In un incontro del Politburo, teletrasmesso a tutti i governi delle contee e a tutti i reggimenti militari, il presidente cinese esalta il ruolo del Partito nel gestire la crisi. L’epidemia “non ha cambiato i fondamentali a lungo termine nella crescita economica della Cina”. Ma anche Xi ha taciuto sull’allarme infezione. Scienziati: il virus era presente a Wuhan da novembre. Ed è venuto “dall’esterno” del mercato del pesce. L’ipotesi del laboratorio di ricerche sul virus (a scopo bellico).
Roma (AsiaNews) – Il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha dato “giudizi accurati”; ha “operato con tempismo”; ha preso “misure efficaci” sull’epidemia. È quanto affermato dal presidente cinese Xi jinping in un incontro ieri alla presenza di quasi tutte le personalità del Politburo. Secondo Xinhua, l’incontro era diffuso anche in teleconferenza per farvi partecipare ogni governo di contea e ogni reggimento militare.
Mettendo in evidenza decisione, potere e lungimiranza, Xi ha elencato i passi risolutori per gestire la crisi: frenare la diffusione dell’epidemia; aumentare i trattamenti e le cure; evitare che il virus si diffonda anche a Pechino; sostenere politiche di stimolo per l’economia nazionale; stabilizzare il commercio con l’estero e gli investimenti. Egli ha precisato che l’epidemia “non ha cambiato i fondamentali a lungo termine nella crescita economica della Cina”.
“L’efficacia della prevenzione e il lavoro di controllo – ha detto - hanno dimostrato una volta di più i vantaggi significativi della leadership del Partito comunista cinese e del sistema socialista con caratteristiche cinesi”.
L’incontro ad alto livello e le parole di Xi sono un tentativo di contrastare tutte le critiche che piovono on line – e che vengono puntualmente cancellate – contro il modo in cui è stata gestita la crisi e che mette in discussione perfino la leadership di Xi.
Ricostruendo infatti tutte le tappe dell’epidemia, è ormai evidente che le autorità sapevano della diffusione del virus fin da dicembre scorso, ma hanno zittito i medici che avevano riportato il fatto, lanciando l’allarme solo il 23 gennaio. Lo stesso Xi è implicato in questo ritardo: Qiushi, una pubblicazione intellettuale del Partito, nella sua edizione del 15 febbraio afferma che Xi sapeva dell’epidemia fin dal 7 gennaio e che quel giorno ha dato indicazioni su come affrontare la crisi. Ma questa affermazione cozza contro quella del sindaco di Wuhan che alla televisione aveva confessato i ritardi, dichiarando di aver avuto bisogno del permesso di Pechino per lanciare l’allarme sul coronavirus.
Sempre più esperti puntano il dito contro la mancanza di libertà di parola che ha portato al soffocamento delle allerte provenienti dalla base e contro la gestione del potere dall’alto verso il basso, che hanno causato la diffusione del virus in Cina e nel mondo.
Ad accrescere l’inaffidabilità delle assicurazioni di Xi vi sono anche alcuni scienziati. Secondo uno studio dell’Accademia cinese delle scienze sociali e dell’Istituto per le ricerche sul cervello, pubblicato lo scorso 21 febbraio, il virus dove aver fatto la sua comparsa fin dal novembre 2019 a Wuhan e si è stabilizzato ai primi di dicembre nel mercato del pesce della città. Finora tale mercato è stato considerato l’epicentro dell’epidemia, dato che in esso si vendono animali selvatici come pipistrelli, serpenti e pangolini, ritenuti il mezzo che ha fatto trapassare il virus nell’uomo.
Lo studio però dubita che il virus sia stato originato nel mercato del pesce e suggerisce che esso sia stato “importato dall’esterno”.
La nuova ipotesi scientifica riapre il sospetto che il coronavirus abbia origine da un laboratorio situato vicino a Wuhan, dedito a ricerche sui virus (secondo alcuni a scopo bellico). Finora molti hanno considerato questa idea come “complottista”. Forse ora diviene più credibile. Ma la mancanza di libertà di parola rende difficile giungere alla verità.
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