martedì 12 marzo 2019

ARABIA: TORTURE E ABUSI SESSUALI SULLE ATTIVISTE



IN CARCERE DALLA PRIMAVERA SCORSA
PER IL DIRITTO ALLA GUIDA DELLE DONNE
PRIVATE DEL SONNO E VITTIMA DI MOLESTIE:
LA DENUNCIA DEI PARLAMENTARI BRITANNICI
A CUI RIAD HA NEGATO OGNI ISPEZIONE
COME SULL’ATROCE OMICIDIO KHASHOGGI


___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

«Le autorità saudite ai massimi livelli potrebbero, in linea di principio, essere responsabili del crimine di tortura». E’ questa la conclusione di un rapporto stilato nelle scorse settimane da un gruppo di tre parlamentari britannici che hanno cercato di fare luce sulla situazione delle attiviste di sesso femminile detenute in Arabia Saudita in condizioni crudeli e disumane che a loro giudizio valicano la soglia della tortura ai sensi della legge internazionale (e saudita). La grande colpa delle otto incarcerate nella primavera scorsa fu quella di manifestare a favore del diritto alla guida delle donne saudite, concesso dopo innumerevoli indignazioni della comunità internazionali, e contro le leggi maschiliste in un paese governato da una monarchia assoluta ispirata ad una teocrazia islamica sunnita-wahabita dove le proteste pubbliche e i partiti politici sono vietati e che, con la stessa impudenza con cui negò ogni coinvolgimento nell’efferato assassnio del giornalista Jamal Khashoggi, nega di avere prigionieri politici e ogni accusa di tortura.


ACCESSO NEGATO ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE

Il parlamentare britannico conservatore dei Tory Crispin Blunt

La commissione del Regno Unito ha chiesto di poter incontrare le attiviste prigioniere per valutare il loro benessere «ma non ha ricevuto alcuna risposta dall’ambasciatore saudita, il principe ereditario Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz», rimarca The Guardian, sebbene il gruppo fosse guidato da Crispin Blunt, l’ex presidente conservatore del comitato ristretto per gli affari esteri e uno dei più fedeli difensori delle monarchie del Golfo. «Le donne saudite attiviste detenute sono stati trattate così male da giustificare un’inchiesta internazionale sulla tortura – ha scritto Blunt nel rapporto – E’ stato loro negato l’accesso adeguato alle cure mediche, alle consulenze legali o alle visite delle loro famiglie, il loro isolamento e maltrattamenti sono così gravi da soddisfare la definizione internazionale di tortura. L’Arabia Saudita è in bilico. Non è troppo tardi per cambiare rotta e scongiurare la spirale verso la catastrofe che rappresenta la detenzione di questi attivisti». Privazioni del sonno, aggressioni, minacce alla vita e isolamento sono solto alcune delle accuse che la relazione addebita ai sauditi in merito a violazioni dei diritti umani avallate dal principe ereditario Mohammed bin Salman, vicepremier e ministro degli Esteri ma il leader di fatto del Regno paterno. Ancora più pesanti e circostanziate le affermazioni della parlamentare liberaldemocratica Layla Moran: «Quando ho saputo degli arresti, ero, come molti, scioccata dal fatto che fosse successo. La tortura, in particolare le accuse di molestie sessuali e minacce di stupro, sono imperdonabili». Il terzo componente della commissione, il deputato laburista Paul Williams ha teso una mano all’Arabia Saudita: «Siamo aperti a discutere la nostra relazione con le autorità saudite e a ricevere tutte le prove che hanno in modo da poter valutare le nostre conclusioni sulla base delle informazioni più complete disponibili». Ma finora come risposta è giunta solo la notizia dell’imminente processo di cui riferisce Reuters accreditando le accuse di torture psicologiche e molestie sessuali, assai facili da credere in un paese maschilista coinvolto nel barbaro assassinio del giornalista Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul.

LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL

Alcune delle attiviste detenute in Arabia Saudita

Amnesty International ha ricevuto tre distinte denunce secondo le quali attivisti e soprattutto attiviste in carcere dal maggio 2018 hanno subito molestie sessuali, maltrattamenti e torture durante gli interrogatori all’interno della prigione di Dhahban. Secondo le denunce, sono state ripetutamente torturate con scariche elettriche e con frustate, così brutalmente da non poter camminare o stare in piedi. Un attivista è stato lasciato appeso al soffitto e un’attivista è stata sottoposta a molestie sessuali mentre veniva interrogata da uomini dal volto coperto. C’è stato anche un tentativo di suicidio. «Queste drammatiche denunce, se confermate, costituirebbero un ulteriore vergognoso esempio di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità saudite – ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International – Riteniamo le autorità saudite direttamente responsabili dell’incolumità di queste donne e di questi uomini privati ingiustamente della libertà ormai mesi fa solo per aver espresso pacificamente le loro opinioni e che ora vengono sottoposti a terribili sofferenze fisiche. Le autorità saudite devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le persone detenute solo per aver svolto attività pacifiche in favore dei diritti umani e devono avviare subito un’indagine approfondita ed esauriente su queste denunce di tortura, portando a processo i responsabili». Amnesty International spiega che la tortura è regolarmente praticata nelle prigioni e nei centri di detenzione dell’Arabia Saudita, stato firmatario della Convenzione Onu contro la tortura, soprattutto per estorcere confessioni o perché i detenuti per reati di opinione si erano rifiutati di pentirsi. Le persone arrestate nel giro di vite del maggio 2018 sono ancora detenute senza accusa e senza avere accesso a un avvocato. Per i primi tre mesi sono state trattenute in isolamento in località sconosciute senza poter avere contatti col mondo esterno. Secondo la denuncia di AI nella prigione di Dhahban si trovano attualmente Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan, Aziza al-Yousef, Samar Badawi, Nassima al-Sada, Mohammad al-Rabe’a e Ibrahim al-Modeimigh. Altre attiviste sono state arrestate nei mesi successivi, come Nouf Abdulaziz e Maya’a al-Zahran, e la stessa sorte è toccata ad attivisti che erano stati già perseguitati a causa del loro impegno in favore dei diritti umani, come Mohammed al-Bajadi e Khalid al-Omeir. Un’altra attivista, la nota accademica Hatoon al-Fassi, ha trascorso un periodo di carcere poco dopo l’abolizione del divieto di guida per le donne. La scorsa settimana le è stato conferito il Premio annuale per la libertà accademica da parte dell’Associazione di studi sul Medio Oriente ma non ha potuto riceverlo personalmente.

PROCESSO IMMINENTE AGLI ATTIVISTI

Il principe ereditario del Regno dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman con il presidente Usa Donald Trump

Da Il Cairo il primo marzo si è diffusa la nota dell’agenzia di stampa Spa secondo cui il pubblico ministero dell’Arabia Saudita sta preparando i processi ai detenuti, identificati dai gruppi di controllo come attivisti per i diritti delle donne. Lo riferisce una segnalazione della Reuters firmata da Hesham Hajali con il coordinamento di Stephen Kalin e Andrew Heavens. «Il rapporto ha fornito pochi dettagli, ma ha fatto riferimento a una dichiarazione del giugno 2018 che diceva che nove persone – cinque uomini e quattro donne – furono arrestate e detenute con l’accusa di danneggiare gli interessi del paese e offrire supporto a elementi ostili all’estero. All’epoca, gruppi per i diritti internazionali hanno denunciato la detenzione di almeno 11 attivisti di spicco, per lo più donne che in precedenza avevano fatto campagna per il diritto di guidare e la fine del sistema di tutela maschile del regno. Alcuni sono stati successivamente rilasciati, ma gli attivisti hanno affermato che molte delle donne sono state detenute in isolamento per mesi e hanno subito torture e molestie sessuali». Il reporter Reuters riferisce che un funzionario saudita ha dichiarato che le accuse di maltrattamenti e torture nei confronti delle detenute erano “false … e non hanno alcun legame con la verità”. Decine di altri attivisti, intellettuali ed ecclesiastici sono stati arrestati separatamente in un tentativo apparente di eliminare l’opposizione al principe ereditario Mohammed bin Salman, che ha consolidato il potere.




L’opinionista del Washington Post Jamal Kashoggi assassinato nel consolato saudita a Istanbul


E’ sempre The Guardian, nell’articolo firmato da Patrick Wintour e Bethan McKernan, a riferire che la settimana scorsa l’Arabia Saudita è stata sottoposta a un nuovo esame investigativo per il suo rifiuto di collaborare con il relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, che ha appena concluso una missione di accertamento di cinque giorni a Istanbul per indagare sulla morte del giornalista Jamal Khashoggi, opinionista del Washington Post. «Alla squadra di Agnes Callamard non è stato concesso l’accesso all’edificio del consolato di tre piani in cui Khashoggi è stato ucciso da una squadra di agenti inviati da Riad, né è stato permesso di intervistare i funzionari sauditi – scrive The Guardian – Callamard ha ascoltato le registrazioni audio della morte del giornalista dissidente, che la Turchia ha anche condiviso con il direttore della CIA, Gina Haspel, Regno Unito, Canada, Germania e Francia». Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha chiesto risposte dal Regno in un’intervista televisiva di domenica sera e ha criticato gli Stati Uniti per non aver preso una posizione più decisa sull’omicidio di Khashoggi. «Non riesco a capire il silenzio degli Stati Uniti quando un attacco così orribile ha avuto luogo, e anche dopo che i membri della CIA hanno ascoltato le registrazioni che abbiamo fornito – ha detto Erdoğan – Vogliamo che tutto sia chiarito perché questo non è un omicidio ordinario, è un’atrocità». Riad ha arrestato 22 persone in relazione alla morte di Khashoggi, che il regno sostiene è stata effettuata senza la conoscenza del principe ereditario. Undici imputati sono stati processati il mese scorso. L’Onu, tuttavia, ha messo in dubbio l’equità del processo giudiziario saudita.



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