di Annalisa Maugeri
Dw-Roma.La nave cargo Bahri Yanbu, battente bandiera saudita, è arrivata al porto di Genova poco dopo le 5:30 del mattino. Al suo interno, il carico di armi da guerra che ha come meta finale Gedda in Arabia Saudita. Le armi sono, con tutta probabilità, destinate alla guerra nello Yemen. Malgrado le rassicurazioni dell’armatore, che aveva escluso categoricamente che la nave trasportasse armi belliche, un centinaio di persone tra lavoratori portuali e cittadini, non si sono fidati e hanno atteso la nave per dimostrare tutta la propria disapprovazione.
Tutti insieme per chiedere al governo attuale di interrompere gli accordi commerciali sugli armamenti con l’Arabia Saudita, come previsto dal trattato internazionale che prevede il divieto di vendere armi ai paesi coinvolti in conflitti di guerra per non alimentare azioni belliche e rendersi complici delle conseguenze drammatiche sulla popolazione. A denunciare giorni fa l’imminente arrivo della nave cargo, erano state le associazioni Amnesty International Italia, Rete per il Disarmo, Oxfam Italia, Greenpeace, Fundipau, Rete della Pace, Save the Children Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica e Movimento dei Focolari Italia.
Sciopero dei lavoratori portuali, fumogeni e striscioni per protestare contro la nave della morte. Intanto, il governo italiano ha finora taciuto, appassionato sempre più alla lotta contro i gommoni carichi di disperati completamente disarmati e contro le Ong che li traggono in salvo. La naveYanbu avrebbe toccato il porto di Genova, con la complicità del governo italiano e nel più totale silenzio mediatico, se non fosse stato per l’inchiesta giornalistica del sito francese Disclose che ha scoperto e rivelato per primo cosa stava avvenendo. Otto cannoni Caesar dovevano essere caricati sulla nave cargo nel porto francese di Le Havre, ma le organizzazioni pacifiste, insieme ai lavoratori portuali francesi, lo hanno impedito, costringendo la nave a far rotta verso Santander. Oggi, l’azione dei lavoratori portuali italiani e dei cittadini genovesi ha permesso di lanciare un segnale chiaro al governo: gli italiani non vogliono essere complici nelle strategie e nelle azioni di guerra.
Questo genere di navi e questo tipo di carichi, non sono una novità dei nostri giorni, hanno sempre solcato i mari, così come il commercio delle armi continua a crescere e a contribuire e alimentare sempre più un’economia che si sporca della morte di centinaia di persone fra uomini, donne e bambini; quello che adesso è cambiato è la consapevolezza che restare a guardare ci rende tutti complici, come i governi che incentivano la produzione e la vendita di armi, o i giornali che preferiscono tenere l’attenzione sui carichi di uomini e donne sprovvisti di armi in cerca di salvezza, piuttosto che sui carichi di armi belliche che la salvezza la negheranno di certo una volta giunti a destinazione.
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