L’accesso ai farmaci e alle strutture sanitarie, ossia il diritto ad essere curato, non è una realtà per tutti. Non è solo una questione di mancanza di strutture o di risorse, a volte si tratta di un’inefficace distribuzione dei farmaci stessi o di costi troppo elevati per accedervi. Non stiamo parlando del Burundi o di un altro paese tra i più sottosviluppati, ma dell'Italia. Ebbene sì. Con il reddito di cittadinanza è emerso in tutta la sua tragicità il dato del disagio di moltissimi italiani che non possono permettersi di entrare in farmacia nemmeno per un'aspirina. Diritto alle cure, accesso negato. E non è solo questione di tempi biblici tra la sperimentazione e la commercializzazione. Infatti, una volta approvato in Europa, un nuovo farmaco arriva nelle mani di un paziente tedesco in media dopo 119 giorni. Ma un paziente italiano dovrà aspettarne 402 e uno serbo addirittura 925. A dirlo è un report di Iqvia pubblicato da Efpia, l’associazione europea delle industrie del farmaco, sui dati di 29 Paesi. Emerge una mappa delle disparità nell’accesso alla cure: rispetto all’attesa media di 426 giorni la variabilità è ampia e l’Italia si colloca al 14esimo posto per la “rapidità” con cui i nuovi medicinali giungono ai pazienti. I dati si riferiscono al periodo 2015-2017. Il confronto con il triennio 2014-2016 non ci fa onore: l’attesa per gli italiani è cresciuta di 19 giorni.
Ma il dato più allarmante in Italia è la povertà
Le famiglie povere spendono in farmaci il 54% del proprio budget sanitario (contro il 40% delle altre famiglie) perché investono meno in prevenzione. Spendono per il dentista solo 2,35 euro mensili (24,83 le altre). 13,7 milioni di individui risparmiano su visite mediche e accertamenti. Ma il SSN copre solo il 59,4% della spesa farmaceutica.
Nel 2018, 539 mila poveri non si sono potuti permettere le cure mediche e i farmaci di cui avevano bisogno. Si tratta mediamente del 10,7% dei poveri assoluti italiani.
La richiesta di farmaci (993 mila nel 2018) è aumentata del 22% nel quinquennio 2013-2018. Servono soprattutto farmaci per il sistema nervoso (32%), l’apparato muscolo-scheletrico (16%), il tratto alimentare e metabolico (13,4%), l’apparato respiratorio (8,7%) e le patologie dermatologiche (6,3%).
Anche quest’anno, inoltre, più 13 milioni di persone hanno limitato le spese per visite e accertamenti.
È quanto emerge dal Rapporto 2018 “Donare per curare: Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci” promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus e BFResearch e realizzato, con il contributo incondizionato di IBSA, dall’Osservatorio Donazione Farmaci (organo di ricerca di Banco Farmaceutico).
Il Rapporto 2018, presentato presso la sede di Aifa il 13 novembre scorso, si è avvalso del contributo del comitato tecnico scientifico composto da Giancarlo Rovati, Gian Carlo Blangiardo, Massimo Angelelli (CEI), Silvio Garattini (Istituto Mario Negri), Francesco Soddu(Caritas Italiana), Marco Bregni (Associazione Medicina e Persona) Roberto Rossini (ACLI), Francesco Rocca (Croce Rossa) e Antonello Zangrandi.
A causa di spese più urgenti (perché non rinviabili), le famiglie povere destinano alla salute solo il 2,54% della propria spesa totale, contro il 4,49% delle famiglie non povere.
In particolare, possono “permettersi” solo 117 euro l’anno (con un aggravio di 11 euro in più rispetto all’anno precedente), mentre il resto delle persone può spendere 703 euro l’anno per curarsi (+8 euro rispetto all’anno precedente).
Per le famiglie indigenti, inoltre, la quota principale della spesa sanitaria è destinata ai medicinali: 12,30 euro mensili, pari al 54% del totale. Il resto destina ai farmaci solo il 40% della spesa sanitaria, perché investe maggiormente in prevenzione.
In tal senso, è particolarmente sintomatica le spesa delle persone in stato di indigenza per i servizi odontoiatrici: 2,35 euro mensili, contro 24,83 euro del resto della popolazione. Non è un caso che la cattiva condizione del cavo orale sia diventato un indicatore dello stato di povertà (economica e culturale).
La strategia del risparmio coinvolge 5,66 milioni di famiglie e 13,7 milioni di individui, configurandosi come un vero e proprio comportamento di massa.
Nel triennio 2014-16 la percentuale di italiani, tra le famiglie non povere, che ha limitato il numero di visite e accertamenti è passato dal 24 al 20%. La quota, invece, è aumentata tra le famiglie povere, passando dal 43,4% al 44,6%.
Nonostante questa strategia di contenimento della spesa sanitaria a proprio carico, i dati ufficiali indicano una progressiva divaricazione tra la spesa pubblica (in riduzione) e quella privata (in aumento).
In particolare, la quota di spesa per assistenza farmaceutica non sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale e a carico totale delle famiglie sfiora il record storico, passando al 40,6% rispetto al 37,3% dell’anno precedente.
Dal più recente bilancio demografico diffuso dall’Istat, nel 2017 i morti, in Italia, sono stati 649mila, 34mila in più rispetto al 2016. Nel 2015, i morti sono stati 50mila in più rispetto al 2014. Nell’ultimo secolo, solo nel corso della seconda guerra mondiale (1941-1944) e nel 1929 si registrano picchi analoghi.
Per l’Agenzia Italiana del Farmaco, il cui obiettivo primario è la tutela della salute attraverso i medicinali, è fondamentale realizzare sinergie tra le Istituzioni, gli enti no profit e l’intera filiera del farmaco con l’obiettivo di eliminare quelle barriere socio-economiche, culturali e geografiche che possono ostacolare l’accesso alle terapie. Il bisogno terapeutico è uguale per tutti i cittadini e non può conoscere limitazioni. Le analisi messe a disposizione da Banco Farmaceutico attraverso l’Osservatorio sulla povertà sanitaria rappresentano un importante contributo di conoscenza sia per analizzare la situazione socio-economica del nostro Paese e le sue ricadute sulla salute pubblica che per individuare strategie di politica sanitaria che tengano conto della correlazione esistente tra la povertà e lo stato di salute dei cittadini. Sono davvero troppe le persone che non hanno un reddito sufficiente a permettersi il minimo indispensabile per sopravvivere.
Il nostro Paese è caratterizzato da una cultura del dono che si esprime in maniera particolarmente visibile durante la Giornata di Raccolta del Farmaco, quando centinaia di migliaia di cittadini donano un medicinale per chi è più sfortunato.
Dunque, la strada per cambiare le cose è che la cultura del dono si diffonda sempre più anche tra le istituzioni e le aziende farmaceutiche e che quest’ultime inizino a contemplare la donazione non più come un’eccezione, ma come parte del proprio modello di sviluppo imprenditoriale destinato al bene di tutta la comunità.
CINZIA PALMACCI
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