venerdì 11 gennaio 2019

Dal 2018 al 2019 – Una rapida analisi di alcune prospettive


THE SAKER
thesaker.is

L’anno 2018 passerà alla storia come un punto di svolta nell’evoluzione dell’ambiente geostrategico del nostro pianeta. Di questo esistono molte ragioni e non le elencherò tutte, ma ecco alcune di quelle che, personalmente, considero più importanti:

L’Impero ha vacillato. Diverse volte.

Questo è probabilmente lo sviluppo più importante dell’anno: l’Impero Anglo-Sionista ha minacciato a destra e a sinistra e ha compiuto passi ancora più inquietanti, ma, alla fine, ha dovuto fare marcia indietro. In effetti, l’Impero è in ritirata su molti fronti, ma elencherò solo alcuni dei più importanti:

1. La Corea del Nord: ricordate tutte le grandiose minacce fatte da Trump e dai suoi burattinai neoconservatori? L’amministrazione aveva addirittura annunciato che avrebbe inviato ben tre (3) portaerei nucleari, con i relativi gruppi da battaglia, davanti alle coste della Corea del Nord, mentre Trump aveva minacciato di “distruggere totalmente” la Corea del Nord. Alla fine, i Sudcoreani avevano deciso di occuparsene loro, avevano aperto un canale diretto di comunicazione con il Nord, e tutto il tintinnar di spade degli Stati Uniti si era risolto in una vampata di aria calda.

2. La Siria nel mese di aprile: era stato il periodo in cui Stati Uniti, Francia e Regno Unito avevano deciso di attaccare la Siria con missili cruise per “punire” i Siriani del presunto utilizzo di armi chimiche (una teoria fin troppo stupida per essere discussa). Dei 103 missili effettivamente lanciati, 71 erano stati abbattuti dai Siriani. La Casa Bianca e il Pentagono, insieme ai loro fidati organi di informazione controllati dai Sionisti, avevano dichiarato che l’attacco era stato un grande successo, ma avevano fatto la stessa cosa anche durante l’invasione di Grenada (una delle peggiori operazioni offensive della storia militare) o dopo l’umiliante sconfitta di Israele da parte di Hezbollah nel 2006 e quindi la cosa è relmente di scarso significato. La verità è che questa operazione è stata un totale fallimento militare e che non ha avuto alcun seguito (almeno per ora).

3. L’Ucraina: abbiamo passato quasi tutto il 2018 in attesa di un attacco Ukronazi contro il Donbass, attacco che non si è mai verificato. Ora, sono sicuro che qualcuno sosterrà che la giunta nazista di Kiev non aveva mai avuto simili intenzioni, ma chiunque abbia anche solo una conoscenza approssimativa di ciò che è successo in Ucraina quest’anno sa che queste sono stupidaggini: il regime ha fatto praticamente di tutto per portare a termine un attacco, tranne l’ultimo passaggio: ordinarlo veramente. L’aperta minaccia di Putin, secondo cui un attacco del genere avrebbe avuto “gravi conseguenze per lo stato ucraino in quanto tale,” ha probabilmente avuto un ruolo chiave nel dissuadere l’Impero. Oh, certo, gli Ukronazi potrebbero benissimo attaccare a gennaio o in qualsiasi altro momento, ma il fatto è che, nel 2018, non hanno osato farlo. Ancora una volta, l’Impero (e i suoi seguaci) hanno dovuto fare un passo indietro.

4. La Siria nel mese di settembre: questa volta, era stata l’ipostasi israeliana dell’Impero che aveva innescato una grossa crisi, quando gli Israeliani avevano nascosto i loro cacciabombardieri dietro la scia di un turboelica russo Il-20, con la conseguente perdita dell’aeromobile e dell’equipaggio. Dopo aver dato agli Israeliani la possibilità di uscirne puliti (cosa che, prevedibilmente, non avevano fatto, dopo tutto sono Israeliani), i Russi ne avevano avuto abbastanza e avevano fatto arrivare ai Siriani sistemi avanzati per la difesa aerea, per le contromisure elettroniche e per il coordinamento interforze durante le operazioni belliche. Come tutta risposta, gli Israeliani (che avevano minacciato di distruggere subito qualsiasi S-300 consegnato ai Siriani) hanno dovuto, in pratica, porre fine ai loro attacchi aerei contro la Siria (beh, non completamente, di attacchi del genere ne hanno eseguiti altri due: uno totalmente inefficace e uno in cui i pazzi Sionisti si sono nuovamente nascosti dietro un aereo, ma, in questo caso, non uno, ma DUE aerei civili (più avanti ulteriori informazioni su quest’ultima, folle azione dei Sionisti). L’Impero arretrava ancora.

5. La Siria a dicembre: apparentemente stanco di tutte le lotte intestine tra i suoi consiglieri, Trump, alla fine, ha ordinato un ritiro completo degli Americani dalla Siria. Ora, naturalmente, dato che qui si tratta degli Stati Uniti, dobbiamo aspettare e vedere cosa accadrà realmente. E’ in corso anche una danza kabuki molto complessa fra Russia, Turchia, Stati Uniti, Israele, Iran, Kurdi e Siriani per stabilizzare la situazione risultante dal completo ritiro degli Stati Uniti. Dopo tutti gli anni passati a dire che “Assad il mostro se ne deve andare“, è abbastanza divertente vedere come le potenze occidentali stiano gettando la spugna, una dopo l’altra. Questo comporta anche l’ovvia domanda: se “La città sulla collina, l’unica superpotenza del pianeta, il faro del mondo libero e la nazione indispensabile” non può nemmeno aver ragione di un governo e di un esercito siriano così indeboliti, che cosa può riuscire a fare questo esercito (oltre a fornire ad un pubblico americano credulone dei polpettoni hollywoodiani)?

6. Diverse sconfitte minori: troppe da contare, ma comprendono il fiasco Khashoggi, il fallimento della guerra nello Yemen, il fallimento della guerra in Afghanistan, il fallimento della guerra in Iraq, l’incapacità di rimuovere Maduro dal governo del Venezuela, e la graduale perdita di controllo su un numero crescente di paesi dell’UE (Italia), le ridicole buffonate di Nikki Haley al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’incapacità di radunare le risorse intellettuali necessarie per avere un incontro reale e proficuo con Vladimir Putin, la disastrosa guerra commerciale con la Cina, ecc. Ciò che tutti questi eventi hanno in comune è che sono il risultato dell’incapacità degli Stati Uniti di portare a termine qualcosa, in modo compiuto. Lungi dall’essere una vera superpotenza, gli Stati Uniti sono in declino a tutto campo e la cosa principale che ancora dà loro lo status di superpotenza è l’armamento atomico, proprio come la Russia negli anni ’90.


Tutti i problemi interni derivanti dalle lotte intestine delle élites statunitensi (di fatto: la banda Clinton contro Trump e i suoi Deplorabili) peggiorano solo le cose. Già solo la sequela, apparentemente infinita, di dimissioni e/o licenziamenti dall’amministrazione Trump è un segno molto importante dello stato di avanzato collasso in cui si trova la politica statunitense. Le élites non si scannano fra loro quando le cose vanno bene, lo fanno quando tutto va a rotoli. Il detto “la vittoria ha molti padri ma la sconfitta è orfana” ci ricorda che quando una banda di malfattori comincia a perdere il controllo della situazione, [questa] si trasforma rapidamente in “ognuno per sé“, tutti incolpano tutti per i problemi e nessuno vuole trovarsi accanto a quelli che passeranno alla storia come i patetici falliti che avevano rovinato tutto.

Per quanto riguarda poi le forze armate degli Stati Uniti, queste sono sempre state molto brave ad uccidere una gran quantità di persone, sopratutto civili, come sempre, ma non sono riuscite ad ottenere nessun risultato effettivo, almeno se si comprende che lo scopo della guerra non è solo uccidere la gente, ma è la “continuazione della politica con altri mezzi“. Facciamo un’analisi comparativa di ciò che hanno fatto Russia e Stati Uniti in Siria.

L’11 ottobre, Putin aveva dichiarato in un’intervista a Vladimir Soloviev, sul canale televisivo Russia1 quanto segue: “Il nostro obbiettivo è stabilizzare l’autorità legittima e creare le condizioni per un compromesso politico.” Tutto qui. Non aveva detto che la Russia avrebbe cambiato da sola il corso della guerra, ancora meno che avrebbe vinto la guerra. Il (molto piccolo!) contingente russo in Siria ha raggiunto questi obiettivi primari in pochi mesi, una cosa che l’Asse-della-Gentilezza non è stato capace di raggiungere dopo anni, e i Russi lo hanno fatto con una piccola parte delle capacità militari a disposizione di Stati Uniti/NATO/UE/CENTCOM/Israele nella regione. Infatti, i Russi hanno dovuto creare rapidamente tutto un sistema di logistica di cui prima non disponevano, a causa della postura militare russa puramente difensiva (la proiezione di forza della Russia può arrivare al massimo a 500-1000 km. dal confine russo).

In confronto, gli Stati Uniti stanno combattendo la cosiddetta GWOT (Guerra Globale al Terrore) sin dal 2001, e l’unico risultato è che i terroristi (di diversa estrazione) sono diventati più forti, controllano più territorio, hanno ucciso più persone e, generalmente, sembrano mostrare una notevole capacità di sopravvivenza e anche di crescita, nonostante (o grazie) la Guerra al Terrore. Come direbbe Putin, cosa ci si può aspettare da “gente che non conosce la differenza tra l’Austria e l’Australia”?

Personalmente, mi aspetto che si prendano tutti i meriti della vittoria e se ne vadano.

Che è poi esattamente quello che hanno fatto gli Stati Uniti.

Almeno questo è quello che stanno dicendo ora. La situazione potrebbe nuovamente cambiare di 180 gradi.

Per quanto riguarda l’Afghanistan, gli Stati Uniti vi sono rimasti più dei Sovietici. Non è questa una chiara indicazione che i leader statunitensi sono *ancora più* incompetenti dei gerontocrati sovietici dell’epoca della “stagnazione”?

Il fallimento di sottomettere o anche solo di contenere la Russia

Il discorso di Putin del 1 marzo davanti all’Assemblea Federale Russa è stato veramente un momento storico: per la prima volta, dopo la decisione dell’Impero di far guerra alla Russia (una guerra che è, all’incirca, per l’80% di informazione, per il 15% economica e solo per il 5% cinetica, ma che può diventare cinetica al 95% in un’ora o giù di lì!), i Russi hanno deciso di far capire in modo chiaro agli Stati Uniti che la loro strategia era stata completamente sconfitta. Credete che questa sia un’esagerazione? Ripensateci. Su cosa si basa la potenza militare statunitense? Quali sono i suoi componenti principali?

• Potenza aerea (supremazia aerea)
• Armi da lancio remoto a lunga gittata (balistiche e ipersoniche)
• Portaerei
• Difesa antimissile (almeno in teoria!)
• 800-1000 (dipende dai conteggi) basi in tutto il mondo

Il dispiegamento di ciò che è senza dubbio il più sofisticato sistema di difesa aerea del mondo, supportato da quelle che probabilmente sono anche le più formidabili capacità di guerra elettronica (EW) attualmente esistenti, ha creato quello che i comandanti USA/NATO chiamano “La capacità della Russia di negare accesso/ed area (A2/AD)” che, a detta di questi comandanti USA/NATO, potrebbe manifestarsi nel Mar Baltico, nel Mediterraneo Orientale, in Ucraina, in Siria e altrove (potrebbe comparire sull’isola di La Orchila in Venezuela nel 2019). Inoltre, in termini qualitativi, la potenza aerea tattica russa è più recente e come minimo equivalente, se non superiore, a tutto quello che possono garantire i velivoli tattici USA o NATO. Mentre l’Occidente in generale, e specialmente gli Stati Uniti, hanno un numero molto maggiore di velivoli, questi sono per lo più di generazioni più vecchie, e i diversi incontri tra aerei multiruolo russi e americani avvenuti nei cieli siriani hanno dimostrato che i piloti statunitensi preferiscono abbandonare il campo quando fanno la loro comparsa i Su-35S russi.

Il dispiegamento (già nel 2018!) del missile ipersonico Kinzhal ha reso l’intera flotta di superficie degli Stati Uniti praticamente inutile per un attacco contro la Russia. Che si tratti di portaerei o anche di cacciatorpediniere, incrociatori, navi d’assalto anfibie, navi da combattimento litoranee (per lo più sfortunate), navi da trasporto, ecc. ora queste sono tutte pesci in barile, che i Russi possono affondare indipendentemente da qualsiasi difesa aerea che queste navi, o quelle della scorta, possano avere.

Allo stesso modo, il dispiegamento di armi balistiche nucleari intercontinentali pesanti, come il Sarmat e il velivolo planante a rientro ipersonico Avangard hanno reso completamente inutili tutti i sistemi anti-balistici americani. Lasciatemelo ripetere: TUTTI i sistemi ABM statunitensi, inclusi i miliardi spesi per la ricerca e lo sviluppo, sono stati resi completamente inutili.

[Nota a latere: qui è importante chiarire una cosa: nessuno dei nuovi sistemi d’arma russi fornisce alcun mezzo per proteggere i Russi da un attacco nucleare (o convenzionale) statunitense. Il loro “unico” compito è fare in modo che i leaders statunitensi non credano mai ai sogni che stanno inseguendo fin dai tempi delle “Star Wars” di Reagan, che cioè potrebbero, in qualche modo, sfuggire al secondo attacco di rappresaglia (contrattacco) russo, se decidessero di colpire la Russia. In verità, anche senza il Sarmat o l’Avangard, la Russia aveva già missili più che sufficienti (terrestri, aviolanciati e marini) per spazzare via gli Stati Uniti con un contrattacco di rappresaglia, ma i politici e gli strateghi statunitensi hanno iniziato ad inseguire la chimera della difesa missilistica anti-balistica, nonostante sia abbastanza chiaro che un tale sistema non può funzionare (qualche “perdita” potrebbe essere accettabile con le armi convenzionali, ma poche “perdite nucleari” sono più che sufficienti per far pagare un prezzo terribile ad ogni attaccante abbastanza pazzo da pensare che uno “scudo” con un’efficacia del 90% o addirittura del 98% sia sufficiente per rischiare un attacco ad una superpotenza nucleare). Potreste quindi affermare che queste nuove capacità russe (inclusi i missili tattici Iskander a (più)corto raggio) siano una sorta di “distruttori di illusioni” o di “rammenta realtà” che faranno scoppiare la bolla delle illusioni statunitensi sui rischi di una guerra contro Russia. Si spera che non abbiano mai un uso diverso.]

Infine, il dispiegamento da parte della Russia di una nuova generazione di missili avanzati e a lunghissima gittata ha dato alla Russia l’enorme vantaggio di poter “raggiungere” qualsiasi obiettivo statunitense (sia truppe che infrastrutture), in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, (una cosa che, attualmente, non è quasi mai menzionata dai media occidentali).

Ora, date un’occhiata alla lista precedente sulle componenti chiave della potenza militare degli Stati Uniti e vedete come tutto sia stato, in pratica, trasformato in anticaglie.

Quella che abbiamo qui è la classica situazione in cui, da un lato, i pianificatori militari di una nazione hanno commesso degli errori strategici fondamentali, che hanno portato alla scelta definitiva del tipo di forza militare che il paese avrebbe avuto per almeno due, o forse tre decenni, mentre, dall’altra parte, gli strateghi hanno preso le decisioni giuste, che hanno permesso loro di sconfiggere una forza militare dotata di un budget per la difesa circa dieci volte più grande. La conseguenza più grave di questa situazione per gli Stati Uniti è che ora servirà loro almeno un decennio (o più!) per riformulare una nuova strategia di pianificazione per le proprie forze armate (a volte i sistemi d’arma moderni impiegano decenni per essere progettati, sviluppati e distribuiti ai reparti). La sfortunata Zumwalt, l’F-35, la portaerei Gerald R. Ford (CVN 78), sono tutti esempi osceni su come spendere miliardi di dollari e ritrovarsi poi con i principali sistemi d’arma sull’orlo del disastro, una cosa che indebolisce ulteriormente le forze armate degli Stati Uniti.


C’è una semplice ragione del perchè gli Stati Uniti erano diventati una superpotenza nel 20° secolo: non solo il continente americano era protetto da enormi oceani, ma la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale erano state combattute lontano dagli Stati Uniti: tutti i potenziali concorrenti degli Stati Uniti si erano ritrovati con le economie nazionali completamente distrutte, mentre gli Stati Uniti non avevano perso nemmeno una fabbrica o un laboratorio di ricerca/progettazione. Perciò gli Stati Uniti sono stati in grado di utilizzare la loro immensa base industriale per rifornire quello che era, in pratica, un mercato mondiale con merci che solo gli Stati Uniti potevano costruire e consegnare. Eppure, nonostante questi enormi vantaggi, gli Stati Uniti hanno passato quasi tutta la loro esistenza a castigare un paese indifeso dopo l’altro, per garantirsi la piena sottomissione e il rispetto delle richieste dello Zio Shmuel (la variante anglo-sionista dello Zio Sam). Alla faccia dell’essere “indispensabili,” suppongo …

Grazie ai globalisti, la base industriale statunitense è sparita. Grazie ai Neoconservatori e alla loro arroganza, gli Stati Uniti sono, in un modo o nell’altro, in guerra con la maggior parte dei paesi chiave del pianeta (specialmente se ignoriamo l’esistenza di élites compradore supportate e gestite dagli Stati Uniti). La sottomissione infinitamente stupida e autodistruttiva degli Stati Uniti nei confronti di Israele ha portato ad una situazione in cui attualmente gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del Medio Oriente ricco di petrolio, che avevano controllato per decenni. Infine, con la scelta di cercare di sottomettere alla volontà dell’Impero sia la Russia che la Cina, i Neoconservatori sono riusciti a spingere questi due paesi ad un’alleanza di fatto (in realtà una relazione simbiotica) che, lungi dall’isolarli, allontana gli Stati Uniti dalla “centralità degli eventi” in termini di sviluppo economico, sociale e politico (primo e più importante, la massa continentale euroasiatica e il progetto OBOR [la Nuova Via della Seta]).

Prospettive dell’Impero per il 2019: problemi, problemi e ancora più problemi

Beh, il 2018 è stato un anno eccezionalmente brutto e pericoloso, ma il 2019 potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso per i seguenti motivi:


* A meno che gli Stati Uniti non cambino rotta politica e rinuncino alla russofobia suicida di Obama e di Trump, un confronto militare tra Russia e Stati Uniti è inevitabile. La Russia si è ritirata il più lontano possibile, non c’è nessun altro posto dove possa ritirarsi e quindi non lo farà. Non ho alcun dubbio che se gli Stati Uniti avessero effettivamente preso di mira le unità russe in Siria (cosa che, a quanto sembra, era voluta da Bolton, ma che Mattis, pare, abbia categoricamente respinto), i Russi avrebbero contrattaccato non solo contro i missili USA, ma anche contro i loro vettori (in particolare le navi). Ho saputo da una fonte attendibile che, nella notte dell’attacco, un MiG-31K russo armato con un missile Kinzhal era in volo pronto a colpire. Grazie a Dio (e, forse, grazie a Mattis) questo non è successo. Ma, come avevo scritto nel mio articolo “Ogni clic ci avvicina al bang!“, ogni volta che la Terza Guerra Mondiale non scoppia dopo un attacco americano in Siria, la cosa incoraggia i Neoconservatori a riprovarci, sopratutto per il fatto che “Assad, il mostro che deve andarseneo” rimane al potere a Damasco, mentre, uno dopo l’altro, se ne vanno tutti i politici occidentali che avevano decretato che Assad se ne sarebbe dovuto andare.
È abbastanza evidente come gli Israeliani siano diventati, in modo terminale e probabilmente anche suicida, completamente pazzi. La loro piccola acrobazia con l’Il-20 russo era già stata un disastro di proporzioni immense che, in un paese normale, avrebbe portato alle immediate dimissioni dell’intero Gabinetto. Ma non in Israele. Dopo essersi nascosti dietro un turboelica militare russo, hanno deciso di sottrarsi alla vista degli S-300 siriani nascondendosi dietro due aerei civili! Guardate voi stessi: * Non penso valga la pena di discutere qui sul fatto che Israele è l’ultimo stato apertamente razzista del pianeta, o che i leaders israeliani sono pazzi, immorali, folli e, in generale, maniaci completamente fuori di testa. O lo avete capito da soli o siete senza speranza. Ciò che è importante qui non è quanto siano malvagi gli Israeliani, ma quanto siano stupidi e totalmente avventati. In poche parole, questo è il modo in cui funziona: gli israeliani sono malvagi, stupidi e completamente deliranti, ma hanno in tasca tutti i politici degli Stati Uniti, il che significa che, indipendentemente da quanto folli e disdicevoli possano essere le azione degli israeliani, la “nazione indispensabile” li proteggerà sempre e, se necessario, li coprirà (p.e. la USS Liberty o, per quel che importa, l’11 settembre). Al momento, non c’è nessuno nella classe politica americana con qualche qualche possibilità di essere eletto che oserebbe fare qualcosa di diverso dal venerare in modo automatico qualsiasi cosa facciano gli Israeliani (o gli Ebrei, per quel che vale). Il vero motto degli Stati Uniti non è “Noi crediamo in Dio“, ma “non c’è luce tra gli Stati Uniti e Israele” (un ulteriore motivo per cui gli Stati Uniti non sono una vera superpotenza: in realtà non sono nemmeno sovrani!).

*L’impero ha alcuni problemi importanti in Europa. In primo luogo, se gli Ukronazi protetti dagli Stati Uniti trovassero mai il coraggio (o la disperazione) per attaccare il Donbass o la Russia, il caos risultante inonderebbe l’UE con un numero ancora maggiore di rifugiati, molti dei quali sarebbero personaggi sgradevoli e decisamente pericolosi. Inoltre, i sentimenti anti-UE stanno diventando molto forti in Italia, in Ungheria e, per ragioni diverse, anche in Polonia. La Francia è sull’orlo di una guerra civile (non questa volta, la mia sensazione è che i Gilets Jaunes finiranno per perdere lo slancio), ma, la prossima volta (che sarà prima piuttosto che dopo), l’esplosione porterà probabilmente al rovesciamento del regime francese a guida CRIF [Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebree di Francia] e ad una massiccia reazione anti-statunitense.

*In America Latina, l’Impero ha avuto un grosso successo nel rovesciare tutta una serie di leader patriottici e indipendenti. Ma ciò che ora manca è la capacità di far funzionare economicamente e politicamente in modo soddisfacente questi regimi filoamericani. Sorprendentemente, nonostante la massiccia campagna di sovversione degli Stati Uniti e i grossi errori politici commessi, l’amministrazione Maduro è rimasta al potere in Venezuela e sta lentamente, ma con molta risolutezza, cercando di cambiare rotta e mantenere il Venezuela sovrano e indipendente dagli Stati Uniti. Il problema chiave degli Stati Uniti in America Latina è che gli Stati Uniti hanno sempre governato usando l’élite compradora locale. Gli Stati Uniti hanno avuto molto successo in questi tentativi, ma non sono mai riusciti a convincere le masse latinoamericane della loro benevolenza e questo è il motivo per cui la parola “yankee” rimane un insulto in tutti i paesi latino-americani.

*In Asia, la Cina sta offrendo ad ogni colonia statunitense un modello di civiltà alternativo, che si fa sempre più attraente man mano che la Repubblica Popolare Cinese diventa più potente ed economicamente vincente. Si scopre che il solito mix di arroganza, superbia e ignoranza che aveva permesso ai paesi anglosassoni di dominare l’Asia sta perdendo la sua forza e che il popolo asiatico sta cercando delle alternative. In verità, gli Stati Uniti non hanno assolutamente nulla da offrire.

Il punto è che non solo gli Stati Uniti non sono in grado di imporre la propria volontà a paesi che sono considerati “alleati degli Stati Uniti” (se il NorthStream dovesse mai andare in porto, e penso che ciò avverrà, allora sarebbe la prima volta che i leaders europei avranno detto ad un presidente degli Stati Uniti di andare a quel paese, anche se non con le stesse parole), ma gli USA, ovviamente, non hanno alcun tipo di progetto da offrire alle altre nazioni. Sì, “MAGA” è bello e carino, ma non ha molta attrattiva per gli altri paesi, a cui non interessa davvero il MAGA …

Conclusione sotto forma di proverbio russo

C’è un detto in russo “meglio fare una fine orribile (che dover vivere) un orrore senza fine” (лучше ужасный конец чем ужас без конца). Non c’è dubbio che il declino dell’Impero Anglo-Sionista continuerà nel 2019. Quella che non cambierà, tuttavia, è la capacità degli Stati Uniti di distruggere la Russia in un attacco nucleare. Perché, non sbagliatevi, tutto ciò che le nuove armi russe forniscono è la capacità di punire (vendicarsi contro) gli Stati Uniti per un attacco contro la Russia, ma non la capacità di impedire (prevenire) un simile attacco. Se i Neoconservatori decidessero che un olocausto nucleare è preferibile ad una perdita di potere negli Stati Uniti, allora non c’è nulla che si possa fare per impedire loro di recitare la loro sordida versione del Götterdämmerung. Ho, di recente, dovuto trascorrere alcuni giorni a Boca Raton, dove a molti rappresentanti della nuova “aristocrazia” americana piace soggiornare e posso dirvi due cose: a loro la vita sorride e, sicuramente, non hanno intenzione di rinunciare al loro status privilegiato di “leaders del pianeta”. E se qualcuno cercasse di sottrarglielo, non ho alcun dubbio che queste persone reagirebbero con un’esplosione rabbiosa di furore disperato, come aveva fatto Sansone. Quindi, l’unica domanda rimane questa: saremo noi (l’umanità) in grado di portar via il bottone nucleare a questa classe di parassiti senza dar loro la possibilità di premerlo, o no?

Non lo so.

Sarà quindi una fine orribile o un orrore senza fine?

Non so neanche questo.

Ma quello che so è che l’Impero sta scricchiolando in tutte le sue giunture e che il suo declino, nel 2019, continuerà ad accelerare.

The Saker

L’era dell’ipercontrollo

PENSATE CHE SI POSSA ANDARE AVANTI COSI'? GUARDATE QUESTI VIDEO PER RENDERVI CONTO DI DOVE STIAMO ANDANDO TRASCINATI DA CHI CI SOVRASTA ESERCITANDO UN  POTERE OCCULTO, PERVASIVO E OPPRESSIVO.....




Tutte le esplosioni nucleari sulla Terra



la rete 5g


Project Soli(tudine)

di Fiorenzo Fraioli

Mi ricordo mio nonno che, davanti alle novità che vedeva arrivare, mi diceva di essere contento di essere vecchio. Allora non lo capivo, oggi sì. Seguite questo link segnalatomi dall’amico Francesco Mazzuoli e guardatevi il video del sociologo Massimo De Felice.

Guardate anche questo video su Tw. Vi ricordo anche un mio recente post.

Vi sto chiedendo molto, lo so, ma non è che l’inizio se volete capire. Infatti vi tocca guardare anche questo:

Questa dittatura distopica viene presentata dagli avatars del M5S come “Nuova Cittadinanza Digitale“: una cosa tanto figa quanto inevitabile, la versione tecnologica del There Is No Alternative. E così sono contento di essere diventato vecchio perché morirò prima di essere costretto a vivere in un mondo in cui, al condizionamento già presente da tempo, ma al quale sono riuscito (quasi) sempre a resistere, si aggiungerà anche il controllo, ancora più pervasivo.

L’anello di raccordo di questa, come di altre tecnologie hardware e software, è il protocollo IPv6 basato sull’uso di indirizzi IP a 128 bit. Un indirizzo IPv6 a 128 bit è anche chiamato UUID (Universal Unique IDentifier) oppure GUID (Global Unique IDentifier) una cosa che noi programmatori usiamo da tempo per generare chiavi indice uniche per la gestione dei database. Seguite questo link per un generatore online di guid.

In termini matematici le cose stanno diversamente, per cui ci sono ancora margini estremamente ampi di miglioramento come ci dimostra il birthday paradox di Richard Von Mises. In base alla teoria, per avere il 50% di probabilità di duplicazione è necessario che siano stati generati almeno il 23% di tutti i possibili Guid. Ora il 23% di tutti i possibili guid è 7,8*1037. Generandone 1 miliardo al secondo ci vorrebbero 3,15*2016 anni, che è un numero pari a 165 miliardi di volte l’età dell’universo. Insomma ci siamo capiti: ai fini più che pratici un Guid è unico. Ora, se considerate che la velocità delle comunicazioni digitali si sta avvicinando a 1 Gbis/s, in un solo secondo sarà possibile inviare, da ogni singolo dispositivo, quasi 8 milioni di Guid nelle fauci del mostro Big Data. Il che significa che, quando ogni vostra interazione con un dispositivo digitale risulterà associabile a un Guid, sarà possibile registrare ogni gesto che farete, ad esempio muovere indice e pollice in aria per alzare il volume della televisione. Ecco dunque che aumentare il volume della televisione per coprire gli strilli di vostra suocera mentre le tirate il collo costituirà una prova a vostro carico. Un motivo in più per non farlo.
Sarete completamente connessi e assolutamente soli.

Avete letto 1984 di Orwell?
Mappa del mondo proposta in 1984 di Orwell: si notino le disputed zones


Trama (da wikipedia): «Londra, 1984. Una guerra atomica, scoppiata pochi anni dopo la seconda guerra mondiale, ha diviso la Terra in tre potenze, in lotta fra loro e governate da regimi totalitari: Oceania, Eurasia ed Estasia. Nel superstato di Oceania, la società è controllata da un Partito che basa il suo potere sui principi del Socing, un socialismo estremo, il cui comandante supremo è il Grande Fratello, misterioso dittatore il cui viso compare ovunque nei teleschermi e nei manifesti di propaganda.»

Nel romanzo si parla di una “guerra atomica, scoppiata pochi anni dopo la seconda guerra mondiale” che voi credete non esserci stata. Vi sbagliate.

Si noti che i protagonisti del romanzo, Winston Smith impiegato del Partito Esterno che lavora presso gli uffici del Ministero della Verità, e Julia, vivono in Oceania, che comprende oltre all’Inghilterra tutta l’America, l’Australia e la nuova Zelanda, il sud Africa. Gli altri due imperi in lotta sono l’Eurasia (Europa e Russia) la cui forma di governo è il neobolscevismo, e l’Estasia (Cina, mezza India e frattaglie di estremo oriente) la cui forma di governo si ispira al colletivismo oligarchico.

Paradossalmente 1984 è conosciuto presso il grande pubblico come una critica al modello sovietico ma, come vedete, Oceania coincide con l’impero anglo-americano. Inoltre George Orwell era un socialista e, semmai, la critica al modello sovietico è presente nell’altro suo libro di grande successo, la fattoria degli animali.

In Oceania (wikipedia) «Il potere è nelle mani di un partito unico, detto semplicemente il Partito, a sua volta diviso in Partito Interno (che comprende leader e amministratori) e Partito Esterno (formato da burocrati, impiegati e funzionari subalterni). I suoi occhi sono i teleschermi, televisori forniti di telecamera, installati per legge in ogni abitazione dei membri del Socing, che i membri del Partito Esterno non possono spegnere, ma di cui al massimo possono attenuarne il volume dell’audio. Questi televisori-telecamere, presenti ovunque, oltre a diffondere propaganda 24 ore su 24, spiano la vita di qualunque membro del Socing, annullando di fatto ogni possibile forma di privacy: in questo modo, il governo può osservare facilmente qualsiasi forma di comportamento, anche inconsapevole, che riveli che un individuo abbia pensieri contrari all’ortodossia del Partito. Tale meccanismo di osservazione è portato avanti continuamente, e su ogni singolo membro del Partito.»

L’universo distopico descritto da Orwell è oggi sul punto di realizzarsi. La tecnologia necessaria, ben più sofisticata e pervasiva di quella descritta in 1984, è già disponibile, nella più totale inconsapevolezza della gran parte della popolazione, che anzi è portata a credere che certi allarmi siano i deliri di una minoranza di complottisti dediti alla produzione continua di fake-news.

In Italia i principali coriferi dell’innovazione tecnologica sono gli oscuri ispiratori della piattaforma Rousseau del M5S. Nel link segnalatomi dall’amico Francesco Mazzuoli potete leggere frasi come queste:

«La cittadinanza digitale è un nuovo tipo di cittadinanza. Non ha niente a che vedere con la cittadinanza com’è stata elaborata, pensata e vissuta all’interno della storia dell’Occidente.

la democrazia occidentale era basata su un’idea di comunità composta soltanto da umani. Dove gli umani scambiavano tra loro opinioni e diversi punti di vista e amministravano la cosa pubblica.

è necessario superare e ripensare anche l’idea di democrazia.

La democrazia non sarà più il potere del popolo. Ma sarà sempre più una forma di “cosmopolitica”…

Un’ecologia all’interno della quale tutti i membri devono entrare in accordo per poter creare delle forme di relazioni, dei modi di esistenza sostenibili e che riescano a creare delle forme di interazione intelligenti. Ossia adattative e capaci di perpetuarsi nel tempo.

Secondo la teoria di Gaia di James Lovelock la terra non è più un pianeta terracqueo, non abitiamo su una sfera che “vaga” nell’universo. Noi siamo parte di un organismo vivo composto da milioni di altri organismi vivi e come tutti gli altri organismi ha un livello di equilibrio. È necessario, quindi, ripensare anche a che cos’è l’umano e ripensare a che cos’è la natura e elaborare “un nuovo passato” viste le qualità delle trasformazioni che stiamo vivendo dovute all’avvento delle reti digitali e di una nuova cultura ecologica.»

Non so voi cosa ne pensiate, ma io trovo tutto ciò assolutamente inquietante, anche perché è a questa visione del mondo che si ispira il M5S, un partito che ha il 32% dei voti, che si è alleato con il nuovo partito della sempiterna cricca liberale italiana, e insieme e in combutta hanno ingannato l’elettorato inducendolo a credere di voler fare cose diverse da quelle che stanno realmente facendo. Per di più appropriandosi, in perfetta coerenza con le tecniche della neolingua, del termine sovranismo!

Addolora e sconcerta, infine, il dover constatare che alcuni ex compagni di strada, i Sollevatori, che pure avevano promosso pochi mesi fa un tentativo (fallito) di aggregazione politica in vista delle elezioni, denominato “Italia Ribelle e Sovrana – IReS“, tardino a prendere atto della realtà oggettiva.

Personalmente credo che la spiegazione sia, banalmente, che se è bene essere poco ottimisti in tempi ordinari, il pessimismo è d’obbligo quando arrivano tempi straordinari come quelli in cui siamo immersi. Coloro che si rifiutano di “unire i puntini” (cit.) e addirittura insistono nel considerare le dichiarazioni più esplicite degli attuali rappresentanti del polimorfico fronte liberale come sottili strategie basate sulla dissimulazione – ad esempio le ripetute esternazioni pro Unione Europea degli attuali governanti, oppure le dichiarate visioni distopiche dei misteriosi creatori del M5S – reiterano l’errore di immaginare che gli eventi in corso possano essere una ripetizione non troppo diversa di quanto accaduto in tempi abbastanza recenti. Bisogna invece essere capaci di distinguere le fasi stazionarie della Storia, durante le quali gli equilibri di fondo si conservano, da quelle in cui tutto inizia a muoversi a velocità sempre maggiore, cioè le fasi dinamiche.

Su una sola cosa i Sollevatori hanno invece ragione da vendere, allorché sostengono che il 4 marzo 2018 tutto è cambiato. Tuttavia non perché ci sia stata una battuta d’arresto nell’avanzata del polimorfico fronte liberale ma, al contrario, perché esso è riuscito a vincere una battaglia che sembrava persa, ed oggi dilaga indossando le divise e declamando le parole d’ordine dei pochi patrioti che hanno tentato, con le loro deboli forze, di contrastarlo. Per riuscire in questo capolavoro di strategia politica il polimorfico fronte liberale è ricorso a un sofisticato inganno comunicativo, con un’azione a sorpresa in due tempi. Dapprima ha usato il PD come testa d’ariete per un attacco ai diritti economici dei cittadini, poi, quando questo partito ha cominciato ad arretrare e il sentimento sovranista a dilagare, illudendo molti di avere la vittoria a portata di mano, ha sviluppato l’accerchiamento sulle ali. In ciò è stato fortemente aiutato dal fatto di essere riuscito ad arruolare nelle sue fila alcuni portabandiera dei sovranisti. Pochi si sono resi conto della trappola, mentre tutti gli altri hanno creduto che i vessilli che si scorgevano sulla destra e sulla sinistra fossero di forze amiche ma, ahimè, si trattava della Lega e del M5S!

Questa operazione politica è partita da molto lontano, quando pochi sapevano che ci sarebbe stata una drammatica crisi in Europa necessaria per sbriciolare gli Stati nazionali, ed è stata accompagnata da un’accorto e sagace lavoro culturale che ha preparato il terreno. Era infatti necessario costruire il clima culturale a livello popolare affinché le due colonne che avrebbero effettuato l’accerchiamento potessero rinforzarsi durante la loro avanzata per il tramite dell’arruolamento di due tipologie psicologiche di base, l’una tipica dell’homo destrorso l’altra dell’homo sinistrorso, sì da replicare la classica dicotomia destra-sinistra con cui le cricche liberali dividono il fronte del lavoro dal tempo del loro trionfo sull’ancien régime.

La chiave di volta è stato il politically correct il quale, introducendo un’asimmetria nell’equilibrio simbolico sessuale della popolazione, ha favorito la femminilizzazione di una parte del corpo sociale generando di conseguenza una più che scontata reazione. Grazie a questa asimmetria iniziale – anche l’universo è nato da una asimmetria, sostengono i fisici teorici – è stato fecondato l’humus sociale nel quale si è sviluppato dapprima il M5S e, successivamente e per reazione, la Lega di Salvini.

La lectio magistralis che il polimorfico fronte liberale ci ha impartito non dovrà essere dimenticata. Quello che ora ci aspetta è una lunga dittatura morbida del controllo basata sulle nuovissime tecnologie, come il 5G, ed è inutile sperare in scorciatoie per ribaltare l’esito della disastrosa sconfitta del fronte del lavoro.

Siamo stati sconfitti e dispersi, prova ne è che è diventato perfino difficile parlare tra di noi senza che ci si cominci a rinfacciare la responsabilità di quanto è avvenuto.

Ma nessuna sconfitta, come nessuna vittoria, è mai definitiva. Ci aspettano le catacombe e, di tanto in tanto, qualche persecuzione, quando l’impero liberale si sentirà in pericolo. Poi, verrà il giorno di un nuovo concilio di Nicea.

Sono veramente contento di essere vecchio: non vedrò, o vedrò solo una parte dell’inferno che attende l’umanità.

Fiorenzo Fraioli




AIUTARE JULIAN ASSANGE? PROVATECI…

SE NESSUNO HA IL CORAGGIO DI AIUTARE ASSANGE ALLORA I POTERI FORTI HANNO GIA' VINTO

Eravamo rimasti a un mio primo post del 27 dicembre. Poi tutto è cambiato… Ecco la storia completa. (Per chi non lo sa: Julian Assange è direttore della testata Wikileaks e gli USA da anni lo vogliono processare per aver pubblicato documenti segreti. Assange da 6 anni è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Equador per evitare l’estradizione in America).
Dopo 107 giorni, cioè da inizio ottobre, di avvisi mandati ai maggiori giornalisti, intellettuali, avvocati, associazioni che sostengono la figura di Julian Assange, dove gli chiedevo di aiutarmi a raggruppare il maggior numero di giornalisti, blogger e pubblico per due manifestazioni sotto l’ambasciata dell’Equador – per 11 giorni da Natale alla Befana – arrivo lì e la situazione è questa.
Non si presenta un’anima, ma peggio: nessuno dei sopraccitati giornalisti, intellettuali, avvocati, associazioni che sostengono la figura di Julian Assange mi ha mai risposto. Unica eccezione John Pilger, che mi risponde un paio di volte perché mi conosce da anni, ma poi sparisce, e addirittura nell’ultima risposta persino si dimentica che gli avevo mai scritto dell’iniziativa. Noam Chomsky, da me informato di questa situazione e della totale mancanza di sostegno dal cosiddetto clan pro Assange (gruppi e avvocati), mi scrive “Patetico. Spero che troverai sostegno là”.
Sotto il miserabile palazzetto dell’ambasciata dell’Equador, dove com’è noto Assange è forzatamente segregato da 6 anni, uno trova l’accampamento di un senza dimora con cartoni, sacchi neri di plastica, ma anche altarini con foto di Assange, cartelli scribacchiati a pennarello bagnati e sbavati, spazzatura, e indecifrabili riferimenti a un sindacato cattolico dei lavoratori. L’occupante è un australiano che si presenta a me e a mia moglie sporco, e francamente delirante. Vive lì per “vigilare su Assange”, dice, racconta di essere stato in strane galere in cella con 50 messicani, di aver sabotato dei bombardieri B52 americani con un amico, di aver frequentato l’IRA nell’Ulster, e ripete sta roba a catena. Poi mi avverte: “Attento, arriveranno donne qui, una è schizofrenica, l’altra è una megalomane in cerca di fama, una è una nazista…”. Mi guardo intorno, penso che ok, solo i ‘matti’ oggi fanno certe cose, in fondo un po’ ‘matto’ lo sono anche io (poi purtroppo il tizio si rivelerà ben altro). Comunque non c’è un cane e fa un freddo cane.
Online le cose stanno così. Un gruppo preminente di sostegno ad Assange, #Unity4J, stava ritwittando a mitraglia l’annuncio delle mie manifestazioni sollecitando altri giornalisti ad aderire. I like e retweet che mi giungono sono in effetti molti per la miserrima media che qualsiasi pagina pro Assange ottiene. Le mie iniziative erano quindi due: manifestare sotto l’ambasciata coi cartelli qui sotto che dicono IL MIO LAVORO E’ PRIGIONIERO QUI, LIBERATE ASSANGE, LIBERATE IL MIO LAVORO, e una vigilia nella notte di Capodanno col cartello TI AUGURIAMO UN ANNO DA LIBERATO, JULIAN, 2019, sempre nella speranza di essere raggiunto da colleghi e pubblico. Ma già dal primo giorno diviene chiaro che fra Social e realtà passa un oceano. Tutti cliccano, ma metterci le gambe e la faccia… no.
Sono convinto che tentare d’incriminare un direttore di testata, Julian Assange e Wikileaks, per aver rivelato al mondo documenti riservati o dei servizi segreti su alcune nefandezze e crimini contro l’umanità di vari Poteri attraverso l’uso delle ‘soffiate’ (i whistleblowers), per poi punirlo con pene devastanti, può essere la fine del giornalismo. Infatti nessun whistleblower mai più avrà il coraggio di farsi avanti per svelare le porcherie segrete dei governi o delle Corporations, e senza di loro il giornalista diviene al meglio un testimone di fatti, ma mai sarà in grado di rivelare la VERE e PROFONDE fonti degli eventi. La verità sul motivo per cui oggi praticamente tutti i governi del mondo appoggiano l’estradizione di Assange negli USA – dopo le rivelazioni di Wikileaks sulle porcherie elettorali della Clinton, sulle stragi americane in Iraq e Afghanistan o sulle reti di spionaggio della CIA su civili e aziende – non è assolutamente quella che vi raccontano: cioè che Wikileaks ha irresponsabilmente pubblicato segreti di stato e di fatto aiutato la Trump o l’ISIS ecc. No, il motivo è questo:
Il Potere rimane forte quando rimane nell’oscurità. Una volta esposto alla luce del sole esso comincia a evaporare”.
Questa frase fu scritta dal maggior politologo americano moderno nel 1983, Samuel P. Huntington, nel libro ‘American Politics. The promise of disharmony’. E’ questo il peccato mortale per cui oggi stanno distruggendo Julian Assange. E’ solo per questo. Wikileaks, nell’imperfezioni di cui certo è responsabile, è l’unica pubblicazione al mondo che davvero ha devastato questo principio di dominio dei Poteri pubblicandone alla luce del sole le azioni più inconfessabili. E lo ha fatto grazie ai whistleblowers, e solo grazie a loro. Quindi ripeto ancora: se Assange sarà estradato negli USA – il Paese che nel nome della Sicurezza Nazionale (sotto cui sarebbe processato Assange) tortura, stermina innocenti coi Drones, nega ogni diritto di legge ai detenuti, e straccia ogni singola Convenzione ONU sui Diritti Umani – se sarà estradato, dicevo, questo direttore di testata sarà macellato come nessun giornalista prima, secondo l’infame principio del “ne ammazzi uno per avvisarne cento”. Impossibile che riceva un giusto processo in America oggi.
Quindi io, giornalista, decido di agire di persona. Basta con lo scribacchiare come fanno tutti. Ma cosa succede? Come già detto, primo, nessuno nel cosiddetto clan dei Gran Difensori di Assange muove un dito per aiutarmi, quando ogni santo giorno sui loro blog o Social blaterano di “mobilitare la solidarietà civile per Julian…”. Secondo, sotto l’ambasciata giorno dopo giorno rimane un deserto, e, lo dico francamente, le pochissime persone che si presentano sono dei casi sociali o psichiatrici. Un polacco che crede a ogni singola teoria del complotto sul Pianeta; una tedesca che si auto definisce bipolare e tiene il figlioletto in auto a dormire; un’inglese semianalfabeta di mezza età che fuma e non parla; un disoccupato che poi non si vedrà più; e il senza dimora australiano in pianta stabile che racconta cose da pazzi. Io posto ciò che posso su Twitter, chiedo sempre ai Gran Difensori di Assange almeno di ritwittare che c’è questa manifestazione, ma loro nulla.
La notte di Capodanno, e primo dell’anno, sarà lo spettacolo più triste, deprimente che io ricordi nel mio attivismo in 35 anni. Arrivo alle 21:45 col mio cartello e bottiglia di spumante. Naturalmente in una città di 11 milioni di persone nessuno si presenta, poi andrà anche peggio. Unica cosa positiva è che sui gradini dell’ambasciata incontro un’americana, tale Angel Fox (pseudonimo) che era venuta dagli USA prima di Natale per fare le notti davanti all’ambasciata, sveglia, sola, unico essere umano del pianeta disponibile a essere lì nelle feste natalizie per eventualmente testimoniare un blitz di arresto notturno di Assange. Occorre una spiegazione.
E’ infatti noto che da poche settimane si è venuto a sapere che ora esiste ufficialmente in America un’imputazione (cosiddetta segreta), cioè un capo d’accusa, contro Assange, cosa che prima mai era stata rivelata ma che tutti temevano. Ciò significa che ora la Gran Bretagna è sotto un’enorme pressione per estradarlo e questo può accadere se lui esce dall’Ambasciata o addirittura prelevandolo di forza da essa. Il timore dell’esistenza di questa imputazione tenuta nascosta è stato precisamente il motivo per cui Julian Assange da 6 anni è costretto a vivere segregato nell’unica ambasciata che gli ha dato asilo. Le festività natalizie, quando l’intero mondo occidentale è distratto e Assange si trova solo dentro l’ambasciata con un unico agente di sicurezza, possono essere il momento ideale per mandare le teste di cuoio inglesi nel pieno della notte ed “estrarlo”. Angel era lì per quello.
E siamo appunto a Capodanno. Buio, silenzio, il semi deserto. Io e quei 4 gatti di cui sopra. Per fortuna si aggiunge un italiano (sano di mente) mio lettore con fidanzatina koreana, in totale 11 umani (sic). Spiamo l’unica finestra illuminata, da cui l’agente di sicurezza ci fotografa di continuo. In questa foto ne scorgete un braccio.
Ad Assange, dicono, è stato persino proibito di affacciarsi alla finestra. Dovete sapere che il nuovo governo dell’Equador è oggi totalmente pro-USA, mentre fu il vecchio governo di Rafael Correa a dare ospitalità ad Assange. Il neo eletto presidente Lenìn Moreno ha definito il direttore di Wikileaks “un sasso che mi sono ritrovato nella scarpa” e gli è totalmente ostile. Gli sta rendendo la vita, nei pochi metri quadri in cui è ospitato, un vero inferno di proibizioni e limiti. Lo stanno demolendo nella psiche e nel corpo per costringerlo ad arrendersi e a uscire. L’autorevole British Medical Journal ha mandato uno specialista a visitarlo e ha denunciato le sue condizioni di salute dopo 6 anni di prigionia come drammatiche. Noi, sotto quella finestra gli urliamo che non è solo, ma dentro di me mi sento sprofondare. Lo è, assolutamente lo è.
Nel mondo ormai psicotizzato e delirante dei Social Media, Julian Assange sembra affollato da 200 milioni di persone che si stracciano le mutande per lui. Le superStar del giornalismo ‘alternativo’ sono totalmente convinti che pubblicando la strasuper inchiesta N. 309.761 su Assange lo stanno salvando. Ma nel mondo reale, e al grande pubblico, di Assange non frega un cazzo, né sanno neppure chi è: siamo in 11 sotto quella finestra per tutte le feste e nel momento più pericoloso per lui. Non lo si dimentichi: ho implorato tutti sti VIP giornalisti e intellettuali e avvocati per tre mesi di aiutare almeno con un click a far sì che Assange non fosse solo a Natale e Capodanno radunando giornalisti o persone, e loro non hanno fatto nulla, mai risposto, mai degnati… neppure quel singolo click. E siccome scrivo agli italiani, includo qui la dipendente della ‘libera informazione’ di De Benedetti, l’eroina assangiana Stefania Maurizi, mai pervenuta dopo le mie mail (e sa benissimo chi sono). Gente che sgomita però sui Social per un boccone di fama, sulla schiena di Julian Assange, quelli che “leggete il MIO scoop!”.*
(* Nota. Lo scrivo in grassetto perché sia chiaro: Pilger o Hedges o Curtis e gli altri big che sto criticando hanno fatto cose eccellenti nel giornalismo, battaglie d’importanza mondiale, ma se non hanno l’umiltà di aiutare anche solo con un click i “little people” che poi agiscono, cioè quello 0,1% della popolazione che NON se ne sbatte, allora tutto ciò che hanno fatto non vale niente. Il più grande umanitarista vivente, e fra i più grandi della Storia umana, Noam Chomsky trova SEMPRE il tempo per aiutare i “little people” che lottano, e uno come lui riceve 300 volte le richieste di un Pilger e 3.000 volte quelle di una Maurizi.)
E dunque, dopo la mezzanotte del 31 io decido di denunciare questo triste schifo su Twitter. Rispondo così a un lettore che si dice “disgustato dall’indifferenza dei tanti”:
Disgustato? Per prima cosa interessati della totale assenza di sostegno per noi sotto sta finestra da parte dei sostenitori da ‘Golden Globe’ di Julian, come Chris Hedges, John Pilger, The CanaryUK, o Stefania Maurizi”… e aggiungo “Le Star non salveranno mai Assange. Conta la gente, e se queste superstar ci avessero mai aiutato a essere in 2000 qua sotto stanotte, Assange sarebbe più al sicuro. Pilger, la Maurizi, Hedges o Curtis dovrebbero chiedersi perché qui non c’è un cane”.
Regola N. 1 delle sette dei fanatici, adulatori, e dei loro Probiviri: MAI, MAI E POI MAI ESPORRE UN PENSIERO CRITICO. MAI, MAI E POI MAI FARGLI VEDERE CHE LORO SONO, IN FONDO, TANTO FATUI, TANTO IPOCRITI QUANTO QUELLI CHE ACCUSANO. E siccome era ovvio, così come è in Italia coi 5Stelle o con la Lega, che nei movimenti non può esistere neppure una molecola di libera dialettica, quel tweet è la mia fine. Vengo bloccato a raffica, insultato e accusato di ogni cagata esistente nel cervello di sti fanatici clicktivisti. Poi, alle 3 di mattina, il senza dimora australiano impazzisce, si avventa su due donne presenti – la tedesca e Angel Fox – gli strappa i telefoni e corre nel buio ragliando che sono spie naziste che lo stanno filmando. Le due donne sono nel panico, gridano aiuto, io rincorro e blocco quel pazzo, gli impedisco di far peggio e lo costringo a restituire i telefoni. Dentro di me sto morendo.
Quattro gatti, di cui il 90% da TSO, sotto quella finestra, e dentro Assange che sente sta roba. Me ne vado e non ci tornerò mai più.
Ma non mollo per Assange. Ristampo un altro cartello di corsa, questo:
Spiegazione. Il prestigiosissimo inglese The Guardian è il quotidiano che sotto la direzione di Alan Rusbridger lanciò gli scoop di Wikileaks nel mondo, vendendo oceani di copie e sventolando Assange come un eroe del giornalismo. Poi accade qualcosa d’incredibile. Il quotidiano dal 2013 adotta un altro whistleblower di fama mondiale, Edward Snowden, e inizia mollare Assange. Non solo. Un editorialista del The Guardian, Luke Harding, colui che si era lanciato in una crociata per dimostrare la collusione di Putin con Trump nelle presidenziali 2016 ma che era già stato screditato per non aver prodotto praticamente una singola prova ma solo illazioni, pubblica ora uno ‘scoop’ proprio sul The Guardian: Paul Manafort, il gran manager elettorale di Trump, avrebbe visitato Assange all’ambasciata diverse volte, e questo proverebbe che in realtà Wikileaks ha davvero subdolamente pubblicato le nefandezze della Clinton per aiutare Donald, sotto ordini di Mosca. La stampa mondiale riprende il cosiddetto scoop di Harding, e questo sembra essere il colpo di grazia per Julian. Ma in meno di 48 ore il tutto cade a pezzi. In una settimana Harding viene demolito, al punto che il Washington Post scrive che il suo scoop sembra sempre più “una bufala”. Decido, la mattina del 1 gennaio, che è ora che un giornalista professionista si presenti sotto la sede del The Guardian a fare una domanda, infatti il mio cartello (foto sopra) dice: SONO UN GIORNALISTA. ASSANGE ERA L’EROE DEL GUARDIAN. ORA LO HANNO DEGRADATO A FALSARIO. CHIEDO: PERCHE’?
Il primo giorno, sempre in un freddo orribile, ben piazzato a 3 metri dall’entrata del giornale creo quasi ingorghi, con reporter, segretarie e tecnici che rallentano per leggere il mio cartello. Il secondo giorno le cose si mettono male. La security diviene ostile (“abbiamo ordini”), i colleghi che entrano ed escono evitano il contatto visivo, vengo fotografato da una guardia “sotto richiesta della direzione”. Ma, lo stesso, alcuni redattori si fermano e mi parlano. Sì, dicono, c’è un ordine di squadra di mollare e screditare Assange; è una questione decisa dal gruppo editoriale, al top; si parla di pressioni insostenibili da parte del Ministero degli Esteri britannico e degli USA; c’è addirittura shock fra i giornalisti del Guardian per questa decisione. Questo mi dicono. Uno di loro, Damien Gayle, addirittura mi ritwitta, e giorni dopo mi confesserà: “Sono stato in ansia a twittarti, ma dovevo farlo perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino…”.
Un mio breve video su quanto sopra, cioè sull’attacco improvviso del The Guardian contro Julian Assange, fa 70.000 visualizzazioni in poche ore, persino l’ex direttore Alan Rusbridger mi risponde a quel punto, ma siamo sempre daccapo: attivismo di tastiera, conta quasi zero. Uniche sorprese magnifiche: due italiani miei lettori si presentano a darmi manforte, e altri due, famiglia Remigi, addirittura comprano un volo dall’Italia per stare 24 ore a Londra e manifestare al The Guardian dopo aver scorto le mie foto da qualche parte. Eccezionali. Ma nel frattempo la setta ‘assangica’ offre il peggio di sé.
John Pilger, che, sottolineo ancora, si è rifiutato di avvisare un singolo collega della mia iniziativa per giornalisti pro-Assange, si para sotto le luci della ribalta su Pacifica Radio in California e dice solenne e con contrizione “Ho passato 3 ore la notte di Capodanno con Assange dentro l’ambasciata… una cosa terribile” bla bla bla… Cosaaa? Nessuno, non un’anima, lo ha visto dalle 4 del pomeriggio alle 3 di notte, e dovete sapere che lo spazio antistante dove tutti stavamo è più piccolo di un salotto. Non poteva passare inosservato, sarebbe stato per noi come non accorgersi che un dinosauro ti esce dall’armadio mentre rifai il letto. Registro un video dove gli chiedo spiegazioni, si tratta di una cosa serissima, la spieghi, no? No, e mi arriva l’ennesima caterva d’insulti dalla setta. Poi su Twitter salta fuori la disgustosa aggressione del senza dimora australiano alle due donne sotto la finestra di Assange la notte del 31. Scrivo la verità, ma le Baccanti assangiane si scagliano per mettere tutto a tacere (nell’era del #Metoo!!), mi accusano di essere un disturbatore e, nonostante Angel Fox, una delle vittime, scriva che tutto è vero, non si placano. Ci sarebbe tanto altro su sto baraccone di eroi di tastiera, ma non ne ho più neppure voglia.
Aggiungo anche che avevo suggerito a tutto l’apparato, VIP e sostenitori, di perseguire legalmente e come divulgazione al pubblico due strade pro Assange per me di enorme peso: la violazione da parte della Gran Bretagna nel caso della reclusione di Julian Assange dei princìpi della Magna Carta e Habeas Corpus, i due pilastri della giurisprudenza mondiale nati 800 anni fa proprio in Inghilterra; e la possibilità di accusare Londra di tortura di Assange sotto la Convenzione dell’ONU Contro la Tortura, ratificata dagli inglesi nel 1987 e che esplicitamente dice che tortura è “estrema sofferenza, sia fisica che mentale, inflitta di proposito a un individuo”, che è ciò che i governi britannici stanno facendo ad Assange da 6 anni, confinato in semi isolamento, privato di cure mediche, senza luce naturale e sorvegliato con ferocia a ogni mossa. Indovinate: qualcuno degli strillanti e delle prefiche, o qualcuno dei VIP ha anche solo commentato? Ma dai… con la Magna Carta non ci fai adrenalina, eh? né visualizzazioni, né audience Tv, né Facebook likes.
Così è andata. Paolo Barnard decide di agire, AGIRE NON FARE CLICK, per Assange. Se ne torna a casa con la conferma di ciò che ha sempre pensato: ha vinto la Commissione Trilaterale, quando nel 1975 decise che il popolo andava reso “apatico” con l’esplosione dei mass media (oggi i Social), dove infuriano epiche leggende mentre nessuno davvero fa un cazzo nelle strade perché è fatica e rischio, dove si creano i miti VIP per il palcoscenico, e dove i veri eroi rimangono soli come cani. Ah, fra l’altro uno dei suggeritori della Trilaterale fu proprio Samuel P. Huntington. 
Paolo Barnard

Mario Monti e la dettatura delle manovre economiche





Monti dice che per la prima volta la manovra è stata scritta sotto dettatura di Bruxelles. Detto da lui, che ha scritto le sue manovre sotto dettatura di J P. Morgan, FMI, Commissione, BCE e Berlino...

Mario Monti

di Marco Lang.


A parte ogni considerazione sulla manovra, affermare che per la prima volta è stata scritta sotto dettatura di Bruxelles, è vomitevole. Detto da Monti, che ha scritto le sue - di manovre - sotto dettatura di J P. Morgan, del FMI, della Commissione, della BCE e di Berlino.

Anzi, a dire il vero, Monti non ebbe neanche bisogno di farsele dettare, essendo a pieno titolo parte della élite tecnocratica che "ci governa" da Bruxelles e da Francoforte.

Monti ha rappresentato la prima volta, in Italia, della élite al potere senza la mediazione della rappresentanza politica, direttamente a dirigere il governo del Paese. Un Paese che Monti ha lasciato in ginocchio, tra aumento del debito, ulteriori svendite del patrimonio pubblico, attacco ai diritti sociali, a partire dalla Legge Fornero.Sottigliezze. Ma più ancora della sciocchezza della "prima manovra scritta sotto dettatura" - come se i suoi successori alla guida del Governo fossero stati insensibili ai diktat della Commissione (per memoria: Gentiloni aveva previsto un rapporto deficit/PIL allo 0.8 nel 2019, a 0 nel 2020 e in avanzo dello 0.2 nel 2021, ovviamente tagliando ulteriormente la spesa pubblica), sono ancora più ripugnanti altre due affermazioni di Monti. La prima:«Nella politica c’è una divaricazione sempre più ampia tra le capacità necessarie per essere eletti e quelle necessarie per governare bene — spiega l’ex premier —. Ma queste attitudini dovrebbero trovare una composizione». E poi: «ma la cosa piu’ importante che è avvenuta è il riconoscimento dell’Ue, il riconoscimento politico e diplomatico delle istituzioni europee». Si afferma, dapprima, che il "saper governare bene" è patrimonio esclusivo delle élites, le uniche in grado di governare, non di chi ottiene - incidentalmente, secondo Monti - il consenso degli elettori. E poi, Monti stesso ribadisce che la governance dell'UE è inattaccabile. In tale contesto, ovviamente, il suo richiamo alle prerogative del Parlamento è francamente penoso. Ma i concetti espressi restano intatti, in tutta la loro volontà potenza e di dominio: "questa" Europa è inattaccabile e irriformabile; chi pensa di condurre una battaglia per cambiarne le politiche è un illuso inconsapevole di come tali politiche siano le uniche coerenti con questa Unione e con l'eurozona: dominio del mercantilismo tedesco, svalutazione progressiva del lavoro, attacco senza sosta ai diritti sociali ed al welfare residuo, lascito del trentennio glorioso.
In più, la sottolineatura che la governance dell'Europa, il governo nelle mani delle oligarchie, è una realtà che dovrà estendersi, presto o tardi, in tutti gli Stati dell' Unione, al fine di evitare gli incidenti di percorso elettorali.
Nelle sue parole l'attacco alla sovranità popolare e democratica è chiarissimo. A sinistra pochi lo capiranno.

Nuovo sgarro all’Italia: Parigi e Berlino bocciano Fincantieri





La Commissione Europea ha accolto la domanda presentata da Francia e Germania, che la invitavano a esaminare – alla luce del regolamento sulle concentrazioni – la proposta di acquisizione di Chantiers de l’Atlantique da parte di Fincantieri. In particolare, scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”, la Germania si è associata alla richiesta di rinvio trasmessa dalla Francia. E questo, nonostante il progetto di acquisizione non raggiunga le soglie di fatturato previste dal regolamento Ue che norma le concentrazioni industriali, per le operazioni che devono essere notificate alla Commissione a causa della loro dimensione europea. La questione è chiara e, secondo Annoni, si può riassumere in questi termini: l’acquisizione strategica di un’azienda francese da parte di una italiana – Fincantieri – verrà con ogni probabilità bloccata, dopo due anni di affannosi tentativi, perché non c’è più il necessario “supporto politico”. In pratica, la Francia (che aveva dimostrato fin da subito un enorme fastidio per l’operazione, già con Renzi primo ministro) ha ora deciso di volerla “smontare”, come probabilmente accadrà.
Di certo, rileva Annoni, l’Italia ha consegnato negli anni alla Francia asset e imprese di grandissimo valore economico e strategico. Una delle ultime (particolarmente fastidiose per il sistema) è stato il risparmio gestito di Unicredit, Pioneer, destinato ad alimentare il campione nazionale francese Amundi. Per Annoni, è l’ennesima espressione di “cupio dissolvi” del nostro sistema-paese. «In tutti questi casi si è usato come “scusa” o l’Europa o il mercato, con una dimostrazione di ipocrisia o dabbenaggine incredibili, perché la Francia presidia i propri campioni con gelosia e in barba a qualsiasi afflato europeo o di mercato». Esempi infiniti: dal settore auto al nucleare, con gli italiani di Enel sbattuti fuori dalla grande partita dell’energia. Nel caso delle trattative per i cantieri navali, oggi l’Eliseo approfitta delle pessime relazioni col governo italiano per mandare a monte l’accordo. «Teniamo presente che noi facevamo affari con un paese che bombardava la Libia, i nostri “impianti” e gli interessi nazionali – scrive Annoni – mentre Dio solo sa cosa vedono e cosa lasciano passare, i militari francesi, dei migranti e dei flussi migratori che arrivano in Italia».

Infatti, nonostante gli accordi, «i nostri soldati l’Africa subsahariana non l’hanno potuta vedere neanche con il binocolo». Ma a pesare è anche «il rapporto malato che abbiamo noi italiani con l’Europa», nel senso che «la narrazione sull’Europa che si sente in Italia non ha paragoni al di là delle Alpi». Per tutti gli altri, sottolinea Annoni, l’Ue resta uno strumento che «coincide più o meno chiaramente con i propri interessi o con un ben definito blocco di potere». Noi invece «diciamo Europa, ma in realtà dovremmo dire asse franco-tedesco», con tutte le conseguenze che questa equazione ha sui rapporti tra istituzioni europee. È curioso, aggiunge Annoni, che proprio ora Francia e Germania abbiano annunciato un nuovo incontro per rafforzare la loro alleanza economica. «Non è un caso del destino cinico e baro che più della metà delle banche tedesche non applichi gli stessi standard contabili di quelle italiane. È il frutto di una difesa accorta e persistente dei propri punti deboli».
Naturalmente, prosegue l’analista, adesso «qualcuno avrà il coraggio di dirci che il “deal” salta perché in Italia ci sono i populisti, oppure per le dichiarazioni di Di Maio sui Gilet Gialli», quando invece «è chiaro anche ai ciechi che la Francia era due anni che provava a far saltare l’operazione», non gradendo l’ingresso di Fincantieri. «Ma l’aspetto più grottesco è un altro», aggiunge Annoni: «Negli imprevedibili sviluppi della politica, che a volte sfuggono di mano anche ai “grandi fratelli” e alle élites più élite che ci sono, nessuno ci assicura che i populisti francesi o tedeschi di domani saranno migliori di quelli italiani di oggi». Sperarlo, secondo Annoni, è indice di provincialismo italico. «L’unica cosa certa è che i nostri populisti li possiamo eventualmente spegnere noi alle elezioni, mentre quelli francesi o tedeschi no». E in attesa di un’unione politica europea (di cui nessuno sa quando e come potrebbe nascere, «visto che il blocco di potere che dà le carte e ricatta tutti non ha alcun interesse a promuoverla»), l’unica certezza è che gli altri faranno solo i loro interessi. La vera questione, conclude Annoni, è come l’Italia «riesca a uscire dal buco in cui si è infilata e dallo stato di subordinazione e ricatto in cui nei fatti si ritrova».

L’austerity, con la sua applicazione arbitraria, è solo un sinonimo di questo stato “coloniale”, mentre «neanche il migliore governo che possiate immaginare può fare molto, rispetto a uno stato di cose che, senza modifiche, è un circolo vizioso». Certo, ammette Annoni, uscirne ha un costo enorme: ma rimanerci? «È un dibattito che noi non possiamo fare, se no lo spread sale, mentre in Germaniadiventa dibattito tra economisti». I tedeschi sanno che, in questi anni, l’euro è costato carissimo all’Italia. Che fare, adesso? «Bella domanda. Però bisognerebbe porsela e avere bene in testa le alternative, senza edulcorazioni europeiste o sovraniste che siano». Di certo, chiosa Annoni, è davvero surreale farsi “fregare” così incredibilmente dai cugini d’oltralpe, sull’affare-cantieri, proprio mentre «ci rimandano indietro i migranti con le scarpe tagliate, tra il tripudio della grande stampa italiana per le fusioni “europee”».

L’AMBASCIATA NIGERIANA A ROMA VENDE IDENTITÀ FALSE? – VIDEO

L’ambasciata Nigeriana in Italia rilascerebbe documenti senza verificare l’identità dei richiedenti. Rai 2 ha deciso di indagare.

Sul sito della ambasciata Nigeriana c’è scritto:

-Per ottenere un certificato di nazionalità sono sufficienti:

Una lettera di una ONG o delle autorità locali o qualsiasi altro documento che identifichi il richiedente come nigeriano insieme ad una fotografia.

Costo 50 euro.Tempo di consegna 24 ore. Ecco che hai una nuova identità.


Tav, Salvini: “In caso di valutazione negativa sì a referendum”. Di Maio: “Contrari all’opera”

LA DECISIONE SULLE GRANDI OPERE DEVE RIGUARDARE SEMPRE E SOLO I CITTADINI CHE DEVONO POTERSI ESPRIMERE ATTRAVERSO UN REFERENDUM. SULL'INUTILITA' DELLA TAV L'ITALIA E' ABBASTANZA CONCORDE. SULLA TAP PER IL GASDOTTO, ANDREBBERO STUDIATE ALTRE SOLUZIONI CHE NON DETURPINO L'AMBIENTE NATURALE CHE VA PRESERVATO SEMPRE E COMUNQUE. ABBIAMO DIVERSE EMERGENZE DA FRONTEGGIARE SENZA DOVER SPENDERE ALTRI SOLDI INUTILMENTE!!




Roma, 10 gen – Il governo gialloverde resta diviso sulla realizzazione della Tav, l’alta velocità Torino-Lione. Occasione per un nuovo scontro tra i due vicepremier è la relazione tecnica sul rapporto costi-benefici dell’opera, relazione consegnata ieri e che secondo alcune fonti esprimerebbe un parere negativo.


“La Tav? Spero non ci sia lo stop dell’opera. Io non ho ancora letto una riga di questa analisi. Tifo sempre per un paese che va avanti”, dice il leader della Lega Matteo Salvinial Giornale radio Rai su Radio 1.
“Io commento quello che ho visto e letto, in questi mesi ho letto cose mai viste. Io su Tav dico di andare avanti, non mi fido di indiscrezioni giornalistiche. Tuttavia se italiani e torinesi chiedessero un referendum sulla Tav nessuno potrebbe fermare questa richiesta“, spiega ancora il vicepremier e ministro dell’Interno a RTL 102.5. E ribadisce: “Io sono a favore della realizzazione di Tap e Tav, stiamo facendo la Pedemontana, gli studi sul Terzo valico sono a buon punto, la quarta corsia dell’autostrada del Brennero, abbiamo sbloccato tanti miliardi per le amministrazioni locali perché i sindaci possono realizzare biblioteche comunali, parchi pubblici, e altre strutture”.

Di parere opposto l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, da sempre contrario alla Tav e che in merito alla relazione, intervenuto a Radio Anch’io, dice: “Non l’ho letta, è uno studio preliminare”.
“Aspettiamo il dato ufficiale i tecnici dovranno parlare e dire se quell’opera è un buon investimento. Poi la posizione del Movimento la conoscete da sempre: è contro quell’opera, quei soldi andrebbero utilizzati per migliorare le metropolitane e gli autobus nelle città”, ribadisce il capo politico del M5S.

L’ennesimo scontro in seno alla maggioranza rivela quanto le posizioni assunte da Salvini e Di Maio siano soprattutto in funzione dell’orientamento del proprio elettorato. Il leader della Lega non vuole perdere consensi tra gli industriali; il capo politico dei 5 Stelle cerca di tenere buona la base grillina No Tav.
Insomma, la campagna elettorale per le Europee è bella che cominciata.

Adolfo Spezzaferro

Devo combattere Macron mentre guida le forze pro-immigrazione dell'UE - il primo ministro ungherese Orban

ORBAN DECISO A CONTRASTARE L'ASSE FRANCO-TEDESCO SULL'IMMIGRAZIONE
Devo combattere Macron mentre guida le forze pro-immigrazione dell'UE - il primo ministro ungherese Orban
Il primo ministro ungherese della destra, Viktor Orban, ha dichiarato che deve opporsi al leader francese Emmanuel Macron, definendolo un giocatore chiave nell'agenda pro-immigrati dell'UE. Il futuro di entrambe le nazioni è in gioco, ha aggiunto.
Rispondendo a una domanda di Le Monde in occasione di un evento stampa a Budapest, giovedì, il premier ungherese ha dichiarato di avere "buoni rapporti" con Macron, ma quando si tratta di opinioni sulla migrazione, i due sono acerrimi rivali.

"Non è niente di personale, ma una questione di futuro dei nostri paesi", ha osservato Orban.

Se ciò che vuole per quanto riguarda la migrazione si materializza in Europa, sarebbe un male per l'Ungheria, quindi devo combatterlo.

Emmanuel Macron è "il leader delle forze pro-immigrazione" nell'UE, ha spiegato il primo ministro.

Nella stessa conferenza stampa, Orban ha fatto esplodere i media tedeschi per aver fatto pressione su Budapest sull'adozione di una politica di "porte aperte" per quanto riguarda i migranti.

"Non vedo alcun compromesso possibile", ha detto ai giornalisti, aggiungendo che la politica tedesca "non rispetta" la decisione degli ungheresi di non diventare una "nazione di immigrati".

Viktor Orban ha cambiato tono quando ha parlato del premier italiano Matteo Salvini, che ha definito un "eroe" per la chiusura di porti su navi piene di migranti africani. Ha espresso grandi speranze per la recente idea dell'Italia di unire gli sforzi con il governo di destra della Polonia per lottare per "la rinascita dei valori europei".

Sia Salvini che Orban hanno criticato a voce i modelli di migrazione proposti da Bruxelles e hanno difeso con forza la loro scelta di proteggere le loro nazioni dall'afflusso di migranti, provenienti principalmente dall'Africa sub-sahariana e dal Medio Oriente.


Nave migrante con destinazione Italia, agosto 2017. © Angelos Tzortzinis / AFP

Le loro opinioni si sono spesso scontrate con la visione di solidarietà del presidente francese Emmanuel Macron. Aveva accusato i politici di Roma e Budapest di "egoismo nazionale" e la mancanza di desiderio di aiutare gli altri stati membri a far fronte alla crisi migratoria. I piani dei leader ribelli di respingere i migranti rivelano il loro "approccio cinico" al problema, ha sostenuto il presidente.


Orban ha reagito, dicendo che Macron non rispetta gli interessi ungheresi e preferisce invece "dare un calcio ai paesi dell'Europa centrale". Salvini, a sua volta, ha accusato il presidente francese di arroganza "insultando" il popolo italiano.