Al sesto appuntamento, si fa sempre più forte l’intesa tra il papa e la cancelliera. Dall’incontro pre-elettorale con la leader tedesca emerge il profilo di una Germania – e di un’Europa – elevate al rango di “spazio vitale” della Chiesa.
Ci sono giorni nei quali Roma, per coincidenza o “provvidenza”, diventa più eterna che in altri, alzando il sipario degli anni, recenti o remoti, e offrendo un palcoscenico al confronto tra epoche, memorie storiche, leadership politiche. La soglia di San Pietro appare allora una porta temporale: l’ingresso di una galleria dove si calca l’orma e si coglie l’ombra, gigantesca, dei protagonisti.
Accade così che il papa dei confini dell’Orbe, amante di Hölderlin e dell’idealismo tedesco, si trovi all’improvviso esecutore testamentario della eredità incompiuta, tradita di Helmut Kohl, l’ultimo imperatore d’Europa. Deve avere provato questa sensazione Angela Dorothea Merkel, sbarcando in Urbe di ritorno dal Sudamerica e schiudendo davanti a Francesco la sua ventiquattrore di emozioni e riflessioni, a metà tra il cerimoniale e il confessionale.
L’angelo e l’Angela. L’uomo più popolare secondo Time e la donna più potente secondo Forbes. Il Papa della tenerezza e la Cancelliera di ferro. La luterana monetarista e il gesuita keynesiano. La vestale del rigore finanziario e il dissacratore dei dogmi del mercato.
Combinazione di elementi aperta, suscettibile di reazioni multiple. Un esperimento che sulla carta esalterebbe qualunque laboratorio. Anzi lo inviterebbe a nozze.
A maggior ragione se la chimica risulta, diplomi alla mano, il primo amore di ambedue i protagonisti, certificato dalla Escuela Técnica del 18° Distretto di Buenos Aires e dall’Accademia delle Scienze di Berlino – Adleshof. A precedere e a prescindere dalle successive, rispettive vocazioni: religiosa e politica.
Così, al sesto appuntamento tra Francesco e Frau Merkel, la “unione di fatto” Germania-Vaticano, come la definimmo nel 2015 su queste pagine, si completa ed evolve in matrimonio. Benedetto giusto in tempo per la scadenza elettorale. Puntuale viatico e accredito preferenziale all’indirizzo dei cattolici che a settembre voteranno per il rinnovo del Bundestag e rappresentano, dati alla mano, quasi un terzo dei cittadini tedeschi.
Organico e programmatico, il feeling tra Bergoglio e la Cancelliera sfoggia un caldo, smagliante sorriso e rinvia il paragone, sul volto del pontefice, al gelo che di converso ha marcato l’analoga udienza di maggio con Donald Trump. Uno sbalzo di temperatura emotiva prontamente rilevato dai termometri mediatici, che in marzo avevano registrato altrettanta freddezza durante la visita della Merkel alla Casa Bianca.
Distanza “oceanica”, tra Berlino e Washington, che accresce ulteriormente la vicinanza con Roma e funge all’orizzonte da catalizzatore di una intesa sempre più stretta. “I tempi in cui ci potevamo affidare totalmente ad altri sono finiti”: le parole pronunciate a chiosa e chiusura del G7 disegnano lapidarie la svolta e annunciano battaglia in vista del G20 di luglio, ad Amburgo. “Vogliamo lavorare insieme in modo multilaterale, un mondo in cui non vogliamo costruire muri, bensì abbatterli”, ha ribadito ai giornalisti uscendo dal Palazzo Apostolico e ricevendo imprimatur, immediato, nelle righe della Segreteria di Stato.
S’inquadra in siffatta cornice, regale ancorché familiare, scandita da un “noi” che dice plurale maiestatis e recita, contestualmente, perfetta univocità d’intenti, la consacrazione imperiale di Angela Merkel, prescelta da Francesco nel compito audace di anti-Trump. Un gesto che insegue la scia di suggestioni millenarie, solennizzato quanto basta dalle note dei CD di Beethoven e sdrammatizzato, a un tempo, dai barattoli di “dulce de leche”, con un propiziatorio, accattivante omaggio binazionale.
L’immagine di Angela, che giunge in Vaticano all’indomani della morte di Kohl e alla vigilia della campagna d’estate, va oltre il traguardo della riconferma – peraltro scontata dopo il tracollo dei socialdemocratici nel feudo di Düsseldorf – e prelude a una più ampia investitura, concettuale e territoriale.
È questo il senso profondo dell’ammissione, e assunzione, di responsabilità che accomuna entrambi e innesta una duplice consapevolezza sulle rive del Reno e del Tevere.
Il papa che osservava l’Europa dal mare, dalle isole di Lampedusa e Lesbo, e la percorreva in ordine alfabetico, iniziando dall’Albania e dalla Bosnia, senza riguardo per i big, è oggi al contrario portato a rivalutare il baricentro tedesco, gerarchico e continentale. Verrebbe da dire l’asse Roma-Berlino, se il binomio non recasse lo stigma funesto, indelebile del passato.
Meglio parlare di Sacro Romano Impero, per descrivere l’humus e l’animus, la sorprendente alchimia che ha indotto la figlia di un pastore luterano del Baltico a riscoprirsi, suo malgrado, figlia di Roma. E ha condotto altresì “padre Bergoglio”, gesuita del Rio de la Plata, politicamente allievo di Bolivar e di Perón, a ricoprire, inopinatamente, il ruolo di padre dell’Europa.
Mentre si tiene lontano dall’Argentina, per non essere trascinato e strumentalizzato nelle locali diatribe tra governo e opposizione, Francesco non mostra viceversa remore a “ingerire” negli affari europei.
Così, se il discorso al Quirinale ha conferito un upgrade all’Italia – che sembrava fin qui marginalizzata nelle priorità della Santa Sede -, attribuendole la funzione di retroterra strategico del pontificato, dall’incontro pre-elettorale con Angela Merkel emerge il profilo di una Germania, e di una Europa, elevate al rango di “spazio vitale” della Chiesa.
Un terreno che tuttavia non si identifica con l’ambito tradizionale delle “radici cristiane”, ma si qualifica nella difesa del clima e dello stato sociale, muovendo dall’assunto, ribadito in Laudato Si’, che società e ambiente, natura e storia si degradano, e salvaguardano, insieme.
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