lunedì 29 ottobre 2018

Black Axe, l’orrore che ignoriamo

Un fenomeno preoccupante e largamente diffuso sul territorio italiano, anche se ampiamente sottovalutato è quello della mafia nigeriana. L’episodio di Roma San Lorenzo, del truce omicidio della povera Desirée, come quello precedente di Pamela a Macerata, violentata, uccisa e fatta a pezzi dai nigeriani, sembrano confermare l’allarme. Del resto il presunto quarto assassino della ragazza di Roma, Salia Yusif, in fuga dalla polizia, aveva lasciato Roma per tornare a Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove aveva già soggiornato fino al 2014 presso il C.A.R.A. Si era anche tagliato i capelli per non farsi riconoscere e viveva nella baraccopoli adiacente, ove è sorto  un insediamento di immigrati che non hanno più titolo ad essere ospitati all’interno della struttura, e dove la mafia nigeriana ha creato dei potenti feudi di controllo sull’intera area.
Li chiamano «cult», dominano il racket da Torino a Palermo, tengono legami anche con i clan di Ballarò. «Ho fatto tre informative a tre procure diverse, Roma, Bologna e Palermo, interessate al fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia e tutta Europa», ha detto alla Commissione parlamentare sulle periferie il commissario della municipale Fabrizio Lotito. Gerarchia mafiosa, riti d’iniziazione, cosche: «Torino è la città con il maggior numero di immigrati nigeriani, a ruota segue l’Emilia Romagna. Le nostre indagini su questo fenomeno mafioso vedono come attori principali i ‘cult’, nati nelle università nigeriane degli anni Settanta, poi evolutisi fuori e giunti anche in Italia».
Probabilmente anche l’agguato dello scorso settembre ai giardini Alimonda di Torino contro due poliziotti antidroga circondati e pestati da una trentina di spacciatori africani, dimostra la violenza del fenomeno. La mafia nigeriana comanda ormai in molte periferie italiane, anche in quel corso Giulio Cesare così multietnico che gli ultimi bottegai locali espongono in vetrina il cartello «negozio italiano».


Black Axe, Maphite, Supreme Eiye Confraternity, Ayee sono nomi di «cult» che riempiono ormai da anni le cronache giudiziarie, molto bene lo sanno gli inquirenti e gli abitanti delle zone più interessate, il fenomeno però è meno conosciuto per l’opinione pubblica. Le prime vittime dei «don» (i capi) sono ragazze nigeriane vendute come schiave e giovani nigeriani (baseball cap) ridotti a elemosinare davanti ai bar delle grandi città per ripagare debiti di famiglia contratti in Nigeria.
Il traffico di giovani nigeriane verso l’Europa, che diventano schiave del racket e di riti vudù,  è in continua ascesa. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), in Italia nel 2014 sono arrivate dalla Nigeria, via mare, 1.450 donne, 5.600 nel 2015, oltre 11.000 nel 2016, in buona parte minorenni. Il 2017 sembra confermare il trend, con 4.000 ragazze sbarcate nei primi sei mesi dell’anno. Le stime di OIM dicono che l’80% delle giovani in arrivo dal Paese africano è destinato alla prostituzione. Le nigeriane sono diventate una fetta consistente del mercato italiano che vale 4 miliardi di euro all’anno: il 55% delle prostitute in Italia sono straniere e il 36% di loro è di nazionalità nigeriana (Istat). L’85% delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città: Benin City, l’hub africano della prostituzione.  
Il traffico degli esseri umani è una delle sue più importanti fonti di sostentamento, con introiti che non sfamano diversi strati della popolazione, comprese le famiglie delle vittime. «Ti chiamano trafficante e vogliono processarti», dice Exodus che per venti anni ha vissuto tra Benin City e la Libia e si è arricchito grazie alla tratta. «Guardiamo però alle operazioni del Naptip: arrestano un trafficante, ma poi si scopre che la famiglia era coinvolta, era d’accordo. Quindi anche loro sono trafficanti. E il passeur non è un trafficante? I poliziotti? La polizia prende i soldi dalle persone e permette loro di andarsene. Vuoi dirmi che non ci sono poliziotti nelle città al confine con il Niger? Vuoi dirmi che non ci sono funzionari dell’immigrazione? Vuoi dirmi che non ci sono posti di blocco? Dove sono tutti, dormono? E i giudici? Anche loro trafficanti! Le Ong? Ti dico solo una cosa: soldi, soldi, soldi. In America dicono ‘Money talks, bullshit walks’».
Exodus dice di non sentirsi in colpa, anzi di considerarsi un benefattore perché ha aiutato i suoi concittadini ad andarsene da un Paese povero e corrotto, inoltre secondo lui Tv, giornali e social media spaccerebbero dati gonfiati sulle morti «Nessuna delle ragazze che ho portato in Libia è mai morta nel Sahara. A non farcela sono le persone che partivano già malate». Purtroppo non è così, come dimostra anche l’ultimo ritrovamento, a novembre 2017, di 26 corpi senza vita di donne arrivate a Salerno, tutte di nazionalità nigeriana. Comunque non esiste un boss in questo business, dicono sia lui che il comandante del Naptip, là chiunque può diventare un trafficante, basta conoscere delle ragazze che vogliano partire e non serve nemmeno sforzarsi troppo per convincerle.
È un errore di valutazione dunque sottovalutare la mafia nigeriana, perché interessa almeno venti città (Torino e Bologna in testa) e dieci regioni coinvolte nella sua rete, e che conta in giro per il mondo trentamila affiliati in quaranta Stati.
Al Sud dove le mafie autoctone mantengono il controllo militare, la mafia venuta da Benin City ha stretto patti, come a Ballarò. Al Nord picchia duro: nel 2017, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.
A Torino si è aperta l’operazione dei carabinieri Athenaeum, che documenta il legame tra Maphite e Eiye. Giovanni Falconieri sul Corriere di Torino ha raccontato di un pentito che descrive i Maphite in termini sconvolgenti: «Sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro… Non hanno rispetto per la vita».
Poi il giudice torinese Stefano Sala, in quasi 700 pagine di ordinanza, motiva le sentenze su 21 membri di Eiye e Maphite: «I moduli operativi delle associazioni criminali nigeriane sono stati trasferiti in Italia in coincidenza con i flussi migratori massivi cui assistiamo in questi anni» (…), «tra gli immigrati appena sbarcati vengono reclutati i corrieri che ingoiano cocaina».
Se Torino è la nostra città più permeata dalla migrazione nigeriana, Bologna è considerata «la capitale» del cultismo, lo spaccio nella centrale Bolognina e nelle periferie è da anni in mano ai Black Axe. Ma le ordinanze che si moltiplicano, con le operazioni di carabinieri e polizia, descrivono un’onda assai più lunga: Black Axe, a Palermo, 2016; Aquile Nere, Caserta, stesso anno. Cults, a Roma, 2014. Niger, Torino 2005. Ancora Black Axe, Castello di Cisterna, Napoli, 2011.
«Noi siamo nate morte», raccontano le schiave nigeriane della Domiziana al sociologo Leonardo Palmisano in un libro di prossima uscita «Ascia Nera».
Nella «pista» di Borgo Mezzanone (Foggia) incomincia la bidonville dei migranti, Ogni giorno tirano su nuove baracche, sorte tra montagne di rifiuti, roghi di plastiche, fumi neri, prive di bagni, dove le ragazze appena arrivate sostano davanti al bordello.


Una vera e propria bidonville «il Ghetto» dei migranti, di cui nessuno sa niente in Italia, se non gli abitanti della zona, preoccupati per alcune bande nigeriane che controllano il territorio, dove la legalità è sparita da un pezzo e gli episodi di violenza minacciano quotidianamente quella terra di nessuno.
I militari presidiano il Cara, ma qualche metro più in là la baraccopoli ha una vita propria, e così un docente ammette «Qui i problemi sono troppi. Si mischiano diverse forme di illegalità. Diversi tipi di migrazione. Siamo soli, abbandonati, inascoltati. Qui manca tutto, bisognerebbe ripristinare la legalità ad ogni livello».
Naturalmente i media globalisti cercano di oscurare queste notizie, zitti e mosca sulla nuova mafia nigeriana, che attraverso l’immigrazione fuori controllo di questi ultimi anni è approdata in Italia ed ha tutta l’intenzione di usare il nostro Paese come terra da sfruttare, per poi dilagare in tutta Europa. Il business è già radicato sul territorio e attraverso l’esportazione del crimine, della violenza contro le donne, dello spaccio di droga, garantisce non solo l’aumento del tasso di criminalità, ma anche di aggiungere un altro nuovo rischio per una serena convivenza urbana, in una società sempre più multiculturale.
Nonostante Gad Lerner dica un’altra cosa «Dopo Pamela, guardiamo attoniti la vita e la morte di Desirée: dipendente da eroina, figlia di spacciatore italiano e madre 15enne, vittima di pusher immigrati. Vicende tragiche che dovrebbero suggerirci qualcosa di più e di diverso dall’odio razziale».
Credo che Gad, da buon radical chic, collezionista di rolex, cerchi di scaricare le responsabilità di chi ha permesso che le periferie delle città italiane venissero infestate dalla presenza della mafia nigeriana, tanto che intere strade sono ormai infestate dallo spaccio di droga e dalla prostituzione h24. Il nostro buonista globalizzato condanna l’odio razziale, ma non ha tenuto conto che può esistere un ‘razzismo’ naturale, di chi cerca di difendersi dall’invadenza di un’immigrazione fuori controllo, come quello degli animali che marcano il loro territorio, e quindi sono pronti a difenderlo da qualunque ingerenza esterna, e c’è un ‘razzismo’ culturale, indotto da archetipi che si perdono nella notte dei tempi (KG Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo).
Nessun odio razziale quindi, ci basterebbe non assistere più a queste orribili vicende, e poter garantire anche la sicurezza delle donne italiane per le strade delle nostre città, ma ormai non credo sarà più possibile per molto tempo ancora.

Rosanna Spadini

Presenze demoniache a Catania: ‘ecco la causa di terremoti e maltempo’


presenze
Psicosi da superstizione: terremoto e maltempo dipendono da presenze demoniache – di Gelsomino Del Guercio
Accade in provincia di Catania, il parroco frena: quello che sta accadendo ci riporta al Medioevo. 
Apparizioni mariane, presenze diaboliche, piogge alluvionali, scosse di terremoto. Per tutti questi motivi le attese celebrazioni di San Placido, patrono della cittadina di Biancavilla, in provincia di Catania, quest’anno si sono svolte in modo decisamente sottotono.
Parecchi biancavillani hanno collegato i fatti naturali avvenuti (scossa con epicentro sull’Etna, maltempo come non si vedeva da anni) a presunti eventi soprannaturali che si sarebbero verificati nella cittadina.

Apparizioni, presenze demoniache ed eventi naturali: una psicosi

C’è chi sostiene di aver visto apparire la Madonna in diversi luoghi, chi sostiene che ci siano diverse persone che sono vittime di possessione demoniache e influiscano sugli eventi naturali, i danni alle chiese e la caduta di alcuni crocifissi al loro interno.
False visioni apocalittiche. Insomma si è creata una sorta di psicosi contro la quale il parroco Don Pino Salerno è sceso in campo in prima persona. 
«Credo che dopo la paura, adesso, ci sia una grande voglia di ripresa – dice a MeridioNews (24 ottobre) – Ci sono persone che approfittano della buona fede e del momento di panico per fare passare visioni apocalittiche».
Il Medioevo. «Gli eventi calamitosi – spiega ancora il prelato – scoperchiano un substrato culturale molto basso, che torna indietro fino al Medioevo».
Un po’ come accade quando ci si rivolge a «cartomanti e maghi». «Terremoti e calamità sono eventi naturali e, per questo, bisogna essere pronti e preparati», aggiunge padre Salerno. Rimandando quindi al mittente ogni riferimento più o meno sacro che è stato accostato all’ultimo periodo.

“Difetto di comunicazione”

«Sentire tremare la terra, in piena notte, ha scioccato tutti – conclude don Pino – Oggi abbiamo il dovere di prendere coscienza e capire come costruire la prevenzione.
Non siamo abituati alle evacuazioni e all’intervento della protezione civile, non sappiamo dove dirigerci, come comportarci e a chi rivolgerci. C’è un difetto di comunicazione».
In mezzo al quale si mette anche la superstizione: «Che serve solo a deprimere le persone».
Gli esorcismi al “Cristo Re”. Eppure Biancavilla già in passato è salita agli onori delle cronache per la superstizione dei suoi abitanti.
La trasmissione televisiva “Le Iene” nel 2017, si è recata in più occasioni nella cittadina etnea per filmare i presunti fenomeni demoniaci che si manifestavano nella Chiesa di Cristo Re (L’Urlo News, 18 maggio 2017).
Fonte Aleteia – Titolo originale: Psicosi

Bolsonaro presidente, Brasile a tutta destra contro l’aborto e per i lavoratori

bolsonaro presidente
Bolsonaro presidente con il 56%. Il Brasile vira a destra – di Anna Pedri, da Il primato nazionale
San Paolo, 29 ott – Jair Bolsonaro è il nuovo presidente del Brasile. A scrutinio completato per l’88,44%, il candidato di estrema destra si è affermato con il 55,70%.
Il suo sfidante, Fernando Haddad, definito l’erede politico di Luiz Inácio Lula da Silva, progressista, nonostante nelle ultime settimane fosse cresciuto nei sondaggi, si è fermato al 44,30%.
Già al primo turno elettorale Bolsonaro si era affermato sul suo avversario, ottenendo il 46,27% dei consensi e superando tutte le aspettative della vigilia del voto, dato che i sondaggi lo davano non sopra il 40%.
Saputo a caldo il risultato di questo secondo turno elettorale, che lo hanno portato alla vittoria, il nuovo presidente ha dichiarato che il suo principale impegno sarà quello di essere un “difensore della democrazia e della Costituzione”, cercando di rassicurare i numerosi osservatori brasiliani e internazionali preoccupati dalla sua elezione:
“Non è solamente una promessa di partito, o la parola di un uomo. È un giuramento davanti a Dio”.
Dal canto suo lo sfidante Haddad, che ha vinto nelle zona del nord del Brasile, ha affermato che non smetterà di lavorare, stando all’opposizione.
Le due campagne elettorali, sia quella del primo turno sia quella per il ballottaggio, sono state caratterizzate da toni assai accesi, con accuse reciproche tra i candidati, che mettevano in guardia gli elettori sulla pericolosità, se fosse stato eletto l’avversario, per il futuro del Paese. Bolsonaro, prima del primo turno, è stato addirittura accoltellato.

Bolsonaro presidente: i voti determinanti

Determinanti per la vittoria di Bolsonaro sono stati i voti degli elettori cristiani evangelici, che con il neopresidente condividono le idee in materia di omosessualità e aborto.
Ma sono stati anche molti tra gli elettori del partito dei Lavoratori, quello a cui appartiene lo sfidante, a votare per lui, essendo stanchi di anni e anni di promesse mai mantenute e impegni traditi, oltre che dalla strisciante corruzione che ha messo in ginocchio le casse dello Stato.
Non a caso Bolsonaro si è assunto tra i suoi impegni quello di rilanciare l’economia del Paese
Tra i primi a congratularsi con il neoeletto Bolsonaro, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Dalla Casa Bianca è arrivata una nota in cui si afferma che Trump e Bolsonaro si sono impegnati a “lavorare fianco a fianco per migliorare le vite di americani e brasiliani”. Il nuovo presidente brasiliano entrerà in carica ufficialmente il prossimo 1 gennaio.

Benjamin Fulford: Messaggio all'elite bancaria: dolcetto o scherzetto

Di Benjamin Fulford

Sarà un'Halloween particolarmente persecutoria per l'élite della mafia  Khazariana, perché è stata data la scadenza del 31 ottobre per restituire l'oro rubato o scegliere di essere braccata e sterminata, dicono la società segreta asiatica, CIA e fonti della Società White Dragon. Dopo questa scadenza, i premi in oro saranno assegnati ai banchieri senior a partire dai capi della Banca Centrale Europea, della Banca del Giappone, del Consiglio della Riserva Federale e della BRI, dicono le fonti. La White Dragon Society (WDS) ha offerto alla mafia kazariana una via d'uscita da questa situazione. Tutto quello che devono fare è monetizzare, in modo costruttivo e basato sulla realtà, 40 trilioni di dollari del 1934, Henry Morgenthau Bonds, per finanziare l'istituzione di una futura agenzia di pianificazione meritocratica. Questo sarebbe sufficiente per porre fine alla povertà, fermare la distruzione ambientale e finanziare l'espansione umana nell'universo. L'alternativa è la morte per tutti i gangster kazariani coinvolti nella frode della banca centrale e nella schiavitù del debito babilonese. Negli Stati Uniti, intanto, fonti del Pentagono dicono che il presidente degli Stati Uniti Donald "Trump ha tenuto un briefing e una cena con i migliori militari alla Casa Bianca il 23 ottobre indirizzando un brusco messaggio a Israele, ai democratici, allo stato profondo e al suo esercito invasore dal Messico di non turbare le elezioni di medio termine". La foto sotto mostra chiaramente dove si trova l'esercito americano. 

C'è anche una grande spinta in atto per abbattere il regime canaglia dell'Arabia Saudita, come concordano diverse fonti. L'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi è stato, nonostante i tentativi da parte dei kazariani di distrarci con false bandiere, ecc..., il risultato di un errore fatale.

I capi di Stato di Russia, Germania e Francia si sono recati a Istanbul la scorsa settimana per incontrare il presidente turco Recep Erdogan per discutere di questo omicidio e del futuro del regime sionista saudita di Israele, secondo fonti russe.

Fonti della CIA cercarono di convincermi che l'omicidio non avvenne mai in realtà inviando la seguente dichiarazione sul summit, a cui gli Stati Uniti, Israele e la Cina non furono invitati: "Sono lì per discutere della questione Khashoggi. Stanno cercando di capire come rilasciare la verità su Khashoggi. NON è morto. Ma nessuno può incontrarlo. I capi dei poteri speciali che sono Stati Uniti, Russia, Cina, Turchia, Francia, Germania, Arabia Saudita e Israele, sanno esattamente dove si trova. Diciamo solo che Khashoggi li ha fregati tutti. Ha trasformato la propria arma del programma di applicazione speciale non riconosciuta contro di loro. Aveva i codici di accesso. "

I russi risposero inviando le orribili fotografie del corpo smembrato di Khashoggi con la testa mozzata.

DA “FORZA ITALIA” A “FORZA MERKEL”. STORIA DI UN SUICIDIO POLITICO

ADESSO RIDONO UN PO' MENO...





La trasformazione di Forza Italia in Forza Merkel (o Forza Germania) ha dell’incredibile. Infatti la decisione di Berlusconi di appoggiare il candidato della Merkel, Manfred Weber, per la presidenza della prossima Commissione europea, somiglia a un suicidio politico. Anche in vista di un possibile ricompattamento del centrodestra.


Il “Giornale” ha titolato: “Berlusconi lancia Weber. Forza Italia unita al Ppe nell’asse antisovranista”. L’asse è una parola disgraziata per definire un’alleanza con Berlino (se si conoscesse la storia…). 


Ma poi come può essere antisovranista un partito che si chiama Forza Italia?


Giovanni Toti, governatore ligure, è sconcertato: “Siamo proprio sicuri che il capogruppo del Partito popolare, uomo della Merkel, tra i principali protagonisti di questo governo dell’Europa, rappresenti al meglio quella voglia di cambiamento e rinnovamento delle istituzioni e della politica di Bruxelles che pure Forza Italia ha predicato per anni?”.


In effetti non si capisce perché, dopo essere stato per vent’anni euroscettico, il partito di Berlusconi corre in soccorso della Merkel proprio quando il vento è cambiato e quella Ue è entrata in agonia.


C’è del risentimento in Forza Italia per il sorpasso della Lega alle elezioni. Ma ciò è accaduto perché dal 2013 (anzi dal 2011) Forza Italia è sparita dai radar e la sua opposizione ai governi PD non è stata percepita da nessuno.


Così, alle elezioni del 4 marzo, la Lega e il M5S, che hanno fatto anni di trincea e di opposizione chiara, sono stati premiati dagli elettori. Mentre Forza Italia è stata penalizzata.


Ciò detto oggi contro il governo può usare molti argomenti per contestare il DEF, ma non può farlo in nome dello spread, delle agenzie di rating e della UE, dopo che per anni ha polemizzato proprio con questi soggetti per la caduta del governo Berlusconi del 2011.


Oltretutto è un atteggiamento che rischia di essere percepito come anti italiano. Non a caso FI è in caduta libera nei sondaggi. Perché Forza Italia, ora che potrebbe rivendicare il merito di aver visto giusto sulla Ue a egemonia tedesca, capovolge le sue storiche posizioni?


Già negli anni Novanta Antonio Martino, economista di Forza Italia e ministro, manifestava i suoi forti dubbi sulla moneta unica europea. Ancora l’anno scorso, in una intervista a Pietro Senaldi uscita su “Libero”, dichiarava: “in Europa ognuno pensa per sé e la nostra economia spesso è stata attaccata e scientemente impoverita dai partner Ue”. Disse pure parole durissime sulla Germania e parlò addirittura di uscita dall’euro.


E’ stato poi un pilastro dei governi Berlusconi, l’on. Giulio Tremonti, il ministro che in Europa, invece di andare col cappello in mano, ha difeso con grinta i nostri interessi nazionali (Tremonti peraltro ha dato un contributo serio a focalizzare i problemi enormi di questa UE e di questa globalizzazione).
Infine il governo Berlusconi nel 2011 subì (oltre alla guerra alla Libia) la delegittimazione pubblica di Merkel e Sarkozy e fu sostituito da un governo tecnico “gradito” alla UE franco-tedesca. Uno smacco pesante.


Tutti ricordiamo le dure polemiche che seguirono. Com’è possibile oggi ritrovarsi Berlusconi a sostegno della Merkel? Quale beneficio politico può portare agli azzurri?


Forza Italia potrebbe (come Fratelli d’Italia) mantenere le sue posizioni critiche sulla UE anche continuando a restare all’opposizione di questo governo. Anzi, la critica al DEF e al tempo stesso alla Commissione europea potrebbe ricavarle un certo spazio politico, con l’obiettivo di una riforma di questa Ue e una maggiore difesa dei nostri interessi nazionali.


Ma non sembra questa la strada scelta dagli azzurri. Addirittura si accodano alla retorica “europeista” finendo per fare storiche gaffe.


Come l’altro giorno quando Antonio Tajani, numero due di Forza Italia, presiedendo il Parlamento europeo, ha detto (testualmente) che “nazismo e comunismo sovietico sono due dittature scomparse grazie all’Unione Europea”.


Di fronte alla risata dell’inglese Farage (da notare che l’UE è nata nel 1993, quando nazismo e comunismo erano già morti e sepolti), Tajani, invece di rendersi conto del suo infortunio, ha aggiunto duramente: “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”.


Il deputato britannico ha signorilmente replicato: “Sembra che abbiate problemi con la storia. Dire che l’Unione europea ha provocato la caduta del nazismo e del comunismo sovietico non è solo ridicolo è anche insultante per gli Stati Uniti, che hanno fatto un sacrificio enorme per fare in modo che l’Europa venisse liberata due volte durante un secolo, e in misura minore il Regno Unito come testimoniano i 30 mila britannici morti in Italia”.


Se Berlusconi va in soccorso della Merkel e di questa UE non solo liquida il centrodestra, ma fa anche una scelta di campo internazionale che di fatto liquida la sua antica (e buona) idea della necessità del dialogo fra Usa, Europa e Russia.
.
Antonio Socci
Da “Libero”, 28 ottobre 2018


Le mosche di Alda Merini

Le mosche non riposano mai perché la merda è veramente tanta.  

Alda Merini

Cina, vietato usare nomi “cristiani”: chiusi il “Mulino Betlemme” e il negozio “Arca”

The East is read
Più che di persecuzione in Cina, bisognerebbe cominciare a parlare di paranoia. Nella provincia dell’Henan, dove dall’inizio dell’anno vengono demolite chiese, abbattute croci ed emanate nuove restrizioni al culto per i cristiani, il partito comunista ha preso di mira tutte le aziende con nomi che possano richiamare la religione.

È il caso ad esempio del “Mulino Betlemme”, azienda che produce farina fondata nel 1987 da una coppia cristiana nella città di Hebi. Come riportato da Bitter Winter, a inizio anno le autorità locali hanno informato i proprietari che la fede religiosa «non è ammessa» e che la parola “Betlemme” doveva perciò essere rimossa. Se avessero disobbedito, le autorità avrebbero revocato la licenza e i permessi. Il nome dell’azienda è stato quindi cambiato in “Mulino Qingshan” (nella foto si può vedere la vecchia scritta cancellata e la nuova insegna sulla sinistra).

Un’altra compagnia che vende prodotti elettronici e che si chiama “Arca Henan” è stata presa di mira allo stesso modo. I funzionari, secondo uno dei commercianti incriminati, «usano ormai immagini satellitari per individuare insegne con nomi religiosi e ci obbligano a sostituirle. Come possiamo resistere?».

La repressione viene portata avanti a ogni livello. I protestanti che vogliono ottenere la licenza per predicare dal Movimento delle tre autonomie, l’equivalente protestante dell’Associazione patriottica, l’organizzazione statale che supervisiona le attività della Chiesa cattolica, devono passare un esame nel quale non è richiesta la conoscenza della Bibbia, ma della «politica del partito comunista e della sinicizzazione del cristianesimo».

Come riportato da AsiaNews, a Tengqiao, nel Zhejiang, dove negli ultimi anni sono state abbattute migliaia di croci, è stata lanciata una campagna per «guidare, boicottare e prevenire» la diffusione della religione fra studenti e insegnanti. Un rappresentante del dipartimento dell’educazione ha convocato dirigenti scolastici e insegnanti per fare questa comunicazione: «Nelle nostre scuole, in genere insegnanti e studenti credono nelle religioni. Per questo, il Partito, lo Stato, e le divisioni del governo devono guidare, boicottare, prevenire. Il prossimo 5 ottobre, il Consiglio di Stato invierà un gruppo nel Zhejiang per un’ispezione. Dal 25 al 30 settembre, le autorità provinciali del Zhejiang verranno a Wenzhou come primo luogo di ispezione. Ed essi hanno detto che anche il distretto di Lucheng deve essere ispezionato».

A Tengqiao, continua il funzionario, «autorità distrettuali e del municipio hanno cominciato l’ispezione da oggi. Da oggi fino al 5 ottobre, i poliziotti staranno qui. Cosa dovrebbero fare le scuole? Le scuole non predicano. Gli insegnanti non predicano, non si coinvolgono nelle religioni. Gli studenti non devono credere nelle religioni. Alle persone religiose è vietato entrare in università. Agli insegnanti, compresi i precari temporanei non è permesso predicare agli studenti. Agli insegnanti non è permesso di credere e di predicare».

Cina. «Chi crede in Dio deve sottoporsi alla rieducazione del pensiero»


Il partito comunista cinese ha pubblicato una nuova serie di regole disciplinari che ciascuno dei suoi 90 milioni di membri deve scrupolosamente seguire per non essere punito, riporta il South China Morning Post. La mossa non è che un tassello del nuovo mosaico politico del presidente Xi Jinping, che da sei anni agisce per accentrare il potere nelle sue mani come nessuno aveva fatto dai tempi di Mao Zedong.

Dopo aver eliminato centinaia di nemici politici con la campagna anti-corruzione, diffondendo un vero e proprio clima di terrore all’interno dei ranghi del partito, stravolto i vertici dell’esercito per assicurarsi la fedeltà delle forze armate, aumentato la repressione a livello sociale, costretto i giornali a «obbedire al partito» e le università a studiare «il pensiero di Xi Jinping», sottomesso le religioni come nessuno dai tempi della Rivoluzione culturale attraverso la sinicizzazione, inserito il suo nome di fianco a quello di Mao nella Costituzione e cambiata la Carta per poter restare al potere oltre i due mandati a tempo indeterminato; dopo aver fatto tutto questo ora il Comitato centrale per le ispezioni disciplinari, guidato da un alleato di Xi, ha diffuso nuovi regolamenti che sono entrati in vigore il 18 agosto.


In particolare ai membri del partito comunista si fa divieto esplicito di «criticare le decisione e le politiche del partito centrale» e di «diffondere voci politiche o danneggiare l’unità del partito». Devono, cioè, obbedire in tutto e per tutto al segretario generale e alla sua cerchia ristretta. Inoltre, «i membri del partito e i funzionari devono correttamente esercitare il potere garantito loro dal popolo, dimostrandosi puliti e a schiena dritta, opponendosi a ogni forma di abuso di potere ed evitando di agire per interessi personali».

La terza indicazione che Xi ha voluto a tutti i costi mettere nero su bianco, sottolineando l’importanza che il dittatore dà alla materia, riguarda la religione. La Cina garantisce la libertà religiosa nella sua Costituzione ma da sempre vieta ai suoi membri di credere in Dio o di affiliarsi a una religione. Nonostante questo, molti membri del partito abbracciano una fede e secondo alcune ricerche il numero degli inadempienti sarebbe in aumento.

Le nuove regole disciplinari prevedono che «i membri del partito che hanno credenze religiose affrontino una forte rieducazione del pensiero. Se anche dopo essere stati aiuti ed educati dal partito non cambiano, devono essere incoraggiati ad abbandonare il partito». Questo, sia detto per inciso, in molti casi significa perdere il lavoro e attirare una lunga serie di guai a tutti i familiari. Chi poi «partecipa ad attività religiose e usa la religione per incitare» la gente contro il potere statale deve essere espulso.


Infine, sarà vietato anche «fornire una visione distorta della storia del paese», come ad esempio parlare del massacro di Piazza Tienanmen o criticare il comportamento del partito e dei suoi vertici durante la Rivoluzione culturale o ancora peggio sminuire il ruolo del partito comunista nella vittoria cinese contro il Giappone durante la Seconda guerra mondiale.

Riassumendo, per far parte del partito comunista bisogna accettare in modo incondizionato ogni ordine e abuso da parte delle autorità centrali, perché ogni critica è un tentativo di «sovvertire il potere statale»; bisogna rinunciare a cercare il senso della vita e della storia in istituzioni diverse dal partito comunista e bisogna negare e tacere la scia di sangue che il regime si è lasciato alle spalle nei suoi 70 anni di storia alla guida del Dragone. Il compito è difficile per chiunque, ma soprattutto tradisce un certo nervosismo da parte di Xi Jinping la cui autorità, secondo un autorevole osservatore come Willy Lam, sarebbe sempre più discussa all’interno del partito.

Pakistan. «Giustiziate al più presto la blasfema Asia Bibi»

IL SILENZIO ASSORDANTE DEL VATICANO SUL CASO DI ASSIA BIBI, CONDANNATA A MORTE. LA SUA COLPA? ESSERE CATTOLICA E DIFENDERE LA SUA FEDE

Sulla donna cattolica, in cella da oltre sei anni e condannata in appello all’impiccagione per false accuse di blasfemia, è già stata posta una taglia da 50 milioni di rupie
asia-bibi
Giustiziate al più presto la blasfema Asia Bibi e non piegatevi alla pressione internazionale». L’appello è stato lanciato il 3 marzo in Pakistan dall’imam Abdul Aziz, a capo dell’ultra estremista Moschea rossa di Islamabad, a pochi giorni dall’impiccagione di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che uccise il governatore musulmano del Punjab, Salman Taseer, proprio perché difese Asia Bibi denunciando la “legge nera” sulla blasfemia.
AUMENTATA LA SICUREZZA. Dopo le minacce, le autorità pakistane hanno aumentato le misure di sicurezza in carcere alla donna cattolica, l’unica finora ad aver visto confermata in appello la pena capitale comminata per il reato inesistente di blasfemia. Secondo un ufficiale governativo del Punjab, che ha parlato sotto la condizione dell’anonimato a Morning Star News, rapporti di intelligence rivelano che gruppi islamisti cospirano per uccidere la donna in prigione come vendetta per l’impiccagione di Qadri.
«CUCINA DA SOLA». «Stiamo facendo del nostro meglio per proteggere Asia Bibi», ha dichiarato. «Solo suo marito può vederla in prigione e le è stato consigliato di cucinarsi da sola il cibo per evitare che venga avvelenata. Tutte le guardie responsabili della sua sicurezza sono state vagliate dall’intelligence per escludere gli estremisti».
TAGLIA DI 50 MILIONI. Asia Bibi è in carcere da sei anni e mezzo, 2.451 giorni per l’esattezza, per aver bevuto un bicchiere d’acqua. Sulla sua testa è già stata posta una taglia di 50 milioni di rupie (circa 430 mila euro) e ora che la tensione è alta qualcuno potrebbe cercare di ucciderla in cella. Anche il suo avvocato, Saif ul-Malook, conferma: «Asia è al sicuro ma le richieste di una sua rapida uccisione hanno aumentato i rischi». Storicamente il pericolo è più reale che mai: se nessuno è mai stato impiccato per l’accusa di blasfemia, dal 1990, secondo Avvenire, sono 65 gli imputati, avvocati e giudici assassinati perché considerati blasfemi.
LIBERATO SHAHBAZ TASEER. A queste terribili notizie fa oggi da contrappeso una buona notizia. È stato, infatti, liberato dopo cinque anni di prigionia Shahbaz Taseer, figlio del governatore suddetto. Shahbaz era stato rapito il 26 agosto del 2011 e, come racconta Asianews, «è stato liberato dalle forze dell’anti-terrorismo grazie a una soffiata. Era tenuto in un hotel a nord di Quetta. Quando gli agenti sono entrati nell’edificio non hanno trovato nessuno tranne l’ostaggio. Alcuni ritengono che sia stato pagato un riscatto ai talebani pakistani, sospettati del rapimento, oppure che trattenerlo si sarebbe dimostrato troppo pericoloso. Il ragazzo è ora con la famiglia in una località sicura».

FOLLIA DA SHARIA IN PAKISTAN: ANCHE I BAMBINI IN PIAZZA A CHIEDERE L’IMPICCAGIONE DELLA CRISTIANA ASSIA BIBI ACCUSATA DI BLASFEMIA PER UN BICCHIERE D’ACQUA

Su Assia Bibi e altri martiri di oggi... 

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
© COPYRIGHT GOSPA NEWS
divieto di riproduzione senza autorizzazione
Ha il volto di fanciullo dallo sguardo cupo e perso nel vuoto, avrà nemmeno 9 anni e con tutta probabilità non capisce nulla di quella caotica protesta per le strade del suo paese, il Pakistan, che gli fa aggrottare le sopracciglia. Tiene energicamente in mano un cartello con una grossa scritta: a differenza di quelli ostentati dai grandi non è in lingua urdu ma in inglese. Ci sono scritte soltanto due lapidarie, terrificanti parole “Hang Assia”: impiccate Assia. Un messaggio volutamente in lingua internazionale perché potesse essere catturato dai fotoreporter, come ha fatto Aamir Qureshi che lo ha immortalato per AFP. E’ questa la risposta dei musulmani pakistani integralisti al rinvio del pronunciamento dei giudici sulla condanna a morte della donna cristiana Assia Naurin Bibi, 47 anni, di cui 8 trascorsi in carcere, alcuni dei quali in isolamento ed in condizioni igieniche disumane, accusata di blasfemia per un bicchiere d’acqua e la difesa della sua fede.
Lunedì 8 ottobre la Suprema Corte di Islamabad, dopo aver ascoltato l’ultimo appello dei suoi avvocati difensori, ha aggiornato l’udienza per il verdetto a data da definire. I giudici avrebbero già emesso il verdetto finale ma hanno altresì ritenuto necessario tenerlo per ora nascosto senza comunicare quando lo renderanno pubblico. Ciò ha fatto infuriare gli estremisti che si aspettavano, dopo otto lunghi anni, l’impiccagione immediata. Venerdì scorso, 12 ottobre, diverse migliaia di fondamentalisti islamici si sono riversati per strada in gran numero a Lahore, ma anche in altre città del paese come Karachi e Rawalpindi, per una manifestazione organizzata dal partito anti-blasfemia Tehreek-e-Labaik Pakistan (TLP). La richiesta una sola: impiccate Assia. Una sentenza di popolo che ricorda tanto quel “crocifiggilo” pronunciato dai Giudei davanti a Ponzio Pilato contro Gesù. E, proprio come il Messia dei Cristiani cui è devota, la bracciante agricola pakistana è finita sotto processo e rischia la morte solo per una frase, pronunciata in un diverbio con un’altra lavoratrice musulmana: «Non ho intenzione di convertirmi. Credo nella mia religione e in Gesù Cristo, che morì sulla croce per i peccati dell’umanità. Che cosa ha mai fatto il tuo profeta Maometto per salvare l’umanità? E perché dovrei essere io che mi converto al posto tuo?». Purtroppo di questa vergognosa e tremenda mobilitazione di massa per l’impiccagione di una donna che ha soltanto difeso la sua fede ha scritto con risalto solo l’agenzia d’informazione Russia Today, il Washington Post ed il mensile Tempi…
CONDANNATI DALLA LEGGE, GIUSTIZIATI DAL POPOLO
La protesta degli islamici integralisti pakistani a Rawalpindi © AFP / Aamir Qureshi
Mentre sull’isola di Lesbo, nell’occidentale Grecia, viene abbattuta una croce eretta dagli abitanti per non infastidire i migranti di altre religioni, su richiesta degli operatori di una Ong, mentre in Italia si replicano le autocensure contro i simboli del Natale e della Cristianità, nel resto del mondo i cristiani vengono perseguitati anche attraverso la legge con processi che spesso hanno ben poco di regolare. Uno dei casi più eclatanti è appunto quello della pakistana ma ce ne sono altri di cui parleremo in ulteriori articoli. Se in Africa e nelle aree mediorientali straziate dalle guerre civili sono all’ordine del giorno uccisioni e massacri di cristiani ad opera di organizzazioni terroristiche come Isis o Boko Haram, in alcuni paesi del Medioriente ma soprattutto nelle nazioni islamiche della penisola Indiana e del Far East le persecuzioni avvengono addirittura nel nome della legge. In Pakistan vige una delle più terribili applicazioni della Sharia contro gli infedeli o chi si macchia di blasfemia verso l’Islam o il Profeta: impiccagione anche in assenza di prove specifiche. Basta, come nel caso di Assia Bibi, che qualcuno denunci un episodio di blasfemia e scatta il processo che, se l’accusa viene ritenuta minimamente fondata, può portare alla condanna a morte. Fino ad ora nessuna condanna capitale per blasfemia è mai giunta a reale applicazione; forse anche per questo, dinnanzi agli integralisti sunniti pakistani, l’impiccagione della donna cristiana reclusa ha un’importanza esemplare: è infatti l’unica ad aver visto la sua condanna confermata in Appello. Ma come spiegherò nei prossimi paragrafi in vari casi le pene capitali non sono state eseguite perché imputati o condannati sono stati illegalmente giustiziati in precedenza da fanatici religiosi. Quindi le lungaggini e i rinvii della giustizia sembrano diventare propizi ad una premorienza dei reclusi nel braccio della morte che evita alle autorità politiche di esporsi alle condanne internazionali. Non va dimenticato infatti che sulla testa di Bibi pende anche una pesante taglia…
LA TAZZA D’ACQUA CHE PUO’ COSTARE LA MORTE
Assia Bibi, la donna cristiana in carcere in Pakistan per una domanda su Maometto dal 2009
I guai della donna iniziano il 14 giugno 2009 nei campi di un paesino del Punjab dove è intenta a raccogliere bacche come bracciante agricola a giornata. Secondo l’autobiografia scritta da lei stessa “Blasfemia: memoria di un condannato a morte per una tazza d’acqua” tutto comincia quando si avvicina al pozzo per dissetarsi vista la gran calura. Un’altra lavoratrice musulmana la vede e le grida: “Non bere quell’acqua, è haram (proibito)!” La stessa si rivolge poi alle altre donne islamiche presenti nel campo dicendo che Bibi aveva sporcato la tazza per attingere al pozzo: “Ora l’acqua non è pura e non possiamo più berla! Grazie a lei!”. A quel punto inizia un concitato diverbio religioso in cui Assia viene accusata di essere “una cristiana ripugnante” e le viene intimato di convertirsi all’Islam. E’ in quel momento che lei replica con le frasi che gli valgono la denuncia per blasfemia: «Non ho intenzione di convertirmi. Credo nella mia religione e in Gesù Cristo, che morì sulla croce per i peccati dell’umanità. Che cosa ha mai fatto il tuo profeta Maometto per salvare l’umanità? E perché dovrei essere io che mi converto al posto tuo?». A quel punto una delle musulmane le sputa addosso, un’altra la spinge. Poi lo riferiscono agli uomini che corrono a denunciarla alle autorità. Viene così picchiata, chiusa in uno stanzino, stuprata e infine arrestata pochi giorni dopo nel villaggio di Ittanwalai, nonostante contro di lei non ci sia nessuna prova. Viene poi condotta nel carcere di Sheikhupura dove comincia il suo calvario giudiziario, in minima parte alleviato dall’assistenza legale garantita dall’ong Masihi Foundation (Mf) che fu la prima a denunciare le terribili condizioni di detenzione della donna. La stessa Bibi narra che dovette invocare spesso e intensamente il conforto di Gesù Cristo per trovare un po’ di pace almeno interiore: «In primo luogo vivevo frustrazione, rabbia, aggressività. Poi, grazie alla fede, dopo aver digiunato e pregato, le cose sono cambiate in me: ho già perdonato chi mi ha accusato di blasfemia – confidò Assia – Questo è un capitolo della mia vita che voglio dimenticare». Ma il suo perdono non fu sufficiente perché iniziò il lungo iter giudiziario.
IL CALVARIO GIUDIZIARIO E L’OMICIDIO DEL GOVERNATORE
L’11 novembre 2010, oltre un anno dopo l’arresto, giunge la prima sentenza in cui il giudice di Nankana Sahib, Naveed Iqbal, esclude «totalmente» la possibilità che Assia Bibi sia accusata ingiustamente, aggiungendo inoltre che «non esistono circostanze attenuanti» per lei. A nulla è valsa l’attenzione dei media e l’invito alla grazia di Papa Benedetto XVI: la famiglia non può far altro che presentare ricorso all’Alta Corte di Lahore. Nel frattempo, come riferì in un articolo Marco Tosatti su La Stampa il 26 febbraio 2012, circolarono indiscrezioni sul fatto che Qari Salam, l’uomo che aveva denunciato Assia Bibi di blasfemia, si sarebbe pentito di aver sporto la denuncia perché basata su pregiudizi personali ed emozioni religiose esasperate di alcune donne del villaggio. Costui avrebbe quindi pensato di non portare avanti l’accusa ma si sarebbe scontrato con le intimidazioni da parte di organizzazioni fondamentaliste islamiche. Pressioni da non sottovalutare visto che nel frattempo gli integralisti avevano colpito a morte.
Il Governatore del Punjab, Salmaan Taseer, ucciso per il suo impegno a depenalizzare il reato di blasfemia e nella causa di Assia Bibi

Il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, che si era recato a trovare Asia Bibi in carcere ed era impegnato nella revisione delle norme sulla blasfemia, viene ucciso il 4 gennaio 2011 a Islamabad da una delle sue guardie del corpo. Due mesi dopo, anche il ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico, è assassinato da estremisti islamici. Per questioni di sicurezza Bibi è trasferita dal carcere di Sheikhupura a quello femminile di Multan. Per i familiari diviene così quasi impossibile vederla spesso, dato che le due località distano sei ore di auto. Il 16 ottobre 2014, dopo quasi quattro anni dalla presentazione del ricorso avverso alla sentenza di primo grado, l’Alta Corte di Lahore conferma la pena capitale per la donna. Ma il 22 giugno 2015 la Corte Suprema sospende l’esecuzione della condanna in attesa di un verdetto definitivo.
L’APPELLO DELL’IMAM E LA TAGLIA MILIONARIA
Abdul Aziz, l’imam integralista della Moschea Rossa di Islamabad finito anche agli arresti perchè sospettato di fiancheggiare estremisti violenti
«“Giustiziate al più presto la blasfema Asia Bibi e non piegatevi alla pressione internazionale». L’appello è stato lanciato il 3 marzo in Pakistan dall’imam Abdul Aziz, a capo dell’ultra estremista Moschea rossa di Islamabad, a pochi giorni dall’impiccagione di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che uccise il governatore musulmano del Punjab, Salman Taseer, proprio perché difese Asia Bibi denunciando la “legge nera” sulla blasfemia» a scriverlo è Leone Grotti, il 9 marzo 2016 sul mensile Tempi. E la reazione dei musulmani integralisti, aizzati dal partito anti-blasfemia Tehreek-e-Labaik Pakistan (TLP), non si fa attendere come racconta Lucia Capuzzi il 28 marzo 2016 su Avvenire: «“Impiccate Asia Bibi”. Il grido risuona da due giorni appena fuori dalla “zona rossa”, il centro di Islamabad dove sono concentrate le sedi delle istituzioni pachistane. Almeno 30mila manifestanti, secondo fonti locali, arrivati dalla città-gemella Rawalpindi, resistono, imperterriti, allo sbarramento militare. E cercano di “sfondarlo”, per portare la protesta proprio di fronte al Parlamento. Il corteo, organizzato dai gruppi fondamentalisti islamici Sunni Tehreek (St) e Tehreek-i-Labbaik Ya Rasool (Saw), chiede la “riabilitazione” di Mumtaz Qadri, messo a morte il 29 febbraio scorso. L’esecuzione di quest’ultimo è stato un duro colpo per gli estremisti, che lo considerano un “martire”».
La folla di integralisti islamici scesa in piazza a Lahore in Pakistan venerdì scorso per chiedere l’impiccagione di Assia Bibi
Da singolo caso giudiziario la vicenda ha quindi assunto i contorni di una vera persecuzione religiosa tanto che sulla testa di Bibi i fondamentalisti pongono una taglia di 50 milioni di rupie (circa 430 mila euro). Da quel momento inizia per la donna una carcerazione assai pericolosa: «Solo suo marito può vederla in prigione e le è stato consigliato di cucinarsi da sola il cibo per evitare che venga avvelenata. Tutte le guardie responsabili della sua sicurezza sono state vagliate dall’intelligence per escludere gli estremisti» riferirono ai giornali gli attivisti dell’Ong che seguiva il suo caso. A distanza di due anni ora la storia si ripete: mentre la Suprema Corte si è riservata di rivelare il contenuto del verdetto in risposta alla richiesta difensiva di assoluzione ecco subito le proteste di miliaia di fanatici integralisti nelle città pakistane. E l’accresscersi delle tensioni rende sempre più reale il pericolo che qualcuno cerchi di ucciderla in cella.
UCCISI IN CARCERE PRIMA DELLA PENA CAPITALE
«In Pakistan, la pena capitale è stata estesa anche ad alcune circostanze previste dalla Sharia, come rapporti sessuali extraconiugali e blasfemia – si legge in un dettagliato rapporto di Nessuno tocchi Caino – La legge contro la blasfemia è stata introdotta dal generale Mohammad Zia-ul-Haq nel 1985 e prevede la pena di morte per chi offende il Profeta Maometto, altri profeti o le sacre scritture. In base all’Articolo 295-C del Codice Penale pakistano, “Chiunque con le parole, sia pronunciate che scritte, o con rappresentazione visibile o qualsiasi attribuzione, allusione, insinuazione, direttamente o indirettamente, offende il sacro nome del Profeta Muhammad (pace a Lui), deve essere punito con la morte o il carcere a vita, ed è anche passibile di multa”. Dai tempi di Zia a oggi molte centinaia di persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia. Nessuno è stato giustiziato e molte condanne per blasfemia sono state poi respinte in appello. Ma decine di persone in attesa del processo o assolte dalle accuse sono state massacrate da fanatici religiosi – evidenzia l’organizzazione umanitaria che lotta contro la pena di morte nel mondo riferendo anche degli avvocati perseguitati ed attaccati anche dai giudici e riportando alcuni inquietanti dati – Al 25 settembre 2014, almeno 48 persone accusate di blasfemia sono state uccise in via extragiudiziale, di cui sette nelle carceri o all’uscita dei tribunali, secondo il gruppo pakistano per i diritti umani Life for All. Non solo la comunità cristiana, anche la minoranza musulmana sciita è stata perseguitata per anni dagli estremisti sunniti. Membri della piccola setta Ahmadi, considerati traditori dell’Islam perché venerano un altro profeta oltre a Maometto, sono stati vittime di attentati suicidi, sequestri e altri attacchi. La legge sulla blasfemia, oltre che contro le minoranze religiose, è spesso usata da alcuni pachistani per regolare i conti in dispute sulla proprietà. Normalmente, le prove nei casi di blasfemia sono scarse, a parte le dichiarazioni rese da chi accusa un altro».
Secondo l’Economist sono ben 62 le persone uccise dal 1990 come conseguenza delle accuse di blasfemia senza la necessità di un’esecuzione formale, secondo Avvenire sono 65 le vittime tra imputati, avvocati e persino giudici assassinati. Tra le aggressioni più sconcertanti c’è quella avvenuta in un ateneo riguardante un giovane universitario linciato dai compagni (vedi link youtube a fondo pagina). Non va dimenticato che la vita umana in Pakistan ha un valore molto relativo: secondo un rapporto di Amnesty Internazional del 2017 con Iran, Arabia Saudita e Iraq è tra i quattro paesi che dopo la Cina eseguono l’84 % delle pene capitali del mondo intero.
Ora quindi Assia attende di conoscere il verdetto che potrebbe essere di assoluzione con contestuale condanna all’esilio come già anticipato dai familiari, di condanna a morte con esecuzione della pena oppure, tenuto segreto per mesi o anni, affinchè cali l’attenzione internazionale sulla vicenda: lasciando la donna in carcere per tempo illimitato in attesa che muoia per mano di qualcuno, per qualche misterioso malore o di morte naturale. La sua drammatica storia di violazione dei diritti umani e di sofferenze in nome di Cristo è una dei grandi esempi della follia del fondamentalismo islamico che, nel terzo Millennio dove all’Onu si discute di ogni bazzecola sui diritti umani, esige la vittima sacrificale a prescindere dalla fondatezza e gravità delle accuse; a volte, come nel caso di Bibi, solo per esibirla come trofeo di una superiorità religiosa sancita dalla Sharia e dalla teocrazia imperante nel paese. Una legge sanguinaria per cui anche un fanciullo innocente può essere portato in piazza a chiedere l’impiccagione di una donna che ha solo posto un quesito ingenuo, trasparente quanto dirompente: Che cosa ha mai fatto il tuo profeta Maometto per salvare l’umanità?
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
© COPYRIGHT GOSPA NEWS
divieto di riproduzione senza autorizzazione

FONTI