mercoledì 12 giugno 2019

TOGHE SPORCHE ALLA CORTE PD: I CORROTTI LIBERI, LA “SPIA” TORNA A FARE IL PM





SCANDALO AL CSM SULLA CASTA INTOCCABILE:
L’EX PM LONGO SI DA’ AL FITNESS DOPO LA CONDANNA
PER LE MAZZETTE ENI-CONSIP DELL’AVVOCATO AMARA
CHE ORA INGUAIA L’EX PRESIDENTE ANM PALAMARA

L’indagato Spina si dimette dal Csm ed è reintegrato in Procura
Incontri proibiti dei magistrati coi deputati Pd Ferri e Lotti
già interrogato sul caso del giudice arrestato Antonio Savasta 

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___ 

Un magistrato può patteggiare 5 anni per corruzione in atti giudiziari, restare a piede libero e reinventarsi istruttore di fitness? Certo che può: basta che viva e lavori in Italia. Meglio ancora a Roma dove la bufera su presunte tangenti per la manipolazione delle nomine ha gettato altro fango sull’istituzione più imbarazzante della Repubblica Italiana: il Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Palazzo dei Marescialli sede del Csm a Roma 

La melma che imbratta le toghe di alti esponenti del CSM si aggiunge a quella già grondata sullo stesso organismo per le stragi di Capaci e di Via d’Amelio in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, silurato, isolato e messo sotto inchiesta dallo stesso CSM, ed il giudice Paolo Borsellino, vittima di un attentato dinamitardo poi oggetto del «più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana», come sancito dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nel processo Borsellino quater. Una vicenda, quest’ultima, che ha sollevato le vibranti proteste di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, per l’ormai imminente archiviazione determinata dal troppo tempo trascorso dalla tragedia: «Il Csm sul piano disciplinare non ha fatto nulla e quando si è mosso non l’ha fatto di sua iniziativa ma solo su input di noi familiari e questo per me è abominevole». 





Oggi l’indagine della magistratura perugina pare aver scoperchiato un letamaio di sospetti intrighi tra esponenti del Csm, avvocati già condannati insieme a un magistrato per corruzione in atti giudiziari, e parlamentari del Partito Democratico vicini a Matteo Renzi: tra cui l’immancabile ex ministro Luca Lotti, già chiamato in causa, come semplice testimone per un incontro, in una precedente inchiesta che portò all’arresto del giudice romano Antonio Savasta. 



I CONSIGLIERI DEL CSM NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Il sostituto procuratore Luca Palamara, ex consigliere del Csm e già presidente dell’Anm 

L’inchiesta della Procura di Perugia ruota tutta intorno al sostituto procuratore romano Luca Palamara, ex pm della Procura di Reggio Calabria, già consigliere del Csm nonché presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (da cui si è già autosospeso), indagato per corruzione in merito al tentativo di manipolazione di alcune nomine per le procure di Roma, Gela e Perugia, e coinvolge anche l’altro magistrato Luigi Spina, subito dimessosi da consigliere Csm, nei confronti dei quali le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. 

Al centro delle indagini ci sono anche i nomi di due figure della malagiustizia già finite in manette per loschi affari: l’avvocato Piero Amara e l’ex sostituto procuratore di Siracusa, Giancarlo Longo. Pizzicati con le mani sulle bustarelle per manipolare i processi e costretti da prove incontrovertibili a patteggiare entrambi la pena per corruzione in atti giudiziari. Longo ho concordato 5 anni di pena e dopo essersi dimesso da magistrato è diventato istruttore di fitness in una palestra di Roma. 

Amara, con il collega Calafiore, ha patteggiato 3 anni ed è anch’egli a piede libero, braccato da vari pubblici ministeri italiani in quanto sospettato di altri episodi delittuosi, tra cui proprio la dazione a Palamara di 40mila euro per la nomina di Longo a Procuratore capo di Gela, al fine, ritengono gli inquirenti, di poter pilotare in modo benevolo i procedimenti penali sul caso Eni di cui lo stesso Amara era consulente esterno. 

Longo, in realtà, al Plenum del Csm non ottenne nemmeno un voto perché la sua nomina «venne stoppata dal presidente Mattarella» avrebbe dichiarato lo stesso ex pm in un interrogatorio. Ma il tentativo di corruzione sarebbe stato oggetto di vari approfondimenti dei Gico della Guardia di Finanza che avrebbero indagato sulle presunte regalie e sugli interessamenti di Palamara e di alcuni politici Pd alle sorti della Procura di Roma, anche attraverso intercettazioni ambientali.

L’avvocato pluriindagato per mazzette ai giudici Piero Amara 

Longo ed Amara sono stati condannati ma restano in libertà anche grazie a quel Decreto Svuotacarceri che ha innalzato fino a 4 anni di pena il tetto della carcerazione e fu predisposto dal ministro di Giustizia Andrea Orlando con l’aiuto del sottosegretario Cosimo Maria Ferri, ex magistrato, oggi deputato democratico. Una riforma approvata dal Governo Gentiloni ormai scaduto e dopo la sconfitta elettorale del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Il magistrato Cosimo Maria Ferri con il premier Paolo Gentiloni quando fu riconfermato Sottosegretario al Ministero della Giustizia prima di essere eletto deputato Pd 

E anche Ferri, sottosegretario alla Giustizia in tutti i Governi targati Pd benedetti dai presidenti della Repubblica di tale schieramente, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, avrebbe incontrato Palamara insieme ad altri componenti del Csm tra cui il già menzionato Luigi Spina. 

Ciò è emerso dalle intercettazioni raccolte dagli investigatori delle Fiamme Gialle tramite un trojan inoculato nel telefonino del magistrato. Ferri non ha negato gli incontri bensì minimizzato coi giornalisti: «Gli incontri con Palamara e Lotti? Niente di male: di sera uno puà fare ciò che vuole». 

Ma quei vertici, secondo le registrazioni della Gdf, sarebbero avvenuti per discutere del successore del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: un magistrato che ha lasciato il segno con l’inchiesta su Mafia Capitale ma anche con quella sviluppata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo sul maxi-appalto truccato del Consip, l’ente del Ministero dell’Economia e Finanze incaricato della selezione dei fornitori per la pubblica Amministrazione.

Il deputato ed ex ministro del Pd Luca Lotti, uomo di fiducia di Matteo Renzi 

Per rivelazioni ad alcuni indagati dell’inchiesta Consip, in violazione del secreto istruttorio, l’attuale deputato democratico Luca Lotti, ex ministro allo Sport e braccio destro del premier Matteo Renzi, è sottoposto a richiesta di rinvio a giudizio. 

Anche Lotti, sebbene parlamentare indagato proprio dalla Procura di Roma, avrebbe preso parte a quegli incontri notturni avvenuti tra il 9 ed il 16 maggio in un hotel della capitale. In virtù della netta distinzione tra politica e giustizia sancita dalla Costituzione si tratta di meeting assolutamente proibiti nei quali, i condizionali sono d’obbligo, magistrati ed esponenti di partito si sarebbero incontrati per pilotare le nomine di procuratori amici in sedi importanti: non solo Roma ma anche Perugia, cui compete la giurisdizione territoriale sulle indagini a carico di magistrati capitolini come nel caso di Palamara. 

Spina, che secondo la Procura di Perugia avrebbe fatto soffiate al collega Palamara per avvertirlo delle indagini a suo carico, per ora ha evitato il peggio: si è dimesso il primo giugno da consigliere del Csm e tre giorni dopo è stato subito reintegrato nel ruolo di sostituto procuratore presso il Tribunale di Castelveteri. In Italia, infatti, un cittadino non è colpevole sino al Terzo grado di giudizio. Una logica che vale quasi sempre per i magistrati, soprattutto se vicini alla sinistra, ed un po’ meno per i politici, soprattutto se di destra… 



IL CSM TRA DOSSIER SECRETATI E “TRAFFICI VENALI”

L’ex ministro Luca Lotti ad un evento a Valdarno “scortato” dall’onorevole David Ermini 

Il Comitato di Presidenza del Csm, guidato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ex deputato Pd come il vicepresidente avvocato David Ermini, nel confermare l’inchiesta di Perugia ha rilasciato il seguente comunicato: «Si impone oggi un confronto responsabile tra tutti i componenti per la forte riaffermazione della funzione istituzionale del CSM a tutela dell’intera Magistratura. E’ convocato, pertanto, un Plenum straordinario per martedì 4 giugno, alle ore 16.30, nel corso del quale verrà anche preso atto delle sopravvenute dimissioni del Consigliere Luigi Spina». 

Ma lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura non ha ovviamente dato notizia della secretazione dell’Odg n. 2893 ex art. 70 del 22 maggio 2019 per il procedimento 1/CA/2019 che aveva come relatore proprio Spina. La si trova nascosta tra gli ordini del giorno nel sito web ufficiale del CSM insieme al fascicolo 12/AE/2018 in merito all’«annullamento in autotutela della Delibera consiliare del 22 maggio 2019 di applicazione extradistrettuale Corte d’Appello di Reggio Calabria» concernente incarichi di urgenza ad alcuni magistrati per le croniche carenze di tale sede giudiziaria. Un annullamento che induce subito ad inferire qualcosa di assai grave connesso alle indagini in corso… 

Quale attinenza abbiano questi procedimenti secretati con la bufera sulle nomine pilotate è uno dei tanti misteri sepolti tra milioni di carte burocratiche di un sistema giudiziario in mano ad una casta che mira prima di tutto alla propria autodifesa a discapito dalla crescente sfiducia dell’opinione pubblica. il 7 dicembre 2018 il ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede (M5Stelle) lanciò l’allarme sul fatto che «un italiano adulto su tre negli ultimi due anni ha rinunciato a far valere i suoi diritti» anche «per la scarsa fiducia nella magistratura, ma non per colpa della magistratura che lavora benissimo». Il post del ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede pibblicato su Facebook venerdì 7 dicembre 

Parole evocatrici di disgrazia e smentite oggi dal vicepresidente del CSM che usa frasi lapidarie proprio contro i magistrati sotto inchiesta intrigati con i suoi colleghi del Pd: «Sono emersi traffici venali, degenerazioni correntizie e giochi di potere – denuncia l’ex deputato democratico Ermini nel suo intervento al Plenum straordinario – Gli eventi di questi giorni sono una ferita profonda e dolorosa alla magistratura e al Consiglio superiore. Il Csm e la magistratura hanno al loro interno gli anticorpi necessari per poter riaffermare la propria legittimazione agli occhi di quei cittadini nel cui nome sono pronunciate le sentenze. Siamo di fronte a un passaggio delicato: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». E proprio Ermini, in una delle intercettazioni, sarebbe stato definito «inaffidabile» dal compagno di partito Lotti per le sue resistenze… 



SPINA INDAGATO TORNA SUBITO A FARE IL PUBBLICO MINISTERO

il magistrato Luigi Spina, consigliere del Csm dimissionario 

Ma alle parole seguono fatti ben differenti: il Plenum ha subito accolto la richiesta del consigliere indagato e dimissionario Luigi Spina di tornare a fare il Pubblico Ministero. Il CSM proprio il 4 giugno, nel giorno in cui Ermini tuonava contro il vulnus tra le toghe, ha infatti deliberato «il richiamo nel ruolo organico della magistratura» del dottor Spina «magistrato ordinario che ha conseguito la V valutazione di professionalità, e la riassegnazione dello stesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castelveteri con funzione di sostituto procuratore». 

Spina, che come Palamara è esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Una conversazione dello scorso 9 maggio «tra Spina, Palamara e due parlamentari (…) dimostra che lo stesso Palamara – riporta Rai News in merito agli atti dell’inchiesta – era “già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia, tanto da parlarne con un parlamentare imputato”». 


«I virus inoculati dalla Guardia di Finanza nei telefoni di Luca Palamara e di altri indagati sono riusciti a risalire indietro nel tempo, documentando anche il lato oscuro del Csm in carica fino all’anno scorso – scrive Luca Fazzo su Il Giornale – È il Csm che – come ricorda Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia – ridisegnò quasi per intero gli organigrammi della magistratura, dopo che Matteo Renzi aveva mandato in pensione d’autorità tutti gli ultrasettantenni, liberando decine di posti chiave. Ne scaturì una spartizione senza precedenti, davanti alla quale – dice Roberti – “Il caso Palamara è solo la punta dell’iceberg”. Una intera generazione di procuratori e presidenti di tribunale eletti in quei mesi rischia di essere investita dallo scandalo». 

Le parole dell’avvocato Ermini, uno dei primi a minimizzare lo scandalo Consip quando era responsabile parlamentare alla Giustzia nel Partito Democratico, riecheggiano in quelle dell’eurodeputato piddino Franco Roberti e sembrano voler tracciare una netta trincea tra la gestione Renzi e quella successiva che il Pd si trova ad affrontare. Una demarcazione su cui pesa come un macigno, però, la nomina della moglie dello stesso Palamara quale dirigente esterna della Regione Lazio sotto la presidenza di Nicola Zingaretti, il nuovo segretario del Partito Democratico. 



ATTACCO ALLE TOGHE PER LE INCHIESTE SUI POTENTI

Il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, responsabile del dipartimento reati contro la Pubblica Amministrazione e titolare dell’inchiesta Consip 

«Alla Procura di Roma, da quando è andato in pensione l’ex capo Giuseppe Pignatone, le tensioni che già c’erano sono esplose e sembra tirare un’aria da resa dei conti – scrive l’agenzia Adnkronos – Dietro i nomi dei tre pretendenti alla guida del più importante ufficio giudiziario d’Italia si combatte infatti una ‘guerra’ fra toghe più che fra correnti. Gli ‘umori’ dicono che chi vuole dare un più forte segno di continuità con la gestione Pignatone sponsorizzi il procuratore di Palermo Franco Lo Voi mentre dall’altra parte ci sarebbero quelli che puntano su Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. Il terzo ‘incomodo’, una figura considerata intermedia, è quella del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. Ad infiammare lo scontro fra toghe è stato il sostituto procuratore Stefano Rocco Fava che ha scritto al Csm per segnalare il presunto conflitto di interessi di Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo in merito ad alcune importanti inchieste giudiziarie a causa dell’attività professionale dei loro fratelli. Per tutta risposta, ha denunciato Fava, gli è stato tolto il fascicolo sul caso Amara e sulle presunte sentenze pilotate nell’ambito della giustizia amministrativa. A confermare l’aria tesa che tira in Procura sono alcuni magistrati titolari di inchieste che hanno chiamato in causa politici locali e nazionali e che rivendicano di aver dato fastidio ai ‘potenti’». C’è già chi parla apertamente di “una guerra che ha l’obiettivo di depotenziarci”. 

La memoria va all’inchiesta su Salvatore Buzzi e Massimo Carminati per Mafia Capitale che smascherò un sistema di appalti, in particolare nella gestione dell’emergenza migranti. trasversale a vari esponenti politici. Ma l’attualità riporta soprattutto al caso Consip ora pendente davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare per le richieste di rinvio a giudizio formulate dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, responsabile del dipartimento Reati contro la Publica Amministrazione, per turbativa d’asta a carico di tredici imprenditori e manager delle aziende coinvolte: tra i quali l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, amministratore della Romeo Gestioni, e i manager di Manutencoop, Cns, Cofely, Manital, Gestione Integrata, Siram e infine la Sti, già implicata in una precedente inchiesta sull’avvocato Amara di cui parliamo più avanti. 

L’accusa è di avere stretto accordi sotterranei per vincere le gare, in spregio alla libera concorrenza. Gli indagati sono accusati di “collusioni consistite in accordi preordinati alla ripartizione” degli appalti. Mentre l’ex ministro Lotti è accusato di aver informato l’ex ad della Consip. Luigi Marroni, dell’esistenza delle cimici vanificando così le ulteriori indagini della Procura. 

Dal calderone delle battaglie tra magistrati non si salvano nemmeno quelli di Firenze dove sono ormai molteplici i fascicoli aperti dalla Procura nei confronti di parenti dell’ex premier Matteo Renzi: da quelli sui genitori Tiziano Renzi e Laura Bovoli per bancarotta fraudolenta a quelli per appropriazione indebita del cognato Andrea Conticini e fratelli per i fondi Unicef finiti nei conti correnti privati anziché in servizi per i bimbi africani. Il procuratore capo Giuseppe Creazzo, in corsa proprio per la guida della Procura di Roma, insieme al suo collega Luca Turco, è stato di recente bersagliato da un esposto a Genova in cui si contesta la gestione di alcune indagini nel campo sanitario. 





Ma lo stesso pm Fava, grande accusatore contro i colleghi romani, si trova ora invischiato nell’inchiesta su Palamara: anch’egli è indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio in concorso (con Spina – ndr). Altri quattro togati, componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, si sono autosospesi: due dei quali perché avrebbero preso parte agli incontri notturni coi parlamentari piddini Lotti e Ferri, gli altri due anche se avrebbero rinunciato all’ultimo momento alla riunione. 



L’IMPRENDITORE DEI REGALI A PALAMARA 

«Nel registro degli indagati, con l’accusa di corruzione, i pm di Perugia hanno iscritto anche Fabrizio Centofanti, l’imprenditore dei ‘regali’, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore – riferisce Rai News – Dalle indagini emergono viaggi e vacanze per Palamara (all’epoca consigliere del Csm) e famiglia: un’attività corruttiva messa in atto, secondo la procura di Perugia, “per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore”. Tra i regali, anche un anello “del valore di duemila euro in favore dell’amica Adele Attisani”, oltre a un soggiorno a Taormina. E poi viaggi per lo stesso Palamara, o la sorella, in Toscana, a Madonna di Campiglio, a Dubai e Favignana». 

«Sulla mia persona si stanno abbattendo i veleni della Procura di Roma, ma ho la tempra forte e non mi faccio intimidire. Sto chiarendo punto per punto tutti i fatti che mi vengono contestati perchè ribadisco che non ho ricevuto pagamenti, né regali, né anelli e non ho fatto favori a nessuno» ha invece ribattuto lo stesso Palamara al termine dell’interrogatorio durato più di 4 ore negli uffici di una caserma della Guardia di Finanza durante al quale era assistito dagli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti e Michele Di Lembo. «Ribadisco che non ho ricevuto soldi né regali e non ho fatto favori a nessuno. Chi conosce le dinamiche consiliari sa benissimo che non ho mai parlato di Giancarlo Longo (ex pm di Siracusa, ndr) ne’ tantomeno ho danneggiato qualche altro collega, trattandosi di un organo collegiale che come tale ha bisogno della partecipazione di tutti i suoi membri» ha aggiunto l’ex presidente Anm spiegando di aver esibito «le ricevute dei pagamenti dei viaggi e altro mi riservo di farlo nel prosieguo dell’interrogatorio». 

Il sostituto procuratore romano, secondo i pm perugini, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe anche ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo, poi arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina. Ma è proprio da quell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che giungono le accuse di oggi. 



IL MAGISTRATO CONDANNATO E’ LIBERO E SI DA’ AL FITNESS 

«Da pubblico ministero a istruttore di fitness. Giancarlo Longo, smaltiti i veleni del “Sistema Siracusa”, ha deciso di rifarsi una vita a Roma. Dopo aver patteggiato 5 anni di pena con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e aver consegnato le dimissioni dalla magistratura (con annesso “sacrificio” del Tfr), l’ex pm ha deciso di ricominciare da quella che da sempre è stata la sua passione: lo sport». A raccontare la storia di Longo come in un gossip è il sito Siracusa News che mostra anche una foto del magistrato in tenuta da palestra. 

«L’ex pm era accusato di corruzione in atti giudiziari davanti il Tribunale di Messina nell’ambito del “Sistema Siracusa”. Inchiesta che ha al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che per anni avrebbero pilotato inchieste e fascicoli al tribunale di Siracusa per avvantaggiare loro clienti di peso – scrive Siracusa News – Longo, dal canto proprio, in cambio di mazzette e regali, avrebbe messo a disposizione la propria funzione di magistrato condizionando le inchieste, aprendo fascicoli ad hoc per favorire gli assistiti dei due legali o per sviare le indagini, come sarebbe accaduto nel caso Eni-Descalzi».

Un incontro tra l’ex pm Giancarlo Longo e l’avvocato Giuseppe Calafiore che hanno patteggiato per corruzione in atti giudiziari 

Un sistema rodato che ha visto gli avvocati Amara e Calafiore sotto accusa anche per le sentenze pilotate presso il Consiglio di Stato. Per la corruzione in atti giudiziari i due legali nel febbraio scorso avevano patteggiato davanti al Gup di Roma, Alessandro Arturi, una pena a 3 anni di reclusione per il primo (con 75mila euro di multa) e a 2 anni e nove mesi per il secondo (con 32,5mila). 

Ma restano entrambi in attesa di conoscere l’esito della richiesta di patteggiamento in continuazione del reato proprio per il filone siciliano riferito alla corruttela di Longo e pendente davanti al Tribunale di Messina (prossima udienza 25 giugno). Secondo fonti giornalistiche i due avvocati, pur di guadagnarsi il parere favorevole della Procura di Roma ai patteggiamenti, sarebbero diventati collaboratori di giustizia vuotando il sacco sulla vicenda Palamara. 

Un’inchiesta che va però presa con la massima cautela poiché gli avvocati giungono da quella Sicilia che è stata fucina di pentitismo finalizzato ai depistaggi giudiziari. Ma in quegli episodi di corruzione in atti giudiziari c’è l’anello di congiunzione tra le inchieste sulle tangenti Eni e una branca del già citato scandalo Consip. 



DALL’ENI AL CONSIP: LE MAZZETTE DELL’AVVOCATO 

«L’avvocato Piero Amara sapeva come fare: mazzette da 5.000 euro messe in una busta e lasciate nel bagno di un palazzo di giustizia, viaggi a Dubai e soggiorni in hotel di lusso per un pm “asservito alla sua causa”, l’ex sostituto procuratore di Siracusa Giancarlo, generosi mensili passati a consulenti e oscuri personaggi, verbali di interrogatorio fasulli scritti di suo pugno e finiti in fascicoli giudiziari. E il geniale metodo del procedimento “specchio” per attrarre in Sicilia inchieste giudiziarie che nulla avevano a che fare con la Sicilia, ma che qui potevano essere aggiustati per garantire gli interessi di due clienti preziosi». E’ quanto scritto dalla giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica lo scorso 22 febbraio. 

«C’è tutto questo nell’ultima tranche dell’inchiesta sulla lunga catena di corruttela capace di pilotare le sentenze della giustizia amministrativa del Consiglio di Stato e del Cga siciliano che all’alba di oggi ha visto finire agli arresti domiciliari il noto imprenditore piemontese Ezio Bigotti, presidente del gruppo Sti, aggiudicatario di numerose ed importanti commesse della Consip, la centrale acquisti del Tesoro, fermato nella sua casa di Pinerolo, e Massimo Gaboardi, ex tecnico petrolifero dell’Eni, arrestato a Milano. L’Eni ha però spiegato con una nota che “da un esame degli archivi aziendali disponibili non risulta che il signor Massimo Gaboardi sia mai stato dipendente di Eni né di società del gruppo”» rimarcava sempre il quotidiano Repubblica. 

Duplice l’obiettivo dell’intervento corruttivo di Amara. In primo luogo ostacolare l’attività di indagine della procura di Milano sulle tangenti Eni in Algeria e Nigeria, avviando un filone parallelo d’inchiesta per avvalorare l’ipotesi di un complotto internazionale ai danni dell’amministratore delegato Claudio Descalzi ordito utilizzando come pedina il tecnico petrolifero Gaboardi. 

In contemporanea creare un “fascicolo specchio” con documenti creati ad hoc per consentire all’ex pm di Siracusa Longo di attrarre i fascicoli per reati fiscali aperti a Torino e Roma nei confronti di Bigotti e quindi produrre consulenze addomesticate per chiedere l’archiviazione della posizione dell’imprenditore permettendogli una pacificazione fiscale per una delle sue società del gruppo Sti sottoposta ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. 



L’EX MINISTRO PD E L’INCONTRO CON IL PM POI ARRESTATO

L’ex pm di Trani poi giudice a Roma Antonio Savasta 

Alla luce di questi precedenti sviluppi l’inchiesta della Procura di Perugia su Palamara pare assumere una rilevanza maggiore soprattutto per la figura politica che sempre aleggia dietro le quinte: quella dell’ex ministro renziano Luca Lotti. Sotto inchiesta per le rivelazioni nel caso Consip si ritrova invischiato anche negli incontri notturni con i consiglieri del Csm indagati ma è anche comparso in un’ulteriore indagine che ha portato addirittura dietro le sbarre l’ex pm di Trani e poi giudice a Roma Antonio Savasta. 

Nella primavera 2018 Lotti fu interrogato dai pm di Lecce (competenti per territorio sui reati commessi nella Procura di Trani) ed affermò di non ricordare quell’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015: «Ho una conoscenza superficiale di Antonio Savasta – spiegò l’ex ministro ai magistrati – sicuramente me l’hanno presentato ma non ricordo chi né in quale occasione». 



A chiamarlo in causa fu il re degli outlet pugliesi, Luigi Dagostino, che per ottenere indagini aggiustate in modo a lui favorevole pagò ben 53mila euro all’ex sostituto della Repubblica di Trani, secondo l’ordinanza di arresto. Ma non si limitò a questo. 

Dagostino, oggi a giudizio a Firenze insieme a Tiziano Renzi e Laura Bovoli per una presunta maxi-fattura gonfiata, avrebbe pure favorito, secondo la Procura di Lecce, gli incontri di Savasta, che ambiva ad essere trasferito a Roma, con alcuni politici influenti come l’ex ministro Lotti e l’ex sottosegretario del Partito Democratico nei governi Letta e Renzi, Giovanni Legnini, poi divenuto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Un’ulteriore vecchia storia che fa calare altre ombre sul Palazzo dei Marescialli e riporta alla mente il titolo del saggio di storia politico-giudiziaria dell’ex magistrato del pool antimafia Giuseppe Ayala: “Troppe coincidenze”… 

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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