venerdì 15 marzo 2019

Belt and Road Initiative: la Cina si prende lo Sri Lanka

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Se ne parlava da anni, con le prime proteste scoppiate nel febbraio 2017, ma alla fine è ufficiale: il governo cingalese ha formalmente venduto a Pechino il suo porto meridionale di Hambantotacon un contratto di locazione che garantisce il controllo cinese sulla strategica infrastruttura per 99 anni. Il porto era stato aperto 7 anni fa con un progetto da 1.5 miliardi di dollari, ma il commercio nelle acque dell’Oceano Indiano e del Mare delle Laccadive non ha portato gli introiti aspettati, tanto da portare il governo di Colombo in perdita.

Inizialmente il governo cinese aveva intenzione di acquistare l’80% degli interessi sul porto ma le proteste dei cingalesi, nonché le opposte visioni sulla questione delle principali forze politiche, hanno costretto Pechino a optare per la stipulazione di un nuovo accordo: a luglio la China Merchants Port Holdings ha acquistato il 70% del controllo sul porto in joint-venture con la Sri-Lanka Ports Authority. Il parlamentare e figlio dell’ex presidente dello Sri Lanka, Namal Rajapaksa, ha condannato apertamente quella che secondo lui è una svendita dei beni nazionali, perché – così riporta il suo tweet – “l’unico interesse di questo governo è quello di lucrare sul patrimonio del paese, senza peraltro pensare alle conseguenze.” La paura, fondata, del figlio dell’ex presidente è che questo sia solo l’inizio: “Si comincia con un porto, e poi?”

Per ora il ministro delle finanze cingalese Samaraweera ha ricevuto la prima tranche del pagamento, pari a 292milioni di dollari, per completare l’acquisizione del porto di Hambantota. Secondo i funzionari cingalesi la vendita ai cinesi è l’unico modo per riuscire a valorizzare il porto, dandogli il ruolo che si merita. I cinesi investiranno altri 600milioni di dollari per rendere il porto operativo il prima possibile, soldi che verranno utilizzati dal governo cingalese per ripagare i debiti finora accumulati a causa delle grandi perdite incorse dall’apertura del porto avvenuta ormai 7 anni fa.

Il primo ministro cingalese Ranil Wickremesinghe ha mostrato entusiasmo per il contratto stipulato con Pechino, affermando che “grazie a questo accordo, il porto di Hambantota potrà finalmente diventare un hub importante nell’Oceano Indiano.” Vero, ma Colombo quanto peso avrà in questa joint-venture con Pechino? La Cina ha messo gli occhi sullo Sri Lanka ormai da anni ma l’acquisizione di una buona parte del controllo sullo strategico porto meridionale costituisce un grande passo avanti per la strategia di Pechino nella cornice della sua Belt and Road Initiative.

La nuova via della seta cinese rappresenta un progetto unico nella storia dell’umanità, sia perché nessuno aveva mai presentato un piano di queste dimensioni – quello che in inglese si potrebbe indicare come un game-changer – sia perché di fatto offre, o meglio potrebbe offrire, una nuova visione del mondo. La Belt and Road Initiative vorrebbe ribaltare la mentalità secondo la quale le grandi potenze tendono a sfruttare gli attori di minor rilievo, creando invece una condizione di mutuo beneficio. E’ già aperto il dibattito sulle differenze dell’approccio statunitense rispetto a quello cinese. C’è chi crede che Pechino possa offrire di meglio rispetto a Washington, e chi d’altra parte vede il progetto cinese come nulla più di una manifestazione di un pericoloso neo-imperialismo. Ciò che appare chiaro è che in linea di massima molti, dall’Africa al Medio Oriente e non solo, preferiscono affidarsi alle promesse cinesi, per quanto pericolose, piuttosto che a quelle degli Stati Uniti, la cui egemonia sembra esser sempre meno “incontrastata.” Se questo sarà un bene, lo dirà solo il tempo.

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