MARWA, YAZIDA RAPITA DAI MILIZIANI ISIS
VIOLENTATA E INCINTA A SOLI 10 ANNI
LEAH, CATTOLICA PRIGIONIERA DI BOKO HARAM
PERCHE’ RIFIUTA DI ABBRACCIARE L’ISLAM.
NASCE A ROMA IL GRUPPO INTERPARLAMENTARE
PER LA TUTELA DEI CRISTIANI PERSEGUITATI
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Marwa Khedr e Leah Sharibu. Due volti delle persecuzioni religiose degli islamisti, che forti di una Sura del Corano, si sentono in diritto di rapire e violentare impunemente le fanciulle di un’altra fede. Le loro raccapriccianti, orribili storie di vittime degli orchi jihadisti stanno tornando di attualità in questi giorni nei racconti disperati e drammatici dei parenti. Marwa è una bimba rapita in Irak a soli 10 anni dai terroristi islamici Isis che fanno schiave sessuali le ragazze e le donne di religione yazida come lei: l’ultima volta che è stata vista era incinta nonostante la giovanissima età. Leah è una quindicenne cristiana rapita un anno fa in Nigeria dai famigerati miliziani musulmani di Boko Haram: a differenza di altre studentesse rilasciate è ancora prigioniera perché non ha voluto abiurare la sua fede e convertirsi all’Islam. Anche per occuparsi delle migliaia di casi di cristiani perseguitati come la ragazzina nigeriana è nato nel Parlamento italiano un gruppo trasversale di deputati e senatori di vari schieramenti politici.
L’ATROCE STORIA DI MARWA: LA BAMBINA SCHIAVA
La bambina yazida Marwa Khedr rapita a soli 10 anni, ridotta a schiava sessuale e rimasta incinta
Nei giorni scorsi è stato il Daily Mail ha rievocare le terribili vicissitudini di Marwa Khedr attraverso i racconti di una zia sfuggita ai suoi aguzzini insieme alle due figlie piccole. Marwa aveva appena dieci anni quando circa quattri anni orsono i jihadisti dello Stato Islamico fecero irruzione nel villaggio yazida nella regione irachena di Sinjar. Gli Yazidi rappresentano una minoranza religiosa di lingua curda in Medio Oriente e sono divenuti famosi in tutto il mondo dopo il conferimento del Nobel per la Pace a Nadia Murad, una ragazza divenuta simbolo della battaglia per i diritti umani dopo essere statata schiava dei terroristi islamici del Daesh. Proprio i miliziani fondamentalisti sterminarono tutti gli uomini di Sinjar e deportarono donne e bambini in’altra città dove vennero separati per età in quanto sul mercato degli schiavi avevano valore differenti e i più ricercati erano quelli di età compresa tra i dieci e i venti anni. Il racconto di questo mercimonio dell’orrore è stato fatto al giornalista Ian Birrell da Mahdya, zia di Marwa che è appena fuggita da Baghuz, l’ultima roccaforte del califfato dell’IS, insieme alle sue figlie di otto e nove anni. «L’ultima volta che ha visto sua nipote, era rannicchiata con gli altri in un mercato vicino a Hardan, dove viveva, prima di essere portato nella “capitale” jihadista di Raqqa – riporta il Daily Mail – Mesi dopo, un’amica disse a Mahdya di aver visto di nuovo Marwa ed era incinta, nonostante la giovane età – un altro segno grottesco della barbarie inflitta da IS. Non è noto dove sia Marwa ora».
SCHIAVA OBBEDIENTE PER EVITARE LO STUPRO DELLE BIMBE
La yazida Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018 in virtù della sua battaglia per i diritti umani condotta dopo essere sopravvissuta alla schiavitù sotto i miliziani Isis
«Ci sono un sacco di ragazze come lei – ha aggiunto Ziad Avdal, un ex insegnante che gestisce case sicure per gli yazidisfuggiti all’IS – Non è solo terribile che sia incinta perchè queste ragazze potrebbero essere state violentate da 100 uomini prima che rimangano incinta». Mahdya oggi ha 29 anni ed è una dei circa 6.500 yazidi rapiti dai miliziani Daesh, perseguitati per la loro antica fede religiosa alla stregua dei cristiani. Quasi la metà sono ancora dispersi. La zia di Marwaracconta di essere stata venduta, aggredita, costretta a sposarsi diverse volte, sotto la minaccia di stupro delle sue figlie da parte di uomini più anziani e di vederle picchiate con cavi da spose jihadisti. «Non so quante volte sono stato venduto – ha detto Mahdya al giornalista – Un uomo mi ha avuta solo per tre giorni, poi mi ha venduto di nuovo. Mi hanno anche tenuta in un sotterraneo per due mesi. Era così buio che non potevo distinguere il giorno e la notte». Un altro miliziano che l’ha comprata per pulire la sua casa e cucinare ha deciso dopo quattro mesi di sposarla: «Mi ha detto che se avessi rifiutato o disobbedito avrebbe sposato mia figlia di otto anni o l’avrebbe venduta ad un altro uomo». All’inizio di febbraio, manmano che la morsa dei curdi Sdf si è stretta intorno a Baghuz è finalmente riuscita a scappare dall’enclave IS assediata e dal suo ultimo marito, un uzbeko, dopo mesi di inedia. Fu costretta a mangiare bastoncini di escrementi di animali per sopravvivere. «Non avrei mai pensato che sarei sopravvissuta» confida narrando le difficoltà per la liberazione delle figlie ormai cresciute e indottrinate dai fanatici dello Stato Islamico che si erano rifiutate di unirsi a lei nella fuga, temendo che le forze curde liberatrici fossero senza fede. «Alla fine ho dovuto dire loro che stavamo andando a prendere il cibo» disse Mahdya svelando il trucco con cui è riuscitata portarle via dal villaggio islamico. L’IS fino al 2017 controllava un territorio vasto quasi un quarto dell’Inghilterra, ma nei giorni scorsi solo 200 militanti sono rimasti confinati in un quinto di un chilometro quadrato. Accanto alle due figlie yazide liberate il giornalista ha incontrato anche un’altra ragazza di nome Hayda che è stata molto felice di togliersi il burka e indossare abiti normali. Non conosce la sua età perché fu separata da sua madre si presume a soli nove anni quando, in attesa di sposarsi, fu costretta a lavorare come domestica in una famiglia dell’Isis dove fu picchiata ripetutamente dalle donne islamiche tanto da provocarle una cicatrice sulla guancia e sulla nuca. E’ riuscita anche a parlare per la prima volta dopo due anni con sua madre, sfuggita due anni orsono dai fondamentalisti dello Stato Islamico. «Stava piangendo e stavo piangendo – disse Hadya – Mi è mancata così tanto». A breve finalmente potranno riabbracciarsi. Mentre si affidano alla preghiera i genitori cristiani della studentessa nigeriana rapita lo scorso anno da Boko Haram.
LA GIOVANISSIMA CRISTIANA PRIGIONIERA PER FEDELTA’ A CRISTOLa quindicenne cristiana Leah Sharibu rapita nel febbraio 2018 da Boko Haram in Nigeria
«Abbiamo fede in Dio e sappiamo che Lui può riportarci indietro Leah. Quindi non ci arrenderemo». Sono le parole pronunciate alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre da Rebecca, la madre di Leah Sharibu, la quindicenne sequestrata dai guerriglieri di Boko Haram nel pomeriggio del 19 febbraio 2018 insieme ad altre 110 studentesse di età compresa tra gli 11 e i 19 anni in un college di Dapchi, nel nord-est della Nigeria. Nel marzo seguente, 101 ragazze sono state liberate, mentre altre sono morte per mano dei jihadisti. Leah è l’unica ancora in ostaggio perché, come hanno spiegato gli stessi estremisti alla madre, non ha voluto convertirsi all’Islam. «Siamo forti in Cristo e non smetteremo di chiedere il rilascio di nostra figlia» afferma Nathan Sharibu, il padre di Leah, che assieme alla moglie ringrazia ACS e tutti i cristiani che nel mondo hanno espresso loro solidarietà. Accanto alla coppia, vi è il pastore Gideon Para-Mallam, tutore e portavoce della famiglia. «I genitori di Leah sono forti, ma è grande la sofferenza nei loro cuori. Oggi abbiamo pregato insieme in questo triste anniversario». Il religioso nota come la giovane cristiana rappresenti un modello per tutti i suoi coetanei: «un’eroina della fede cristiana del XXI secolo e un simbolo della resilienza di quest’area della Nigeria in cui i cristiani soffrono persecuzione da molto tempo. Attraverso il rapimento di Leah, Dio ci sta inviando un messaggio molto forte. Il Cristianesimo non verrà mai distrutto, né da Boko Haram, né da nessuna forza al mondo». Assieme ai signori Sharibu, il pastore ha pregato oggi anche per tutte le altre ragazze – sia cristiane che musulmane – ancora ostaggio dei “talebani africani”.
IL GRUPPO INTERPARLAMENTARE PER I CRISTIANI PERSEGUITATI
Il deputato biellese di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro delle Vedove
E proprio mentre dalla Nigeria torna di drammatica attualità la tragica storia di Leah Sharibu a Roma nasce il gruppo interparlamentare per la “Tutela della libertà religiosa dei cristiani nel mondo”. Quarantuno membri della Camera e del Senato di Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Cinque Stelle e del Gruppo Misto animeranno questa realtà, che, come spiega La Nuova Bussola Quotidiana, si pone importanti obiettivi: «agevolare il ritorno dei cristiani del Medio Oriente nelle loro terre d’origine dopo la fuga dovuta alle guerre e al terrorismo islamista, il sostegno a progetti concreti per il radicamento di queste comunità e la loro convivenza pacifica con le altre componenti etnico-religiose, la promozione della libertà di culto nei trattati bilaterali che vengono sottoscritti con quei Paesi in cui la comunità cristiana subisce gravi forme di discriminazione e persecuzione». L’intergruppo è stato presentato ieri alla sala stampa della Camera dall’onorevole biellese Andrea Delmastro delle Vedove, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Esteri, alla presenza di Fouad Abou Nader, presidente dell’organizzazione Nawraj che sostiene i cristiani del Libano, del giornalista Sebastiano Caputo, presidente della filiale italiana della fondazione SOS Cristiani d’Oriente, di Federica Celestini della Modavi Onlus e del giornalista Gian Micalessin, inviato di guerra e autore di Fratelli traditi. La tragedia dei cristiani in Siria. «Il gruppo nasce sotto buoni auspici visto che Delmastro ha annunciato che sta per essere istituito un fondo di due milioni di euro che andrà a finanziare i progetti di ricollocamento dei cristiani fuggiti dalle località del Medio Oriente martoriate da attentati e attacchi e da quelle che hanno conosciuto il dominio dello Stato Islamico – evidenzia il reportage di NBQ – A tal proposito Delmastro ha ricordato le persecuzioni perpetrate dagli islamisti contro le comunità cristiane in Siria, Iraq (specie nella Piana di Ninive) ed Egitto e ha evidenziato che prima del diritto a essere accolti c’è quello a vivere in pace nella terra in cui si è nati. Per questo motivo, lo scopo di fondo di ogni iniziativa sarà quello di ricostruire la presenza cristiana nelle regioni del Medio Oriente». E proprio il parlamentare di Fratelli d’Italia ha rammentato i dati salienti dell’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre: circa 300 milioni di cristiani che subiscono gravi o estreme violazioni della libertà religiosa in 38 Paesi del mondo; 15 mila fedeli attaccati durante funzioni religiose e 1.200 chiese distrutte nel 2018; circa il 61% della popolazione del mondo che vive in Stati in cui la libertà religiosa è colpita da forti restrizioni. In questa cornice il gruppo lavorerà anche per inserire il tema della libertà religiosa in tutti i trattati bilaterali, con particolare attenzione ai rapporti con Cina, Corea del Nord, Paesi arabi e in generale quelli a maggioranza musulmana. La questione sarà infine posta anche nell’ottica dell’allargamento dell’Ue a quei Paesi dei Balcani scossi dalle guerre etniche e interessati dal fondamentalismo islamico. «Vero motore dell’iniziativa dell’intergruppo è la filiale italiana di SOS Cristiani d’Oriente, associazione umanitaria nata in Francia nel 2013 in seguito alla presa di Maalula da parte di Al-Nusra (allora costola siriana di Al-Qaeda). L’aggressione al villaggio cristiano dove si parla ancora l’aramaico provocò un moto di solidarietà organizzato da un gruppo di ragazzi che, con il passare degli anni, si sono strutturati in una delle principali realtà di cooperazione e sviluppo in Siria e Libano».
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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