ogni caso riguardavano soltanto gli
aspetti estremi. Per capire quanto furono limitati questi cambiamenti e
quanto in realtà la politica generale nei confronti degli ebrei rimase immutata
vediamo l'atteggiamento verso gli ebrei dei successori di Stalin. La maggior
parte delle dichiarazioni sugli ebrei o sull'antisemitismo fatte da Kruscëv o
da altri leader dell'epoca era rivolta all'occidente e non fu neanche
pubblicata in Urss. Infatti l'occidente, ed in particolare i partiti comunisti
occidentali, si erano mobilitati contro le dimostrazioni di antisemitismo che
avvenivano in Urss, per questo cercavano di negare. Fu un tentativo inutile
perché in realtà la pratica dell'antisemitismo era assai più evidente allora che negli anni di
segretezza dello stalinismo. Il numero di ebrei fra gli iscritti al partito è
diminuito costantemente, non solo per un decremento delle richieste, ma per una
precisa politica del partito stesso (Pinkus). Lo si vede dal fatto che il decremento
più forte è stato fra i membri del partito con cariche importanti. Tra i membri
del Comitato Centrale e del Soviet Supremo addirittura gli ebrei sono la
nazionalità meno rappresentata, nonostante gli ebrei siano, come numero, la
settima nazionalità dell'Unione. La discriminazione è agevolata dal fatto che
fino a pochissimo tempo fa tutti gli ebrei portavano scritto sui propri
documenti la parola "ebreo". É facile capire come questa norma
possa essere discriminatoria. Già sotto
Stalin, e prima ancora ai tempi della NEP, i processi per "crimini economici" (termine che
designa una serie di reati che variano dalla speculazione alla corruzione)
avevano sempre avuto un carattere antisemita. La punta massima raggiunta è
stata negli anni '60. Si calcola che il 78 % dei coinvolti siano stati ebrei,
molti dei quali condannati a morte per questo. A processi in cui gli
accusati erano ebrei venne dato molto risalto, nel tono che vi potete
immaginare. Dopo che Bertrand Russel scrisse una lettera per protestare contro
questo atteggiamento e contro l'imposizione della pena di morte, i processi
economici diminuirono. Gli atti di
antisemitismo, sinagoghe incendiate, cimiteri profanati, ebrei picchiati etc…
vennero passati sotto silenzio
dai mass-media, o appena se ne accennò. Fin dal 1956 cominciarono ad essere
tenuti vari processi contro sionisti o i rappresentanti del mondo religioso
ebraico, ma la stampa non dette molto risalto a questi processi che erano
semplice routine. Una routine che era continuata ininterrottamente dagli
anni '20 e che da tempo aveva annientato il movimento sionista e che aveva
ridotto le sinagoghe da molte migliaia ad un sessantina, di cui la stragrande
maggioranza fra le comunità sefardita degli ebrei georgiani a caucasici. Fu
dopo la Guerra dei Sei Giorni che simili processi cominciarono ad avere
un chiaro intento politico. Infatti da allora la campagna antisionista
divenne chiaramente, e senza vie di scampo, antisemita. Ad esempio ritornò alla
carica Kichko, che nel 1968 pubblicò "Giudaismo e sionismo", definito
dalla Pravda "il primo e fondamentale trattato scientifico sovietico
sull'argomento" (6 Febbraio del 1969). In questo libro Kichko spiega che
la religione ebraica insegna l'odio per gli altri popoli e per le altre religioni
e perfino insegna che esse devono essere distrutte; e che il sionismo è
un'ideologia nazista, un'idra tentacolare collegata a tutte le forze
reazionarie occidentali. Con la scusa
degli attacchi al sionismo in realtà vengono attaccati gli ebrei tout court. Il
risultato fu proprio quello di diffondere sempre più il sionismo fra gli ebrei.
Infatti molti ebrei, soprattutto i giovani, avevano perso la fiducia nel
comunismo come elemento di emancipazione. Per questo tra i dissidenti troviamo
tanti ebrei. Si crea così un circolo vizioso: gli ebrei vengono
spinti, tramite persecuzioni, all'assimilazione, poi gli viene negata anche
questa e quindi gli ebrei tornano indietro, verso l'ebraismo, il sionismo etc…
ciò fa aumentare di nuovo le persecuzioni in un crescendo continuo. Fino a
prima della guerra le persecuzioni avevano coinvolto gli ebrei come le altre
etnie: di queste campagne raramente si può affermare il carattere
specificatamente antisemita. Nel dopoguerra invece il carattere antisemita è
evidente. Chiariamo la cosa: negli anni '20 si era privato il popolo ebraico di
tutta la parte della sua cultura che aveva a che fare con la religione e con
gli altri ebrei della Diaspora (risulta chiara l'interdizione dell'ebraico); si
era invece promossa la cultura laica, yiddish, ma anche assai più
ristretta, che poco aveva a che fare con la cultura internazionalista degli
ebrei e che invece esaltava i valori locali degli ebrei ashkenaziti. Come per
le altre etnie minoritarie negli anni '30 fu scelta l'assimilazione e
quindi anche la cultura yiddish cominciò ad essere ostacolata. Nel dopoguerra
il processo iniziato negli anni '30 arriva alla resa dei conti. Tutte le
minoranze devono scegliere l'assimilazione completa. In quest'ottica rientra la
persecuzione al "nazionalismo". Il fatto che, per motivi di utilità,
l'URSS abbia appoggiato la creazione dello stato di Israele non cambiò
sostanzialmente le cose, anzi, le peggiorò perché illuse gli ebrei sovietici il
cui sentimento nazionale fu risvegliato, facendoli incorrere ancor di più nell'ira
del regime. Specificatamente antisemita è invece la campagna contro il
cosmopolitismo. Essa infatti colpisce proprio gli ebrei assimilati,
che quindi avevano fatto quello che il regime voleva. In modo più esteso, è
vero, essa colpisce i rapporti con la cultura occidentale. Ma di fatto si
risolse in una campagna antisemita, perché gli ebrei non potevano né scegliere
la propria cultura ("nazionalismo"), né adattarsi alla cultura del
paese, riservata ai "veri russi". Quindi, negli anni '20 e '30 gli ebrei
non soffrirono più delle altre minoranze: dovettero scegliere fra la cultura
yiddish, e solo quella, e l'assimilazione. Nel dopoguerra entrambe queste
scelte portavano ai GUlag. I successori di Stalin eliminarono il
terrore indiscriminato, ma non la persecuzione, la cui forza è testimoniata
dall'emigrazione di massa degli ebrei sovietici non appena se ne è presentata
l'occasione, e cioè con la glasnost. Quindi le sinistre che oggi si
mostrano benevoli e accoglienti verso altre minoranze etniche e verso altri
popoli, in realtà stanno mentendo spudoratamente per perseguire un fine preciso:
il caos mediante il meticciato e l’estinzione del Cristianesimo e degli europei
cristiani, unico argine al piano diabolico di un Governo Mondiale.
Nessun giorno della memoria per le foibe
Con la Seconda Guerra Mondiale e in particolare
nell’aprile del 1941, la Germania, per soccorrere l’Italia (che si era illusa
di spezzare le reni alla Grecia) e intanto consolidare il fronte meridionale
del Reich, sferrò un poderoso attacco contro la Jugoslavia, a cui parteciparono
anche i nostri soldati: concluse le operazioni, ottenemmo una zona di
occupazione che dalla Slovenia andava sino alle Bocche di Cattaro. Si iniziò
anche in questi nuovi territori, con la parziale eccezione della Slovenia, un
processo di italianizzazione forzata con forme anche brutali di oppressione che
sfociarono in veri e propri crimini di guerra. Singolare quanto avvenne nel
campo di concentramento di Arbe, allestito dagli Italiani nell’omonima isola sul
Quarnaro, dove, mentre i prigionieri slavi vennero trattati durissimamente,
diverse migliaia di Ebrei furono internati a scopo protettivo, in condizioni e
ambienti molto migliori, per scamparli dalla deportazione nei campi di
sterminio nazisti. Infatti ricordiamo che, prima dell’ascesa di Hitler, con
Mussolini già saldamente al potere in Italia, gli Ebrei vivevano tranquilli e
in perfetta integrazione con gli Italiani. Questo perché Mussolini non ebbe mai
nulla contro gli Ebrei, ma fu Hitler a trascinarlo in un’avventura senza
ritorno dagli esiti che tutti conosciamo. Hitler poteva essere molto pericoloso
per l’Italia, e questo Mussolini lo aveva capito. Del resto, Giorgio Perlasca,
l’eroe italiano che salvò migliaia di Ebrei, era fascista convinto. Stranamente,
durante lo strazio delle foibe, il regime non si dimostrò affatto giudeofobo
(nonostante le orrende leggi razziali del 1938), ma slavofobo. Poi, con
l’armistizio dell’8 settembre 1943, la situazione si aggravava ulteriormente. I
partigiani di Tito occuparono gran parte delle zone in precedenza assegnate
all’Italia dando il via a una sorta di terrore rosso, con diffusi episodi di
giustizia sommaria di cui fecero le spese fascisti, ma anche oppositori
politici democratici e cittadini che, per il loro prestigio sociale o
culturale, rappresentavano una minaccia di italianità rispetto al nuovo verbo slavo e comunista. È
proprio per eliminare i cadaveri di tutti costoro che nel settembre del 1943
cominciarono a essere impiegate le foibe, cavità carsiche dove capitava che
venissero gettate anche persone vive, legate a una grossa pietra che le
trascinasse verso il fondo. Si salvarono in pochi. Ci chiediamo come mai non
sia stato mai indetto un “Giorno della memoria” anche per le foibe. Oppure
esiste un negazionismo “di convenienza” per un fatto increscioso che coinvolse
una sinistra storicamente avvezza a purghe e gulag? Il nemico antisemita degli
Ebrei non è fascista, non lo è mai stato.
CINZIA PALMACCI