sabato 15 dicembre 2018

RADUNO ATTO V: DIMISSIONI MACRON LA RIVOLTA DEGLI ESTREMISTI PARTE DA FACEBOOK CON L’AIUTO DELLA SINISTRA E DEI BLACKBLOCKS

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Le proteste del primo dicembre a Parigi, che possiamo definire insurrezione o addirittura guerra civile, sono state sui generis. Rappresentanti di diverse forze politiche hanno partecipato insieme a un’unica protesta. Da un lato, qualsivoglia gruppo di estrema sinistra: gruppi singoli o anarchici. Si tratta di persone che impiegano i metodi della sommossa cittadina e non del movimento per ottenere qualcosa. Poi ai manifestanti di estrema sinistra si sono uniti criminali provenienti da sfortunati quartieri della regione di Parigi. Oltre a loro vi erano anche i gilet gialli a noi sconosciuti che ci hanno permesso di infiltrarci nelle situazioni di disordine. E infine, vi erano anche singoli individui di estrema destra che hanno agito principalmente da soli o in piccoli gruppi». E’ il segretario generale del sindacato francese dei poliziotti France Police Michel Thooris in un’intervista rilasciata a Sputnik France a spiegare chi sono diventati i Gilet Gialli. Soprattutto da quando l’esuroparlamentare comunista e massone Jean-Luc Melenchon, sconfitto alle presidenziali 2017 da Emmanuel Macron, ha cominciato a mobilitare la sua rete politica forte dei 7milioni di voti presi alle elezioni.
GLI INFILTRATI ROSSO-NERI TRA I GILETZ JAUNES


Il sito di sinistra di frontsocialuni.fr dipinge di rosso i Gilets Jaunes

Nel movimento spontaneo dei Gilets Jaunes, come affermato dalla sua leader Jacline Mouraud già il 2 dicembre, si sono infiltrati «giovani che vogliono solo fare casino»: dai professionisti rossi della contestazione di piazza ai terroristi delle tute nere Blackbloks della guerriglia urbana. Un’escalation che non si è manifestata solo nel passaggio da 20mila manifestanti della fine di novembre ai 125mila dell’8 dicembre, non solo nella mutazione della protesta dai blocchi stradali alle devastazioni di vetrine ed auto sull’Avenue des Champs-Élysées, ma anche con le dotazioni dei rivoltosi. Dal semplice gilet giallo si è passati a maschere da saldatore sugli occhi e maschere antigas sulla bocca ed armi non convenzionali da combattenti di piazza come spiega sempre l’agente Thooris: «Le armi impiegate contro i poliziotti preoccupano molto. La gente si è armata di mannaie, bombe incendiarie e armi bianche potenzialmente letali. A mio parere, il livello di violenza è maggiore di quello del maggio del 1968. Inoltre, allora le proteste erano localizzate, mentre oggi hanno acquisito una dimensione nazionale. La gente di periferia ha depredato prevalentemente negozi e auto, mentre gli altri hanno attaccato la polizia. Il livello di stanchezza dei poliziotti e quello delle violenze perpetrate rappresentano un cocktail estremamente pericolo. È sempre più difficile controllare le proprie azioni».
POLIZIOTTI AGGREDITI: IL PERICOLO DI UNA REAZIONE


Un “gilet giallo” con una fionda, l’1 dicembre a Parigi (LUCAS BARIOULET/AFP/Getty Images)

Sputnik France cita un esempio per tutti che per poco non ha scatenato la rappresaglia «Il primo dicembre un membro della CRS (Compagnie Républicaine de Sécurité) per poco non è stato vittima di un linciaggio vicino all’Arco di Trionfo. I cordoni della polizia hanno ceduto alla pressione dei manifestanti» ed il sindacalista dei poliziotti risponde con grande preoccupazione: «Da parte sua è stato un atto di legittima difesa e vi assicuro che in qualunque altro Paese i poliziotti avrebbero aperto il fuoco. Il nostro collega ha fatto prova di estreme umanità e professionalità decidendo di sacrificarsi invece di colpire chi lo stava attaccando. Al contempo, bisogna ricordare che una situazione del genere che si protrae ormai da settimana porterà inevitabilmente a vittime. Il governo arriverà davvero al punto di dover aprire il fuoco? Stiamo parlando proprio di questo. Nessuno ordinerà direttamente di sparare sui manifestanti, ma potremmo dover affrontare una sommossa e i poliziotti sarebbero costretti a impiegare le armi per salvare la propria vita. In una situazione simile, anche se le armi venissero impiegate contro un vandalo incallito, si avrebbero ripercussioni molto pesanti. Vi è il rischio di una destabilizzazione dell’intera società democratica. Il nostro sindacato si è rivolto incessantemente al governo da quando la situazione si è complicata. Lo invitiamo ad avviare il dialogo, a frenare questa deriva e, cosa più importante, a prendere misure che possano ridurre il vigore delle proteste».
IL RADUNO PER LE DIMISSIONI DI MACRON


La scritta sul muro dell’Arco del Trionfo che chiede le dimissioni di Macron

Ebbene dopo il primo dicembre Emmanuel Macron ha calato le braghe giungendo a giustificare la «collera» ed a fare promesse di incentivi socioecnomici importanti ma ciò non è bastato ai rivoltosi che come cita la pagina Facebook costituita ad hoc per la manifestazione di oggi hanno un solo obietivo: “Sabato 15 dicembre Atto 5: Macron dimissioni”. Riferisce infatti Il Giornale: Il nuovo raduno, l’atto V della protesta, è stato convocato a Parigi. Ma, come avvenuto in queste settimane, coinvolgerà sicuramente tutto il territorio francese. Su Facebook gli appelli si moltiplicano nonostante gli annunci di Emmanuel Macron e l’attacco di Strasburgo. “Non molliamo nulla. Confermiamo che l’atto V avrà luogo sabato”. L’evento prevede 10 mila partecipanti e 66mila persone interessate. È chiaro che i numeri dei social non siano necessariamente quelli reali. Ma poiché tante altre pagine su Facebook indicano numeri simili, l’idea è che questo fine settimana possano viversi giornate simili a quelle già viste in questo mese. L’appuntamento più importante sembra essere sempre sugli Champs-Elysees. Sembra, perché Eric Drouet, uno dei leader del movimento, sostiene invece che il corteo partirà alle 9.30 a senza aver precisato il luogo, che sembra sarà segnalato all’ultimo momento per mettere in difficoltà le forze dell’ordine ed evitare infiltrazioni». Come sanno tutti gli esperti di politica la richiesta intimidatoria delle dimissioni di un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo come avviene in Francia è un atto che può essere interpretato come un golpe da guerra civile. Quindi un’aspettativa che se è legittima per manifestanti estremisti non può esserlo da parte di parlamentari a meno che non si voglia creare il caos a tutti i costi incuranti del prezzo da pagare in vite umane.
L’ALLERTA DELLA PREFETTURA: 8MILA POLIZIOTTI A PARIGI


Il presidente francese Emmanuel Macron insieme al suo rivale Jean-Luc Melenchon, leader dell’estrema sinistra, oratori in una serata sugli Elysee Palace nel novemnre 2017. REUTERS/Philippe Wojazer

La prefettura di Parigi ha già messo in stato d’allerta i reparti antisommossa. La capitale francese è sorvegliata da 8mila agenti, 14 mezzi blindati pesati già impiegati per distruggere le barricate delle scorse settimane di protesta e 50 dispositivi di azione rapida. Da Parigi fanno sapere la che Prefettura si prepara «allo scenario più difficile con una strategia di adattamento permanente alla situazione». Il prefetto di polizia di Parigi, Michel Delpuech, ha detto a Rtl che la mobilitazione degli agenti è un dispositivo che le autorità «fanno evolvere perché siamo confrontati ad attacchi che non gestiamo, nel quadro di manifestazioni non preannunciate, e che non rispettano alcuna regola». Nonostante tuto ciò per non dare l’idea di Parigi città sotto assedio diversi musei della capitale resteranno aperti, contrariamente a quanto accaduto sabato scorso. Il ministro dell’Interno Christophe Castaner ha lanciato un appello ai Gilet Gialli chiedendo ai manifestanti “un atto di responsabilità”. Per il portavoce Benjamin Griveaux «la rabbia si è già espressa ed è stata sentita dal governo che ha già risposto» ed ha invitato alla calma anche in considerazione dello stress delle forze dell’ordine per l’attentato a StrasburgoUn riferimento duramente contestato dalle opposizioni, sia della France Insoumise di Melenchon, che già lunedì scorso, dopo gli oltre 260 feriti ed i 1.700 arresti di sabato 8 dicembre, gettava benzina sul fuoco: «Io credo che l’Atto 5 della “rivoluzione dei cittadini” nel nostro paese sabato prossimo sarà un momento di grande mobilitazione. Ma certamente, come ciascuno di noi, mi rimetto alla decisione che sarà presa da coloro che sono dentro all’azione». La risposta non si è fatta attendere, nonostante gli inviti alla prudenza ed a rinunciare alla protesta di alcuni esponenti di opposizione come Laurent Wauquiez, Nicolas Dupont-Aignan e anche Marine Le Pen, ed è lecito aspettarsi che oggi la rivolta rivelerà il vero volto: dei Gilets Jaunes, in campo con le frange più estremiste, non resterà che la casacca gialla indossata da militanti rossi di estrema sinistra e neri dei Black-blocks. Una protesta fortemente fomentata dal leader della sinistra Melenchon che guarda caso a due europarlamentari del suo partito nella lista degli europarlamentari vicini a Soros e che quindi potrebbe essere caldeggiata anche dai soliti poteri occulti delle rivoluzioni arancioni. Come si spiega tutto ciò visto che i Gilet Gialli protestano contro l’austerity del mondialismo impersonata da Macron? Semplice. Qualsiasi atto di guerra civile è favorevole ai mondialisti, o per “bruciare“ Macron e farlo abdicare verso un reggente di sicurezza a tempo indeterminato in attesa di future elezioni o per applicare la legge marziale, proibire ogni manifestazione e magari persino costringere il Parlamento Europeo a rinviare le elezioni del maggio 2019 in un momento in cui i populisti sono strafavoriti nei sondaggi. Saggio il suggerimento del sindacalista della polizia francese: «Non voglio esprimere le mie idee politiche né richiedere le dimissioni di Macron. Ma penso che debba almeno indire un referendum come fece il generale de Gaulle dopo gli avvenimenti del maggio del 1968». Solo le urne, infatti, potrebbero contare il reale peso politico di oltre centomila manifestanti che è nulla su 70milioni di abitanti, Resta comunque la paura per questa ennesima protesta che è la smentita più forte ed inequivocabile alla tesi dei social sul complotto statale dietro il massacro jihadista di Strasburgo.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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