sabato 20 ottobre 2018

LITURGIA DI DOMENICA 21 OTTOBRE

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Antifona d'Ingresso

Io t'invoco, mio Dio:
dammi risposta,
rivolgi a me l'orecchio
e ascolta la mia preghiera.
Custodiscimi, o Signore,
come la pupilla degli occhi,
proteggimi all'ombra delle tue ali.

Gloria

Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Signore, figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati dal mondo abbi pietà di noi; tu che togli i peccati dal mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen.

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore ...

Prima Lettura

Is 53,2.3.10-11
Dal libro del profeta Isaia.
Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire. 
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.
C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.

Salmo Responsoriale

Sal.32
RIT: Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell'amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l'occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L'anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

Seconda Lettura

Eb 4, 14-16

Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.

Canto al Vangelo

Alleluia, Alleluia.

Il Figlio dell'uomo è venuto per servire
e dare la propria vita in riscatto per molti.

Alleluia.

Vangelo

Mc 10, 35-45
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.


https://liturgia.silvestrini.org/podcast/archive/vangelo_48_B_0.mp3

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DICIOTTI, GIUDICI SMONTANO PM: “SALVINI HA DIFESO L’ITALIA”


Il caso della nave Diciotti si ribalta e scoppia in faccia al pm
rosso di Agrigento, Luigi Patronaggio.


Dopo il rinvio dell’inchiesta a Catania, competente per territorio, quindi Patronaggio ha esulato dai propri poteri, il tribunale dei ministri dà ragione a Matteo Salvini su tutta la linea: “Nei primi giorni di intervento della nave Diciotti al largo di Lampedusa, per il salvataggio dei 190 migranti che si trovavano a bordo di un barcone proveniente dalla Libia, non sono emersi reati. Fu anzi difeso meritoriamente dalla Guardia costiera l’interesse nazionale“, questo è nell’analisi che il tribunale dei ministri di Palermo ha consegnato nei giorni scorsi alla Procura dello stesso capoluogo siciliano perché trasmettesse gli atti alla competente Procura di Catania.

Nessun reato difesa della Patria.
Il collegio palermitano, presieduto da Fabio Pilato, Filippo Serio e Giuseppe Sidoti smonta la delirante tesi del ‘ricatto’ e parla “solo una attività di pressione diplomatica nei confronti di Malta, perché adempisse i doveri previsti dalle convenzioni internazionali che regolano il salvataggio e l’accoglienza dei flussi migratori. Poi la nave fece uno scalo nei pressi di Lampedusa, dove, con alcune motovedette, furono sbarcati 13 migranti ammalati. Gli altri 177, sempre in quella prima fase, non furono oggetto di alcun reato, men che meno il sequestro di persona, perché nei primi giorni si stava cercando una soluzione diplomatica per l’accoglienza, che poi non fu trovata”.
E “cercando una soluzione per lo sbarco a Malta, fece l’interesse del Paese al rispetto delle convenzioni da parte dei partner europei”.
Salvini merita una medaglia. Due, se la Diciotti l’avesse inviata in Libia.

La cura delle persone con malattie mentali: alcuni problemi bioetici

Nell’ambito complesso e differenziato delle malattie mentali, il parere si propone di prendere in esame dal punto di vista bioetico le criticità che insistono sull’assistenza psichiatrica sul territorio, nonché le prospettive che si aprono con la recente chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG).
La prospettiva bioetica da cui muove l’analisi è quella di una cura delle persone con malattie mentali che integri la “cure”, centrata sulle componenti neurobiologiche alla base della malattia, e la “care”, il “prendersi cura” della sofferenza, della soggettività e dei bisogni della persona.
Ciò comporta un chiamare in causa sia i principi della bioetica clinica, sia la responsabilità sociale verso i perduranti fenomeni di stigma e di discriminazione, la carente inclusione, il non completo riconoscimento di diritti umani fondamentali.
Sulla scia della svolta paradigmatica avvenuta con la chiusura del manicomio, dal modello custodialista a quello terapeutico, il parere sottolinea la tensione bioetica verso una cura della persona con malattia mentale orientata alla maggiore autonomia possibile: una tensione già presente nei precedenti pareri dedicati dal CNB al tema della salute mentale, e che è qui ripresa alla luce di importanti documenti internazionali, come la Dichiarazione di Helsinki sulla Salute mentale del 2005 e la Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità del 2007, ma anche alla luce di analisi, commenti e risoluzioni che, sempre a livello internazionale, evidenziano le criticità nella concreta realizzazione dei diritti enunciati.
Vi è una distanza ancora da colmare tra il modello ideale di cura della persona con malattia mentale che emerge in tutta la sua centralità, anche dai Piani di azione sulla salute mentale, proposti dall’Organizzazione Mondiale della Salute a diversi livelli, e la concretezza della prassi.
Il parere si sofferma sull’uno e sull’altro livello: a livello teorico, ai riferimenti, alle dichiarazioni, convenzioni e piani internazionali si affianca un’analisi delle misure di protezione giuridica, che il nostro ordinamento prevede a tutela delle persone con malattie mentali; a livello delle pratiche, si analizzano gli studi compiuti in Italia sul sistema di salute mentale, sia sui servizi per pazienti in fase acuta, che sulle strutture residenziali e sui presidi territoriali.
Da queste analisi, dal confronto tra teoria e pratica, così come dalle voci delle Associazioni di pazienti e familiari, emerge un elenco di priorità per un sistema di cura più efficace e rispettoso dei diritti delle persone con malattie mentali:
  • superare la variabilità esistente nell’approccio dei servizi;
  • incrementare la capacità delle strutture residenziali di dimettere i pazienti e di farli rientrare a casa;
  • individuare indici di qualità dei servizi;
  • colmare le carenze di interventi sul piano sociale, che costituiscono uno dei più importanti ostacoli al reinserimento;
  • incrementare la ricerca;
  • verificare l’appropriatezza dell’intervento farmacologico;
  • rendere effettivo il diritto dei malati a una diagnosi tempestiva e incrementare la presa in carico dei soggetti in età evolutiva.
Circa la chiusura degli OPG e il nuovo sistema di trattamento - previsto dalla legge n. 81 del 2014 - per gli autori di reato ritenuti incapaci di intendere e volere al momento del fatto e perciò prosciolti, il parere esprime apprezzamento per i principi che stanno alla base del nuovo sistema e dell’istituzione delle REMS.
In particolare, si raccomanda che sia rispettata l’ispirazione della legge che prevede progetti individuali riabilitativi sul territorio per i prosciolti come regola, laddove l’esecuzione della misura detentiva nelle REMS va considerata quale eccezione a cui si può ricorrere quando non esistano valide alternative che garantiscano adeguate prospettive terapeutiche.
Ciò comporta un forte impegno dei servizi territoriali nella presa in carico delle persone prosciolte.
Rispetto al permanere di ritardi, carenze nell’assistenza, stigma e discriminazioni, il CNB propone le seguenti raccomandazioni, per migliorare le condizioni di vita delle persone con malattie mentali:
  • avviare e sostenere campagne di comunicazione sociale;
  • sviluppare l’integrazione di “cure” e di “care” nel rispetto dei principi delle tre E (Etica, Evidenza, Esperienza);
  • istituire un sistema di valutazione della qualità delle prestazioni dei servizi;
  • promuovere la ricerca, sia sul piano farmacologico che su quello psico-sociale;
  • evitare le diseguaglianze fra le diverse regioni, assicurando a tutti coloro che vivono nel nostro Paese gli stessi standard di cura delle malattie mentali;
  • contrastare il decremento dell’organico dei servizi territoriali, aumentando le risorse fino a raggiungere gli standard di spesa dei più avanzati paesi europei;
  • sostenere le famiglie delle persone con malattie mentali, potenziando il supporto non solo dei servizi psichiatrici, ma dell’intera rete dei servizi sociosanitari del territorio;
  • attivare percorsi di formazione continua per gli operatori;
  • promuovere una maggiore attenzione per la salute mentale in età infantile e adolescenziale;
  • monitorare l’attuazione del nuovo sistema di trattamento dopo la chiusura degli OPG;
  • garantire la realizzazione dei diritti delle persone con malattie mentali, nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, con particolare riguardo alla libertà, all’uguaglianza di fronte alla legge, all’inclusione sociale
http://bioetica.governo.it/it/comunicazione/notizie/la-cura-delle-persone-con-malattie-mentali-alcuni-problemi-bioetici/

L’oscuro e inquinato mondo dei trasporti via mare

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Nonostante le mosse dei governanti per limitare l’inquinamento delle auto, il settore dei trasporti marittimi causa ancora moltissimi danni e non si ha intenzione di agire in maniera opportuna.
La questione riguardante l’inquinamento mondiale e il conseguente innalzamento delle temperature su tutto il pianeta è un problema che colpisce tutte le nazioni. Alcune di esse quindi hanno deciso di mettere un freno a questo fenomeno arrivando ad attuare misure di varia tipologia per evitare il disastro. Un esempio è sicuramente accaduto negli Stati Uniti, dove una buona fetta di finanziamenti pubblici sono andati alle aziende di Elon Musk, il proprietario della Tesla Motors e responsabile della creazione delle prime vetture ad energia elettrica. In Germania e in Inghilterra invece BMW e Mini costruiranno i primi modelli di auto elettrica entro il 2022. Insomma pare che tra qualche anno spariranno i diesel, una mossa che permetterebbe limitare di molto l’inquinamento. Ma se è vero che l’impegno per limitare i danni causati dalle automobili è portato avanti seriamente, vi è un campo dove i governi non hanno minimamente intenzione di agire.

Trasporto marittimo: una lunga scia di morte

Il settore del trasporto marittimo ogni giorno vede impegnati dei supercargo capaci di inquinare in maniera molto più dannosa l’ecosistema del mare, tanto da rovinarlo per sempre in alcuni dei casi. Secondo alcuni studi, 20 di questi mezzi di trasporto risulterebbero più inquinanti di tutti le automobili o automezzi disponibili sul suolo terreste. Inoltre vi è anche da considerare tutte le navi di questa tipologia affondate; secondo le statistiche si conterebbe almeno un naufragio ogni 3 giorni e 122 all’anno.

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Questo genere di eventi porta il contenuto (non sempre lecito ed ecologico) trasportato da queste imbarcazioni sul fondo dei mari, arrivando a depositare quasi 1,8 milioni di tonnellate di prodotti tossici nelle acque del pianeta. Purtroppo il quadro negativo che si prospetta davanti a chi cerca informazioni riguardanti questo settore poco conosciuto è ancora più oscuro del previsto; infatti il mestiere di trasportatore nei mari, a bordo di queste imbarcazioni di dimensioni mastodontiche, è il più pericoloso da intraprendere. Non a caso si conterebbero quasi 2000 morti l’anno.

Condizioni di lavoro massacranti e insalubri

A portare alla luce il mondo nascosto dietro il trasporto marittimo mediante i cargo è stata un’inchiesta portata avanti da France 5, denominata Cargos, la face cachée du Fret, ossia “Cargo, la faccia nascosta del trasporto marittimo“. In questa indagine viene messo in evidenza come il personale assoldato all’interno di queste navi sia per la maggior parte filippino. Questo è dovuto principalmente alla loro conoscenza dell’inglese e al costo della manodopera, decisamente basso. Le condizioni di lavoro risultano essere davvero difficili, dal momento che non sbarcano quasi mai e sono sempre in mare aperto.
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Perché nessuno interviene per arginare il problema?

Le ragioni per cui i governi non sembrano voler fare niente per risolvere questi problemi (inquinamento e condizioni di lavoro avverse) sono molteplici. La prima e forse la più importante è che all’interno del Protocollo di Kyoto non è prevede nessuna regolamentazione delle emissioni inquinanti emesse dai trasporti marittimi.
Il Team di BreakNotizie

Europa a rischio disastro nucleare come Fukushima

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A distanza di 5 anni dalla catastrofe nucleare di Fukushima, il presidente dell’Autorità francese per la Sicurezza Nucleare ha lanciato l’allarme: alcune centrali transalpine, e l’Europa con esse, rischiano di subire la stessa sorte.
Pierre-Franck Chevet, presidente dell’Autorità francese per la Sicurezza Nucleare, nel corso di un’intervista al quotidiano nazionale Libération, ha spiegato senza mezzi termini come non siano da escludere degli scenari catastrofici in Europa molto simili a quelli occorsi a Fukushima 5 anni fa. “Un incidente come quello di Fukushima potrebbe accadere anche in Europa. Non so dire quante probabilità ci siano, ma dobbiamo partire dal principio che è possibile”, ha dichiarato Chevet.
Chevet già mesi prima aveva parlato di un contesto molto preoccupante per quanto riguarda la sicurezza nucleare in Francia, per tre ragioni ben precise, che ha spiegato durante l’intervista al giornale transalpino. La prima è senza dubbio il mantenimento in servizio di centrali nucleari vecchie ormai 40 anni, operazione tecnicamente complicata. La Edf, Électricité de France, la principale compagnia elettrica in Francia, stima un costo di mantenimento che si aggira intorno ai 55 miliardi di euro. Un’opera colossale e molto dispendiosa.
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Occorre in secondo luogo considerare, a detta di Chevet, che il parco industriale nucleare venne edificato negli anni ’80 mentre gli standard di sicurezza nel frattempo sono aumentati non poco. Preoccupano molto, infine, le condizioni finanziare delle aziende del settore: Edf, Cea e Areva si trovano in gravi difficoltà economiche e di bilancia. Ciò significa che la mancanza di mezzi per le imprese si traduce in una minore sicurezza. Chevet ha comunque rassicurato sul fatto di aver prescritto degli adempimenti con tanto di scadenze. “Vigileremo affinché siano rispettate. Eseguiamo moltissime ispezioni e la legge ci consente di infliggere ammende se necessario”.

Centrali nucleari con oltre 40 anni

In seguito alle dichiarazioni di Pierre-Franck Chevet, un altro quotidiano francese, il 20 Minutes, ha provato a delineare una mappa dei reali rischi nucleari esistenti nel territorio francese, dove attualmente si trovano 158 reattori nucleari, distribuiti in 19 siti. L’azienda Edf ha voluto rassicurare l’opinione pubblica affermando che “il livello di sicurezza delle centrali è rivalutato sistematicamente alla luce degli standard internazionali”. I reattori sarebbero stati sottoposti infatti a degli stress test in modo da verificarne la tenuta in caso di condizioni estreme, come ad esempio attacchi terroristici, inondazioni o terremoti. Secondo l’esperto Yves Marignac, però, pur stilando una classifica dei reattori in base al grado di sicurezza non si esclude comunque che una catastrofe simile a quella di Fukushima possa avvenire anche nel sito reputato più sicuro.
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Due centrali nucleari a rischio vicine al confine italiano

Le centrali sulle quali sono ricadute maggiormente le attenzioni dei media sono quella di Fessenheim, situata in Alsazia in zona sismica, e con più di 40 anni di vita, e quelle di Civaux, in Francia centro occidentale, e di Chooz, al confine col Belgio, nelle Ardenne. A detta di 20 Minutes sono stati riscontrati dei problemi anche con il reattore in costruzione sulla Manica, a Flamanville. Nell’elenco delle 5 centrali da chiudere al più presto, secondo Greenpeace, figurano anche quelle di Bugey e Tricastin, non così lontane dal confine italiano. Il primo infatti si trova nei sobborghi di Lione, a due ore di auto dal confine con l’Italia e il secondo è a metà strada fra le città di Marsiglia e Valence.
Il Team di Breaknotizie

Mediterraneo discarica nucleare: le bombe inabissate dagli USA in Italia

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Al largo delle coste italiane gli Stati Uniti hanno occultato interi arsenali di ordigni bellici vietati, incluse bombe chimiche, che stanno tuttora avvelenando il Mediterraneo. 
La Seconda guerra mondiale miete ancora delle vittime, a oltre settant’anni di distanza dalla sua conclusione. E lo fa in Italia, per la precisione nel mar Mediterraneo, al largo delle coste del Bel Paese, dove gli alleati anglo-americani hanno affondato in maniera deliberata interi arsenali di ordigni vietati, caricati con sostanze chimiche, destinati ad annientare Germania, Italia e Giappone. Bombe chimiche pronte all’uso ma illegali perché vietate dal Protocollo di Ginevra datato 17 giugno 1925.

Discariche chimiche nel Mare Nostrum

Quasi tre quarti di secolo dopo, quegli ordigni a base di sostanze chimiche – fra cui fosforofosgenearsenico e iprite – si trovano ancora nel mar Mediterraneo e lo stanno lentamente, ma inesorabilmente, avvelenando. Queste discariche chimiche, inoltre, vennero realizzate all’insaputa delle autorità italiane, nascondendo gli arsenali in fretta e furia al termine della guerra. Lo scopo probabilmente era evitare che venisse alla luce il fatto che si trattasse di ordigni vietati non impiegabili nel corso del conflitto.
I documenti che riguardano l’operazione di occultamento delle bombe sono ancora parzialmente top secret. Tuttavia, diverse ricognizioni effettuate sui fondali dei nostri mari hanno permesso di individuare con una certa precisione le aree in cui sono collocati tali ordigni. In alcuni casi, sono stati anche trovati i relitti di diverse bombe chimiche. Secondo uno studio diffuso dall’Ispra nel 2006, i veleni tossici presenti all’interno degli ordigni sono già penetrati nella catena biologica e giunti fino a noi.
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Le conseguenze degli ordigni chimici sull’ambiente e l’uomo

Chi ne ha fatto le spese? In primo luogo i pescatori: anche in questo caso si è cercato di occultare i documenti per evitare che divenissero di pubblico dominio. Le cartelle cliniche dei pescatori colpiti da particolari malattie non sono accessibili poiché secretate secondo quanto disposto da Winston Churchill. L’allora premier della Gran Bretagna poteva imporre tali decisioni in quanto al tempo i porti italiani erano sotto il controllo dei militari d’Oltremanica. Gli ordigni chimici inabissati nei mari italiani verso la fine della Seconda guerra mondiale sono stati oltre 200 mila.

Dove si trovano gli ordigni chimici inabissati?

Le bombe proibite finora localizzate si trovano nei fondali bassi, al largo di Molfetta e del Gargano, altre poco distanti dall’isola di Ischia e nel mare di Sardegna. La scelta di inabissare alcuni di questi ordigni nel mare Adriatico può essere definita doppiamente criminale dato che si tratta di un bacino chiuso le cui acque superficiali impiegano per il ricambio oltre un centinaio di anni.
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Nessuna scusante

Le circostanze eccezionali della Seconda guerra mondiale non possono essere ritenute un’attenuante poiché gli Stati Uniti sembrano considerare i nostri mari una discarica in cui eliminare armi illegali. Ciò che è avvenuto nel 1945 si è poi ripetuto durante il conflitto nella ex Jugoslavia. In tale frangente ad essere gettati nell’Adriatico furono gli ordigni a base di uranio impoverito che, a distanza di vent’anni, si trovano ancora lì, a dispetto delle promesse di bonifica fatte sia dai governi italiani che dalla Nato. Gli unici che, invece, avrebbero dovuto occuparsi di bonificare i mari che hanno avvelenato, ovvero gli Stati Uniti, se ne sono lavati le mani, lasciando nelle nostre acque le loro bombe fuorilegge.
Il Team di BreakNotizie

Modificazione genetica degli embrioni: il percorso diretto al design infantile

Il consiglio britannico per la bioetica ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che l'introduzione di modifiche nel DNA dell'embrione umano possono essere consentite solo nel caso in cui questo viene fatto nell'interesse del bambino.
Gli autori chiedono di dedicare più tempo a studiare la sicurezza e l'efficacia della modificazione genetica di una persona. Il reporter dell'agenzia Sputnik ha discusso la questione con il capo gruppo della Human Genetics Alert, il dottor David King.
Sputnik: Cosa ne pensate della modificazione genetica in generale?
David King: Il rapporto pubblicato è davvero vergognoso. Nel corso degli ultimi 50 anni la comunità internazionale lo ha messo in chiaro, questo è indicato nelle leggi di molti stati, non abbiamo bisogno di farlo, l'esistenza di queste regole ha la sua ragione, perché nella prima metà del XX secolo in Europa esisteva una dottrina che aveva il nome di eugenetica, di cui a suo tempo hanno goduto i nazisti, una dottrina che afferma che dovremmo escludere dalla società quelle persone che, come si credeva, erano geneticamente di livello più basso. Proprio questo è stato il motivo dell'Olocausto. Ecco perché per lungo tempo ci sono state queste regole, il Consiglio dichiara semplicemente: "non importa, se questo è nell'interesse del benessere del bambino". Mi dispiace, ma questo non basta. Abbiamo sempre pensato fosse la base per aiutare a prevenire la nascita di bambini malati, ma in realtà ci sono affidabili tecnologie. Se fosse necessario fare qualcosa nella famiglia, abbiamo già i metodi di selezione genetica, per questo metodo in realtà non c'è alcun uso medico, e lo riconoscono. Con questa nuova tecnologia è possibile fare qualcosa che non consentono le tecnologie esistenti, ovvero creare i cosiddetti bambini-progetto, una forma tecnicamente più complessa dell'eugenetica del 20esimo secolo. Oggi hanno scritto un gran numero di lavori scientifici, da scenari futuristici, l'eugenetica è molto facile nel mercato libero.
I genitori hanno un naturale desiderio di fornire ai loro figli il miglior inizio possibile in questa vita, e in condizioni di libero mercato  il desiderio si trasforma in un tentativo di dare ai loro figli un vantaggio competitivo rispetto ad altri bambini. Il problema è che le persone saranno in grado di farlo a differenza delle persone con basso reddito, i cui figli saranno ancora più svantaggiati. Senza dubbio, a causa delle forze di mercato si verificherà l'eugenetica del libero mercato.
Sputnik: Lei ha detto che attualmente sono già disponibili alcune procedure esistenti per la modifica dei geni, di che metodo si tratta e perché ritenete che questo tipo di modifiche non sia utilizzato, anche se con questo aiuto si è in grado di eliminare malattie gravi?
David King: Se sappiamo che gene è, sappiamo che tipo di mutazione ha, possiamo considerare tutti i geni e capire quale contiene una mutazione, e non entrare nel corpo femminile, nell'embrione, per mutarlo. Questo ci permette di evitare malattie genetiche nei bambini. Ma con l'aiuto di questa tecnologia non si potranno mai migliorare i geni, dare alla gente per ulteriori, nuove o migliori caratteristiche, perché i metodi di selezione funzionano solo con i geni presenti. Ecco perché la creazione di bambini con geni modificati è pericolosa.
Sputnik: Che cosa si può dire della prima fase dei test del feto per verificare la presenza di anomalie e di condizioni particolari, quelle che a volte portano all'interruzione di gravidanza?
David King: Si tratta di una questione molto complessa. Devo innanzitutto dire che io non sono religioso e non sono contrario all'aborto. Mi preoccupa non l'aborto o la distruzione di embrioni, o in che misura dobbiamo permettere ai genitori di interrompere la gravidanza, ma quando, forse, il feto è in grado di sviluppare un'anomalia genetica; è molto complessa la questione etica; io, naturalmente, non sono contro di essa. Tuttavia, io sono disabile, ho molta esperienza con i combattenti per i diritti dei disabili nel Regno Unito, molti sono molto spaventati dal fatto che il mondo sta cercando di fermare la nascita di queste persone, non è altro che la continuazione dell'eugenetica. Penso che per questo vale la pena di essere solidali e allo stesso tempo, sappiamo che alcune malattie genetiche sono davvero terribili sia per il bambino che per la sua famiglia. Abbiamo davvero bisogno di prestare attenzione alle persone con disabilità.

La ludopatia è ormai una piaga sociale

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La ludopatia è una piaga sociale sempre più estesa in Italia, con oltre trenta milioni di giocatori pronti ad affidare le proprie fortune all’azzardo.
Un popolo di giocatori d’azzardo: a giudicare da quanto è stato affermato in Parlamento, il nostro Paese ha un problema non da poco con la ludopatia. Nel 2016 nel corso di una interrogazione parlamentare presentata da Elena Carnevali, deputata del Partito Democratico, è venuto fuori un dato che fa letteralmente paura: 30 milioni di giocatori d’azzardo. A tanto ammonterebbe il numero complessivo di persone che in Italia si affidano al gioco o alle scommesse, sperando di svoltare dal punto di vista economico. Un sogno che nella stragrande maggioranza dei casi si trasforma in incubo.

Cos’è la ludopatia?

Per ludopatia si intende quella dipendenza da gioco che si trasforma ben presto in una vera e propria forma di schiavitù. Si partirebbe per passare il tempo, ma si finirebbe per diventare dipendenti, alla stessa stregua di chi dipende dalla sigaretta, dall’alcool o dalla droga. In particolare la droga delle persone afflitte da questa turba comportamentale è rappresentato da tutto ciò su cui si può scommettere, diventando così l’unica ragione di vita del giocatore compulsivo. L’interessato perde rapidamente ogni resistenza e capacità di porre dei limiti al proprio comportamento. L’esito finale di questa deviazione dai binari logici è l’accumularsi di gravi problemi che rischiano infine di travolgerlo del tutto. Va anche ricordato come la ludopatia sia stata inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) già a partire dal 2012, grazie al decreto Balduzzi.

Dati sulla ludopatia in Italia

La ludopatia in Italia riguarda oltre il 2% della popolazione, in base agli ultimi calcoli disponibili. Sembrano però calcoli per difetto, se si pensa che già il rapporto Eurispes del 2009 indicava in una forbice compresa tra l’1,3 e il 3,8 la percentuale dei soli giocatori problematici. Coloro che ne vengono colpiti sono soliti manifestare una necessità fisiologica di giocare d’azzardo; si puntano cifre sempre più alte proprio per poter alzare in continuazione l’asticella e trarne crescente eccitazione. Le persone che tentano di “smettere” sono colpite da irritazione e forte senso di instabilità, uniti alla caduta di ogni remora di carattere etico di fronte alla necessità di procurarsi le risorse finanziarie in grado di sostentarla.
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Aiuti concreti per i giocatori compulsivi

Per aiutare il giocatore compulsivo esistono attualmente dei trattamenti messi in campo da una lunga serie di organismi. Basti pensare in tal senso che le istituzioni hanno varato servizi territoriali sempre più organizzati e numerosi, resi necessari anche dal fatto che a cadere vittime della ludopatia siano sempre più spesso i giovani. I trattamenti utilizzati in questo quadro vanno dalla psicoterapia al varo di strutture residenziali, sino all’utilizzo di farmaci. Sull’esempio di quanto già accade per altre dipendenze si sono formati gruppi di sostegno, tra i quali vanno ricordati gli Scommettitori Anonimi. Va anche sottolineato come le strutture territoriali siano in grado di offrire interventi sociali e tutela economica, tesi a ripianare la situazione debitoria degli interessati. Il paniere di servizi che ne risulta si è comunque dimostrato un’efficace rete di protezione, pur non escludendo il rischio di ricadute.
Il Team di BreakNotizie

E se gran parte delle malattie fosse causata dall’inquinamento ambientale?

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Si guarda ancora con un certo sospetto alla teoria secondo cui varie malattie siano causate dall’inquinamento ambientale, eppure molti studi la confermano.
E se fosse l’inquinamento dell’ambiente che ci circonda la causa della maggior parte delle malattie con cui ci troviamo a dover fare i conti (e che ci stanno uccidendo)? Per molte persone questa teoria è ancora priva di fondamento, eppure gli studi a suo supporto sono numerosi e si aggiornano di anno in anno. A rafforzare ulteriormente tale tesi c’è anche quella che viene definita rivoluzione epigenetica, ovvero i cambiamenti che hanno riguardato l’attività dei geni senza però alterare le sequenze del Dna.

L’inquinamento influisce sul nostro DNA

L’attività dei geni viene modificata a seconda delle informazioni che essi ricevono dall’esterno, per cui anche dall’ambiente nel quale si vive. L’epigenetica è quel settore della medicina che studia le modifiche che riguardano l’attività dei geni e molti studiosi di questa branca hanno sottolineato come ogni giorno le nostre cellule ricevano informazioni dall’ambiente esterno – molecolecorrenti di tipo elettromagneticosostanze chimiche di sintesi e altro ancora – che interagiscono con l’epigenoma del Dna.
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Come ben sappiamo, sono miliardi le persone al mondo che devono fare i conti con un ambiente inquinato. Le informazioni che le loro cellule ricevono dall’esterno possono essere definite anch’esse “inquinate” e portano il Dna a funzionare in maniera differente rispetto a come dovrebbe fare. In breve ciò significa che un ambiente inquinato influisce negativamente sull’attività che svolge il nostro Dna. Tale influenza negativa si esplicita attraverso un incremento notevole di patologie di tipo cronico-degenerativo, malattie tumorali e infiammatorie.

La specie umana rischia l’estinzione: che fare?

Queste patologie hanno fatto registrare una crescita significativa nei Paesi industrializzati e in quelli dove le percentuali di inquinamento dell’ambiente risultano elevate. Quali sono i rischi per gli esseri umani? Senza mezzi termini, sono tanti gli studiosi che hanno parlato apertamente di rischio di estinzione per la specie umana. Sarà inevitabile se non si interverrà in tempi brevi con misure efficaci – che esistono, ne è un esempio l’Isde, il documento programmatico su ambiente e salute – per ridurre l’inquinamento dell’ambiente, che ci sta modificando dall’interno e ci rende più deboli ogni giorno che passa, uccidendoci sempre più rapidamente.
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Il Team di BreakNotizie

La Banca Mondiale «contribuisce» al land grabbing

Vogliamo far fronte all'emigrazione di massa dall'Africa? Cominciamo ad aiutare gli africani a combattere l'odioso land grabbing, o furto di terre ai contadini. Che il fenomeno dell’accaparramento di terre coltivabili da parte di grandi compagnie straniere porti fame, violenze, repressioni, sgomberi e perdita dei mezzi di sostentamento per i piccoli agricoltori in Etiopia, e più in generale nei paesi in via di sviluppo, è qualcosa di cui si parla da qualche anno. Quello che è meno noto, invece, è che tra i complici di questo processo ci sarebbero anche enti che, per loro natura, dovrebbero remare nella direzione opposta. «Stanno contribuendo a questo disastro l’Unione europea, la Banca Mondiale e il Dfid», il Dipartimento per lo sviluppo internazionale del governo del Regno Unito. C’è tutto questo in “Dead Donkeys Fear no Hyenas” (Gli asini morti non temono le iene), un recente documentario del regista svedese Joakim Demmer dedicato al land grabbing.
La vicenda che ha portato alla realizzazione di questo video è piuttosto interessante ed è lunga parecchi d’anni. Il film, si legge nella nota di presentazione ufficiale scritta da Demmer, «fu innescato da una scena a prima vista di poco conto all’aeroporto di Addis Abeba, sei anni fa». Era notte e il regista stava aspettando un volo. «Mi è capitato di vedere alcuni lavoratori stanchi che stavano caricando alimenti su un aereo destinato all’Europa», scrive Demmer, «e, allo stesso tempo, un altro gruppo era occupato a scaricare sacchi con aiuti alimentari da un secondo aereo». Il regista ammette quindi che «ci è voluto un po’ di tempo per realizzare il vero significato della scena, cioè che questo paese colpito dalla fame, dove milioni di persone dipendono da aiuti alimentari, sta esportando cibo verso di noi».

Foto WG Film

Indagando su questa situazione – ricostruisce il sito svedese Arbetet Global – Demmer incontrò un giornalista locale che si occupava di temi ambientali e che stava cercando informazioni sul parco nazionale Gambela. I due iniziarono a collaborare e scoprirono così che gli investitori di Saudi Star Agricultural Development avevano avviato una azienda agricola di riso. E proprio per permettere la vendita della terra agli investitori, il governo etiope aveva cacciato la popolazione locale. «In Etiopia il land grabbing è fatto anche con la forza», ha detto il regista alla testata svedese, «la gente non se ne va volontariamente dalle proprie case».
Le condizioni per continuare a seguire la storia furono parecchio complicate. Come spiega ancora Demmer. «L’Etiopia è una vera dittatura anche se si svolgono elezioni. L’apparato governativo è ovunque. Se quattro persone si riuniscono in un posto, per lo meno una di loro andrà a fare un rapporto alla polizia segreta. Per questo motivo, sin dall’inizio, abbiamo dovuto chiederci se fosse possibile raccontare questa storia senza compromettere la sicurezza di altri».
Ebbene, durante lo svolgimento del documentario è capitato anche che due giornalisti svedesi fossero arrestati in Etiopia, Martin Schibbye e Johan Persson, mentre Demmer continuava a filmare «sotto il radar del regime etiope», scrive l’Arbetet Global. Che aggiunge che il paese africano dipende dagli aiuti alimentari d’emergenza, che vanno a circa 3 milioni di abitanti, e che la Banca Mondiale ha supportato il programma di sviluppo “Protezione di servizi di base” con miliardi di dollari. Ed è proprio a questo proposito che il documentario mostra le complicità della Banca Mondiale con il land grabbing.
«In diverse parti dell’Etiopia il programma di sviluppo ha funzionato, ma in molte regioni il regime ha usato queste risorse disponibili per mandare via le persone limitando gli aiuti solo ai nuovi insediamenti», dice ancora il regista. «Nuovi villaggi che servono come una sorta di alibi per il governo etiope».
Quanto al ruolo della Banca Mondiale, il regista ha specificato che l’organizzazione «era informata della situazione sin dall’inizio, ma ha scelto di ignorarla. Alla fine fu avviata un’inchiesta interna, ma hanno ignorato le testimonianze degli abitanti locali».
Nel documentario ci sono racconti di violenze e tradimenti fatti da diversi testimoni. Secondo Demmer, dunque, le popolazioni locali non sono più solo dipendenti dagli aiuti alimentari, ma a risentirne è la loro identità culturale, che sta morendo visto che non hanno più accesso alle terre legate alla loro storia.