venerdì 28 settembre 2018

Osservatorio Blockchain 2018: crescono del 73% i progetti e si afferma un nuovo rapporto con le cryptocurrency

Dal Proof of Concept (PoC) al business, dalla sperimentazione alla realtà dei servizi per imprese e cittadini. La Blockchain è in una fase di passaggio fondamentale contrassegnata da un aumento dei progetti e da una conferma della crescita, sempre esponenziale, degli annunci di nuove iniziative. I progetti censiti sul 2017 arrivano a quota 331 e segnano un progresso del 73% rispetto al 2016 mentre gli annunci confermano un trend di attenzione e di spinta verso la sperimentazione con una crescita del 273%.
L’occasione per fare il punto su quel “grande laboratorio a cielo aperto” che è oggi la Blockchain è rappresentato dal primo convegno dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano. Il convegno conclude il lavoro del tavolo di lavoro Blockchain & Distributed Ledger e nello stesso tempo è anche il momento di inizio del nuovo Osservatorio, in collaborazione con il DEIB, il Dipartimento di Elettronica Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano.

Un ecosistema di valori basati sulla blockchain

Un passaggio simbolico questo che conferma la crescente importanza dell’ecosistema degli attori che ruotano attorno alla Blockchain sia in termini di sviluppo tecnologico e culturale, sia in termini di nuove prospettive di businessValeria Portale, Direttore dell’Osservatorio apre i lavori sottolineando subito la scelta di portare nel titolo stesso del convegno il tema dell’Internet of Value e confermando come la Blockchain si presenta come il passaggio dall’Internet delle persone all’Internet del Valore. E proprio sul tema del valore non si può non iniziare dal bitcoin, dalla Bitcoin come Blockchain e dal bitcoin come cryptocurrency e come simbolo di tutte le crytpovalute che aperto la strada a fenomeni di portata globale come ad esempio le Initial Coin Offering (ICO) o di straordinario impatto sociale o locale come le monete complementari, le valute di scopo o ancora a progetti affascinanti e potenti, anche e soprattutto dal punto di vista dell’innovazione “sociale”, come le monete programmabili.

Blockchain come innovazione senza limiti

Siamo davanti a una “bestia da domare” per usare l’espressione efficace di Nicolò Romani di SIA o a una “innovazione senza limiti“, come dichiara con entusiasmo Marta Piekarska di Hyperledger? Entrambe le affermazioni sono valide per descrivere cos’è e dove ci porta la Blockchain, ma ci sono non pochi “nodi” da sciogliere perché le aziende e le Pubbliche Amministrazioni possano effettivamente e compiutamente sfruttarla. E forse il primo e più grande dubbio, si potrebbe dire “amletico” è quello tra Blockchain Pubbliche e Private tra Permissionless e Permissioned con tutte le “sfumature di grigio” che segnano la sperimentazione oggi attiva sulla Blockchain.
E l’Osservatorio parte proprio dai progetti che con Blockchain o “grazie alla” Blockchain supportano le imprese e le Pubbliche Amministrazioni con nuovi servizi o rendono più efficienti e sicuri quelli esistenti. La spinta più importante continua ad arrivare dal finance che con 172 progetti è ancora il motore di sviluppo più importante e che copre ben 172 dei 331 progetti censiti, vale a dire il 59% del mercato. Seguono a distanza settori a singola cifra a partire da Government con il 9% dei progettilogistica con il 7,2%,  utility con il 3,9%, per arrivare all’agrifoodcon il 3% ad assicurazioni, healthcare, trasporto aereo, media e Telco un quote variabili dall’1 al 3%.

La crescita dei progetti Blockchain nel mondo


Lo sviluppo Blockchain tra “Pubbliche” e “Private”

Interessante seguire poi lo sguardo di Valeria Portale sui processi e come immaginabile la Blockchain è primariamente utilizzata nell’ambito del paymentcon ben 94 progetti, segue il tracking di prodotti e materie prime e la supply chain dove sono attivi 67 progetti per arrivare alla gestione di dati e documenti con una quota di 64 progetti e infine le soluzioni per il mercato dei capitali con 51 progetti.
Se poi si guarda al numero delle banche centrali (29) che si sono attivate su progetti Blockchain si può dire che la prima fase della contrapposizione e della “paura” tra Blockchain e Istituti di credito è ampiamente superata. Nel dettaglio poi le banche guardano alla Blockchain primariamente per i progetti interbancari con 19 progetti in corso, ma anche all’ambito del retail banking dove si contano 9 progetti, oltre ad altre attività più orientata e alla sperimentazione, che si può leggere e interpretare nell’ambito del fenomeno della “servitizzazione” e che spinge le banche a creare soluzioni in chiave di bank as a platform.

L’innovazione sempre più spinta delle crytpocurrency

E se vale il tema simbolicamente rappresentato all’inizio, ovvero che la Blockchain segna la estensione dalla Internet delle Persone alla Internet del Valore le banche non possono certo lasciarsi sfuggire questa opportunità, anche perché sul risvolto monetario della Blockchain l’innovazione sta correndo come non mai e i numeri sono impressionanti.
Al 16 aprile ammontano a 894 le criptovalute attive, che generano una capitalizzazione di mercato che arriva a qualcosa come 327 miliardi di dollari. A questo proposito Valeria Portale sottolinea che il Bitcoin rappresenta oggi la quota più importante con il 42% del mercato e si confronta con un panorama in forte sviluppo a partire dal mondo Ethereum che vale oggi il 16% della capitalizzazione generale e Ripple che arriva all’8% e sono a loro volta seguite da BitcoinCash, LiteCoin, Cardano, Stellar, Iota, Neo e Monero.

Il profilo delle prime 10 cryptovalute

Significativa poi in confronto dei principali attori della Internet of Value con Bitcoin che nel 2017 ha gestito qualcosa come 103 milioni di transazioni con 97 milioni di bitcoin transati per un “controvalore” di 375 miliardi di dollari e con il coinvolgimento di 11.128 nodi. Ethereum nel 2017 è arrivata a una quota simile di transazioni (100 milioni) e ha gestito 21.862 contratti con 15.962 nodi. Non è naturalmente corretto un confronto diretto, ma i numeri permettono comunque di valutare le dimensioni dei fenomeni e Ripple nel 2017 con 12 partner coinvolti ha gestito 200 milioni di transazioni per un valore di 550 miliardi di dollari di transazioni.
Se poi si sposta l’attenzione verso un confronto tra valute tradizionali e cryptovalute la valutazione deve partire dal tema focale della decentralizzazione. Per le crytpocurrency è il network stesso a stabilire la validità della transazione, e consente progettare soluzioni per le monete programmabili e per disporre di una completa tracciabilità.
L’altro grande tema delle cryptocurrency è rappresentato dalla sicurezza che grazie alla crittografia e all’immutabilità permette di ridisegnare il paradigma stesso di transazione. Bene, molto bene, ma poi le criptovalute sono anche, come ben noto, anche molto volatili, non sono poi  “facili da scambiare” e la scarsa regolamentazione della materia espone i consumatori/clienti a rischi o anche semplicemente alla difficoltà di gestire eventuali disservizi. Il vero tema è poi in realtà legato alla mancanza di una vera politica monetaria condivisa.

Vantaggi e svantaggi delle cryptomonete

Nello sesso tempo questa deregolamentazione ha per certi aspetti favorito lo sviluppo di tanti fenomeni che stanno sfruttando la flessibilità di Cryptomonete e “token” per fenomeni come l’Initial Coin Offering (ICO) e la tokenization. Fenomeni che da una parte hanno aperto le tasche a tanti investitoti in cerca di innovazione anche sotto il profilo finanziario, ma hanno anche contribuito a fare aprire gli occhi a molti istituti che rischiano di perdere un treno di portata globale.
Ecco che sono ben 29 le banche centrali che hanno deciso di fare sperimentazione per applicare le “performance” delle criptovalute alle valute tradizionali, e hanno dato vita al fenomeno delle “criptovalute vigilate“. Sotto questo ennesimo neologismo si sono aperti o in alcuni casi riattivati o rinvigoriti nuovi processi di innovazione, come quelli legati alle monete complementari o quelli delle monete programmabili.

Il progetto Cryptoeuro

In questo senso un bell’esempio è rappresentato dal progetto di ricerca “Cryptoeuro” che vede in pista attori come lo stesso Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger  in collaborazione con l’Associazione Italiana Prestatori Servizi di Pagamento (APSP) e con lo sforzo tecnologico di Reply.
Ma che cos’è “Cryptoeuro”? Già il nome promette di unire le caratteristiche delle Cryptocurrency con la “Governance” che caratterizza appunto la moneta europea nella forma di una criptovaluta vigilata e programmabile che permette di portare efficienza e sicurezza e tracciabilità nei processi di pagamento in settori come le assicurazioni, le utility, le banche.
Da Valeria Portale arriva poi l’invito a portare l’attenzione sul ruolo degli sviluppatori e delle startup. Il mondo Blockchain fa oggi leva proprio e primariamente sull’azione di innovazione delle startup e dei developer. L’Osservatorio ha mappato 20 nuove imprese italiane attive in diversi settori dall’agrifood alla finanza, dall’Internet of things alla gestione dell’Identità, dalle utility alla supply chain. Portale ricorda inoltre che la Blockchain permette di portare nuove forme di innovazione a difesa e a valorizzazione del Made in Italy a livello di tracciabilità e di anticontraffazione, ma è molto importante cercare di colmare il gap di competenze che rischia di penalizzare l’innovazione nel nostro paese.

Violenza contro le donne, ogni giorno deve essere 25 novembre

Il 25 novembre giornata contro la violenza delle donnne, rispetto ed onore delle donne nel mondo...
Il 25 novembre giornata internazionale contro la violenza delle donne, Confedercontribuenti pubblica un messaggio nel rispetto ed onore delle donne del mondo. “Ogni giorno deve essere 25 novembre, ogni giorno contro la violenza”

OGNI GIORNO DEVE ESSERE 25 NOVEMBRE, OGNI GIORNO CONTRO OGNI VIOLENZA!

Con questo messaggio Confedercontribuenti vuole rendere rispetto ed onore alle Donne del mondo.
Almeno una donna su tre nel mondo ha subito una qualche forma di violenza nella propria vita: a casa, a lavoro, a scuola, in strada.
L’ONU nel 1999 istituì la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, spronando i governi, le organizzazioni non governative e quelle internazionali a partecipare attivamente dando vita a attività volte a educare su questo argomento che, purtroppo, risulta ancora attualissimo.
Nel mondo si moltiplicano le iniziative in occasione del 25 novembre.
In questi ultimi 10 anni l’Italia ha fatto enormi passi avanti in termini di legislazione per quanto riguarda la violenza di genere.
Ma nei fatti come è la situazione?
Nonostante le  leggi ci troviamo di fronte ancora con una mentalità retrograda che  concepisce il prossimo come propria proprietà: “la mia…/il mio…”.
Ci troviamo di fronte a forze dell’ordine, soprattutto nei piccoli centri, che davanti ad una richiesta di aiuto immediato non darebbero giusta risposta.  Ci troviamo in questo momento di forte crisi economica ancora di più davanti ad una prepotenza e sudditanza economica. Ben vengano queste giornate di sensibilizzazione forti ma dovremmo educare al rispetto dell’altro e perseverare in tale direzione affinché la violenza, in ogni sua forma e non necessariamente solo fisica, sia solo un brutto capitolo della storia dell’umanità.

Blockchain, H-Farm e Deutsche Bank aprono la caccia alle startup

AL VIA L'ACCELERATORE CONGIUNTO RIVOLTO ALLE REALTÀ SPECIALIZZATE IN SOLUZIONI ENTERPRISE. IN PALIO UN SEED FUNDING DA 20MILA EURO E SERVIZI PER UN VALORE COMPLESSIVO DI QUASI MEZZO MILIONE. CANDIDATURE APERTE FINO AL 23 OTTOBRE


“Negli ultimi anni la tecnologia blockchain ha rivoluzionato il mondo delle cyber valute, ma la vera opportunità è rappresentata dalle applicazioni industriali. Siamo contenti di condividere con una realtà all’avanguardia come Deutsche Bank la stessa convinzione che la blockchian rappresenti una leva strategica di sviluppo che può creare efficienza in moltissimi ambiti applicativi, trasformando i principali processi aziendali”. Timothy O’Connell, direttore programmi di accelerazione di H-Farm, commenta così l’apertura della call internazionale per le startup blockchain lanciata in tandem con Deutsche Bank, che inaugura la nascita di un acceleratore in partenza a novembre.


La tecnologia blockchain, spiega una nota, ha già dimostrato il suo potenziale nella capacità di riconfigurare la società in tutti i sui aspetti economici, politici, umanitari e legali. Il giro d’affari mondiale annuo delle tecnologie blockchain aumenterà da 2,5 miliardi di dollari del 2016 a 19,9 miliardi entro il 2025 (dati Tractica). Le prospettive offerte dalla tecnologia madre dei Bitcoinhttp://www.blockchain4innovation.it/tag/bitcoin/hanno spinto le due società a rivolgersi alle startup che hanno sviluppato soluzioni enterprise basate sulla tecnologia blockchain e a lanciare un nuovo programma di accelerazione. Nel mirino ci sono le applicazioni della blockchain oltre la valuta, considerando soprattutto l’impatto tecnologico negli ambiti Trade & Payments, Logistics & Transportation, Procurement & Supply Chain, Cloud & IT and Legal.
Al via la call: candidature aperte fino al 23 ottobre

Potranno candidarsi al Blockchain Business Solution Accelerator startup che hanno sviluppato soluzioni innovative basate sulla tecnologia blockchain con l’obiettivo di potenziare i settori automotive, food&beverage, manufacturing, energy, finance e insurance. Tutte le candidature dovranno essere presentate entro il 23 ottobre e le 5 soluzioni che verranno considerate più innovative parteciperanno al programma di accelerazione in partenza il 27 novembre. Al team selezionato andranno 20mila euro di seed funding, con la possibilità di ulteriore investimenti alla fine del programma, oltre alla possibilità di accedere a centinaia di servizi, gratuiti o scontati, che i partner offrono ad ogni team, per un valore complessivo di 450mila euro.

Al termine dei 4 mesi di accelerazione, le startup presenteranno i loro progetti in occasione della Demo Night dinanzi a una platea internazionale di business angel, investitori, aziende e venture capital, che potranno decidere di investire o di creare delle sinergie commerciali o tecnologiche con i team.

“Deutsche Bank sta investendo nella blockchain come la piattaforma per le Pmi Digital Trade Chain e il progetto Utility Settlement Coin – sottolinea Roberto Mancone, MD, Global Head Disruptive Technologies and Solutions di Deutsche Bank. – Sostenere, attraverso il programma di accelerazione con H-Farm, lo sviluppo di soluzioni blockchain nell’economia reale, supportare l’innovazione che genera sicurezza, identità ed efficienza attraverso la Distributed Ledger Technology, permette di immaginare un futuro di smart city, pagamenti machine-to-machine, identità protette fino a un nuovo livello impensabile fino a qualche anno fa”.



Bullismo e cyberbullismo una piaga sociale: lettera aperta di una lettrice


La testimonianza di una lettrice che ci racconta com'è provare sulla pelle il fenomeno del cyberbullismo e stalking.

La testimonianza di una lettrice che ci racconta com'è provare sulla pelle il fenomeno del cyberbullismo e stalking.

Bullismo e cyberbullismo sono piaghe sociali dei nostri tempi. Non colpiscono soltanto bambini e adolescenti ma anche adulti. Entrambi denotano atti violenti, offensivi, ripetuti nel tempo che spesso possono sfociare in una vera e propria persecuzione ai danni del malcapitato. Nel caso del cyberbullismo gli atti offensivi vengono perpetrati attraverso i social, WhatsApp o comunque il mondo virtuale, diffondendo foto imbarazzanti, informazioni private o rivelando dati personali, un fenomeno che per forza di cose coinvolge anche terzi, che si trovano a commentare o osservare la divulgazione di immagini o informazioni e rendersi così, in qualche modo, partecipi. In ogni caso con l’accrescere di questo fenomeno sono aumentati anche i capi di imputazione a cui si fa riferimento: stalking, diffamazione online, ingiurie, molestie, furto di identità digitale.

Un caso di stalking e cyberbullismo

Riportiamo la lettera di una nostra lettrice che ci ha scritto raccontandoci la sua personale esperienza con il cyberbullismo. Ovviamente non metteremo il suo vero nome ma la ringraziamo per la sua testimonianza che può essere da esempio per tutti quelli che si sono trovati nella stessa situazione.
Mi chiamo Roberta e sì, posso dirlo, sono stata vittima di cyberbullismo. Sono passati tre anni ma ancora non c’è giorno in cui non pensi a quel periodo buio in cui mi sono sentita perseguitata senza apparente motivo. Tutto è iniziato circa 4 anni fa, stavo ancora studiando all’Università e frequentavo un ragazzo da poco. Non sapevo che sarebbe stato l’inizio di un piccolo calvario. Il ragazzo in questione era da poco uscito da un’altra relazione con una coetanea e fu proprio lei a voler chiudere i rapporti. Un giorno, uscendo da lezione e recandomi verso la mia auto, ho notato che la stessa presentava un graffio molto vistoso. In un primo momento non ho dato importanza alla cosa seppur arrabbiandomi per il gesto. I giorni e le settimane seguenti altri episodi hanno iniziato a farmi insospettire. Sono iniziate ad arrivarmi richieste di amicizia da profili strani, una mia amica mi riferì che le era arrivata una richiesta di amicizia da un profilo che riportava il mio nome con una foto imbarazzante/ironica che avevo io stessa postato nel mio profilo visibile solo agli amici però, usata come immagine profilo e con uno slogan abbastanza offensivo. Capì che c’era qualcosa di strano, che qualcuno ce l’aveva con me e associai anche il graffio alla macchina di tre settimane prima.
A quel punto iniziai ad indagare su quei profili facendomi aiutare da un amico “nerd” ma non riuscimmo a far nulla, ad arrivare a nessuna conclusione. Intanto, una sera, tornando da una cena con il mio allora ragazzo, notai nel cruscotto un biglietto abbastanza eloquente con offese pesanti e minacce. A quel punto, anche grazie al mio ragazzo, mi resi conto che il motivo di quel piccolo calvario era lui. Era la sua ex fidanzata ad avercela con me e me lo confermò lui stesso, accennando al fatto che era sempre stata una tipa vulnerabile e a suo dire vendicativa. Ma mentre lui minimizzò, sdrammatizzando tutto con un “starà rosicando” io iniziai ad avere paura. Avevo paura a postare cose su Facebook, bloccai le richieste di amicizia, avevo paura ad uscire da sola dopo le 9 di sera, mi sentivo paranoica, come se qualcuno mi spiasse. I fatti precipitarono qualche settimana dopo, quando tramite amici seppi che qualcuno utilizzava quel mio finto profilo per insultare altre persone sui social e nel contempo venivano postate pubblicamente frasi offensive ai miei danni. Chiesi subito la segnalazione del profilo a Facebook e mi feci coraggio sfidando la ex ragazza del mio (ormai ex) ragazzo dicendole che sapevo che dietro a tutto ciò ci fosse lei e di fare attenzione altrimenti l’avrei denunciata. Momentaneamente le persecuzioni finirono, quel profilo Facebook fu cancellato e pensavo finalmente che fosse tutto finito. Mi sbagliavo. Dopo 2 mesi circa trovai il tergicristallo dell’auto spaccato e a terra un biglietto con una frase offensiva. A quel punto chiamai il mio ragazzo e gli dissi che avrei denunciato la sua ex per stalking ma lui cercò di fermarmi, dicendo che aveva molti problemi in famiglia, economici e personali e di lasciarla stare, che prima o poi avrebbe finito, anche perché  a suo dire, si stava frequentando con un altro. Cedetti alle sue richieste e feci finta di nulla ma qualche settimana dopo, tornando a casa da sola verso l’una di notte dopo una festa, notai un’ombra che mi seguiva appena uscita dal garage del mio condominio. Affrettai il passo e arrivai al portone, finchè da lontano non sentì quell’ombra pronunciare un epiteto sgradevole e sparire. Era troppo, andai dai carabinieri e denunciai il tutto, chiedendo la collaborazione del ragazzo che frequentavo, che però disse che non se la sentiva di denunciare la sua ex per i problemi che sapeva di avere, anche perché non c’erano prove nei suoi confronti a suo dire. Decisi di lasciarlo senza ripensamenti. Credevo che con la fine di questa storia sarebbero terminate anche le persecuzioni ma mi sbagliavo. Per altre settimane subì ancora post umilianti su Facebook, addirittura trovai un profilo a mio nome su Instagram con immagini orrende pubbliche. La fine di questa storia è arrivata dopo che ho denunciato il tutto alla polizia postale. Ho tirato un sospiro di sollievo, ma ancora a distanza di tre anni ci penso spesso. Oggi quella persona sta subendo le conseguenze dei suoi gesti mentre io sto bene ma purtroppo ho abbandonato i social, era più forte di me e il ricordo di ciò che è stato mi ha portato ad odiarli e cancellarmi da tutti. Spero che questa testimonianza possa dare forza a tutti coloro che hanno subito persecuzioni come è accaduto a me. La fine del tunnel c’è sempre.
Ringraziamo Roberta per la sua lettera e vi invitiamo a raccontare le vostre testimonianze su episodi di bullismo, mobbing, cyberbullismo etc per aiutare chi lo sta subendo o semplicemente per avere un consiglio o raccontare la propria storia.

ALL’IBM I DATI SENSIBILI DI 61 MILIONI DI ITALIANI

QUANDO C'ERA IL "BUON GOVERNO" DI RENZI...


Aberrante: è un segreto di Stato tricolore, anche se non riconosciuto formalmente: sui portali della presidenza del consiglio dei ministri e del garante per la protezione dei dati personali non c'è nulla in barba alla trasparenza amministrativa. Nel Memorandum of Understanding siglato il 31 marzo 2016 a Boston da Matteo Renzi, allora primo ministro sia pure di un governo senza mandato elettorale palesemente telecomandato da interessi finanziari stranieri, è scritto: 

«Come presupposto per realizzare il programma ed effettuare l’investimento Ibm si aspetta di poter avere accesso – in modalità da definire – al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani (intesi come dati sanitari storici, presenti e futuri) in forma anonima e identificata, per specifici ambito progettuali, ivi incluso il diritto all’uso secondario dei predetti atti sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti».


All’insaputa degli italiani, il capo di un governo eterodiretto dall’estero, in cambio di un investimento a Milano, si mette d’accordo con una famigerata multinazionale già in affari con Hitler per schedare gli ebrei da sterminare nei lager.
  
Il punto di forza di un regime totalitario è il controllo capillare e centralizzato delle informazioni personali e sensibili di ogni persona, fin dalla nascita. Ormai il paradigma politico dell’occidente non è più la società, ma il campo di concentramento, non Atene bensì Auschwitz. Il trattamento sanitario  obbligatorio mediante ben 12 vaccini a neonati, bambini e adolescenti - mediante un infimo decreto legge incostituzionale - è un pericoloso esempio nostrano sottovalutato.

Un comunicato stampa del 3 maggio 2017 segnala: «Sanità, Maroni: sistema Watson Ibm è innovazione importante per salute nostri cittadini… Infatti, ha osservato il Governatore, nel memorandum firmato con l'azienda Usa, Palazzo Chigi, lo definisce uno strumento che serve 'per ammodernare il servizio sanitario nazionale e la pubblica amministrazione, con conseguenti benefici in termini di efficienza e qualità'. "Io credo - ha affermato - che sia un investimento utile e importante, che insieme a Human Tecnopole e Città della Salute, farà di Milano un punto di riferimento in Europa per la sanità del futuro"… Il garante della Privacy, ha ricordato Maroni, "è intervenuto, visto che si tratta di una questione di grande rilevanza. Ma - ha sottolineato il Presidente lombardo - non ha detto di no o che non si può fare. Con una lettera inviata al Governo e alla Regione Lombardia, ha specificato che 'il trattamento dei dati personali, effettuato da soggetti diversi dal titolare del trattamento deve essere posto in essere da soggetti appositamente delineati, responsabili esterni del trattamento, individuati fra soggetti che per esperienza, capacità e affidabilità, forniscano idonee garanzie del pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento ivi compreso il profilo relativo alla sicurezza. Ciò premesso, al fine di garantire a questo ufficio di valutare compiutamente il trattamento dei dati personali in oggetto, si chiede di fornire precise indicazioni'. Cosa che noi - fa sapere Maroni - abbiamo fatto, il 20 di marzo, con una nostra lettera che specifica alcuni punti". Nella sua missiva, la Regione, ha proseguito Maroni, specifica che "noi non siamo parte sottoscrittrice dell'accordo. Sono stati il Governo e Ibm a identificare in Milano il luogo dove intervenire. Noi però abbiamo fatto sapere di essere fortemente interessati a questa prospettiva e valuteremo la proposta del Governo nell'ottica delle interessanti e postive ricadute che potrebbe portare alla collettività lombarda in termini di investimenti e riduzione del rischio e imprecisione nella diagnosi. Siamo consapevoli - ha aggiunto - di quanto precisato dal Garante della Privacy e prima di assumere impegni formali, avremo cura di effettuare, d'intesa con il Governo, una condivisione della procedura con il Garante della Privacy. Fino ad ora il Garante non ha risposto, attendiamo fiduciosi la sua replica, perché - ha ribadito - riteniamo che questo sia un investimento molto importante per la Lombardia e per l'Italia"».

Dunque, l’ultima brutta notizia documentata - un accordo di vendita sottoscritto da Renzi nel 2016 quando era presidente del Consiglio, per la cessione dei dati sanitari degli italiani all’IBM - è gravida di follia istituzionale  dimostra, ancora una volta, la completa sottomissione del nostro Paese agli Stati Uniti d’America, ma anche l'assenza di una pur minima opposizione politica a livello parlamentare. Non solo il governo italidiota si è impegnato a fornire i dati sanitari degli italiani, a cominciare da quelli della Lombardia, ma avrebbe anche elargito 60 milioni di euro all’IBM, in cambio dell’apertura sui terreni dell’Expo del centro europeo di Watson Healt, un cervellone elettronico che elabora dati medici, si occupa di genomica e di invecchiamento della popolazione. Un’azienda privata statunitense, insomma, che fa ricerca sulla pelle degli italiani, finanziata con soldi pubblici, mentre il servizio sanitario nazionale subisce sempre maggiori tagli, così come il settore della ricerca. 


L'IBM che fabbrica microchip da tempo, con i suoi potenti server controlla in Italia di tutto e di più, la sua centrale operativa si trova in puglia nella cittadella tecnologica di TECNOPOLIS che in tempo reale trasmette dati via satellite al cervellone dello zio Sam.



Ce n’è abbastanza per porre sotto processo Renzi e metterlo al bando dall’Italia, unitanente a tutti quelli che hanno consentito una simile mostruosità a danno della nostra intima sovranità.


MAURIZIO BASSETTI BERSAGLIO DI TORTURA ELETTRONICA DECEDUTO IL 9 OTTOBRE DEL 2010

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Maurizio Bassetti, economo del governo italiano, traslato 9 ottobre 2010, ex-testimone e bersaglio di torture elettroniche. (…).
Maurizio Bassetti
Nel 1994 Maurizio Bassetti, dopo essere stato militante dello PSIUP e del movimento negli anni ’60-70 lavora come economo alla Camera dei deputati, denuncia gravi irregolarità amministrative nella gestione delle forniture, una grande truffa di Stato, che ha portato al licenziamento di alcuni funzionari. La notizia, in piena Tangentopoli, finisce anche nei giornali e nasce il sospetto che i soldi servissero a finanziare dei “fondi neri”. Successivamente Bassetti viene richiamato dai superiori e invitato ad un incarico per l’America centrale, ma rifiuta preferendo la pensione.
Il dramma comincia quando nel Luglio del 2001 subisce una violenta rapina da parte di tre persone incappucciate che affermano di appartenere ai servizi segreti, chiedono i documenti e le foto compromettenti, subisce gravi percosse che gli causano la deviazione permanente dello sterno. Dal quel momento Bassetti subisce numerose violazioni di domicilio dove gli vengono portati via documenti e viene più volte manomesso il computer. Nel 2003 viene rinvenuta una microspia che, dopo gli accertamenti, risulta funzionante già dal 2000. Maurizio decide di installare delle telecamere nella sua casa e le visite cessano momentaneamente, nel Gennaio del 2004 viene rinvenuta un’altra microspia al piano inferiore.
La tortura tecnologica inizia nell’Agosto 2004 con delle scosse elettriche provocate, secondo Bassetti dopo aver consultato esperti in elettronica, da ultrasuoni. Bassetti sostiene che questi ultrasuoni gli interrompono il sonno e gli provocano dolori molto intensi in alcune zone del corpo, come il bruciore allo stomaco, all’intestino ed alla vescica; decide di trasferirsi a casa del figlio e poi in un nuovo appartamento. Nel novembre del 2004 comincia un vero e proprio bombardamento ad ultrasuoni, nel Gennaio 2005 rischia di perdere l’occhio sinistro. La tortura mira all’annientamento fisico e psichico della persona e gli impedisce una vita normale.
Recentemente la scoperta dell’uso di armi ad energia da parte dell’esercito nordamericano in Iraq nella battaglia dell’aeroporto a Bagdag, ha dato conferma dell’esistenza di questo tipo di armi tecnologiche. In realtà è in circolazione già da anni il Dizionario di tecnologie avanzate per la difesa (edizioni Murzia) di Mario Dearcangelis e Alberto Dearcangelis, in cui si parla di armi a radiofrequenza: i primi esperimenti sarebbero stati fatti in Russia per disturbare il cervello umano, con i risultati contrastanti di sonnolenza ed agitazione, euforia e depressione, ecc. Nel libro c’è un elenco sistematico di questo tipo di armi, in cui schematicamente si parla anche degli ultrasuoni di cui Bassetti denuncia essere vittima.
INTERVISTA A MAURIZIO BASSETTI VITTIMA DI TORTURE TECNOLOGICHE  
Michele_Fabiani
18 AGOSTO 2008   A cura di Michele Fabiani
(L’intervista è un’anticipazione del dossier in preparazione sulla tortura tecnologica e il controllo mentale in Italia)


Maurizio Bassetti ha lavorato alla Camera dei Deputati dal 1979 al 1996. Negli ultimi anni da economo denuncia alcune gravi truffe, le sue denunce finiscono anche nei giornali. Una volta in pensione comincia a subire furti e aggressioni in casa da parte di sedicenti appartenenti ai servizi segreti. Si sente spiato e assume alcune agenzie investigative con il compito di controllare chi, a sua volta, lo segue. Vengono individuati dipendenti del SISDE, delle forze armate, o loschi personaggi che entrano ed escono dalla questura, in un caso si tratta di un noto spacciatore romano. La tragedia inizia nel 2004 quando comincia a subire la tortura tecnologica. Oggi è membro dell’Associazione vittime armi elettroniche e mentali, il suo è uno dei casi più concreti e dimostrabili: dichiara di subire scosse elettriche provocate dall’emissione di onde ad ultrasuoni, strumenti facilmente acquistabili che negli USA verrebbero usati anche come pistole “scaccia cani”. E’ un esempio drammatico di quanto siano capaci gli organi repressivi dello stato, che mette seriamente in dubbio la possibilità della libertà in Italia.
D: Non sei stato sempre economo a Montecitorio?
R: No, ma le cose più interessanti avvennero quando ero economo.
D: Era il periodo di Tangentopoli…
R: Io e un mio collega ci eravamo illusi di poter fare una piccola Tangentopoli anche a Montecitorio. L’unico appoggio che abbiamo trovato è stato solo da parte dell’onorevole Galasso, il famoso avvocato eletto con il gruppo della Rete. Lui lavorava a livelli più alti, noi fornivamo le informazioni di base. Egli si interessò di alcuni palazzi acquistati dalla Camera a dei prezzi esageratamente alti. Ricordo un caso particolare in cui la Camera acquistò un palazzo a 120 miliardi dal Banco di Napoli. Era evidente che dei soldi ritornavano ai partiti. Da sottolineare il fatto che la Camera dei deputati, in quanto organo costituzionale, non può essere controllato per evitare di subire influenze.
D: Finanziamenti ai partiti?
R: Si. La nostra ipotesi era che siccome i partiti si finanziavano con questi investimenti, in cambio pagavano e permettevano ai dipendenti di rubare, così da solidificare il livello di omertà. Le mie denunce riguardavano in gran parte i dipendenti. Io ricordo che da economo finanziavo circa 20 miliardi l’anno e gran parte ne sparivano.
D: Quale effetto ebbero le denunce?
R: Sulle mie denunce vennero fatte due commissioni di inchiesta parlamentare, con mia soddisfazione. La soddisfazione calò quando Galasso non venne rieletto e gli atti vennero secretati. Apparentemente, comunque, avevo vinto e i personaggi più compromessi vennero cacciati.
D: Un partito in particolare?
R: Un partito in particolare che mi deluse fu il PDS, o PCI ora non ricordo bene cosa fossero, insomma gli attuali DS. Ebbero concretamente l’occasione per scoperchiare il tutto, ma evitarono di farlo per impedire che lo scandalo li coinvolgesse. Siamo dovuti andare allo scontro frontale da soli.
D: Non è facile.
R: Si, anche perché io ero uno dei dipendenti più a sinistra e qualche anno prima vennero scoperti dei dipendenti che erano membri delle BR. Quindi c’erano molti controlli e forse temevano che anche io fossi un infiltrato che spiava i politici. Solo così mi spiego tanto accanimento contro di me anche ora.
D: Quando sei andato in pensione doveva finire tutto?
R: Io sono andato in pensione nel 1996, mi sono dedicato alla fotografia e non mi sono più preoccupato di questa faccenda.
D: Quando si è verificato il primo episodio?
R: Nel giugno 2001, subito dopo la vittoria del centrodestra. Non so se è un caso, c’è un minimo di speranza in me ora che ha vinto il centrosinistra. Non che io abbia alcuna fiducia verso la sinistra, so che sono totalmente immischiati.
D: Cosa è successo?
R: Il 13 giugno ho avuto uno strano furto. Sono riusciti ad entrare senza forzare le porte blindate, come se avessero una copia delle chiavi. Poco dopo, il 3 luglio, ho avuto l’episodio più grave: ho trovato a casa tre energumeni incappucciati probabilmente con delle calze, mi hanno sbattuto a terra e mi hanno incerottato con del nastro da pacchi, mi hanno preso a calci e mi hanno chiesto la chiave di una cassaforte. Si sono subito qualificati come agenti dei servizi segreti. Cercavano prove e documenti, hanno anche minacciato di colpire mio figlio. Io ho riportato una frattura allo sterno per i cazzotti.
D: Strano atteggiamento quello di un membro dei servizi segreti di qualificarsi spontaneamente come tale.
R: Infatti credo sia una copertura. Un modo per rendere i servizi non sospettabili e lasciarli a dirigere gli attacchi. I tre energumeni non credo proprio siano stati degli agenti. Io so chi è uno dei tre, ma non ho le prove: si tratta di un piccolo delinquente, uno spacciatore di droga.
D: Quando se ne sono andati?
R: Dopo avermi trattenuto per un’ora, a mezzogiorno, quando la ragazza delle pulizie ha suonato alla porta. Praticamente mi ha salvato. Questa persona li ha visti in faccia quando mentre uscivano di casa. Pensa che lei non è nemmeno stata contattata dalla polizia per identificare i rapinatori.
D: Poi cosa è successo?
R: Ora mi rendo conto di essere stato sotto sorveglianza, mi filmavano, ero seguito da personaggi che si sono ripetuti negli anni. Ho avuto piccoli furti e danneggiamenti, una volta in particolare mi hanno danneggiato la caldaia e ho corso il pericolo di morire soffocato.
D: Non hai pensato di fare una denuncia per tentato omicidio?
R: Si ma tanto non servono a nulla le denuncie. Essendo contro ignoti non hanno effetto. Come posso dimostrare di non essere stato io a fare i danni per manie di protagonismo? In ogni caso non credo si fosse trattato direttamente di un tentativo di omicidio, anche se in quella occasione rischiai seriamente di perdere la vita. Con i mezzi che hanno avrebbero potuto uccidermi in mille modi. Credo piuttosto che vogliano spaventarmi.
D: Continuiamo…
R: Ho avuto una serie di questi episodi. Ricordo in particolare un furto in un mio box dove hanno portato via carte e materiali del lavoro a Montecitorio. Poi ho provato più volte a cambiare casa, ma queste cose si ripetevano lo stesso. Con agenzie private abbiamo ricostruito che dietro potrebbero esserci personaggi dei ROS e del SISMI. Ho dei filmati in cui abbiamo effettuato dei contropedinamenti e una delle persone che mi segue è proprio un dipendente del SISMI. Pensa che oggi al piano di sopra del mio appartamento c’è un albergo dove vive sempre la stessa persona, la quale sembra non lavori mai e passa il tempo a controllarmi, mentre al piano di sotto ci vive un carabiniere con una donna. Una volta, non sopportando più la tortura di cui sono vittima, ho perso la pazienza e sono andato al piano di sopra, nella camera di albergo in cui secondo me c’è qualcuno che mi spia, ho preso un treppiede e gli ho spaccato la finestra. Nella casa c’era sicuramente qualcuno, la luce era accesa. Immaginavo sarebbero venuti a protestare…invece si sono limitati a spegnere la luce e sono rimasti in silenzio. Non è il normale comportamento di chi gli viene danneggiata la finestra di casa, ne tanto meno è il normale atteggiamento che un albergatore ha nei confronti della sua proprietà quando viene danneggiata. Non ho ricevuto alcuna protesta. E’, secondo me ,una prova della loro malafede.
D: Parlavi di filmati e prove. Tutto questo sarebbe emerso dai contropedinamenti?
R: Da questi pedinamenti nei confronti di chi a sua volta mi pedinava, effettuati da agenzie investigative private alle quali mi sono rivolto, sono uscite altre cose molto interessanti: ho un filmato in cui alla stazione ci sono tre tipi, uno dei quali mi riprendeva con una telecamera che poi è andato in Questura. La cosa più stupefacente è lo straordinario impegno di mezzi e costi usati contro di me.
D: Quando è cominciato la cosiddetta “tortura tecnologica”?
R: Verso l’estate del 2004 sono cominciati gli ultrasuoni, una cosa che in principio mi ha particolarmente terrorizzato. Mi sono fatto una cultura, nel tempo, degli ultrasuoni, so che possono passare muri e porte. Sono mezzi che si usano in medicina per sciogliere i calcoli renali, o li usano contro i piccioni o contro gli stormi; vengono usati anche agli occhi per rimuovere la cataratta e molte altre applicazioni ancora…
D: Cosa senti?
R: Ci sono due tipi di reazioni, in genere, che subisco: con l’ultrasuono le piastrine e le particelle di ferro vengono attratte e provocano una forte fitta; oppure possono essere più diffusi e si sente una sorta di calore che aumenta fino al dolore. Il peggio è quando si soffermano sui testicoli e su altre parti delicate del corpo. Ultimamente sembra che vada un po’ “meglio”. O sono io che mi sono abituato o loro che hanno imparato a gestirli. Questa tecnica la usano in particolare la notte per svegliarmi.
D: Tutto ciò si verifica solo dentro casa?
R: In principio erano portati a farmelo ovunque. Dovrebbe trattarsi di apparecchi piccoli e maneggevoli. Forse era un modo per farmi capire che potevano raggiungermi ovunque. Recepito il messaggio sono passati ad attaccarmi in particolare a casa. Ora mi sono fatto costruire un apparecchio, una sorta di calamita che attira gli ultrasuoni e evita che mi cadano addosso.
D: Come hai fatto a scoprire che quelle scosse era in realtà provocate da ultrasuoni?
R: Sempre con le agenzie private. Hanno fatto venire a casa degli esperti che hanno misurato il tasso di elettricità nell’appartamento. Indirettamente ho avuto la conferma anche dal fatto che l’apparecchio che mi hanno dato funzionava.
D: Come fanno a coinvolgere solo te e non colpire altre persone? Come fanno a guidare le emissioni?
R: E’ come per un’arma. Ora dire una pistola è banale, ma per farti capire. In internet ho trovato chi vende questi prodotti, in america vengono usati contro i cani. Quando ci sono altre persone in casa questi episodi non si verificano, credo che mi controllino molto spesso. Capita però che quando sto fermo in una posizione riescono a colpire solo me evitando gli altri.
D: Perché avrebbero scelto proprio te? Solo come vendetta delle denuncie alla Camera?
R: La cosa che non capisco è proprio perché ce l’hanno con me. Alla fine non mi occupo di politica da decenni. Forse credono che io sappia più di quanto so, e in questo caso hanno preso un grosso abbaglio, oppure con l’11 settembre, con il pretesto della guerra al terrorismo, si permettono di usarci tutti come cavie…
D: Non c’è nessuno che possa vigilare? Nessuno che possa indagare sull’attività dei servizi segreti?
R: Secondo la nostra associazione anche a sinistra c’è molta convivenza. Il Manifesto e Liberazione non dicono quasi mai nulla, Dorigo ipotizza che il suo microchip sia stato impiantato nel 1996, con il centrosinistra al governo in Italia e per anni in seguito è stato Ministro della Giustizia Diliberto, segretario del PdCI, inoltre i deputati della sinistra fanno parte delle commissioni di controllo sui servizi, come possono non sapere nulla?

Michele Fabiani

FONTE : ANARCHAOS.ORG

Secondo l’Istat una donna su tre è vittima di abusi

Il 25 di novembre, come ogni anno, si è celebrata la giornata che ricorda la violenza sulle donne e sono stati resi noti i dati riguardanti lo scorso anno, forniti dall’Istat. In questo rapporto sono forniti dati che sintetizzano la gravità del problema, anche se in alcuni casi emergono dei miglioramenti.
L’Istat registra che nel corso della loro vita, almeno una donna su tre subisce abusi, per un totale di circa 7 milioni di donne. Il dato che segnala il miglioramento, è quello degli ultimi 5 anni analizzati, durante i quali la percentuale delle donne che hanno subito violenze sessuali o fisiche è diminuita, passando dal 13,3% all’11,3%. Nello stesso periodo però, sono aumentate notevolmente, passando al 40,2% dal 26,3%, le violenze classificate “gravi”, che comportano ferite nella donna che le subisce.
Un altro dato sul quale riflettere è rappresentato dalla percentuale dei giovani che giustificano le violenze, che secondo un dossier presentato da We World Onlus, è del 25%. Sempre il 25 novembre, Action Aid ha denunciato come ci sia poca trasparenza per quanto riguarda l’uso dei fondi che il governo ha stanziato per la lotta alla violenza, nell’ambito della legge sul femminicidio.
I dati del dossier Istat parlano di 6 milioni e 788mila donne colpite da violenza fisica o sessuale durante l’arco della loro vita, con una percentuale che nelle donne di età compresa tra i 16 ed i 70 anni, raggiunge il 31,5%. La percentuale delle vittime di violenza fisica è al 20,2%, quella di violenza sessuale al 21%, e i casi più gravi di stupri o tentati stupri sono rispettivamente 652mila e 746mila.
Quando si parla di molestie, nella stragrande maggioranza dei casi, il 76,8%, i responsabili sono degli sconosciuti. Per quanto riguarda gli stupri, invece, il responsabile è nel 62,7% dei casi il partner attuale della donna oppure il precedente, con il quale è stata interrotta la relazione. Nel 10,6% dei casi la violenza sessuale sulle donne ha come protagoniste ragazze di età inferiore ai 16 anni. Cresce anche la percentuale dei bambini che hanno dovuto assistere a episodi di violenza in famiglia, nella maggior parte dei casi contro la propria mamma, che sale al 65,2% nello scorso anno, mentre nel 2006 era al 60,3%.
A fronte di questi dati c’è però da registrare una maggiore “consapevolezza” da parte delle donne. Ciò ha permesso un calo della percentuale di violenze negli ultimi 5 anni. Ora le donne riescono ad uscire con più facilità dalle “relazioni a rischio”, in molti casi anche con una denuncia alle autorità. I numeri in questo caso segnano un aumento dal 6,7% all’11,8%. Per quanto riguarda invece gli stupri e i tentativi di stupro, non ci sono variazioni tra il 2006 e il 2014, con la percentuale che è rimasta all’1,2%.
Incrociando questi dati con quelli contenuti nel rapporto “Rosa Shocking 2. Violenza e stereotipi di genere: generazioni a confronto e prevenzione”, che è stato presentato da We World Onlus, insieme a Ipsos Italia emerge un’affermazione abbastanza pericolosa. Il 32% dei maschi di età compresa tra 18 e 29 anni ritiene che gli episodi di violenza devono essere affrontati e risolti all’interno della mura di casa. Oltre a questo, il 25% degli intervistati ha definito come giustificazione delle violenze il troppo amore nei confronti della propria donna, oppure l’esasperazione alla quale i violenti arrivano per colpa di atteggiamenti delle donne.
ActionAid ha invece posto l’attenzione sull’utilizzo dei fondi stanziati contro la violenza sulle donne, sottolineando come ci sia in effetti poca trasparenza. Solo 6 milioni dei 16,4 stanziati, infatti, sono effettivamente arrivati alle “case rifugio”. Viene anche evidenziato come solo 10 regioni mettono a disposizione la lista delle strutture che hanno ricevuto i contributie solo cinque di queste hanno pubblicato online i dati relativi ad ogni singola struttura.

La condizione delle donne in Guinea: matrimoni forzati e violenza domestica

Costrette a sposarsi da adolescenti e spesso sottoposte a violenze e maltrattamenti dai loro stessi mariti: è questa la tragica condizione di molte donne in Guinea, schiave fra le mura domestiche e poco tutelate dalla legge.
La maggioranza delle donne in Guinea non è libera di scegliere il proprio consorte ma viene costretta a sposarsi ancora minorenne con un uomo molto più grande designato ed imposto dalla sua famiglia. Non è un caso se nel Paese l’85% delle violenze perpetrate a danno delle donne si svolgono fra le mura domestiche.

Schiave fra le mura domestiche

Il 67% dei casi riguarda aggressioni in cui gli aguzzini sono i mariti, mentre nel restante 33% si tratta di altri componenti del nucleo familiare. In base ai dati forniti dallo studio “Un ritratto di violenza contro le donne in Guinea- Bissau”, il 41% delle donne intervistate ha dichiarato di non aver scelto liberamente il proprio coniuge.
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I diritti (calpestati) delle donne

Nel 2014 in Guinea Bissau è stata promulgata la legge “sulla criminalizzazione di tutti gli atti di violenza praticati nell’ambito delle relazioni domestiche e familiari” ma a tutt’oggi non esistono casi giudicati, nonostante i dati parlino chiaro circa la condizione delle donne fra le mura domestiche. Fra il 2006 e il 2010 le autorità di sicurezza e giudiziarie hanno registrato ben 23.193 casi di violenza domestica ma la maggioranza delle vittime, il 71%, non ha mai sporto denuncia. Ogni anno in tutto il Paese vengono denunciati in media solo 5 casi di violenza domestica.
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I motivi che spingono una donna a non denunciare è anzitutto la non conoscenza della legge che le tutela e dei diritti legali delle donne, ma anche la mancanza di competenza da parte delle strutture statali e della polizia e l’incapacità dello Stato stesso e delle organizzazioni tradizionali di creare una rete di protezione a favore delle vittime.

I matrimoni forzati e le spose bambine

I matrimoni forzati sono una pratica consolidata in Guinea-Bissau e non esiste una normativa chiara in merito, pertanto molte ragazzine già dall’età di 14 anni vengono costrette a sposarsi e ad essere precocemente madri. Come spiega la coordinatrice del progetto “Mani Tese” Paola Toncich, “Il matrimonio forzato non solo influenza i principi di libertà ed autodeterminazione di una donna, ma mette anche a rischio la sua integrità morale e fisica. La situazione è ancora più grave se associata al matrimonio in tenera età, con conseguenze negative come abusi sessuali, gravidanza precoce, abbandono scolastico e mortalità materna”.
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“Libere dalla violenza”, un progetto in aiuto delle donne della Guinea

In occasione della giornata internazionale della donna ha preso il via il progetto “Libere dalla violenza” finanziato dall’Unione Europea, al fine di sostenere ed accompagnare le donne vittime di maltrattamenti e violenze. L’impossibilità di accedere al sistema giudiziario formale per le donne della Guinea è uno dei grandi scogli da superare per assicurare alle vittime un’adeguata protezione giudiziaria e delle forze di polizia, oltre a garantire i servizi sociali di emergenza in modo da facilitare il recupero e il reinserimento sociale di quelle donne vittime di violenza, incluse le ragazzine che fuggono da un matrimonio forzato.
Nel Paese verranno creati tre centri regionali per il servizio di attenzione alla vittima e una casa rifugio che servirà a garantire assistenza psicologica, sociale, educativa e legale a queste donne”, ha spiegato Paola Toncich. Oltre a questi spazi, ne verranno adibiti altri più informali formati da gruppi di famiglie che in maniera indipendente e autonoma accoglieranno le donne. Il progetto è in collaborazione con un partenariato internazionale.

Torture, abusi e molestie: ex colf indiane descrivono gli orrori sul lavoro in Arabia Saudita

La coraggiosa testimonianza di due donne tenute in schiavitù dai propri datori di lavoro arabi.
Due donne indiane che lavoravano come domestiche in Arabia Saudita hanno deciso di testimoniare la loro terribile esperienza per rompere il silenzio sulle condizioni lavorative disumane alle quali centinaia di donne migranti vengono sottoposte ogni anno. Le due infatti venivano tenute in stato di schiavitù dai propri datori di lavoro e sono state oggetto di torture ed abusi sessuali.

La coraggiosa testimonianza di Noorjahan

“I proprietari della casa in cui lavoravo mi hanno trattato davvero male: erano soliti picchiarmi ogni giorno, molestarmi e torturarmi” ha dichiarato la trentottenne Noorjahan Akbar Husen durante un’intervista rilasciata a Rt News. Lei e suo marito erano stati truffati da un agente di Mumbai, che aveva promesso loro un lavoro sicuro a Riyadh, ma poi, una volta arrivati in Arabia Saudita erano stati separati e la donna è stata condotta in un’altra città, a Dammam, dove è cominciato l’incubo. Veniva costretta persino a prostituirsi nella casa in cui veniva tenuta in prigionia. La sua lotta per ottenere la libertà è durata diversi anni.
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“Quando ho informato l’ambasciata indiana mi è stato detto di continuare a lavorare, e che se mi fossi lamentata delle mie condizioni il proprietario avrebbe potuto avanzare una falsa denuncia nei miei confronti, facendo arrestare sia me che mio marito. Chiedevo loro aiuto tutti i giorni, ha raccontato Noorjahan, che ora vive nuovamente a Ahmedabad, in India.

Un incubo senza fine

Il datore di lavoro, grazie alle sue numerose conoscenze all’ambasciata indiana, le aveva impedito in ogni modo di lasciare il Paese. “Mio marito ha chiesto aiuto in molte occasioni al ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj ma lui non è mai intervenuto” ha spiegato la donna, aggiungendo che l’unico modo per riuscire ad ottenere aiuto è stato quello di corrompere i funzionari dell’ambasciata. “Alla fine mi dissero che potevano aiutarmi, ma per la cifra di 250 mila rupie [circa 3.700 dollari]. Ho chiesto un prestito per avere quella somma. Mio marito sta ancora lavorando in Arabia Saudita per poter rimborsare quel denaro ai creditori”.

Un fenomeno molto diffuso ma di cui non si parla

Noorjahan ha raccontato di aver visto circa 200 ragazze nella sua stessa condizione a Dammam. Donne che, come lei, avevano deciso di emigrare in Arabia Saudita con la speranza di poter guadagnare bene ma che poi si sono ritrovate in condizioni di schiavitù e sottoposte ad ogni tipo di vessazione da parte del datore di lavoro. L’umiliazione era parte del lavoro: venivamo trattate come animali. Se anche osavamo accennare una protesta venivamo picchiate e trascinate per i capelli”.
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Il racconto di Fatima

Un’altra donna, Anjum Fatima, anche lei truffata da dei presunti agenti di lavoro, ha raccontato che le persone che l’avevano assunta come domestica la costringevano a lavorare anche dopo essersi ammalata. “Mi picchiavano molto. Ho sofferto di terribili mal di stomaco e non mi hanno mai dato medicine per curarmi. Per sei mesi ho lavorato sino alle 2 del mattino, anche quando stavo male, e durante la notte mi torturavano. Se non erano soddisfatti del mio lavoro, mi lanciavano acqua bollente sul viso” ha raccontato Fatima.
La sua storia è molto simile a quella di Noorjahan: anche lei migrata in Arabia Saudita insieme al marito per cercare fortuna. Le era stato promesso un lavoro come cuoca a Medina, invece il suo datore di lavoro l’aveva condotta in una zona rurale della provincia Al-Qassim, offrendole una paga che era meno della metà della somma pattuita inizialmente, soldi che in realtà non ha mai ricevuto. Per poter tornare a casa lei ed il marito si sono rivolti alla polizia locale, che però si è sempre rifiutata di intervenire. Fatima ha deciso infine di inviare la sua storia al Times of India, uno dei più importanti quotidiani indiani. Quando la notizia si è diffusa, il datore di lavoro ha smesso di torturarla e alla fine le ha permesso di rimpatriare.

L’appello delle due donne affinché si sappia ciò che accade in Arabia Saudita

Noorjahan e Fatima hanno voluto testimoniare la loro traumatica esperienza per salvare altre donne dagli orrori che sono state costrette a sopportare e hanno lanciato un appello per dissuadere le persone dall’emigrare in Arabia Saudita in cerca di lavoro. “Vorrei dire a tutti coloro che vogliono trasferirsi in Arabia per lavorare e che sognano di diventare ricchi che è tutto falsoè una grande menzogna. Le persone che finiscono là vengono torturate, vessate e sfruttate sessualmente. Personalmente ho speso più soldi di quelli guadagnati in Arabia Saudita per tornare al mio Paese. Le altre donne dovrebbe evitare di andarci e non ripetere il mio stesso errore. Ho toccato con mano quanto possa essere orribile la vita in Arabia Saudita”, ha detto Fatima.

Le violazioni dei diritti umani in Arabia: leggi mai applicate

Nel 2013, l’Arabia Saudita ha approvato una legge sugli abusi domestici, la prima nella storia del Paese. Essa afferma che tutte le forme di abuso fisico e sessuale in ambiente domestico e sul posto di lavoro sono punibili con fino adun anno di prigione e una multa. A detta dei funzionari si tratterebbe solo della prima di una serie di misure per far diventare l’Arabia Saudita un Paese islamico tollerante. Nonostante ciò, l’Arabia fa ancora notizia per le ripetute violazioni dei diritti umani.
Secondo un recente rapporto di Amnesty International donne e bambine continuano a subire discriminazioni e non sono adeguatamente protette contro gli abusi sessuali. Sono ancora considerate legalmente subordinate ed inferiori rispetto agli uomini. L’organizzazione internazionale Human Rights Watchha attaccato più volte il Paese per la critica situazione sui diritti umani. Gran parte dei 9 milioni di lavoratori immigrati in Arabia Saudita, che costituiscono la metà della forza lavoro del Paese, subiscono ogni giorno abusi, percosse, stupri e sfruttamento in condizioni di semi schiavitù.