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Socrate
mercoledì 13 febbraio 2019
LITURGIA E PROPONIMENTO DEL GIORNO
LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
PRIMA LETTURA
|
martedì 5 febbraio 2019
5G e aumento Tumori: le ultime ricerche parlano chiaro, il pericolo esiste ed è fondato
A livello mondiale, la posta in ballo è straordinariamente alta. Non solo nel business, ma nella tutela della Salute Pubblica. Lo scontro è tra titani.
L’ho scritto, denunciandolo, nel mio ultimo libro inchiesta, “Manuale di autodifesa per elettrosensibili. Come sopravvivere all’elettrosmog di Wi-Fi, Smartphone e antenne di telefonia. Mentre arrivano il 5G e il Wi-Fi dallo spazio” (Edizioni Terra Nuova).
“Era da aspettarselo – scrive su Facebook, polemizzando con la Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (Icnirp), Fiorella Belpoggi, ricercatrice dell’Istituto Ramazzini, a capo del più grosso studio al mondo sugli effetti nocivi delle radiazioni da antenne di telefonia mobile (banda 3G) – ora chi di dovere si prenderà la responsabilità di ignorare un tale pericolo”.
Tra le polemiche, la partita è tutt’altro che chiusa e, clamorosamente, potrebbe riaprirsi: c’è attesa per le nuove linee guida sulla sicurezza per l’esposizione all’elettrosmog, depositati i risultati dell’istituto bolognese (condotto su cavie umane equivalenti, riscontrati tumori maligni al cervello, cuore e infarto) e dell’americano National Toxicology Program (cancro da cellulare) la scorsa settimana e bollati come “poco affidabili” dall’Icnirp, ma presto al vaglio dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Forse per questo, senza dar troppo nell’occhio, negli ultimi mesi stiamo assistendo a una forsennata corsa contro il tempo per implementare l’infrastruttura tecnologica di quinta generazione. Lo dimostrano i 500 milioni di euro prestati dall’Europa a Nokia, i 200mila lampioni LED/Wi-Fi appena installati a Roma e le mini-antenne accese a Torino.
Tuttavia, se l’Organizzazione Mondiale della Sanità dovesse rivalutare (al rialzo) la classificazione delle radiofrequenze, inserendole tra i “probabili” (Classe 2B) se non addirittura tra i “certi” (Classe 1) agenti cancerogeni per l’umanità, dall’oggi al domani crollerebbe l’intera impalcatura su cui, sbrigativamente, la lobby dell’industria wireless e la (spregiudicata) politica negazionista stanno costruendo il sogno digitale del 5G.
Perché saremo tutti irradiati da una sommatoria multipla e cumulativa di nuove frequenze oggi all’asta, spingendo (presto con riforma di legge?) il campo elettrico nell’aria da 6 V/m a 61 V/m. Ovunque, uno tsunami di microonde millimetriche ci sommergerà: con quali conseguenze?
Aumento del rischio di tumori del cervello, del nervo vestibolare e della ghiandola salivare sono associati all’uso del telefono cellulare. Nove studi (2011-2017) segnalano un aumento del rischio di cancro al cervello, dovuto all’uso del telefono cellulare. Quattro studi caso-controllo (2013-2014) riportano un aumento del rischio di tumori del nervo vestibolare. Preoccupazione per altri tumori: mammella (maschio e femmina), testicolo, leucemia e tiroide. Sulla base delle prove esaminate, è nostra opinione che l’attuale classificazione delle radio frequenze come cancerogeno per l’uomo (Classe 2B) dovrebbe essere aggiornata a cancerogenico per gli esseri umani (Classe1)”.
L’aggiornamento della ricerca medico-scientifica nei risultati dei nuovi studi parla chiaro. Il pericolo esiste ed è fondato. E non è uno scherzo, se si pensa all’uso compulsivo degli smartphone: le linee guida redatte nel 1998 dall’Icnirp sono vecchie, se non altro superate dall’incontrastato avanzamento tecnologico, più veloce per sfornare merce Hi-Tech, priva di valutazione preliminare del rischio sanitario: l’aggiornamento è urgente! Non è procrastinabile.
“Usano le parole magiche ‘incoerenti’ e ‘inaffidabili’ per minare le ultime scoperte – scrivono critici sul blog, i tecnoribelli di No Radiotion for you – accettando e promuovendo studi che mostrano un’immagine più sicura: l’Icnirp si dimostra ancora una volta inadeguato, insignificante e irrilevante”. L’appunto non è da poco: la Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti è quell’organismo (privato) accreditato Iarc-Oms, su cui alla fine degli anni ’90 l’Unione Europea si basò nel considerare i soli effetti termici (cioè il surriscaldamento del corpo umano irradiato dall’elettrosmog, simulato con manichini riempiti di gel), ignorando le evidenze sui danni biologici.
“E’ giunto il momento di aggiornare e rivedere giudiziosamente le linee guida dell’Icnirp”, afferma l’ex membro (ci lavorò 12 anni) Jim Lin, mentre – come il noto Angelo Gino Levis dell’Università di Padova e Dariusz Leszczyński, scienziato tra i massimi esperti al mondo che studiò il progetto Interphone Iarc-Oms – sostiene l’inaffidabilità dell’Icnirp, per dettare l’agenda governativa in materia di regolamentazione del rischio sulle pervadenti onde invisibili.
Quindi, se gli esiti Icnirp sono superati, vecchi di 20 anni, cosa succederà se la massima autorità sanitaria del mondo recepisse le più aggiornate prove scientifiche sulla cancerogenesi dell’elettrosmog e valutasse il danno biologico evidenziato dagli studi (con finanziamenti pubblici) di National Toxicology Programe Istituto Ramazzini? Che sarà del 5G?
Le conseguenze a cui, come cavie, senza informarci ci stanno esponendo, sono evidenti e incontrovertibili.
Articolo di Maurizio Martucci
GLI ELETTI SONO SPARSI IN TUTTO IL MONDO E VI AIUTERANNO A USCIRE DALLA SCHIAVITU’ DEL SISTEMA.
Pochi sono consapevoli dei tempi eccezionali che stiamo vivendo: pochi ma sufficienti per aiutare se stessi e l’intera umanità; sono quelli che Vangeli e film come ”Matrix” chiamano gli ”eletti”, quelli che cercano la verità.
Gli eletti si sentono diversi fin dalla nascita, non si adeguano alla ”realtà” di questo mondo vorrebbero cambiarlo ma non sanno come fare.
Imboccare la via dell’ evoluzione è un ”cambiare” che è in realtà diventare se stessi; è ESSERE, ovvero: RIFLETTERE NEL MONDO IL PROPRIO MESSAGGIO GENETICO IN TUTTA LA SUA INTEGRITA’.
L’incontro fatale con un professionista, che ristabilisce il contatto con il vero sè, è il passo necessario per chi cerca la via.
E’ un evento che imprime una svolta all’ esistenza del potenziale ”eletto”; l’evidenza che TUTTO CIO’ CHE HA SEMPRE SAPUTO E SENTITO E’ VERO e non solo sogno o vaga fantascienza.
Tuttavia ”per imboccare la via” dice Morpheus (il professionista di ”Matrix”), ”sapere non basta”. Bisogna aprire la porta interna, sciogliere quella barriera che è la paura di essere diversi e quindi non accettati dagli altri.
Gli ”eletti” sono pochi, ma non pochissimi: forse alcuni milioni o decine di milioni. Sparsi come il sale ovunque nel pianeta, immersi in ”realtà” familiari e sociali che negano tutto ciò che gli ”eletti” sentono. La sfida è CREDERE IN SE STESSI, OSARE ESSERE DIVERSI, RISPETTARE LE PROPRIE ABILITA’, SVILUPPARE I PROPRI TALENTI; NON ADATTARSI quindi al sistema che organizza ogni attimo della così detta ”vita”. Gli ”eletti” sono ”enzimi” di una trasformazione planetaria che consentirà a tutti LIBERTA’, PROSPERITA’, UNITA’e COMUNIONE CON LA NATURA.
Dal libro: ”Il gioco cosmico dell’uomo” di Giuliana Conforto
Gilet gialli, Macron accusa la Russia: ‘fomenta le proteste’
Un’accusa di interferenza alla Russia è buona per tutte le stagioni. Per le elezioni negli Stati Uniti, per il referendum sulla Brexit, per le elezioni europee. E ora anche per la protesta dei gilet gialli. Il ministero degli Esteri russo si è rivolto all’ambasciata francese per avere chiarimenti in seguito alle dichiarazioni del presidente, Emmanuel Macron, il quale ha denunciato la presunta “ingerenza” dei media russi nella questione del movimento dei “gilet gialli”.
Il ministero degli Esteri russo ha chiesto se le parole del capo dello Stato della Francia possono essere considerate la posizione ufficiale dello stato francese. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, Macron ha accusato i media russi, in particolare “Rt” e “Sputnik”, di fare propaganda.
Il capo dello Stato francese ritiene inoltre che il movimento di protesta dei gilet gialli riceva consulenza dall’estero e che la loro attività sia sostenuta attraverso account “acquistati” sui social network. Zakharova ha definito queste accuse false e infondate.
L’affossamento del Trattato INF e le complicità europee (articolo)
La «sospensione» del Trattato INF, annunciata ieri dal segretario di stato Mike Pompeo, avvia il conto alla rovescia che, entro sei mesi, porterà gli Stati Uniti a uscire definitivamente dal Trattato. Già da oggi, comunque, gli Stati Uniti si ritengono liberi di testare e schierare armi della categoria proibita dal Trattato: missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km), con base a terra.
Appartenevano a tale categoria i missili nucleari schierati in Europa negli anni Ottanta: i missili balistici Pershing II, schierati dagli Stati Uniti in Germania Occidentale, e quelli da crociera lanciati da terra, schierati dagli Stati Uniti in Gran Bretagna, Italia, Germania Occidentale, Belgio e Olanda, con la motivazione di difendere gli alleati europei dai missili balistici SS-20, schierati dall’Unione Sovietica sul proprio territorio. Il Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie, firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan, eliminava tutti i missili di tale categoria, compresi quelli schierati a Comiso.
Il Trattato INF è stato messo in discussione da Washington quando gli Stati Uniti hanno visto diminuire il loro vantaggio strategico su Russia e Cina. Nel 2014, l’amministrazione Obama accusava la Russia, senza portare alcuna prova, di aver sperimentato un missile da crociera (sigla 9M729) della categoria proibita dal Trattato e, nel 2015, annunciava che «di fronte alla violazione del Trattato INF da parte della Russia, gli Stati Uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra». Il piano è stato confermato dalla amministrazione Trump: nel 2018 il Congresso ha autorizzato il finanziamento di «un programma di ricerca e sviluppo di un missile da crociera lanciato da terra da piattaforma mobile su strada». Da parte sua, Mosca negava che il suo missile da crociera violasse il Trattato e, a sua volta, accusava Washington di aver installato in Polonia e Romania rampe di lancio di missili intercettori (quelli dello «scudo»), che possono essere usate per lanciare missili da crociera a testata nucleare.
In tale quadro va tenuto presente il fattore geografico: mentre un missile nucleare USA a raggio intermedio, schierato in Europa, può colpire Mosca, un analogo missile schierato dalla Russia sul proprio territorio può colpire le capitali europee, ma non Washington. Rovesciando lo scenario, è come se la Russia schierasse in Messico i suoi missili nucleari a raggio intermedio.
Il piano degli USA di affossare il Trattato INF è stato pienamente sostenuto dagli alleati europei della Nato. Il Consiglio Nord Atlantico ha dichiarato, il 4 dicembre 2018, che «il Trattato INF è in pericolo a causa delle azioni della Russia», accusata di schierare «un sistema missilistico destabilizzante». Lo stesso Consiglio Nord Atlantico ha dichiarato ieri il suo «pieno appoggio all’azione degli Stati Uniti di sospendere i suoi obblighi rispetto al Trattato INF» e intimato alla Russia di «usare i restanti sei mesi per ritornare alla piena osservanza del Trattato».
All’affossamento del Trattato INF ha contribuito anche l’Unione europea che, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 21 dicembre 2018, ha votato contro la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato INF», respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni. L‘Unione europea – di cui 21 dei 27 membri fanno parte della Nato (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla Ue) – si è uniformata così totalmente alla posizione della NATO, che a sua volta si è uniformata a quella degli Stati Uniti. Nella sostanza, quindi, anche l’Unione europea ha dato luce verde alla possibile installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa.
Su una questione di tale importanza il governo Conte, come i precedenti, si è accodato sia alla NATO che alla UE. E dall’intero arco politico non si è levata una voce per richiedere che fosse il Parlamento a decidere come votare all’ONU sul Trattato INF. Né in Parlamento si è levata alcuna voce per richiedere che l’Italia osservi il Trattato di Non-Proliferazione e aderisca a quello ONU sulla proibizione delle armi nucleari, imponendo agli USA di rimuovere dal nostro territorio nazionale le bombe nucleari B61 e di non installarvi, a partire dalla prima metà del 2020, le ancora più pericolose B61-12. Avendo sul proprio territorio armi nucleari e installazioni strategiche USA, come il MUOS e il JTAGS in Sicilia, l’Italia è esposta a crescenti pericoli quale base avanzata delle forze nucleari USA e quindi quale bersaglio di quelle russe. Un missile balistico nucleare a raggio intermedio, per raggiungere l’obiettivo, impiega 6-11 minuti. Un bell’esempio di difesa della nostra sovranità, sancita dalla Costituzione, e della nostra sicurezza che il Governo garantisce sbarrando la porta ai migranti ma spalancandola alle armi nucleari USA.
http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/laffossamento-del-trattato-inf-e-le-complicita-europee/
La RAI si scusi per aver calunniato la Russia
QUANDO IL PROPRIO ORIENTAMENTO POLITICO FA FARE MAGRE FIGURE ALL'ESTERO....GRAVE PER UN PROGRAMMA CHE DOVREBBE DIVULGARE "CULTURA" E NON DIFFONDERE MISTIFICAZIONI STORICHE. RICORDIAMOCI CHE DAL NAZISMO CI SALVARONO SOPRATTUTTO I RUSSI PIU' CHE GLI YANKEES....
Aderendo a questa Lettera Aperta la nostra Redazione ed il nostro gruppo di lavoro chiedono alla RAI, alla redazione del Programma Ulisse, il Piacere della Scoperta, ed al dott. Alberto Angela, di dare prova di professionalità e correttezza dando pubblicamente atto dell’errore compiuto nell’attribuire ai “Russi” la corresponsabilità nello sterminio del popolo ebraico.
Lo scorso sabato 13 ottobre è andata in onda su RAI1 una puntata del programma “Ulisse, il Piacere della Scoperta” condotto dal popolare divulgatore dott. Alberto Angela. Il programma, senz’altro meritorio nel suo intento di divulgare l’orrore della shoah, è però incorso in un grave errore di ricostruzione storica. Nel corso di un infelice excursus, infatti, il conduttore ha sostenuto che i Russi (non i Sovietici … proprio “i Russi”!) fossero corresponsabili dello sterminio di Ebrei polacchi, avendoli consegnati ai loro carnefici. Queste le esatte parole del conduttore:
“Prima dello scoppio della guerra erano proprio i Russi a consegnare ai Tedeschi, ai nazisti, migliaia e migliaia di Ebrei in omaggio ad un accordo che la Germania e la Russia avevano fatto, l’accordo Molotov Ribbentrop, che aveva stabilito per così dire una specie di pace tra le due nazioni”
Qui, il video del passaggio. Purtroppo questa infamante accusa, rivolta al popolo russo con il massimo risalto possibile (la stampa ci ha informato dell’ottimo risultato di ascolto del programma) ed in un contesto divulgativo con pretese di massima obiettività, è destituita di ogni fondamento.
L’Unione Sovietica (come tutte le potenze belligeranti, Italia inclusa), può essere accusata di gravi violazioni dei diritti umani nel corso di quel conflitto (non potendosi tralasciare che, in ogni caso, essa venne aggredita dalle potenze nazifasciste e che diede il maggior contributo di sangue alla loro sconfitta, liberando anche, simbolicamente, il campo di Auschwitz). Tuttavia qualsiasi diversa accusa possa essere rivolta in altri contesti, non potrebbe giustificare la mistificazione storiografica a cui abbiamo assistito.
Ampia produzione accademica, facilmente reperibile, attesta che non solo i Sovietici non consegnarono ai Tedeschi gli Ebrei che vivevano nella zona della Polonia occupata nel settembre ’41 ed annessa o che in essa avevano trovato scampo, ma anzi che molti di essi poterono materialmente salvare la propria vita solo grazie alla vittoria dell’Armata Rossa.
Citiamo, a tal proposito due fonti: lavori scritti principalmente con l’intento di criticare la condotta delle autorità sovietiche nel trattare gli Ebrei polacchi, e tuttavia chiari nello smentire l’affermazione del dott. Alberto Angela. Il primo, Paradise Lost? Postwar Memory of Polish Jewish Survival in the Soviet Union di Laura Jockusch e Tamar Lewinsk[1]:
“Nella sequenza di apertura di “Salvati dalla Deportazione”, un recente film documentario sugli Ebrei Polacchi che sopravvissero alla Seconda Guerra Mondiale scappando nell’Unione Sovietica, l’intervistato Asher Sharf ricorda: “in Russia pensavo – scriverò un libro su ogni giorno che sono stato qui – ma quando sono tornato in Polonia ho visto cosa era successo ho pensato che l’Unione Sovietica era stata il paradiso”
Ancora:
“Solo circa 350.000 Ebrei polacchi (su di una popolazione di 3,3 milioni) sono sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale. Da 30 a 35.000 furono liberati nel territorio della Polonia prebellica, altri 70 – 80.000 nei campi in Austria e Germania, 230.000 o più sopravvissero in Unione Sovietica”.
Veniamo al secondo lavoro, The Distress of Jews in the Soviet Union in the Wake of the Molotov-Ribbentrop Pact di Mordechai Altshuler[2]:
“Coloro che prima del 1 settembre 1939 vivevano nelle aree della Polonia annesse all’URSS (inclusi 1.200.000 Ebrei) ricevettero automaticamente la cittadinanza sovietica. Oltre ad essi, nelle aree poi ribattezzate Ucraina e Bielorussia Occidentali, si trovavano anche centinaia di migliaia di profughi la cui residenza permanente prima della Seconda Guerra Mondiale era nella zona assegnata alla sfera di controllo tedesca dal “trattato di confine ed amicizia”. Fra questi rifugiati si stima vi fossero 150 – 200.000 Ebrei. Nei primi mesi dell’occupazione della Polonia Orientale, le autorità Sovietiche tentarono di persuadere questi rifugiati ad offrirsi volontari per lavorare nell’URSS (nei confini precedenti il 1939). La maggioranza di questi profughi non accettò l’offerta, al che le autorità gli presentarono due alternative: accettare la cittadinanza sovietica con certe restrizioni o “tornare a casa”, ovvero ritornare nella sfera di influenza tedesca. Tutti quelli che non accettarono la cittadinanza sovietica vennero esiliati in aree remote dell’URSS. La deportazione avvenne fra il 29 giugno e la seconda metà di luglio del 1940. In questa operazione 77.228 profughi vennero deportati dall’Ucraina e dalla Bielorussia Occidentale. L’84% di costoro erano Ebrei e l’11% Polacchi.”
In conclusione: è falso che furono “i Russi a consegnare ai Tedeschi, ai nazisti, migliaia e migliaia di Ebrei in omaggio ad un accordo che la Germania e la Russia avevano fatto”. Al contrario: 1.300.000 Ebrei ricevettero immediatamente la cittadinanza sovietica, altri 90-140.000 poterono vivere legalmente in URSS (molti di questi poi caddero vittima dei nazisti che di lì a poco invasero l’Unione Sovietica circostanza che tuttavia può difficilmente essere rimproverata a quest’ultima). Infine un gruppo più esiguo, circa 60.000, avendo rifiutato qualsiasi ipotesi di collaborazione con lo stato sovietico subirono, si, una dura deportazione, ma poterono, per la maggior parte, fare ritorno in Polonia a guerra finita.
Molto più attendibile, in conclusione, la fantasia della scena finale del film umoristico tragico Train De Vie, che rappresentava gli abitanti di un shtetl mentre raggiungevano una onirica salvezza a bordo di un treno diretto verso il confine sovietico, fra il fischiare dei proiettili di artiglieria, della realtà come descritta al pubblico italiano dal dott. Alberto Angela in una trasmissione che si suppone informativa (e che, così facendo, ha privato di qualsiasi credibilità anche i contenuti condivisibili e meritori, che pure non mancavano nella trasmissione).
Dobbiamo purtroppo assistere, sui nostri media, ad attacchi sistematici, e sovente infondati, ad un grande paese amico come la Russia: solitamente preferiamo ignorare tali attacchi non avendo alcuna fiducia nell’onestà intellettuale di chi li porta. Tuttavia questo caso è diverso. Diverso per la gravità della calunnia alla Russia ed al suo popolo e la vastità della platea a cui è stata rivolta, ma anche per la nomea di correttezza, certo non immeritata, di cui godono la Rai e i professionisti interessati.
Siamo quindi certi, in conclusione, che il servizio pubblico vorrà indicare le fonti storiografiche da cui le gravissime affermazioni sono state tratte ovvero, in mancanza, rettificare con la stessa risonanza le informazioni errate e scusarsi con il popolo russo per la grave offesa arrecata.
A difesa della sua propria professionalità e credibilità.
Venezuela: andiamo al sodo
La Guerra Fredda 2.0 ha colpito il Sud America con un tuono, mettendo di fronte gli Stati Uniti e i suoi prevedibili lacchè contro i quattro pilastri della marcia verso l’integrazione euroasiatica: Russia, Cina, Iran e Turchia.
È il petrolio, stupido. Ma c’è molto di più di quel che colpisce gli (oleosi) occhi.
Caracas ha commesso il peccato capitale agli occhi dell’Eccezionalistan: commerciare il petrolio aggirando il dollaro degli Stati Uniti o le borse da loro controllate.
Ricordiamoci dell’Iraq. Della Libia. Anche l’Iran lo sta facendo. La Turchia lo fa. La Russia è, parzialmente, sulla via di farlo. E la Cina finirà per commerciare tutta la sua energia in petroyuan.
Il Venezuela, in fase di adozione del petro-cripto e con la sua moneta sovrana bolivar, già dall’anno scorso è stato sanzionato dall’amministrazione Trump, che ha espulso Caracas dal sistema finanziario internazionale.
Non c’è da stupirsi se Caracas è sostenuta dalla Cina, dalla Russia e dall’Iran. Essi sono la vera, dura troika, non la fumettistica “troika della tirannia” vagheggiata dallo psico-killer John Bolton, che combatte contro la strategia di dominazione energetica della amministrazione Trump, consistente in soldoni nell’imporre totalmente il commercio del petrolio in petrodollari, per sempre.
Il Venezuela è un ingranaggio chiave nel meccanismo. Lo psico-killer Bolton l’ha ammesso in una registrazione: “Per gli Stati Uniti, farebbe una grande differenza poter avere le compagnie americane investire e produrre dalle riserve petrolifere del Venezuela”. Non è solo il permettere alla ExxonMobil di prendersi le massicce riserve petrolifere venezuelane, le più grandi del pianeta, il punto chiave è il monopolizzare il loro sfruttamento in dollari americani, il tutto a beneficio di una manciata di miliardari petroliferi.
Ancora una volta, la maledizione delle risorse naturali è all’opera. Al Venezuela non deve essere permesso di approfittarsi della sua ricchezza come meglio preferisce. L’Eccezionalistan ha decretato che lo stato venezuelano debba essere fatto a pezzi.
Alla fin fine, tutto si riduce alla guerra economica. Il segnale l’ha dato il Dipartimento del Tesoro statunitense quando ha imposto [in inglese] nuove sanzioni alla PDVSA, ammontanti, di fatto, ad un embargo petrolifero contro il Venezuela.
La riedizione della guerra economica
Ora è decisamente chiaro che gli eventi accaduti a Caracas non sono dovuti ad una rivoluzione colorata, ma ad un cambio di regime della vecchia scuola, promosso dagli Stati Uniti usando le élite compradore locali e installando come “presidente ad interim” una sconosciuta nullità, Juan Guaidó, che maschera le sue credenziali di estrema destra dietro un aspetto da chierichetto.
Tutti si ricordano di “Assad deve andarsene”. Il primo stadio della rivoluzione colorata siriana fu l’istigazione di una guerra civile, seguito da una guerra per procura mediante mercenari jihadisti internazionali. Come ha notato Thierry Meyssan, il ruolo sostenuto allora dalla Lega Araba è oggi interpretato dalla OSA [in italiano]. Ed il ruolo degli Amici della Siria, adesso smaltiti nella pattumiera della storia, è ora sostenuto dal Gruppo di Lima, il club dei vassalli di Washington. Al posto dei “ribelli moderati” di al-Nusra, potremmo avere dei “ribelli moderati” mercenari colombiani o altri assortiti e addestrati negli Emirati.
Al contrario delle bufale apparse sui media occidentali, le ultime elezioni in Venezuela sono state assolutamente legittime. Non c’è modo di manomettere le macchine per il voto elettronico costruite a Taiwan. Il Partito Socialista al potere ha ottenuto il 70% dei voti, l’opposizione, con molti dei suoi partiti che le hanno boicottate, ha preso il 30%. Una seria delegazione del Concilio Latino Americano di Esperti Elettorali (CEELA) è stata netta, le elezioni hanno riflesso “pacificamente e senza problemi, il volere dei cittadini venezuelani”.
L’embargo americano può essere feroce. Parallelamente, il governo può essere stato sommamente incompetente per non aver diversificato l’economia ed investito nell’autosufficienza alimentare. I più grandi importatori alimentari, speculando come se non ci fosse un domani, stanno facendo affari d’oro. Nonostante ciò, fonti affidabili a Caracas dicono che i barrios, i quartieri popolari, restano in gran parte tranquilli.
In un paese in cui un pieno di benzina costa anche adesso meno di una lattina di Coca Cola, non c’è dubbio sul fatto che la penuria cronica di cibo e medicine nelle cliniche locali abbia spinto almeno due milioni di persone a lasciare il Venezuela. Ma il fattore di costrizione chiave è l’embargo statunitense.
Alfred de Zayas, inviato dell’ONU in Venezuela, esperto di legge internazionale ed ex segretario del Concilio per i Diritti Umani dell’ONU, va [in inglese] direttamente al punto: “Molto più che nella proverbiale demonizzazione di Maduro, Washington sta combattendo una guerra economica contro un’intera nazione”.
È illuminante osservare come “il popolo venezuelano” veda la farsa. In un sondaggio condotto da Hinterlaces ben prima dei sogni eccitati sui golpe/cambi di regime dell’amministrazione Trump, l’86% dei venezuelani dicevano di essere contrari ad ogni sorta di intervento statunitense, militare o no.
E l’81% dei venezuelani erano contrari alle sanzioni statunitensi. Fine della discussione sull’interferenza straniera “benigna” in difesa della “democrazia” e dei “diritti umani”.
Il fattore russo-cinese
Le analisi di osservatori ben informati, come Eva Golinger [qui, un suo video in inglese] e soprattutto il collettivo [in spagnolo] Mision Verdad, sono di estremo aiuto. Quel che è certo, quando entra in modalità Impero del Caos, è che il libretto americano, oltre embargo e sabotaggi, prevede l’attivazione di una guerra civile.
Sospetti “gruppi armati” si sono attivati nei barrios di Caracas, agendo nel cuore della notte e amplificando la “rivolta social” sui social media. Nonostante ciò, Guaidó non ha assolutamente nessun potere all’interno del paese. La sua sola possibilità di successo è quella di riuscire a formare un governo ombra, finanziandosi con le entrate petrolifere e di avere Washington impegnato ad arrestare i membri del governo in base ad accuse inventate.
A prescindere dai sogni eccitati dei neocon, gli adulti al Pentagono dovrebbero sapere che un’invasione del Venezuela può metastatizzarsi in un pantano tropicale simile al Vietnam. Hamilton Mourao, l’uomo forte brasiliano in attesa, vice presidente e generale pensionato, ha già detto che non vi sarà nessun intervento militare.
La famigerata bravata col notepad sui “5.000 soldati in Colombia” fatta dallo psico-killer John Bolton è uno scherzo, non avrebbero possibilità contro i presumibili 15.000 cubani a cui è affidata la sicurezza del governo di Maduro. I cubani hanno dimostrato storicamente di non essere in affari nel ramo di cedere il potere.
Il tutto finisce per ridursi a ciò che Russia e Cina potrebbero fare. La Cina è il più grande creditore del Venezuela. L’anno scorso Maduro è stato ricevuto da Xi Jinping a Pechino, ha ottenuto un extra prestito di 5 miliardi di dollari ed ha firmato almeno 20 accordi bilaterali.
Il Presidente Putin ha offerto il suo sostegno a Maduro durante una telefonata in cui ha diplomaticamente sottolineato che “le interferenze distruttive dall’estero violano sfacciatamente le norme fondamentali della legge internazionale”.
A gennaio del 2016 il petrolio era al minimo di 35 dollari a barile, un disastro per le casse del Venezuela. Allora Maduro decise di trasferire alla russa Rosneft il 49,9% della proprietà di una sussidiaria della PDVSA, la Citgo, per un prestito di appena 1,5 miliardi di dollari. Questo mandò una raffica di luci rosse a Washington, quei “diabolici” russi erano ora parzialmente proprietari della risorsa principale del Venezuela.
Alla fine dell’anno scorso, avendo ancora necessità di soldi, Maduro ha aperto lo sfruttamento dell’oro alle compagnie minerarie russe. E c’è di più: nickel, diamanti, minerali ferrosi, alluminio, bauxite, tutta roba bramata da Russia, Cina e… Stati Uniti. Per quanto riguarda l’1,3 miliardi di dollari di oro venezuelano, scordatevi il suo rimpatrio dalla Banca di Inghilterra.
E poi, a dicembre scorso, è arrivata la pagliuzza che ha rotto la schiena allo Stato Profondo: l’amichevole volo di due bombardieri Tu-160 russi a capacità nucleare. Come si sono permessi? Nel nostro cortile di casa?
Il piano [in inglese] principale dell’amministrazione Trump potrebbe perfino essere quello di annettere il Venezuela ad un cartello delle “Nazioni Nord e Sud Americane Esportatrici di Petrolio” (NASAPEC), capace di rivaleggiare con l’OPEC plus, la storia d’amore fra Russia e la Casa dei Saud.
Ma anche se tutto ciò si avverasse, aggiungendo pure una possibile alleanza fra Stati Uniti e Qatar per il gas LNG, non ci sono garanzie che sia sufficiente ad assicurare a lungo termine la preminenza del petrodollaro e del petrogas.
L’integrazione energetica dell’Eurasia aggirerà, per la gran parte, il petrodollaro: questo è alla base sia della strategia dei BRICS che di quella dello SCO. Dal Nord Stream 2 al Turk Stream, la Russia sta mettendo in sicurezza una collaborazione a lungo termine con l’Europa. E la predominanza del petroyuan è solo questione di tempo. Mosca lo sa. Teheran lo sa. Ankara lo sa. Riyadh lo sa.
Quindi, che ne è del vostro piano B, neoconservatori? Siete pronti per il vostro Vietnam tropicale?
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