giovedì 27 febbraio 2020

Coronavirus, il parere dell’immunologo Attilio Speciani su come evitare il panico

Tutto quello che c’è da sapere sull’epidemia del nuovo coronavirus. Quali sono i sintomi, quali le misure contro il contagio, perché sono stati infettati i medici, quando finirà. La parola all'immunologo Attilio Speciani.

I dati diffusi sul nuovo coronavirus, denominato ufficialmente Sars-Cov-2, sembrerebbero preannunciare l’apocalisse. Con sintomi simili a quelli dell’influenza, come naso che cola, febbre, tosse e mal di gola, diventa difficile distinguerlo da un normale raffreddore. Il numero delle vittime aumenta ogni giorno, così come il numero dei contagi. Ma quando si impara a leggere questi numeri nel modo corretto, la realtà risulta diversa. Ci siamo rivolti al dottor Attilio Speciani, immunologo clinico e specialista in allergologia, nonché direttore scientifico dello studio medico Geklab, per farci spiegare come limitare i rischi e come leggere i numeri dei contagi.


Il coronavirus ha una trasmissione di tipo respiratorio legato alle goccioline di fluido nasale o di catarro. La cosa migliore è quella di evitare contatti stretti, diretti o faccia a faccia con le persone. Quali provvedimenti si possono adottare per evitare situazioni di rischio? Parliamo di un virus che ha una trasmissione di tipo respiratorio legato alle goccioline di fluido nasale o di catarro. La cosa migliore è quella di evitare contatti stretti, diretti o faccia a faccia con le persone. Ci si può proteggere semplicemente non mangiandosi le unghie e lavandosi frequentemente e molto bene le mani – per almeno 20 secondi con acqua e sapone, oppure utilizzando una soluzione di candeggina allo 0,05 per cento, o una soluzione di alcol al 60 per cento. Che poi sono accorgimenti base di pulizia e igiene personale. Ad esempio, le persone che lavorano a stretto contatto con il pubblico, possono ripassare con un po’ di alcol le maniglie, i pulsanti e i bottoni che sono toccati più frequentemente, ma senza bisogno di diventare ossessivi.

Oltre a questi strumenti di difesa passiva, che evitano che il virus ci contagi, quali sono gli strumenti di difesa attiva a disposizione di tutti per rallentare la diffusione dei virus?
Ci sono ricerche molto rilevanti sulla presenza di selenio e sulle capacità dell’organismo di sconfiggere i virus. Studi recenti hanno provato che il fatto di avere un sufficiente dosaggio di selenio nel proprio organismo consente una maggiore capacità difensiva del sistema immunitario nei confronti del virus stesso. Nei soggetti in cui invece c’è una carenza di selenio, o altri possibili minerali come zinco, rame e manganese, il virus muta più facilmente. E questo vale anche per altri coronavirus e per l’influenza. In una persona malnutrita il virus muta più velocemente e diventa più aggressivo perché manca una risposta da parte del corpo. Significa che una buona alimentazione, con abbondanti quantità di verdura e frutta, integrata da oligoelementi e minerali correlati, attiva meglio l’organismo. Ma attenzione alle bufale che circolano nel web: la vitamina C, da sola, non uccide il virus. Al contrario, il giusto apporto consente all’organismo di rispondere meglio alle situazioni virali.

Ci sono poi studi che hanno scoperto come l’eccessiva presenza di zuccheri nell’organismo, possa diventare un fattore problematico nella gestione del virus. Una ricerca pubblicata il 26 gennaio 2020 sulla rivista medica Emerging infectious diseases ha confermato che la gravità di un’infezione e la letalità della stessa sono fortemente correlate alla presenza di diabete e di malattie cardiovascolari concomitanti che rendono le persone più a rischio di complicazioni. Oltretutto, lo studio è stato condotto sulla Mers, un’infezione da coronavirus che è molto più patologica del Covid-19. Questo quindi potrebbe essere il momento adatto per porre una maggiore attenzione sull’uso indiscriminato di zuccheri che facciamo. Con qualche piccolo accorgimento potremmo stare tutti meglio, dato che migliorando le condizioni infiammatorie di base, faciliteremmo il compito del nostro corpo di combattere le infezioni virali.

Si può relativizzare la contagiosità e la mortalità del Covid-19 rispetto ad altri virus?
Certamente. E un semplice confronto con altri virus ci dimostra che ci stiamo spaventando in maniera esagerata per questa cosa. Facciamo l’esempio di ebola: se una persona prende l’ebola, difficilmente riuscirà a muoversi. Quel virus ha una mortalità del 55-60 per cento quindi nel giro di pochi giorni o il corpo riesce in qualche modo a difendersi o si va incontro a morte certa. Invece, nel caso del Covid-19 abbiamo un’infinità di persone che hanno avuto un contatto con il virus e non lo sanno nemmeno. Sono i cosiddetti portatori sani. Una persona che porta in giro un virus di questo tipo non è un untore, ma una prova vivente che il virus sia affrontabile. Anche la direttrice dell’ospedale Sacco di Milano ha detto che “si è scambiata un’infezione appena più seria dell’influenza, per una pandemia globale”. Indubbiamente questa situazione merita tutta la cautela del mondo, ma bisogna anche ricordare che i numeri di mortalità sono abbastanza simili a quelli dell’influenza e sono molto lontani da quelli di altri coronavirus: il Covid-19 ha una mortalità dell’1,5-2 per cento a seconda di come la si considera. La Mers del 30-35 per cento e la Sars del 10 per cento.


Quindi il fatto che ci siano così tanti portatori sani dovrebbe essere un segnale positivo?
Assolutamente sì. La loro presenza è un dato estremamente positivo. Di fronte a un portatore sano la domanda da porsi è “perché non esiste un portatore sano di ebola?”. È questa la differenza. ebola non è mai riuscita a superare lo stretto di Gibilterra, che è largo solo 16 chilometri, perché chi la contrae o guarisce o muore. Questo coronavirus invece si è mosso molto velocemente e ha attraversato mezzo mondo senza che le persone se ne rendessero conto. Il fatto che si possa essere contagiati dal coronavirus e non esserne a conoscenza è fondamentale. L’Oms ha dichiarato che l’80 per cento delle persone contagiate da Covid-19 presenta sintomi assolutamente minimi, il 15 per cento presenta sintomi lievi o medi e c’è solo il 5 per cento che sviluppa sintomi più impegnativi. Per carità, in alcune persone con cui viene in contatto può anche essere letale, ma non è casuale che le prime morti siano collegate a persone anziane, con problematiche particolari, o a medici che sono stati esposti a dosi ripetute ed elevate del virus.

Non è strano che i medici siano stati contagiati così tanto? Non è un caso che i medici siano tra i più colpiti: il personale sanitario viene in contatto con ripetute dosi di virus. Poi certo, ci sarà sempre una persona che tocca un virus per caso e si contagia, ma mediamente in biologia servono contatti ripetuti, frequenti e in buona quantità per scatenare una reazione. Quindi già lavarsi le mani, non stropicciarsi gli occhi, evitare di mettersi le mani in bocca senza che siano lavate e pulite ed evitare rapporti diretti con i malati, sono accorgimenti che portano una forte azione difensiva. Evitano cioè che i virus entrino nel proprio corpo.

Cosa possiamo aspettarci rispetto all’andamento dell’epidemia? Quando verosimilmente il virus perderà effetto?
Il numero di contagi ovviamente sta aumentando e continuerà a farlo. Essendo un virus che ha attinenze con la stagionalità, mi aspetto che la stagione primaverile possa contribuire a sconfiggerlo. L’influenza e i virus parainfluenzali non si vedono con il caldo, perché sono tutti correlati con la stagione invernale. Non a caso è esploso insieme al periodo influenzale nel pieno dei mesi freddi. La sua potenza virologica diminuirà anche di intensità quando incontrerà persone in grado di sviluppare gli anticorpi per sconfiggerlo. La mia ipotesi è che in questo momento ci siano persone di cui non siamo ancora e conoscenza, che fanno parte dell’80 per cento a cui si riferiva l’Oms. Sono individui che hanno forme lievi di infezione che possono essere del tutto scambiabili per un raffreddore; probabilmente hanno anche già gli anticorpi necessari per sconfiggerlo. Quando questi anticorpi aumentano e si espandono a livello generale nasce quella che si chiama immunità di gregge e a quel punto difficilmente i virus progrediscono.

Provate a pensare a questo: non tutte le persone sono consapevoli di aver far fatto la mononucleosi. Però a 28 anni, il 93-95 per cento delle donne italiane ha gli anticorpi contro la mononucleosi, anche se solamente una piccola parte sa di averla fatta. Questo significa che ci sono state delle situazioni in cui è stato incontrato il virus, ma non ha generato effetti. Magari si è sviluppato giusto un leggero raffreddore, che in realtà era mononucleosi. Vale lo stesso discorso per il Covid-19: ci troveremo a un punto in cui le persone avranno sviluppato gli anticorpi senza saperlo. Questo avviene quando il virus ha una grossa capacità di diffusione, ma non è un virus letale come ebola. Questi due paragoni, quello con ebola e quello con la mononucleosi, ci spiegano perché dobbiamo guardare a questo virus con molta attenzione: è vero, non lo conosciamo, ma dobbiamo anche tranquillizzarci e imparare a ragionare sui dati e non sulle ipotesi.

Secondo il bollettino dell’università Johns Hopkins, il numero dei pazienti guariti nel mondo è molto più alto rispetto al numero dei decessi. Perché allora l’attenzione viene posta solamente sul numero di vittime?
Questo tema era stato affrontato anche da Sabin [Albert Bruce Sabin, l’inventore del vaccino per la poliomielite, ndr.], quando ci fu l’epidemia di Aids. Lui diceva “non dobbiamo considerare i numeri delle persone che muoiono, ma dobbiamo considerare quelli che sopravvivono e guariscono. Dobbiamo concentrarci sul perché ce la fanno”. E vale anche per il Covid-19: dovremmo capire come fanno queste persone a sopravvivere e copiare i loro comportamenti, studiarne la genetica e la storia. Eppure, tutti i media relegano queste informazioni nei riquadri piccoli, in fondo, e intitolano le prime pagine con il numero dei morti. Così la gente impazzisce e la situazione diventa solamente più difficile da gestire.

Stando alle informazioni raccolte finora, il virus ha contagiato pochissimi bambini, che invece sono tra i soggetti più esposti all’influenza. Come mai? Questo può dirci qualcosa sulle caratteristiche del virus?
Non escludo che i bambini possano avere degli anticorpi in grado di contrastarlo. Non lo sappiamo ancora perché in questo momento siamo in una situazione di emergenza e ci stiamo occupando di gestire quella. Questa fa parte di una delle domande che rimangono ancora aperte.

Ricapitolando: quali sono i dati “positivi” sui quali la popolazione dovrebbe riflettere? 
Il numero di morti per influenza ogni anno è immensamente più ampio. Secondo l’Istituto superiore di sanità, in Italia ci sono stati 24mila morti per influenza nella stagione 2017-2018, quindi circa 200 al giorno. Di questi 24mila, 940 erano giovani che sono stati ricoverati in situazioni gravi e 174 di loro sono deceduti. Se si inizia a considerare questi numeri, quelli di adesso sono infinitamente meno rilevanti. Il signor Trevisan, la prima vittima italiana, stava già morendo di influenza infatti, ma ne hanno fatto un caso nazionale perché era positivo al coronavirus.
Delle norme base di igiene personale possono fare la differenza. Come per l’influenza e così anche per il coronavirus, è bene lavarsi accuratamente le mani con saponi o soluzioni disinfettanti, evitare di mettersele in bocca o negli occhi e starnutire o tossire sempre con la mano davanti.
Un’alimentazione adeguata aiuta il nostro organismo a rimanere in salute. Una dieta variegata, ricca di frutta e verdura è sempre la scelta migliore. Come dicevamo, è anche bene limitare l’assunzione di zuccheri.
Mantenere la calma. Se si mantengono i toni su questo livello, ci saranno più morti da psicosi. Prima di farsi prendere dal panico è bene analizzare tutti i dati che abbiamo a disposizione.

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