martedì 4 giugno 2019

La dittatura europea, intervista a Ida Magli



IDA MAGLI - LA DITTATURA EUROPEA - FIRENZE 2011


Intervista a Ida Magli, classe 1925, storica e antropologa autrice – tra l’altro – di La dittatura europea. Una voce critica e radicale, troppo spesso censurata, capace di portare argomenti che è invece necessario ascoltare e dibattere.


Qual è la sua idea di Europa?
Io non ho nessuna “idea di Europa” perché non è mai esistita un’Europa se non come territorio geografico. Quello che è sempre esistito sono le nazioni, le lingue, i popoli, con i loro nomi a cominciare dai Romani, i Galli, gli Iberici, etc. È questo il motivo fondamentale per cui il progetto d’unificazione europea era sbagliato fin dall’inizio.

Secondo alcuni analisti politici, l’Europa sarebbe davanti a una crisi nella quale crescono o si manifestano nuovamente fenomeni come il nazionalismo e un forte antieuropeismo. Come giudica questo?
La crisi è evidente, ma in realtà la chiamano “crisi” i politici che avevano voluto costruire l’unione europea senza consultare i popoli. Quello che oggi si vede chiaramente, quindi, non è la crisi bensì il giudizio negativo dei popoli e la debolezza di una costruzione cui manca qualsiasi forza vitale proprio perché mancano i popoli. Il “nazionalismo” è l’amore naturale di ogni popolo per la propria terra, la propria patria, la propria lingua, la propria storia, etc. Averlo voluto cancellare per costruire l’unificazione europea è un crimine di cui i governanti sono responsabili davanti alla storia.

Nel suo La dittatura europea parla di identità dei popoli. Ma quando si parla di identità, lo spauracchio che si agita di solito è quello del nazionalismo inteso come un “ritorno al passato”, tanto irreale quanto arma di propaganda mondialista. Che cosa ne pensa?
Un popolo è come un individuo, la sua identità si costruisce allo stesso modo con il quale si costruisce quella d’un individuo: con il proprio nome, i propri antenati, la propria famiglia, la propria casa, la propria lingua, la propria storia. Farsi scudo del nazismo o del fascismo da parte dei governanti per creare l’Unione Europea distruggendo l’amore per la patria, è un’operazione di orrida falsità. Fra l’altro è questa falsità, che tutti più o meno percepiscono, uno dei fattori principali dell’inevitabile crollo dell’Ue.

La crisi europea è solo monetaria o c’è dell’altro?
La crisi monetaria è quella che si vede di più perché è sui vantaggi della moneta unica che i politici avevano puntato per convincere i popoli a rinunciare alla sovranità monetaria. Visto che gli economisti e i banchieri hanno sbagliato i conti perfino nel loro campo, se ne deduce facilmente che sia sbagliato anche tutto il resto. La crisi monetaria, perciò, è l’indice di un prossimo crollo totale. Io, però, voglio aggiungere una cosa: il crollo dell’Europa è voluto. La costruzione è stata fatta (anche se non tutti lo sapevano o lo capivano) appositamente per distruggere la forza dell’Europa, la sua civiltà, la sua storia, i suoi popoli. Lo scopo finale, infatti, è la mondializzazione: un solo governo, una sola moneta, una sola lingua, una sola religione, etc. Dietro all’unificazione europea c’è la volontà massonica della globalizzazione.

Qual è il ruolo dei “fratelli maggiori”, ovvero il popolo ebraico, come li aveva chiamati Giovanni Paolo II, nel progetto europeista e mondialista?
Wojtyla era polacco, animato in quanto tale dalla volontà di espiare il passato polacco nei confronti degli ebrei innalzandoli in confronto ai cristiani. Per questo era un entusiasta “mondialista” e, consapevolmente o meno, ha fatto del mondialismo lo scopo del suo pontificato. Nella mondializzazione naturalmente il Cristianesimo diventerà una religione “minore” in quanto, perduta la forza di ribellione di Gesù allo spirito precettistico e normativo dell’ebraismo, assumerà i connotati di una sua semplice “variante”, presto assorbita dall’islamismo. Io mi sono soffermata a lungo nel mio libro sul tradimento della Chiesa nei confronti di Gesù, un tradimento sorprendente e atroce a cui però sembra nessuno voglia opporsi.

Non crede che sia necessario smettere di parlare di Europa e più verosimilmente, dal punto di vista storico e geopolitico, parlare di Eurasia?
No, non lo credo. La civiltà europea è connotata dallo spirito delle nazioni d’Occidente. Il dilemma dell’influsso asiatico è stato, e lo è ancora, lo slavismo e il mongolismo della Russia. Ma della Russia sembra che nessuno voglia ricordarsi neanche a proposito dell’unificazione europea.

Non crede che l’esclusione della cultura islamica da parte europea sia non solo una forzatura ma anche un arbitrio, visti molti secoli di storia comune?
Come ho già detto, non lo credo. Ogni civiltà ha un suo focus, un suo centro. La civiltà europea è nata e si fonda sul diritto romano, sul primato della persona, sulla filosofia greca, sulla lingua latina, sul primato della rappresentazione artistica: tutte cose agli antipodi della cultura islamica in cui il Corano è l’unico codice e che infatti ha potuto soltanto essere combattuta, ma non integrarsi.

Lei è molto dura nei confronti dell’Islam: non crede però che esso una delle pochissime alternative culturali e sociali all’imperialismo americano?
L’Islam non è un’alternativa. L’imperialismo americano lo dovremmo respingere in nome della nostra civiltà, non in nome di quella islamica. Ma nessuno dei nostri governanti lo vuole fare perché – lo so che è difficile e troppo duro crederlo – la meta prefissata è la morte della cultura e dei popoli d’Europa. A questo serve l’immigrazione islamica.

Si sente a ogni piè sospinto parlare di “Europa democratica”, posto che le critiche alla democrazia sono sempre benedette – e che, alla faccia di Churchill, la democrazia non è «il peggior sistema a esclusione di tutti gli altri», anzi – come giudica questa situazione, politicamente e giuridicamente?
Politicamente e giuridicamente è illegittima e falsa. Non si può dire altro. Io, infatti, ho chiesto al nostro Ministro dell’Interno che mi venga tolta la cittadinanza europea in quanto mi è stata imposta illegittimamente. Spero, però, che questo fatto così evidente convinca i lettori che i governanti “sapevano” e volevano distruggere l’Europa e tutti noi.

Di recente sulla stampa italiana sono comparse critiche all’euro. Secondo Lei sono fuochi di paglia oppure serpeggia in alto loco qualche fastidio per quella che può esser vissuta come una dittatura economica?
No, non sono fuochi di paglia: il fallimento dell’euro era sicuro fin dall’inizio, ma è giunto troppo presto per i piani a lunga scadenza che avevano i politici. Naturalmente non potevano prevedere gli enormi furti dei vari banchieri che hanno giocato e perduto i soldi di tutto il mondo. È stata la crisi delle banche a mettere in ginocchio anche le nazioni europee. Se non fosse che stiamo parlando della nostra stessa vita e di quella dei nostri figli, si potrebbe dire che si tratta di una giusta nemesi: banchieri che affossano banchieri.

I Paesi dell’est Europa che sono entrati a far parte dell’Unione Europea ci hanno rimesso, in molti sensi. Qual è la loro possibilità di salvezza, visto che si parla di zone in cui, sebbene l’occidentalizzazione sia già arrivata in massa, conservano ancora forti radici?
Tutti ci abbiamo rimesso, ma i Paesi dell’Est si salveranno meglio di noi per due motivi: erano e sono molto più poveri e di conseguenza cadono da un gradino più basso. Ma, soprattutto, conoscono per durissima esperienza lo spirito bolscevico che soggiace alla costruzione europea (l’ha detto Vladimir Bukowski, uno dei più noti dissidenti sovietici, non io, che l’Ue è come l’Unione Sovietica) e ne diffidano.

Come giudica i governi dell’est Europa che si sono succeduti prima del 1989? Crede che la caduta del muro di Berlino sia stato un bene o un male?
Dei governi dell’est Europa non è stato detto quasi nulla, i giovani non ne sanno nulla, malgrado la caduta del muro di Berlino. Il muro è caduto perché la Russia è stata annientata dal bolscevismo. C’erano rimaste soltanto rovine, rovine materiali e spirituali. Purtroppo ancora non è stato avviato nessuno studio serio su quanto è avvenuto e in Occidente l’informazione praticamente non è esistita e non esiste. Sostenere che Wojtyla abbia avuto un qualsiasi ruolo in questo campo è una tale sciocchezza che basta da sola a far comprendere come nessuno sappia ancora neanche minimamente quale fosse la situazione. È il principio dell’uguaglianza che fa impazzire gli uomini, anche quando sono in buona fede, prescindendo quindi dalle personalità criminali come quella di Stalin, perché provoca una continua “misurazione” (l’uguaglianza è concetto di misura), crea il bisogno di una “organizzazione per la misura”, la cosiddetta burocrazia, che cresce su se stessa all’infinito. Posso dire che io ho diffidato dell’unificazione europea fin dall’inizio perché vi ho riconosciuto lo spirito bolscevico: quello dell’uguaglianza.

L’Occidente imploderà su se stesso?
Non sono in grado di fare questa previsione. Posso dire che forse siamo ancora in tempo a salvarci e che il fallimento dell’euro ci aiuterebbe perlomeno a fermarci perché costringerebbe i politici a riflettere, se non altro per giustificarsi davanti ai popoli prima di chiedere il loro voto. Parlo di “politici”, non di banchieri trasformati in politici. Qua e là, in Francia, in Germania, in Austria, ce ne sono. Anche in Italia ce n’è qualcuno, anche se non osa dire ad alta voce quello che pensa. Io non ho perso tutte le speranze: l’importante è che gli Italiani sappiano.

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