La Rivoluzione russa in breve
L’impero zarista era entrato in guerra nel 1914 (assieme alla Francia, all’Inghilterra e all’Italia aggiuntasi nel 1915), ma nel 1917 la Russia entrò in crisi sia perché non era industrialmente sviluppata sia perché la propaganda del comunismo russo, ostile al conflitto, fiaccava il morale delle truppe [1]. Alla fine del febbraio del 1917 (secondo il calendario russo [2]) a Pietrogrado, la capitale russa, scoppiò una violenta protesta contro la scarsità dei generi alimentari. L’esercito zarista ebbe l’ordine di reprimere la dimostrazione, ma i soldati si ribellarono agli ufficiali e non eseguirono gli ordini. Fu l’inizio della Rivoluzione russa. Lo zar Nicola II abdicò in favore di suo fratello Michele, ma in realtà il potere passò alla Duma, il Parlamento russo, che fu sciolto dallo zar medesimo. Il primo governo provvisorio russo fu guidato da Aleksandr Kerenskij, appoggiato da liberali e socialisti moderati (“menscevichi”) e decise di continuare la guerra. La Russia era diventata una Repubblica democratica. Tuttavia il movimento comunista radicale (“bolscevico”) capitanato da Lenin era assai attivo nella propaganda contro la continuazione della guerra sia nell’esercito che nelle fabbriche e nelle campagne; l’esercito russo, sprofondato nell’anarchia, era praticamente inesistente. La guerra volgeva al peggio soprattutto per la Russia ed anche la Germania con l’Austria-Ungheria si trovavano in difficoltà sempre maggiori dopo l’entrata in guerra degli Usa (1917). Il governo Kerenskij era sempre più debole, mentre la propaganda bolscevica diventava sempre più forte. Il 23 ottobre (secondo il calendario russo) Lenin passò all’azione e tentò un colpo di Stato. A Pietrogrado i militanti bolscevichi assieme ai militari ribelli assaltarono la sede del governo provvisorio di Kerenskij costringendolo alla fuga. Iniziò, quindi, la seconda parte della Rivoluzione russa, che portò al trionfo del bolscevismo con la dittatura di Lenin, abolì la proprietà privata e la religione e segnò la fine della Grande guerra per la Russia. Tutto ciò provocò il crollo della produzione agricola ed una grande carestia, che causò la morte di circa 5 milioni di russi. Nel 1918 lo zar con la sua famiglia vennero uccisi dai bolscevichi e si formarono le Armate Bianche in contrapposizione all’Armata Rossa, organizzata da Trotskij, la quale nel giro di due anni sconfisse le Armate Bianche fedeli allo zarismo. Nel 1922 la Russia si chiamò URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) o Unione Sovietica. Vinta la guerra civile Lenin avviò una “nuova politica economica” (NEP), ridando libertà al piccolo commercio, permettendo ai contadini possidenti (“kulaki”) di assumere braccianti e di vendere i prodotti delle loro terre liberamente. Era il solo modo di salvare l’economia dell’Unione Sovietica, rovinata dall’applicazione stretta dei principi marxisti. Dopo la morte di Lenin (1924) vi fu un contrasto tra Trotskij, che avrebbe voluto la diffusione della rivoluzione in tutto il mondo (“Rivoluzione permanente”) e Stalin, che sosteneva la teoria del Socialismo in un solo Paese, per rafforzarlo prima di esportarlo nel mondo intero. Stalin († 1953) ebbe la meglio e prese il potere. Nel 1929 costrinse Trotskij all’esilio ed infine lo fece assassinare in Messico nel 1940.
Il ruolo dell’ebraismo nella Rivoluzione del febbraio 1917
Aleksandr Solgenitsin (1918-2008) ha pubblicato nel 2002 la storia delle relazioni tra ebrei e Rivoluzione russa in due volumi, chiamata “Due secoli insieme”. Essa è stata tradotta in francese da Fayard di Parigi nel 2003 e nel 2007 dalle Edizioni Controcorrente di Napoli [3]. Il primo volume tratta dell’Ottocento (ebrei e russi prima della Rivoluzione) e il secondo del Novecento (ebrei e russi durante il periodo sovietico). Mi baso sostanzialmente sul secondo volume del Solgenitsin per svolgere il tema che mi sono proposto. Il lavoro dell’autore è molto ben curato e ricco di riferimenti bibliografici specialmente russi. Per non appesantire il testo rinvio alla citazione del libro di Solgenitsin e chi vorrà potrà verificare le fonti che egli cita abbondantemente [4].
L’esordio del libro di Solgenitsin
Mi sembra necessario riportare l’esordio del primo volume di Solgenitsin per capire lo spirito con cui l’autore ha affrontato il problema. “Nel mio lavoro, che dura da mezzo secolo, sulla storia della Rivoluzione russa, mi sono imbattuto più di una volta nel problema delle relazioni tra russi ed ebrei. Nutrivo la speranza che un autore mi avrebbe anticipato ed avrebbe saputo chiarire, con l’ampiezza e l’equilibrio necessari, questa incandescente questione. Ma il più delle volte abbiamo avuto a che fare con rimproveri unilaterali. O i russi sono colpevoli di fronte agli ebrei; oppure, al polo opposto, i russi che si sono occupati di questo problema relazionale lo hanno fatto per la maggior parte con astio, eccesso. […]. Il popolo ebreo è al contempo soggetto attivo e oggetto passivo della storia. Gli avvenimenti che hanno colpito questo o quel popolo nel corso della storia non sono sempre stati determinati da questo solo popolo [ebraico, ndr], ma da tutti quelli che lo circondavano. Un atteggiamento troppo passionale dell’una e dell’altra parte è per ciascuna di esse umiliante” (A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della Rivoluzione, Napoli, Controcorrente, 2007, I vol., pp. 5-6). Tuttavia dallo studio del libro risulterà il ruolo preponderante, non esclusivo, che l’ebraismo ha giocato nella Rivoluzione russa. Quindi Solgenitsin lo risolve con equilibrio, ma anche con gran rigore storico attribuendo a ciascuno i suoi meriti e demeriti. È per questo motivo che mi baso soprattutto sul suo studio per porgere al lettore una piccola sintesi dell’immenso problema della preponderanza ebraica nella Rivoluzione russa.
La preponderanza ebraica
La comunità ebraica russa acquistò l’eguaglianza giuridica con la Rivoluzione del febbraio 1917 (A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, II vol., p. 29). In quelle giornate Pietrogrado era nel pieno caos non solo sociale, ma anche di opinioni e di scritti “la stampa e la società concordano solo su un punto: la necessità di instaurare subito l’uguaglianza giuridica per gli ebrei […], la soppressione di ogni discriminazione religiosa o razziale. L’uguaglianza giuridica per gli ebrei avanzò a grandi passi” (cit., p. 30).
Nel marzo del 1917 vennero prese “energiche misure contro gli antisemiti dichiarati o ritenuti tali” (cit., p. 35). “In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, si notano riunioni di massa per sostenere la rivoluzione e i diritti degli ebrei russi” (cit., p. 41). Il magnate e banchiere statunitense Jacob Schiff “iniziò a sostenere il governo Kerenskij con una sostanziosa linea di credito. Schiff aveva in effetti attivamente finanziato la stessa rivoluzione. […]. La stessa Rivoluzione di febbraio aveva con cognizione di causa e a più riprese invocato l’aiuto degli ebrei in quanto nazione interamente asservita. Le testimonianze sono quasi unanimi nel dirci che ovunque in Russia gli ebrei accolsero la rivoluzione con entusiasmo” (cit., pp. 41-42).
Solgenitsin constata: “I numerosi anni [circa 50, ndr] del mio meticoloso lavoro su quest’epoca mi hanno permesso di penetrare il senso intimo della Rivoluzione di febbraio e di conseguenza, il ruolo svolto dagli ebrei. […]. In seno all’intellighenzia c’erano naturalmente molti ebrei, ma questo non ci permette di dire che la rivoluzione fu ebrea. […]. Dalla Rivoluzione di febbraio la comunità ebrea russa ha ricevuto integralmente tutto ciò per cui aveva lottato. […]. È già successo altre volte nella storia che un libro si sia abbandonato a questa tentazione facile e pericolosa: scaricare tutto sugli ebrei. La Rivoluzione russa è stata fatta dalle mani russe a causa di una mancanza di discernimento russo. Ma, parallelamente, nella sua ideologia, un ruolo significativo, determinante, è stato svolto da un’intransigenza assoluta rispetto al potere storico russo, che i russi, a differenza degli ebrei non avevano il diritto di provare. Questa intransigenza si era nettamente accentuata dopo il processo di Beyliss [accusato di “omicidio rituale”, ndr [5]” (cit., p. 46).
Il “Comitato Esecutivo del Soviet” costituito nelle prime ore della rivoluzione «era un governo-ombra dei più duri, fu esso a privare il governo provvisorio di Kerenskij di ogni potere reale pur guardandosi dall’assumere direttamente e apertamente il potere. È appunto questo Comitato Esecutivo a condurre il Paese alla rovina. Durante l’estate del 1917, uno dei membri di questo Comitato esecutivo, Joseph Goldenberg, spiegò al diplomatico francese Claude Anet: “Fin dal giorno in cui abbiamo fatto la Rivoluzione, abbiamo capito che, se non distruggevamo l’esercito, esso avrebbe schiacciato la Rivoluzione. Dovevamo scegliere tra l’esercito e la Rivoluzione. Non abbiamo esitato: ci siamo schierati con quest’ultima”» (cit., p. 48). Solgenitsin continua: “Chi erano questi personaggi così fatalmente efficaci che componevano il CE? La composizione del CE preoccupava molto sia il pubblico sia i giornali, nel 1917, quando un buon numero dei suoi membri si nascondevano sotto pseudonimi: la Russia era governata, ma non si sapeva troppo bene da chi. Più tardi si seppe che nel CE c’erano una decina di soldati rincretiniti che facevano mostra di sé, ma non avevano alcun peso reale. Delle altre tre decine di membri veramente attivi, più della metà erano socialisti ebrei. C’erano russi, caucasici, lettoni e polacchi, ma i russi costituivano meno di un quarto” (cit., pp. 48-49).
Attualità del libro: Solgenitsin e Putin
In un’intervista al mensile americano Atlantic, Henry Kissinger ha detto: “Per capire Putin si deve leggere Dostoevskij. […]. Putin è uscito da Dostoevskij, angosciato dalla mancanza di religiosità, dal permissivismo e dal declino morale” [6]. Dostoevskij era stato condannato come reazionario dal regime sovietico per un “eccesso di valori soprannaturali” contenuti nelle sue opere. «Peter Savodnik in un articolo apparso sull’ultimo numero di Vanity Fair enuclea i motivi per cui Dostoevskij affascina tanto Putin: “La vecchia Russia è buona e pura. L’occidente è male, è impuro. Putin cita spesso Dostoevskij nei suoi discorsi. Putin è attratto dal bizantino Dostoevskij”. […]. Marta Dell’Asta ci dice che Dostoevskij leggeva il problema della modernità in maniera molto profonda. Per Dostoevskij la Russia era parte dell’Europa, era consapevole di questa unità spirituale profonda. La sua critica non era all’Occidente in quanto tale, ma al suo tradimento delle radici cristiane. Su Cavour Dostoevskij ha scritto: ‘Cosa ha fatto questo conte di Cavour? Ha trasformato un Paese che per mille anni aveva vissuto di un ideale universale in un Paese piccolo, pieno di debiti e contento di esserlo’. Dostoevskij amava la Russia cristiana, per lui tradita. Per lui era fondamentale che la Russia fosse cristiana. […]. Putin per il 2018 organizzerà il centenario di Aleksandr Solgenitsin. Quattro mesi prima della sua morte Solgenitsin elogiò Putin. Sotto Putin la nazione sta riscoprendo quello che deve essere russo.
La prima volta che si videro, Putin e Solgenitsin, fu nel 2000 nella dacia dello scrittore e i due rimasero appartati in biblioteca per lungo tempo. Putin oggi ama accompagnarsi alla vedova del grande scrittore in occasione di eventi importanti. […]. Andrew Kaufman, uno dei maggiori esperti di letteratura russa, scrive: “Putin ha scelto Dostoevskij, il quale credeva che la missione speciale della Russia nel mondo fosse quella di creare un impero cristiano pan-slavo con la Russia al timone. Dostoevskij riteneva che la Russia fosse la più spiritualmente avanzata di tutte le Nazioni”» [7].
Il 1917
Soltanto un mese dopo la rivoluzione, nell’aprile del 1917, il Governo provvisorio di Kerenskij si accorse che «la situazione finanziaria della Russia, già prima non molto brillante, era catastrofica; decise allora di lanciare un prestito. Il ministro delle Finanze, Terechtchenko, aveva fatto questa dichiarazione alla stampa: “Sin d’ora sono stati assunti impegni per coprire questo prestito con banchieri per la maggior parte ebrei”. Di fatto non appena il prestito venne aperto la stampa fu inondata di comunicati che parlavano di importanti sottoscrizioni provenienti da ebrei, con titoli in prima pagina in forma di appelli del genere: “Cittadini ebrei! Sottoscrivete il prestito per la Libertà!” Alla sinagoga di Mosca, furono così raccolti 22 milioni di rubli in una sola volta. In occidente gli ebrei non fecero orecchie da mercante: Jacob Schiff prestò un milione, come fecero pure i Rothschild di Londra» (cit., pp. 51-52). Molti ebrei si impegnavano nella vita politica del Paese. “Fin dai primi giorni successivi agli eventi di febbraio, la stampa centrale pubblicò numerosi comunicati annuncianti lo svolgimento di raduni privati, riunioni, assemblee organizzate dai partiti ebrei: i più numerosi emanavano dal Bund. […]. Il vivace rifiorire di attività dei partiti ebrei a Pietrogrado prova indirettamente che al momento della rivoluzione la capitale contava una popolazione ebrea sufficientemente numerosa e dinamica. Per contro non c’era un proletariato ebreo” (cit., p. 53). Per una strana coincidenza proprio nel marzo del 1917 le truppe britanniche arrivarono alle porte di Gerusalemme, dopo la disfatta dell’impero ottomano. Gli ebrei sionisti di Odessa in Russia in un proclama dichiararono: “Siamo entrati nell’epoca in cui gli Stati si rimodellano su basi nazionali. Guai a noi se lasciassimo passare questa occasione storica!” (cit., p. 55). Jacob Schiff dichiara il suo filo-sionismo spiegando che “teme l’assimilazione degli ebrei, conseguenza possibile dell’ottenimento dell’uguaglianza giuridica in Russia. Egli ritiene che solo la Palestina sia il centro a partire dal quale la cultura ebrea potrà propagare i suoi ideali” (cit., p. 56). Per far ciò occorrerà “amplificare il movimento di emigrazione verso la Palestina e mobilitare il capitale ebreo per finanziare l’insediamento di coloni” (ivi).
Inoltre, dopo la disfatta dell’impero ottomano, Jabotinski proponeva di formare una legione ebraica nel seno dell’esercito britannico entrato vittorioso in Turchia, per giungere in Palestina, mentre Trumpeldor proponeva di creare un esercito ebreo in Russia, che avrebbe fatto rotta per il Caucaso per liberare ed occupare definitivamente la Terra d’Israele, ossia la Palestina, ma queste due proposte non vennero accettate subito dall’Organizzazione sionista internazionale (ivi). La conclusione generale cui arrivavano allora i movimenti ebrei russi era che “l’ebraismo non aveva sofferto per ottenere solo l’uguaglianza dei diritti in Russia, ma affinché il popolo ebreo rinasca nella sua patria palestinese ed essi decidono di creare subito in Russia delle legioni per la conquista della Palestina” (cit., p. 57). Un altro avvenimento degno di nota e di grande importanza per l’ebraismo russo nel 1917, secondo Solgenitsin, è “la possibilità per gli ebrei di accedere al grado di ufficiale nell’esercito russo” (cit., p. 59). Numerosissimi furono gli ebrei che sbarcavano allora in Russia, provenienti dagli Usa e che venivano chiamati “combattenti rivoluzionari” (cit., p. 62). Secondo le organizzazioni ebraiche russe “se la controrivoluzione prevalesse per gli ebrei ci sarebbero esecuzioni massicce. Perciò essa deve essere stroncata sul nascere ed anche il suo seme deve essere distrutto [v. i Romanov, ndr]. Gli ebrei sapranno difendere la loro libertà” (cit., p. 66). Solgenitsin nota che in questo passaggio si trova contenuto il programma dei bolscevichi. Il numero degli ebrei nel partito bolscevico e in tutti i partiti che hanno operato per approfondire la rivoluzione (menscevichi e socialisti rivoluzionari) non corrisponde alla loro percentuale nella popolazione russa: gli ebrei erano proporzionalmente molto più numerosi nelle istanze dirigenti (cit., p. 69). Infine Solgenitsin ci spiega che “chi governò veramente la Russia dalla primavera all’autunno del 1917 non fu il Governo provvisorio, ma il Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, potente e impenetrabile, sostituito dopo giugno dal Comitato Centrale Esecutivo” (cit., p. 71). Ciò che addolora Solgenitsin è lo spirito di derisione della Russia che animava il movimento ebraico in quell’anno 1917 (cit., p. 73). Quindi conclude che “nel momento in cui scoppiò la Rivoluzione di febbraio non esisteva in Russia un anti-giudaismo popolare, mentre nel corso dei primi mesi successivi alla Rivoluzione di febbraio, furono proprio gli ambienti popolari a manifestare irritazione nei confronti degli ebrei” a causa del loro arricchimento durante la rivoluzione mentre la popolazione russa soffriva la fame (cit., p. 76). Inoltre “l’attività degli ebrei nelle sfere del potere era sempre più impressionante e il Comitato Esecutivo combatté l’antisemitismo popolare con la massima energia” (cit., p. 79). “Il regime di febbraio era quello più favorevole alla comunità ebraica, la quale, grazie ad esso, avrebbe conosciuto la prosperità economica e la fioritura politica” (cit., p. 85). Tuttavia tra le forze rivoluzionarie la meno ebraicizzata era il bolscevismo. “Bisogna dirlo molto nettamente. Il putsch bolscevico di ottobre non fu guidato dagli ebrei (eccezion fatta per Trotskij e Tchudnovski). La Rivoluzione di ottobre è stata una catastrofe per la maggior parte russa” e guidata dai russi (cit., p. 85). Solgenitsin conclude che se il bolscevismo non era molto popolare tra gli ebrei prima del putsch di ottobre, al momento della sua vittoria i socialisti rivoluzionari conclusero un’alleanza con i bolscevichi ebrei Trotskij e Kamenev e “certi ebrei si ritrovarono nel bolscevismo e, persino, vi si distinsero sin dalle sue prime vittorie” (cit., p. 86).
Nel prossimo articolo studieremo l’alleanza che portò l’ebraismo a fianco del bolscevismo vittorioso.
Note
1] La Triplice Alleanza fu stipulata nel 1882 e durò fino al 1915, fu un patto militare fra l’impero austro-ungarico, la Germania e l’Italia (uscita nel 1915). Aveva uno scopo difensivo: cioè le tre Nazioni coinvolte avrebbero dovuto aiutarsi reciprocamente in caso di attacchi esterni. La Triplice Intesa fu un accordo, stilato nel 1904, tra la Gran Bretagna, la Francia e la Russia (entrata nel 1907). In particolare: la Gran Bretagna voleva contrastare la Germania a causa del suo primato economico e commerciale; la Francia era rivale della Germania a causa dell’Alsazia e della Lorena che erano state conquistate dalla Prussia di Bismarck nel 1870; la Russia voleva contrastare l’espansionismo austro-ungarico ad est.
2] Marzo 1917 secondo il calendario gregoriano, che segue di 13 giorni quello russo.
3] I volumi possono essere ordinati a: controcorrente_na@libero.it; tel. 081. 421. 349; fax 081. 420. 25. 14.
4] ARR: Archivi della Rivoluzione russa, Slovo, Berlino, 1922-1937; EG: Enciclopedia giudaica (16 voll.), Pietroburgo, 1906-1913; EGR: Enciclopedia giudaica russa, Mosca, II ed., 1994 in corso di pubblicazione; LMGR-1: Libro sul mondo giudaico russo dal 1860 al 1917, Unione degli ebrei russi, New York, 1968; LMGR-2: Libro sul mondo giudaico russo, 1917-1967, Unione degli ebrei russi, New York, 1968; RiE: La Russia e gli ebrei, YMCA Press, Parigi, 1978, ed. originale Berlino, 1924.
5] A questo processo partecipò come perito mons. Biovanni Battista Prainatis, che scrisse per l’occasione “Christianus in Talmude Judaeorum”, un’antologia del Talmud in cui son riportati in ebraico e tradotti in latino i passaggi ferocemente anticristiani, tendenti a giustificare la condanna a morte di Cristo e l’uccisione dei cristiani. Esiste una traduzione italiana di questo libro sotto il titolo “I segreti della dottrina rabbinica”, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2001.
6] Giulio Meotti, Putin di Guerra e Pace. Coltiva i grandi della letteratura russa, da Tolstoj a Solgenitsin, anche a fini politici, in “Il Foglio Quotidiano”, 28-29 gennaio 2107, p. I.
7] Giulio Meotti, Putin di Guerra e Pace. Coltiva i grandi della letteratura russa, da Tolstoj a Solgenitsin, anche a fini politici, in “Il Foglio Quotidiano”, 28-29 gennaio 2107, p. I.
Gli ebrei a fianco dei bolscevichi nel 1917
Solgenitsin inizia la trattazione di questo argomento facendo una distinzione: il fatto che a fianco dei bolscevichi, a partire dall’ottobre del 1917, vi fossero molti ebrei è noto alla storia: tuttavia vi erano anche i russi, cosicché non si può pretendere di esonerare i russi da ogni responsabilità nella rivoluzione del 1917. Tuttavia “i leader russi del Partito bolscevico non erano russi nello spirito, erano anti russi. In essi la grande cultura russa, ridotta ad una dottrina e a calcoli politici, era snaturata. […]. A fianco dei bolscevichi vi furono molti rinnegati russi, in un numero enorme. […]. Lenin era russo, ma aborriva e detestava tutto ciò che riguarda l’antica Russia, tutta la storia russa. […]. Un suo nonno, Israel Davidovic Blank era ebreo, ma tutto ciò non cambia le cose, perché niente di tutto questo permette di escluderlo dal popolo russo” (A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, vol. II, pp. 89-90). Per quanto riguarda gli israeliti Solgenitsin specifica che “nel corso del 1917, negli ebrei non si è manifestata nessuna particolare attrattiva per i bolscevichi, ma il loro attivismo ha tuttavia svolto un suo ruolo negli sconvolgimenti rivoluzionari. […]. Non c’è dubbio, gli ebrei hanno superato nel numero la normale percentuale, tra i commissari bolscevichi hanno occupato un posto troppo grande. Ovviamente tutto questo avveniva nelle sfere dirigenti del bolscevismo e non lasciava affatto presagire un movimento di massa ebreo. Inoltre l’unico direttore, il genio dell’azione violenta di ottobre, in verità, fu Trotskij. Quel fifone di Lenin, che si era invece imboscato, non diede invece alcun apporto sostanziale al putsch. […]. Lenin condivideva l’opinione secondo cui non c’è una nazionalità ebraica. Ma per il bene della rivoluzione Lenin era pronto a sfruttare il particolare senso di amarezza diffuso tra gli ebrei. Lenin non aveva percepito sino a che punto lo strato colto della nazione ebraica, e ancor più lo strato semi-colto, lo avrebbe tirato fuori dai guai nel corso dei mesi e degli anni successivi. Per cominciare, esso avrebbe preso il posto dei funzionari russi massicciamente decisi a boicottare il potere bolscevico” (cit., pp. 91-93). Lenin ha scritto: “Il fatto che gran parte della media intellighenzia ebraica si sia stabilita nelle città russe ha reso un bel servizio alla rivoluzione e furono loro, in quell’ora fatidica, a salvare la rivoluzione” (O evreiskom v Rossii [Sulla questione ebraica in Russia], Mosca, Proletarii, 1924, p. 17). L’ingresso massiccio degli ebrei nell’apparato sovietico si è prodotto verso la fine del 1917 e nel corso del 1918, inoltre gli eventi del 1919 hanno rafforzato il legame delle élite ebraiche con i bolscevichi. Quasi tutti gli autori seri ammettono e riconoscono il ruolo organizzativo degli ebrei nel bolscevismo, il bolscevismo deve la sua buona organizzazione all’azione dei commissari ebrei. “I bolscevichi si servirono con grande compiacenza degli ebrei in seno all’apparato dello Stato. […]. Grazie alla rivoluzione d’ottobre gli ebrei bolscevichi occuparono le posizioni-chiave e fecero un uso smisuratamente crudele di questo nuovo potere caduto nelle loro mani” (cit., p. 96-97). Ma “a partire dagli anni Quaranta del Novecento, dopo che il potere comunista ebbe rotto con il giudaismo mondiale, ebrei e comunisti provarono imbarazzo e timore, e preferirono tacere e dissimulare la forte partecipazione degli ebrei alla rivoluzione comunista” (cit., p. 97). Tuttavia, osserva Solgenitsin, “la cosa è accertata: gli ebrei sono stati per alcuni anni dei leader in seno al Partito bolscevico, alla testa dell’Armata Rossa (Trotskij), del VTsIK (Sverdlov), delle due capitali (Zinoviev e Kamenev), del Komintern (Zinoviev), del Profintern (Dridzo-Lozovski) e del Komsomol (Oscar Ryvkin)” (cit., p. 98).
L’assassinio della famiglia imperiale
“L’onnipresenza degli ebrei al fianco dei bolscevichi ebbe, nel corso di questi mesi terribili, le più atroci conseguenze. Tra esse, l’assassinio della famiglia imperiale: le guardie (gli assassini) erano lettoni, russi e magiari, ma due personaggi svolsero un ruolo decisivo: Filippo Golochtchokin e Iakov Iurovski [ed erano ebrei]. La decisione finale spettava a Lenin. Se osò decidere in favore dell’assassinio (mentre il suo potere era ancora fragile), è perché aveva previsto sia la totale indifferenza degli Stati alleati (il re d’Inghilterra, cugino dello zar, aveva rifiutato l’asilo a Nicola II nella primavera del 1918), sia la funesta debolezza delle fasce conservatrici del popolo russo. […]. Il progetto di assassinare la famiglia imperiale maturava nella mente di Lenin e dei suoi accoliti. Sappiamo adesso che all’inizio del 1918 Golochtchokin si era recato a Mosca allo scopo di convincere Lenin che lasciar fuggire lo zar e la sua famiglia era una cattiva soluzione, che bisognava decisamente e apertamente giustiziarli e poi annunciare la cosa pubblicamente. Non occorreva convincere Lenin dato che non nutriva alcun dubbio. Ciò che egli temeva era la reazione del popolo russo e dell’Occidente. C’erano, tuttavia, già degli indizi che la cosa sarebbe passata senza creare scandalo” (cit., pp. 108-109).
Bolscevismo e antisemitismo
Già nei primi mesi dell’aprile 1918 si era creato un clima di tensione intorno alla questione ebraica. Per prevenire ogni reazione contro la preponderanza ebraica nella rivoluzione russa si montò artificiosamente una campagna sulla presunta propaganda antisemita dei fautori dei pogrom, che in realtà non si erano verificati in quei tempi contro gli ebrei ma contro i cristiani e le loro chiese; si sottolineava la necessità di organizzare sedute speciali, in seno ai Soviet, sulla lotta contro l’antisemitismo. Ma bisognava trovare un colpevole numero uno, cui era necessario spezzare le ossa e furono trovati i sacerdoti ortodossi e cattolici, eredi dell’autocrazia zarista. Fu così che “il 27 luglio 1918 il Sovnarkom promulgò una legge speciale sull’antisemitismo, firmata da Lenin, in cui si mettevano fuori legge gli antisemiti propagatori dei pogrom” (cit., p. 113). Ma, come spiega Solgenitsin, il significato della parola “fuorilegge” in quei tempi significava “condanna a morte”. Come abbiamo visto per Lenin gli ebrei avevano salvato la rivoluzione di ottobre e anche la Enciclopedia giudaica concorda con questa opinione (Piccola Enciclopedia Giudaica, Gerusalemme, 1976, vol. IV, p. 766). Questa tesi divenne un boomerang nelle mani dei controrivoluzionari che vedevano, così, rafforzata la loro teoria del complotto giudaico/bolscevico (cit., p. 114). Solgenitsin cita e fa proprio il pensiero di Segui Bulgakov, che nel 1941 scriveva: “non bisogna imputare tutto agli ebrei, ma non bisogna minimizzare nemmeno la loro influenza” (cit., p. 116), al che Solgenitsin aggiunge: “a partire dal 1918 e ancora per una quindicina di anni, gli ebrei che hanno aderito alla rivoluzione hanno svolto anche la funzione di martello, almeno una gran parte di loro” (cit., p. 118). La rivoluzione menscevica di febbraio aveva già concesso agli ebrei la piena eguaglianza e la libertà totale, ma una volta dilagata la violenta rivoluzione di ottobre gli ebrei ex-menscevichi cambiarono rapidamente di cavallo e si lanciarono al galoppo col bolscevismo (cit., p. 119). L’internazionalismo rivoluzionario, padre del mondialismo odierno, la rivoluzione mondiale e permanente, l’utopia millenarista della felicità su questa terra con l’esclusione dell’aldilà sono stati i “dogmi” che hanno compattato bolscevichi ed ebrei, che sognavano di costruire “il Mondo nuovo della felicità universale” (cit., p. 124 e 125).
Bolscevismo o sionismo?
Tuttavia verso il 1919 vi fu una divaricazione presso l’ebraismo. Infatti “con la dichiarazione Balfour (2 novembre 1917), che gettava le basi di uno Stato ebraico indipendente, una parte della nuova generazione ebraica prese la strada di Herzl e di Jabotinski, mentre l’altra (che è la più grande) ha ceduto alla tentazione ed è venuta ad accrescere i ranghi della banda di Lenin-Trotskij-Stalin. Infatti la strada di Herzl appariva allora lontana, irreale, mentre quella di Trotskij permetteva agli ebrei di conquistare una statura immediata e di diventare immediatamente, in Russia, una nazione con pari diritti e persino privilegiata” (cit., p. 133). È per questo motivo che nel 1924 gli autori dell’antologia La Russia e gli ebrei scrissero: “Non tutti gli ebrei erano bolscevichi e non tutti i bolscevichi erano ebrei, ma oggi non c’è affatto bisogno di provare la parte enorme, la partecipazione zelante degli ebrei al martirio imposto a una Russia resa esangue dai bolscevichi. Sino ad allora i russi non avevano mai visto ebrei alle leve di comando” (cit., p. 139).
Ricapitolando
Prima di affrontare il tema della guerra civile russa (1919-1922) è bene fermarci un momento a riflettere su quanto visto sino ad ora per trarne qualche lezione.
Con i sussidi delle banche ebraiche/americane (Schiff e Warburg) lo zarismo era stato rovesciato e la rivoluzione era iniziata in Russia, prima (febbraio 1917) in maniera moderata con i liberali e subito dopo con Kerenskij e i menscevichi, poi in maniera radicale (ottobre 1917) con Lenin e i bolscevichi.
Contemporaneamente la rivoluzione massonica riuscì ad eliminare l’impero austroungarico, arrivando al rifiuto – da parte di Inghilterra, Francia e soprattutto Usa – di firmare una pace separata con l’Austria come era stato proposto nell’agosto 1917 dall’imperatore Carlo I, successore di Francesco-Giuseppe († 21 novembre 1916), appoggiato da papa Benedetto XV.
La rivoluzione russa, come spiega Solgenitsin, ha incarnato lo spirito della rottura radicale tra la mentalità, la cultura e la religione della vecchia Russia e la nuova Russia sovietica. Il bolscevismo ha mirato alla rivoluzione mondiale e per far ciò è stato aiutato dai governi liberaldemocratici europei (Inghilterra e Francia) e soprattutto dagli Stati Uniti d’America sia nel 1917/18 sia nel 1943/45.
L’incompatibilità radicale tra bolscevismo e cristianesimo è stata ben messa in luce da Pio XI nell’ Enciclica Quadragesimo anno (1931) che ha scritto: “Il socialismo che ha per padre il liberalismo e per erede il bolscevismo è incompatibile con la religione cristiana”.Infatti il comunismo odia Dio, definito blasfemamente da Lenin “il nemico personale della società comunista”. Dostoevskij come Solgenitsin hanno ben capito la natura luciferina del comunismo, che “vorrebbe ricostruire la Torre di Babele senza Dio non per raggiungere il cielo dalla terra, ma per abbassare il cielo sino alla terra” (I Fratelli Karamazov) e questo è il medesimo spirito che caratterizza il talmudismo.
Inoltre il collettivismo comunista vuole spersonalizzare l’essere umano sostituendogli un’entità collettiva, per poter uccidere nell’uomo l’immagine di Dio personale e trascendente. Oserei dire che la società contemporanea ha raggiunto questo scopo grazie al Sessantotto in cui si è unito il freudismo e lo strutturalismo col comunismo e grazie a Nietzsche si è avanzati verso il tentativo dell’uccisione di Dio per dar posto al superuomo che poi è diventato una larva di uomo, distrutto dalle droghe, dalla musica pop, dall’alcool e dalla sessualità disordinata e sfrenata. Il comunismo materialista di Stalin non era riuscito a distruggere l’anima degli uomini, ma il freudismo che si infiltra nelle profondità dell’anima ha ottenuto il suo scopo.
Non deve destare meraviglia il fatto che il comunismo bolscevico sia stato favorito dal giudaismo talmudico e dal super-capitalismo massonico occidentale. Infatti l’uomo di Stato inglese Disraeli diceva: “ I governi di questo secolo non hanno solo a che fare con i re, i ministri, ma anche con le società segrete”. La tirannia di oggi è molto più potente, universale e penetrante di quella bolscevica perché è entrata in interiore homine. Il Presidente statunitense Eisenhower in un discorso all’ Onu (22 settembre 1960) ha detto: “Prevediamo un’unica comunità mondiale. Immaginiamo il nostro obiettivo non come un super-Stato al di sopra delle nazioni, ma come una comunità mondiale che le abbracci tutte”.
Un problema contiguo a quello del bolscevismo è quello del sionismo. Jacques Bordiot (Le pouvoir occulte fourrier du communisme, Chiré-en-Montreuil, éd. Chiré, 1976, p. 105) scrive che nel 1916 fu firmato a Londra un patto segreto, firmato dal colonnello House (che lo aveva redatto assieme a Louis Brandeis) dietro incarico del Presidente americano Wilson, secondo il quale gli Usa si sarebbero impegnati ad entrare nella Prima Guerra mondiale (cosa che avvenne il 16 aprile 1917) a fianco dell’Inghilterra, se quest’ultima si impegnava a concedere la Palestina ai sionisti (2 novembre 1917), pur avendola già promessa agli arabi.
La rivoluzione russa, come tutte le rivoluzioni, non fu l’esplosione spontanea di una rivolta popolare, ma fu il risultato di una manipolazione dell’intellighenzia russa occidentalizzata e non slavofila. Infatti in Russia vi erano molti intellettuali che avevano assorbito la cultura liberale e illuministica occidentale e volevano occidentalizzare la Russia, mentre altri – come oggi Solgenitsin e Putin – volevano restare fedeli allo spirito e alla cultura della vecchia Russia.
Già nel 1885 numerosi “club” si unirono in una “Unione per la liberazione della classe operaia” diretta da Lenin, che nel 1903 si trasformò nel Partito socialdemocratico, diviso in due fazioni: i bolscevichi (o “maggioritari”) sotto Lenin e i menscevichi (o “minoritari”) capitanati da Martov. Essi furono finanziati dal banchiere Jacob Schiff padrone della banca Kun Loeb & company ed anche dalle banche Morgan, Lazare e Rothschild.
Inoltre i governi tedeschi, inglesi e statunitensi aiutarono sia Lenin che Trotskij a far cadere lo zar provocando uno “spontaneo” sollevamento popolare facendo leva sul malcontento reale per i rovinosi rovesci bellici subiti dalla Russia nel 1905 e nel 1915. Infatti la Russia si era impantanata nella guerra contro il Giappone (febbraio 1904 – gennaio 1905) e siccome essa era militarmente meno avanzata del Giappone fu clamorosamente sconfitta, la flotta russa venne distrutta, l’esercito dopo numerose disfatte fu costretto alla ritirata completa e nel settembre del 1905 la Russia firmò la resa. La debolezza disastrosa mostrata dall’esercito russo costituì la prova di una grave crisi politico/amministrativa che minava l’organismo statale dell’impero zarista. Quindi scoppiarono in Russia una serie di gravi tumulti contro il regime zarista. Il momento culminante si ebbe con la dimostrazione della domenica del 22 gennaio 1905 (“la domenica di sangue”), in cui le masse operaie di Pietroburgo marciarono davanti al Palazzo imperiale. La manifestazione venne soffocata nel sangue dalle guardie zariste, ma nel frattempo erano stati formati numerosi “consigli operai” (“soviet”) che continuarono a sollevare altri tumulti in tutta la Russia e nell’ottobre del 1905 si arrivò allo sciopero generale. Lo zar Nicola II, sotto la pressione degli avvenimenti, abolì il regime assoluto e concesse la Costituzione (ottobre 1905) istituendo l’Assemblea parlamentare (“Duma”), che venne inaugurata nel maggio del 1906, ma nel 1907 lo zar abolì la Duma e ripristinò la monarchia assoluta. I socialisti e soprattutto i bolscevichi lavoravano nell’ombra per provocare altri scontri e tumulti aiutati dalla difficile situazione in cui versava la Russia. Inoltre nel 1914 scoppiò la Prima Guerra mondiale e nel febbraio-settembre del 1915 la Germania piegò la Russia. Infatti nel febbraio del 1915 il maresciallo Hindenburg costrinse la Russia ad abbandonare la Prussia orientale e nel maggio del 1915 il maresciallo Mackensen occupò la Galizia (sita tra la Polonia e l’Ucraina) per occupare subito dopo la Polonia intera, costringendo le truppe russe ad una ritirata di centinaia di chilometri e arrivando ad occupare la Lituania sino al golfo di Riga (settembre 1915). La disfatta della Russia fu enorme e dette animo ai rivoluzionari socialisti per suscitare tumulti che portassero alla caduta dello zarismo. Dopo tre anni di guerra disastrosa il 22 febbraio del 1917 scoppiò la prima rivoluzione russa, le truppe zariste non aprirono il fuoco sui rivoltosi e il 15 marzo del 1917 lo zar Nicola II abdicò. Si formò un governo liberale, che optò per la continuazione della guerra, ma le agitazioni non cessarono e l’incarico del governo venne tolto ai liberali e dato ai menscevichi o socialisti riformisti (che nel 1912 si erano scissi formalmente dai bolscevichi) capitanati da Aleksandr Kerenskij, il quale pose mano ad una vasta riforma agraria (luglio 1917). Anche Kerenskij volle continuare la guerra ma oramai essa volgeva al peggio e la propaganda rivoluzionaria aveva minato lo spirito dei soldati e la maggior parte della popolazione non se la sentiva più di continuare in questa direzione. Fu così che il 25 ottobre le guardie rosse occuparono il centro di Pietrogrado e rovesciarono il governo Kerenskij, si formò, così, un governo bolscevico sotto la guida di Lenin, che proclamò la fine della guerra e abolì la proprietà privata. Nel luglio del 1918 a Ekaterinenburg la famiglia imperiale fu trucidata.
Queste riflessioni che scaturiscono dalla lettura del libro di Solgenitsin hanno influenzato molto Vladìmir Putin che a partire dal 2000 sino al 2008 (anno della morte di Solgenitsin) ha voluto conoscere personalmente lo storico russo e assieme a lui è giunto alla conclusione che 1°) occorre frenare il catastrofico calo demografico, figlio del nichilismo materialista sovietico e di quello opulento occidentale; 2°) bisogna riassettare le privatizzazioni o la svendita della Russia agli oligarchi israeliti iniziata da Eltsin; 3°) occorre far rinascere l’anima religiosa russa ed impedire che il passaggio dal comunismo ad un regime meno oppressivo porti alla degenerazione liberale e democratica atlantico/occidentale, in cui si passa dal materialismo comunista e collettivista al materialismo liberale e individualista. Solgenitsin e Putin hanno capito che la dittatura poliziesca comunista, da loro vissuta, è in un certo senso meno pericolosa della psico-dittatura occidentale, la quale non solo imprigiona i corpi, ma anche le anime. È per questo motivo che il mondialismo si è scatenato soprattutto a partire dalla guerra in Siria (2010) contro Putin, poiché ha compreso che egli avrebbe 1°) limitato la denatalità e il ricorso all’aborto; 2°) sostenuto la famiglia tradizionale; 3°) emarginato gli oligarchi israeliti che avevano comprato la Russia svenduta per “30 denari”; 4°) riallacciato la Russia alla religione che è la unica salvezza delle nazioni, delle famiglie e delle persone. Chi vuole “esportare la democrazia a suon di bombe” (Popper/Bush) in tutto il mondo e ha iniziato a farlo nel Vicino e Medio Oriente per poterlo fare anche in Russia ha trovato in Solgenitsin/Putin un ostacolo che però non è riuscito ad eliminare. “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.
La guerra civile (1919-1922)
Dopo lo sterminio della famiglia imperiale (nel luglio del 1918 a Ekaterinenburg) i “vecchi russi”, ostili all’ideale del “nuovo russo” proprio del bolscevismo, si organizzarono nell’Armata Bianca e combattettero, finita la Grande Guerra, contro l’Armata Rossa di Trotskij per altri tre lunghi anni, dopo i quattro difficilissimi anni di Prima Guerra mondiale.
Solgenitsin scrive: “La rivoluzione del febbraio 1917 era stata una rivoluzione russa, dura, erronea, fatale, ma non si prefiggeva di distruggere tutto ciò che la precedeva: l’annientamento dell’intera vecchia Russia e della sua storia. Appena dopo l’ottobre, la rivoluzione si era trasformata in rivoluzione totale, internazionale, essenzialmente distruttiva, che si nutriva annichilendo tutto ciò che si trovava a sua portata del vecchio Regime” (A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, vol. II, p. 145).
Fu così che si arrivò alla guerra civile, che per tre lunghi anni (1919-1922) ha arrecato ai russi tante sventure e sciagure sanguinose. “Gli ebrei-russi politicamente attivi, che alla fine dell’ottobre del 1917 avevano sostenuto il potere civile dei bolscevichi, si precipitavano ora (1919) nelle strutture militari bolsceviche” (cit., p. 116). Molti furono i massacri perpetrati in quei tristissimi anni.
L’Armata Rossa
“Nel 1918 Leone Trotskij, con l’aiuto di Sklianski e di Jacob Sverdlov, creò l’Armata Rossa. Nei suoi ranghi combattevano numerosi ebrei. Parecchie unità dell’Armata Rossa erano composte interamente da ebrei. Nel comando dell’Armata Rossa, la parte degli ebrei crebbe in numero e in importanza sino a molti anni dopo la guerra civile. Questa partecipazione degli ebrei è stata oggetto di studio di molti autori ebrei ed è menzionata in diverse enciclopedie ebraiche” (cit., p. 147). Quindi non è difficile spiegare come “la popolazione russa, nel suo insieme, abbia ritenuto che il Terrore fosse un terrore ebraico. Perciò anche alcuni ebrei che non ne facevano parte furono accusati ingiustamente di terrorismo politico” (cit., p. 159). Certamente gli ebrei non furono i soli ad aderire al potere bolscevico, ma quest’obiezione non altera l’amara verità: gli ebrei cekisti [1], che in quell’epoca occupavano i posti e i livelli più importanti, rappresentano gli ebrei-russi e ricevono un potere quasi illimitato e questi rappresentanti non hanno saputo trovare in sé un freno, una fonte di lucidità, di controllo, non hanno saputo dominarsi e fermarsi. Negli eccidi del triennio 1919-1922 “non c’erano solo ebrei, ma si fucilava in primo luogo l’élite russa. Il numero dei collaboratori della Ceka oscillava tra i 150 e i 300; la proporzione degli ebrei rispetto all’insieme di collaboratori era di uno su quattro, ma i posti chiave si trovavano tutti quasi esclusivamente nelle loro mani. Su 20 membri della Commissione, ossia quelli che decidevano sulla sorte delle persone, 14 erano ebrei” (cit., p. 162). Fu soltanto allora (nel 1921) che scoppiarono i primi pogrom antiebraici nella Russia rivoluzionaria (cit., p. 163). I bolscevichi dell’Armata Rossa entrarono in Polonia nel 1920 e furono accolti calorosamente dalla popolazione ebrea (cit., p. 166), mentre in Germania rimasero molti “pregiudizi antisemiti” rafforzati dal ruolo assunto dagli ebrei nel movimento rivoluzionario dell’immediato dopo-guerra (cit., p. 167). Ma, continua Solgenitsin “se, in Russia e in Germania, il ruolo degli ebrei nella rivoluzione è stato molto netto, in Ungheria è stato decisivo. Sui 49 commissari popolari, 31 erano ebrei, in primo luogo lo stesso Bela Kun ministro degli Esteri e de facto Capo del governo” (cit., p. 168). Invece in Ucraina “la popolazione ebraica fu sottomessa a saccheggi e pogrom come non ne avevano mai conosciuti” (cit., p. 169).
L’Armata Bianca
Il campo dei Bianchi era composto non solo da monarchici, ma anche da alcuni residui dei gruppi liberali, dei socialisti moderati, insomma di tutti coloro che erano ostili al bolscevismo (cit., p. 177). “L’accesso degli ebrei all’Armata Bianca si trovò sbarrato […] a causa della partecipazione troppo numerosa degli ebrei al fianco dei rossi, i bianchi diffidavano sempre di più degli ebrei, essi erano convinti che gli ebrei assieme ai tedeschi favorissero il bolscevismo. Avendo occupata l’Ucraina, i bianchi avevano subìto l’influenza del furioso antisemitismo locale, il che causò la partecipazione ad esplosioni antiebraiche. L’esercito bianco fu ‘ipnotizzato’ da Trotskij e Nakhamkis, il che lo portò a identificare il bolscevismo nel suo insieme con gli ebrei e di conseguenza si ebbero i pogrom” (p. 177 e 179).
L’antisemitismo crimine mortale tra il 1926 e il 1930
Tra il 1926 e il 1930 furono pubblicati dal Partito bolscevico numerosi articoli e opuscoli sul pericolo reazionario e controrivoluzionario dell’antisemitismo. Addirittura il 19 febbraio del 1929 “La Pravda consacrava un articolo in prima pagina alla lotta contro l’antisemitismo” (cit., p. 278). Sempre nel 1929 si arrivò a perseguitare persino l’antisemitismo nascosto […] sulla sola base del sospetto. […]. Quelli che esprimono opinioni sfavorevoli sugli ebrei sono considerati come antisemiti dichiarati, mentre quelli che non lo fanno come antisemiti nascosti” (cit., p. 279). Tutto ciò provocò un’identificazione specialmente presso il popolo russo tra il bolscevismo sovietico e l’ebraismo.
La colonizzazione ebraica delle terre russe negli anni Venti
Siccome i bolscevichi ritenevano che gli ebrei erano stati privati dallo zarismo della possibilità di lavorare la terra ed erano stati, così, condannati ad esercitare l’usura, occorreva aiutare gli ebrei a colonizzare le terre della Russia (cit., p. 289). Il motivo di ciò risiedeva anche nella volontà di ottenere dagli occidentali una vasta corrente di simpatia e di finanziamenti (ivi). La Crimea fu designata quale nuova Terra Santa ebraica o Palestina. Ciò venne fatto anche per “legare gli ebrei al potere comunista” (cit., p. 290). La Germania, la Francia e gli Usa risposero positivamente e concretamente (cit., p. 291). Gli ebrei aderirono a questo piano poiché vi vedevano un’opportunità per la loro autonomia “occupando” l’Ucraina e la Crimea per “crearvi regioni ebraiche autonome, ma ciò non piacque ai sionisti americani, che vedevano in questo piano un’alternativa al sionismo” (cit., p. 292). “Eppure questo piano di conversione degli ebrei all’agricoltura fu un fallimento. Niente spingeva i coloni a restare. […]. Nuove possibilità erano loro offerte dall’industria così come dall’amministrazione, il che non accadeva nel XIX secolo. […]. Inoltre gli ebrei non lavoravano le terre loro assegnate, ma le affittavano o le facevano coltivare da altri” (cit., p. 295 e 294). Se il sionismo non vedeva di buon occhio quest’assimilazione degli ebrei alla Russia bolscevica, da parte sua il bolscevismo non amava il sionismo per la sua volontà di non assimilazione ad altri Paesi che non fossero la Palestina o il futuro Israele (1948). Infatti “nel settembre-ottobre del 1924 un’ondata di arresti si abbatté sugli ambienti sionisti” (cit., p. 309). Cinquanta anni dopo molti autori israeliti hanno riconosciuto che “le disgrazie le quali hanno colpito gli ebrei a causa della rivoluzione si spiegano in gran parte col fatto che la gioventù ebraica si era distolta dalla sua religione e dalla sua cultura sotto l’influenza dell’ideologia comunista” (cit., p. 311), mentre gli anziani restarono attaccati alle loro tradizioni. “La massiccia penetrazione degli ebrei in tutte le sfere della vita pubblica russa e nelle sfere dirigenti sovietiche negli anni Venti si rivelò non costruttiva anzi nefasta per loro” (cit., p. 312). Tuttavia “dopo parecchi decenni l’avvenire mostrò che qualcosa della loro coscienza nazionale era comunque restato in essi, resistendo al completo sradicamento” (cit., p. 313).
Le cause dell’antisemitismo
Nel 1903 uno studioso israelita, Bernard Lazare, scriveva: «Ovunque gli ebrei si sono stabiliti, si è sviluppato l’antisemitismo, o meglio ancora, l’antigiudaismo, poiché antisemitismo è una parola poco esatta … Il popolo ebreo è stato odiato da tutti i popoli tra i quali si è stabilito … Gli ebrei, almeno in parte, causarono i loro mali, poiché l’ebreo è inassimilabile» (B. Lazare, L’antisemitisme son histore et ses causes, Documents et témoignages, Vienne, 1969, pp. 13-14; tr. it., Verrua Savoia, CLS, 2000). Secondo il Lazare le cause generali dell’antisemitismo risiedono nel giudaismo e non nei popoli che l’hanno combattuto; poiché se i popoli vinti finivano per sottomettersi ai vincitori, pur mantenendo – eventualmente – la propria fede, al contrario gli ebrei non vollero mai assoggettarsi ai costumi dei popoli tra i quali erano chiamati a vivere, essi vollero dappertutto restare ebrei, come popolo e Stato, fondando così uno Stato nello Stato, nel quale non entravano come cittadini, ma come privilegiati o non-assimilati diventando padroni dei loro padroni. Inoltre il Protestantesimo, la Rivoluzione francese, il Liberalismo hanno affrancato gli ebrei, li hanno emancipati ed hanno permesso loro di diventare i padroni delle nazioni cristiane, facendo scoppiare violentemente il problema ebraico [2]. Lo stesso è avvenuto nella Rivoluzione russa. Visto ciò che è successo in Russia dal 1917 al 1919 La Civiltà Cattolica giustamente scriveva già circa 30 anni prima: «Se non si rimettono gli ebrei al loro posto, con leggi umane e cristiane sì, ma d’eccezione, che tolgano loro l’uguaglianza civile cui non hanno diritto non si farà nulla o ben poco, data la loro natura di stranieri in ogni Paese e dato il dogma fondamentale della loro religione, che li sprona ad impadronirsi, con qualsiasi mezzo del bene di tutti i popoli; dato che l’esperienza dimostra che la parità dei diritti coi cristiani ha per effetto o la soppressione di questi o l’eccidio degli ebrei da parte dei cristiani, ne segue che il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani è quello di regolarlo con leggi speciali, che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cristiani quello degli ebrei» (La Civiltà Cattolica, 1890, serie XIV, vol. 8).
Bolscevismo anticristiano e filoebraico
“Il potere bolscevico ostile ad ogni forma di religione, mentre colpiva senza pietà la Chiesa cristiana, manifestò in un primo tempo un atteggiamento piuttosto tollerante nei confronti della pratica religiosa degli ebrei” (cit., p. 313). Tuttavia iniziarono ben presto ad addensarsi le prime nuvole (1927) come avvisaglia delle persecuzioni future (1934). Infatti “nel 1926 Zinoviev e Kamenev si allearono con Trotskij contro Stalin, in altri termini tre dirigenti ebrei di primo piano si ritrovarono sullo stesso fronte. […]. Trotskij temeva che Stalin utilizzasse contro di lui l’arma dell’antisemitismo. Il che in parte accadde solo alcuni anni dopo. Infatti Stalin comprendeva che all’epoca gli ebrei erano molto numerosi nel Partito e se si univano a lui potevano costituire una vera forza” (cit., p. 322).
Conclusione
Solgenitsin conclude così il capitolo sugli anni Venti: “nel corso degli anni Venti, furono numerosi gli ebrei che si precipitarono al servizio del Moloc sovietico, senza pensare allo sventurato Paese che sarebbe diventato il campo delle loro esperienze e senza pensare nemmeno alle conseguenze che ne sarebbero derivate per loro stessi. Furono numerosi gli ebrei che, accedendo alle cariche più alte del potere, cominciarono a perdere il senso della misura sino ad arrivare al livello che non bisogna sorpassare” (cit., p. 330).
1] La Ceka è la sigla della Polizia Politica Sovietica (1917-1922) sostituita dalla Ghepeu in sigla GPU (1922-1934), sostituita dalla NKVD e dal GUGB, sostituite dal KGB (1954-1991).
2] Monsignor Antonino Romeo scrive: non è antisemitismo parlare dei pericoli del giudaismo, la giustizia e la carità non escludono una prudente e moderata difesa. Solo su queste basi, escludendo ogni odio personale, è lecito un antigiudaismo teologico nel campo delle idee, volto alla vigile tutela del patrimonio sociale, religioso e morale della Cristianità» (in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1949, vol. I, col. 1502, voce Antisemitismo).
Dagli anni Trenta alla morte di Stalin
In questo quarto articolo studieremo tre temi specifici: 1°) lo splendore dell’ebraismo in Urss negli anni Trenta, favorito dai rapporti tra l’alta finanza occidentale e il bolscevismo; 2°) l’apogeo dell’ebraismo in Unione Sovietica, la quale combatte contro Hitler dal 1939 al 1945; 3°) la caduta in disgrazia degli ebrei-russi, a causa del loro filo-sionismo, dal primo dopoguerra sino alla morte di Stalin (1953).
1°) Il bolscevismo, l’ebraismo e l’alta finanza negli anni Trenta
Gli anni Trenta in Urss furono contraddistinti dallo sforzo di industrializzazione del Paese che era restato sostanzialmente legato all’agricoltura. Tale sforzo riuscì soprattutto grazie alla decimazione dei contadini (“kulaki”) sottoposti a vessazioni di ogni genere e ad enormi sacrifici umani, ma soprattutto grazie all’apporto economico dato all’Urss dall’alta finanza apolide occidentale. “Il successo dei primi due piani quinquennali [1] fu dovuto specialmente alle abbondanti consegne di materiale, di un’attrezzatura di punta e della collaborazione di esperti tecnici industriali, che la Russia non aveva. Orbene, tutto questo affluì dai Paesi super-capitalisti dell’occidente e in primo luogo dagli Stati Uniti” (A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, vol. II, p. 331) [2]. Certamente l’alta finanza occidentale non dette soldi gratis a Stalin, ma “i sovietici pagavano profumatamente in natura: in minerali e in materie prime. Queste transazioni si facevano sotto l’egida dei magnati della finanza internazionale, di Wall Street in particolare” (ivi). Sembrerebbe un paradosso, ma Solgenitsin chiarisce l’apparente contraddizione di un’alleanza tra il super-capitalismo e il comunismo: “Non abbiamo letto in Marx che i capitalisti sono i nemici giurati del socialismo? Ebbene niente affatto! Ufficialmente e sul piano diplomatico, in Urss, non vi era il riconoscimento di tale accordo, ma in pratica gli uomini d’affari americani erano interessati all’estensione dei legami economici con l’Urss” (cit., p. 332). Solgenitsin, cita lo storico americano A. Sutton autore di un libro del 1982 su Wall Street e la Rivoluzione bolscevica, che vede la conciliabilità dei due sistemi (comunista e liberista) sulla base della globalizzazione del mondo. Infatti “la Rivoluzione comunista produce un potere finanziario centralizzato che rende i mercati facilmente controllabili dall’alta finanza. Inoltre i banchieri apolidi e i comunisti hanno una piattaforme comune, l’internazionalismo o il mondialismo” (cit., p. 332). Solgenitsin nota anche come il fattore ebraico abbia giocato a favore dei finanziamenti alla Russia bolscevica. Infatti: “I finanzieri americani hanno sempre rifiutato di prestare denaro alla Russia zarista, col pretesto delle vessazioni che vi subivano gli ebrei. Quindi all’inizio degli anni Trenta, il minimo sospetto di persecuzioni contro gli ebrei dell’Urss avrebbe distolto l’impero Rockfeller da ogni mira sul mercato sovietico e l’avrebbe dissuaso dall’aiutare i bolscevichi” (cit., p. 333), ma siccome la Russia bolscevica aiutava gli ebrei l’alta finanza liberista fu molto generosa con l’Urss. Nel 1936, in occasione dell’VIII Congresso dei Soviet dell’Urss, Molotov, su ordine di Stalin, pronunciò la seguente tirata: “I nostri sentimenti fraterni nei confronti del popolo ebreo derivano dal fatto che questo popolo ha dato alla luce il genio che ha concepito l’idea della liberazione comunista dell’umanità, Karl Marx” (cit., p. 334). Quest’alleanza idilliaca è durata sino al 1939, anno in cui ha toccato il suo apogeo, poi è venuta scemando sino a guastarsi completamente nel 1946, quando le simpatie eccessive degli ebrei-russi per il sionismo esacerbarono l’animo di Stalin, che cominciò a vedere in essi dei potenziali alleati degli Usa piuttosto che dei figli dell’Urss.
2°) 1939-1945 l’apogeo dell’ebraismo in Urss in guerra con Hitler
«L’Enciclopedia giudaica traccia il bilancio: “è alla fine degli anni Trenta che il ruolo degli ebrei nelle differenti sfere della vita della società sovietica ha raggiunto il suo apogeo”» (cit., p. 388). Stalin aveva capito molto bene, dopo il 1935, che era assai pericoloso seguire l’esempio della Germania di Hitler come nemica degli ebrei. Tuttavia “una certa animosità contro di loro doveva da sempre dimorare nel suo cuore (le Memorie di sua figlia lo confermano), anche se egli non lo lasciava trasparire. Conducendo la sua lotta frontale conto i trotskisti non trascurava di ridurre l’influenza preponderante degli ebrei nel Partito comunista” (ivi). Con l’avvicinarsi della guerra russo-germanica (1941-1945) e sin dall’invasione tedesca della Polonia (1° settembre 1939) “il moto di simpatia degli ebrei europei per l’Urss conobbe un notevole incremento. Trotskij lo spiegava come un sostegno contro l’aggressivo antisemitismo tedesco e non come un interesse per il marxismo bolscevico. Nel settembre del 1939 centinaia di migliaia di ebrei polacchi sono fuggiti davanti all’offensiva dell’esercito tedesco, tentando di raggiungere ad est il territorio polacco occupato dall’Armata Rossa. […]. Si valuta che circa 300 mila ebrei polacchi passarono dalla Polonia occidentale a quella orientale” (cit., pp. 390-391). Nel gennaio del 1939 si contavano in Russia 3 milioni di ebrei, con l’inizio della Seconda Guerra mondiale questo numero crebbe di altri 2 milioni.
3°) 1945-1953 la caduta in disgrazia degli ebrei a causa del loro filo-sionismo
Il 15 maggio del 1948 nacque lo Stato d’Israele con l’approvazione di Stalin, il quale, quando i sionisti entrarono in conflitto con l’Inghilterra (1946-1947), si schierò con essi e fu uno dei primi leader a riconoscere lo Stato d’Israele. “Ma Stalin non aveva previsto che questa politica avrebbe considerevolmente stimolato la coscienza nazionale degli ebrei-russi” (cit., p. 474). Gli ebrei-russi dopo il 1948 volevano lasciare la Russia per andare in Palestina e renderla totalmente “lo Stato d’Israele”, che a partire dalla sua nascita dimostrava una crescente simpatia per gli Usa. Quindi “Stalin, a partire dalla fine del 1948 e per tutto il tempo che gli restava da vivere, cambiò bruscamente politica nei loro riguardi” (cit., p. 475). Il 21 settembre del 1948 il dittatore sovietico fece pubblicare sulla Pravda un articolo in cui si diceva che “gli ebrei non sono una Nazione, ma sono destinati all’assimilazione [3]. In questo inizio di guerra fredda la discriminazione di cui erano vittime gli ebrei-russi divenne uno dei principali argomenti utilizzati in occidente contro l’Urss” (cit., p. 476). Stalin notò che il “Comitato Antifascista Ebraico” (CAE) “invece di guidare l’offensiva contro la propaganda imperialista americana e quella sionista, restava sulla linea dei sionisti borghesi, difendendo l’idea reazionaria di una sola ed unica Nazione ebraica in Palestina” (cit., p. 477); il destino degli ebrei-russi iniziava a scricchiolare. “Lo smantellamento del CAE fu realizzato per tappe successive. Alla fine del 1948, i suoi locali furono sigillati e nel 1949 i suoi dirigenti vennero arrestati” (cit., p. 478). “Tra il 1948 e il 1953 gli ebrei furono massicciamente buttati fuori dalle sfere superiori del Partito bolscevico” (cit., p. 482). Nel 1950 Stalin, che normalmente amava avanzare lentamente e a passi felpati, allentò la corda, ma “L’istruttoria giudiziaria dell’affare CAE riprese nel gennaio del 1952. Gli imputati vennero accusati di collisione con le organizzazioni nazionaliste ebraiche d’America. […]. A partire dall’autunno del 1952 Stalin avanzò a volto scoperto: nell’ottobre del 1952 si parlava già di repressioni di massa tra gli ebrei-sovietici” (cit., pp. 485-486). Nel medesimo tempo montò “l’affare dei medici ebrei” accusati di pratiche criminali contro i dirigenti comunisti russi (ivi). “La causa di quest’affare fu la psicosi di Stalin, la sua paura del complotto, la sua diffidenza verso i medici, soprattutto quando il suo stato di salute peggiorò. Si arrestarono molti eminenti medici per piccoli gruppi a partire dal settembre 1952” (cit., p. 478). Il 1952 fu l’anno della campagna contro i cosmopoliti (leggi ebrei) e contro i medici ebrei. Iniziò a circolare la voce secondo cui “Stalin progettava di deportare massicciamente gli ebrei in remote regioni della Siberia.In uno studio recente G. Kostytchenko [La politica segreta di Stalin: il potere e l’antisemitismo, Mosca, 2001], grande specialista della politica ebraica di Stalin, confuta con argomenti molto solidi questo mito della deportazione, mostrando che nessun fatto dell’epoca, né successivo lo conferma” (cit., p. 489). Tuttavia, nonostante tutto ciò, Solgenitsin cita un’opera pubblicata di N. Shapiro a Londra nel 1969 [Parola di un ebreo sovietico normale], in cui si legge: “Malgrado il carattere apertamente antisemita dell’ultimo periodo staliniano molti ebrei pregavano che Stalin restasse in vita perché l’esperienza aveva dimostrato che ogni indebolimento del potere significava un massacro degli ebrei” (cit., p. 489). Infine il 9 febbraio 1953 esplose una bomba presso l’ambasciata sovietica a Tel Aviv e l’11 febbraio l’Urss ruppe le sue relazioni diplomatiche con Israele (cit., p. 489).
Conclusione
“Qui Stalin commise un passo falso, forse il primo della sua carriera. Non comprese che gli sviluppi di questo affare potevano costituire un pericolo per lui, lui che si credeva al sicuro nel suo inaccessibile Olimpo. L’esplosione di indignazione nel mondo coincise con energiche azioni all’interno della Russia condotte da forze di cui si può supporre che avessero deciso di farla finita con Stalin. È possibilissimo che questo sia accaduto con il concorso di Beria [4]. Dopo il comunicato ufficiale sull’affare dei medici Stalin visse ancora 51 giorni. La morte di Stalin fu avvertita dagli ebrei-sovietici come un rinnovamento del miracolo del Purim. Infatti Stalin morì il giorno della festa del Purim, data in cui Ester salvò gli ebrei della Persia dal massacro ordinato da Aman. Il 3 aprile tutti quelli che erano sopravvissuti al loro arresto nel quadro dell’affare dei medici furono scarcerati. Non era la prima volta che gli ebrei rimettevano la storia in movimento” (p. 490).
1] I piani stabiliti da Stalin erano chiamati “quinquennali” perché duravano 5 anni ciascuno. Essi servivano per favorire lo sviluppo industriale di alcuni settori dell’economia nazionale russa. Una volta stabilito un piano quinquennale, esso doveva essere terminato in 5 anni esatti anche a costo della morte di milioni di uomini deportati e costretti a lavorare come schiavi nei Gulag, che vennero istituiti già nel 1919 sotto Lenin, ma ebbero un enorme sviluppo con Stalin (1924-1953) e continuarono a funzionare su vasta scala anche con i suoi successori; furono aboliti solo nel 1985 da Gorbaciov.
2] Cfr. O. Nardi, Il Vitello d’oro, Milano, 1989; Id., Gnosi e Rivoluzione, Milano, 1991; J. Lombard, La cara oculta de la historia moderna, Madrid, 1979, 4 volumi; Verminjon, Le forze occulte che manovrano il mondo, Roma, 1970; J. Bordiot, Le pouvoir occulte fourrier du communisme, Chiré-en-Montreuil, 1976; Id., Une main cachée dirige…, Parigi, 1974; L. de Poncins, Histoire du communisme, Chiré-en-Monteruil, 1973; P. Virion, Bientot un gouvernement mondial?, Parigi, 1967; Id., Il potere mondiale e la contro-chiesa, Napoli, 2004; P. F de Villemarest, Les sources financieres du communisme, Cierrey, 1979; Ch. Levinson, Vodka Cola, Firenze, 1978.
3] Cfr. J. Lémann, Napoleon Ier et les Israelites, Parigi, Avallon, 1988.
4] Fu l’organizzatore dei Gulag e venne processato e fucilato dopo la morte di Stalin nel 1953.
Il risveglio del nazionalismo ebraico e l’esodo degli ebrei russi in Israele
La politica anti-sionista di Krusciov
Beria nell’immediato dopo-Stalin ristabilì, nel luglio del 1953, le relazioni diplomatiche con Israele e sconfessò totalmente ogni accusa verso i “camici bianchi”, ossia i medici ebrei che avrebbero macchinato contro Stalin. Gli ebrei-sovietici, allora, si rianimarono e pensarono che la tempesta staliniana, che si era abbattuta su di loro fosse passata, ma Beria venne condannato a morte (1953) e Nikita Krusciov († 1971) prese la direzione dell’Urss, dalla quale fu allontanato nel 1964 (cfr. A. Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi durante il periodo sovietico, Napoli, Controcorrente, 2007, vol. II, pp. 491-492). Krusciov già nel marzo del 1954 pose il veto all’apertura, proposta dall’Onu, del Golfo di Suez alla flotta israeliana, poi prese posizioni nettamente filo-arabe ed anti-israeliane (cit., p. 492). La posizione di Krusciov suscitò una gran tempesta nel mondo intero. Infatti “I comunisti e gli ebrei internazionali cominciarono ad esigere rumorosamente delle spiegazioni da parte dei dirigenti sovietici sulle ragioni per le quali l’Urss non rompeva con la pesante eredità dello stalinismo sulla questione ebraica” (cit., p. 493).
La crisi di Suez (1956)
Nel maggio 1956 (dopo la Crisi del Canale di Suez) il Partito Comunista Francese inviò a Mosca una delegazione per avere delucidazioni sulla situazione degli ebrei in Russia. Nell’agosto del medesimo anno si recò in Urss una delegazione del Partito Comunista Canadese per lo stesso motivo” (cit., pp. 493-494). Krusciov fu abbastanza freddo con loro, ma “alcuni comunisti ebrei internazionali tentarono dall’estero di usare la loro influenza occulta per ottenere spiegazioni sulla sorte dell’élite culturale ebraica” (cit., p. 495). Solgenitsin spiega che “la politica di Krusciov riguardo agli ebrei restava alquanto indefinita, si può supporre che non li amasse troppo, ma che non cercasse nemmeno di combatterli, dati gli inconvenienti che una campagna antiebraica rappresentava sul piano internazionale” (cit., p. 498). Tuttavia negli anni Sessanta Krusciov “si rese conto improvvisamente che l’economia sovietica era stata sistematicamente depredata da funzionari disonesti. La campagna del 1961 contro il saccheggio della proprietà statale sovietica rivestì un carattere apertamente antisemita” (cit., p. 507). Infatti seguirono numerosi processi in cui vennero condannati per malversazioni molti funzionari ebrei. Allora si mobilitò una campagna mondiale capitanata da Bertrand Russell a favore degli ebrei-russi. “Dopo questi fatti le autorità sovietiche esitarono fortemente a toccare ancora gli ebrei” (cit., p. 509), anche se la campagna antisionista russa conobbe un incremento.
La Guerra dei Sei Giorni (1967)
Con la Guerra dei Sei Giorni (1967) “Il prestigio di Israele raggiunse il suo culmine agli occhi degli ebrei sovietici. Ma il governo sovietico, esasperato dalla vergognosa sconfitta di Nasser, scatenò sùbito una fragorosa campagna diretta contro il ‘giudaismo-sionismo-fascista’; oramai gli ebrei erano quasi tutti considerati sionisti e si arrivò alla nuova rottura delle relazioni diplomatiche con Israele. Nel 1969 gli ebrei che chiedevano di emigrare in Israele erano sempre più numerosi” (cit., p. 517).
Gli ebrei-russi rompono col bolscevismo
Il popolo d’Israele è definito da Solgenitsin come “una Nazione disseminata per il mondo e totalmente unita spiritualmente, che vive al di fuori di tutte le nozioni di Stato e territorialità e che influisce con un vigore ineguagliabile su tutta la storia dell’umanità” (cit., p. 520). Egli ricorda che “durante gli anni 1950-1980 quando ascoltavo le trasmissioni americane destinate all’Urss, avevo l’impressione che nel nostro Paese non esistesse un’altra questione grave quanto la questione ebraica. […]. Lavorando a questo mio libro mi sono convinto che la questione ebraica non è soltanto stata presente sempre e ovunque nella storia del mondo, ma che si è sempre intrecciata con qualcosa che si congiungeva con ciò che vi è di più universale” (cit., p. 523). L’autore scrive di aver capito che l’Urss era sul crinale del fallimento quando gli ebrei iniziarono a lasciarla verso gli inizi del Settanta. Infatti “senza di loro il fanatismo bolscevico fu colto da un’indolenza tutta russa e da un’inerzia tutta brezneviana” (cit., p. 524). Gli ebrei-sovietici si dissociano dal comunismo russo, ma senza alcun pentimento per quello che avevano fatto, in un ruolo di primo piano, a partire dal 1917 in seno alla Rivoluzione bolscevica. Ciò che stupisce Solgenitsin è il fatto che essi “non vedono dal 1917 altro che una lunga serie di sofferenze patite da loro, senza pensare a ciò che hanno fatto patire ai russi, in quanto caporioni del Partito comunista sovietico e dell’Armata Rossa” (cit., p. 527). Inoltre “non uno solo tra gli scrittori americani, che hanno cercato di spiegare quel che è successo agli ebrei-sovietici sotto Stalin e Krusciov ha mai affrontato il grave tema della loro responsabilità nella Rivoluzione russa e in tutto ciò che essa ha fatto soffrire al popolo russo ” (cit., p. 530).
Le accuse si ritorcono solo sulla Russia
“Rompendo col comunismo russo, gli ebrei non hanno avvertito nella loro anima il minimo moto di pentimento, ma si sono rivoltati con furore contro il popolo russo: sono stati solo i russi ad aver fatto la rivoluzione” (cit., p. 543). Ma un tempo gli ebrei avevano adulato il bolscevismo e ne erano stati i leader.
L’inizio dell’esodo massiccio in Israele
Dopo la Guerra dei Sei Giorni (1967) iniziò il grande esodo degli ebrei-russi verso Israele. Infatti “la Guerra dei Sei Giorni, con la sua fulminea vittoria, ha dato un impulso irresistibile alla coscienza nazionale degli ebrei sovietici e ha spento in molti di loro la sete dell’assimilazione” (cit., p. 571). In un certo modo “è stato il potere sovietico ad aver generato il risveglio della coscienza nazionale ebraica, avendo organizzato una gigantesca campagna antisionista ed avendo presentato l’immagine dell’ebreo guerriero e spietato, vincitore di tutti. Questa immagine ha tolto ogni remora agli ebrei-sovietici” (cit., p. 577). Solgenitsin constata con dolore che nel 67-69 vi fu non solo il risveglio nazionale ebraico, ma la nascita di un sentimento di disprezzo verso la Russia che pur aveva non solo ospitato gli ebrei, ma che aveva dato loro l’eguaglianza ed un posto di privilegio nella Rivoluzione bolscevica e nel Partito comunista. Inoltre “in questi sentimenti degli ebrei-russi non si vedeva nessun pentimento per quello che era successo negli anni Venti” (cit., p. 581) quando gli ebrei erano a capo del movimento rivoluzionario sovietico, che tanto ha fatto soffrire ai russi, se si pensa alla dekulakizzazione leninista (1919-1924) con i suoi circa 15 milioni di morti o ai piani quinquennali staliniani (1932 ss.) che ne hanno prodotti altri 6 milioni all’incirca. L’autore nota e fa notare il fatto che se gli ebrei-russi hanno ottenuto dall’autorità sovietica, che era riluttante, il permesso di lasciare l’Urss e di andare in Israele alla fine del Sessanta lo si deve “al potente sostegno internazionale degli ebrei” del mondo intero e specialmente statunitensi (cit., p. 582). Il governo sovietico il 3 agosto del 1972 pensò di far pagare una tassa agli ebrei-russi che lasciavano il Paese, (il quale li aveva emancipati, elevati socialmente e politicamente e fatti studiare a sue spese) di modo che rendessero all’Urss una parte di ciò che avevano ricevuto. Ma vi fu “una levata di scudi anti-russa planetaria. Durante i 50 anni di governo sovietico, nessuno dei suoi crimini più gravi [circa 20 milioni di morti, ndr] aveva suscitato una protesta mondiale così unanime e violenta. Cinquemila accademici americani firmarono una protesta ufficiale e pubblica. Due terzi dei senatori Usa bloccarono il trattato commerciale con la Russia in preparazione. […]. Il governo sovietico cedette, il piano di tassazione non venne applicato. Bisognava far partire tutti gli ebrei e solo gli ebrei per ottenere la ripresa del trattato commerciale, mentre nessun russo che da 50 anni sognava di fuggire dall’aborrito regime sovietico ha ottenuto questa possibilità e nessuno ha protestato” (cit., p. 584).
La Guerra dello Yom Kippur (1973)
Tuttavia, nel 1973, Israele nella Guerra del Kippur fece una magra figura. Quindi se prima di essa le domande di lasciare la Russia per andare in Israele erano circa 700 mila, nel 1974 scesero a sole 20 mila e la metà degli ebrei non andava più in Israele ma in Europa o in Usa. Solgenitsin ne deduce che gli “esodati” partivano non per un ideale sionista, ma soprattutto (non unicamente) perché volevano lasciare “una vita sovietica irta di difficoltà per quella più comoda dell’Occidente” (cit., p. 592) e quando si accorsero che lo Stato israeliano non era l’Occidente opulento si diressero verso l’America. Inoltre “le motivazioni che spingevano alcuni ebrei-russi ad emigrare erano motivate dal fatto che il potere sovietico aveva ostacolato, con Stalin, il loro avanzamento professionale” (cit., p. 593). Insomma più che andare verso Sion si trattava di scappare dall’Urss, ma perché tale scialuppa di salvezza, si domanda l’Autore, è stata data solo agli ebrei e non pure ai russi, che tanto avevano sofferto sotto il bolscevismo? (cit., pp. 596-597). Con Gorbaciov nel 1987 gli ebrei hanno ottenuto la libertà totale di espatriare. “Gli ebrei hanno chiuso il ciclo della loro dispersione intorno al Mediterraneo sino all’Europa nord-orientale, poi si sono messi in movimento per ritornare alla terra donde erano partiti. In questo ciclo trapela un disegno sovrumano” (cit., p. 598). Qual è? La conoscenza da parte del mondo intero dell’Antico e del Nuovo Testamento, proprio come l’impero romano aveva preparato le vie all’evangelizzazione dell’orbe.
La Diaspora ebraica
Solgenitsin insegna che non è corretto ritenere che la Diaspora degli ebrei dalla Terra Santa sia iniziata il 70 d. C. con la distruzione del Tempio e di Gerusalemme da parte di Tito. “In quell’epoca un’imponente maggioranza di ebrei viveva già nella dispersione o diaspora al di fuori della Terra Santa. Gli inizi della diaspora ebraica risalgono alla cattività babilonese (586 a. C.). Gli ebrei erano in maggioranza un popolo disperso; la Palestina era solo il loro centro culturale e religioso” (cit., p. 599). Anche oggi su oltre 30 milioni di ebrei viventi, solo 5 milioni si trovano in Israele, 6 milioni in Usa e il resto nelle varie Nazioni del mondo intero. Se si leggono i manuali di storia biblica si evince l’esattezza dell’asserto di Solgenitsin. Per esempio, monsignor Francesco Spadafora scrive: “La Diaspora è l’irraggiamento per tutto il mondo allora conosciuto dei membri di Israele. Il termine greco Diaspora significa dispersione. Gruppi di emigranti Giudei dalla Palestina si produssero già al V sec. a. C. e la Diaspora servì a preparare le vie alla diffusione del Cristianesimo. Infatti ellenisti pagani prendevano contatto, tramite i giudei delle Diaspora, con la nozione e la Rivelazione del vero Dio. La prima predicazione di Pietro nel dì di Pentecoste non fu soltanto una mirabile pesca locale, ma per la presenza di molti Giudei della Diaspora, che ripartirono da Gerusalemme per i loro Paesi, il Vangelo ebbe un’eco fruttuosa in tutto l’impero” (Dizionario Biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 162-164 [1]). Solgenitsin, citando M. Gerschenson [I destini del popolo ebreo, Tel Aviv, 1981], continua: “Gli ebrei si adattavano bene nei Paesi stranieri. […]. La Diaspora è stata una dispersione liberamente accettata, anche per assicurarsi una vita più facile. Inoltre nella Diaspora gli ebrei non si sono mescolati con i popoli ospitanti, anzi se ne sono preservati” (cit., pp. 600-603). Sino al XVIII secolo gli ebrei non hanno mai voluto sentir parlare di assimilazione; con Napoleone essi ottennero l’eguaglianza e iniziarono ad assimilarsi. Il comunismo, con Marx e Lenin, ha “visto la soluzione del problema ebraico in un’assimilazione totale degli ebrei nel Paese in cui risiedono” (cit., p. 605). Ma con la nascita del sionismo e la creazione dello Stato d’Israele gli ebrei iniziarono a tornare a quella che ritengono la loro Patria e pian piano il fenomeno dell’assimilazione scemò, come è successo anche in Urss.
1] Cfr. anche G. Ricciotti, Storia d’Israele, II vol., 2a ed., Torino, 1935, pp. 230-247