martedì 9 ottobre 2018

Marco TRAVAGLIO: per la prima volta in Parlamento a parlare di trattativa Stato-Mafia

“La vicenda trattativa Stato-Mafia ha interessato buona parte del suo lavoro, con libri, spettacoli teatrali, inchieste, Lei ha cercato di far comprendere agli italiani che cosa davvero ha rappresentato quella convergenza di intenti, tra due soggetti che dovrebbero essere naturalmente contrapposti. Crede che i cittadini italiani abbiamo davvero capito le conseguenze di quegli equilibri politico-mafiosi?”
Rispondo subito: NO.
Mi scuso in anticipo perché dopo esser intervenuto devo scappare, devo partire per la Sardegna perché ho un processo domani mattina presto. Quello dei processi per diffamazione, attiva o passiva, intentati contro i giornalisti, o che i giornalisti son costretti ad intentare contro chi a loro volta li diffama, è un bel tema. Ma non è il tema di oggi. Certamente è uno dei fattori che contribuiscono a rendere più servile e più intimidita una stampa che già tradizionalmente nella sua media generale lo è.
E quindi io apprezzo molto il fatto che qui in Parlamento si incominci a parlare di questi temi. Devo dire la verità, a me non era mai capitato di esser invitato in Parlamento a parlare di Trattativa Stato-Mafia. Anzi, se c’era un posto dove questa parola credo non sia mai stata pronunciata è proprio questo. E’ un buon segno di cambiamento, ma secondo me sarebbe un buon segno di cambiamento se tutti i politici, quelli nuovi, quelli vecchi, imparassero a smetterla di parlare dei giornalisti, di dare le pagelle ai giornalisti, di elogiare quelli che parlano bene di loro, di attaccare quelli che parlano male di loro. E’ un malcostume che deve finire, perché purtroppo contribuisce a rendere l’informazione ancora più servile di quanto già non sia. E si aggiunge al tema delle “querele temerarie”, delle cause civili ultra-temerarie, che i giornalisti di un certo tipo accumulano durante tutta la loro carriera.
Io sulla trattativa Stato-Mafia mi son sempre domandato perché ci fosse tanta reticenza nel parlarne. E non solo da parte dell’informazione, ma per quale motivo questo processo – e Nino Di Matteo ne sa qualcosa – imbarazzasse così tanto la corporazione della Magistratura oltre naturalmente la politica trasversale. Che la politica trasversalmente non volesse sentir parlare di “trattativa”, diciamo, era abbastanza comprensibile, nel senso che “parlare di corda in casa dell’impiccato” è sempre spiacevole per l’impiccato.
Dato che questa trattativa è iniziata nel ’92 quando governava il Centro-Sinistra, diciamo Prima Repubblica e si è conclusa nel ’94, con l’ascesa al Governo di Silvio Berlusconi e il varo del Centro-Destra, Seconda Repubblica. E’ evidente che il più pulito aveva la rogna, e quindi è evidente che nessuno volesse che s’andasse a scandagliare quel terreno. La domanda riguarda il giornalismo, noi oggi parliamo del giornalismo d’inchiesta; il giornalismo che si è occupato o non si è occupato delle inchieste e poi del Processo e della Sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia non è il giornalismo d’inchiesta, è il giornalismo sulle inchieste, cioè la cronaca giudiziaria.
Perché naturalmente è una cosa molto diversa dal giornalismo d’inchiesta. Il Giornalismo d’inchiesta non è quello che riferisce le indagini della Magistratura, l’andamento dei processi, le motivazioni delle sentenze, eccetera. E quello che scopre con le proprie inchieste scopre dei fatti che poi possono anche originare delle indagini penali. A volte poi non sono fatti penalmente rilevanti e quindi riguardano semplicemente fatti di interesse pubblico.
A volte il giornalismo d’inchiesta, ha addirittura anticipato il lavoro della Magistratura. Anche perché i giornalisti non sono tenuti a raggiungere un tale livello di prove come quello che son tenuti a raggiungere i Magistrati per poter ottenere un arresto, un rinvio a giudizio, un decreto di perquisizione. Quindi noi, da questo punto di vista abbiamo qualche agevolazione in più per arrivare alla nostra verità, la verità giornalistica è molto diversa anche dal punto di vista del livello probatorio, rispetto alla verità giudiziaria, alla verità processuale.
E quindi mi sono domandato: è possibile mai che noi abbiamo una vicenda così enorme, così clamorosa, che secondo me se la scoprisse uno sceneggiatore americano, altro che “Il Padrino”. E mi domando per quale motivo uno sceneggiatore italiano non c’ha ancora fatto una serie che sarebbe infinitamente più interessante di quella di “Gomorra”. E “Gomorra” è una serie molto interessante ma riguarda uno dei tanti Clan della Camorra in una terra abbastanza decentrata. Qui stiamo parlando di Presidenti del Consiglio, Ministri dell’Interno, Ministri della Giustizia, altissimi Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, i massimi vertici di Cosa Nostra, non Pietro Savastano.
Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, quelli che hanno fatto saltare in aria l’autostrada di Capaci, e poi la piazza antistante l’abitazione della madre di Paolo Borsellino. Stiamo parlando dei massimi livelli dello Stato e della Mafia, processati, coinvolti ed alla fine raggiunti da una sentenza che fa accapponare la pelle, per chi l’ha voluta leggere. Io c’ho passato l’estate e non l’ho ancora finita e la sto finendo. Io mi son sempre domandato come sia possibile tanto silenzio.
Perchè tanto silenzio? E’ un silenzio che mi ricorda il “Processo Andreotti”. Il Processo Andreotti voi sapete che è stato accompagnato da diffidenze, minimizzazioni, irrisioni, e alla fine è arrivato ad una sentenza che ci ha testimoniato come siamo stati governati per sette Governi da un signore che era associato a Cosa Nostra fino almeno alla primavera del 1980, avendo cominciato a fare politica nel 1946, era un bel periodo, e dopo assolto per “insufficienza di prove”.
E tutti gli italiano sono conviti che sia stato assolto, cioè che non c’entrasse nulla con la Mafia. Lì la spiegazione, anche se Andreotti è stato processato praticamente da morto, politicamente parlando, era che un intero ceto dirigente non voleva minimamente passare alla storia come una classe dirigente collusa. E quindi la spiegazione delle bugie che sono state raccontate, scambiando la ‘prescrizione‘ per ‘l’assoluzione‘ mentre ne era esattamente l’opposto, a leggere le motivazioni della sentenza.
Bene, tutto quello aveva una spiegazione. Sulla Trattativa Stato-Mafia c’è ancora di peggio, perché mentre il caso Andreotti si basava prevalentemente su parole di Mafiosi pentiti, collaboratori di giustizia, e quindi si poteva dire che si erano messi d’accordo in 30 o in 40 anche se non si erano mai parlati tra di loro (e non si erano mai conosciuti) per attaccare questo sant’uomo. Il Processo sulla Trattativa Stato-Mafia diciamo che sta in piedi, pulito e lindo, anche se si eliminano tutte le parole e tutti i collaboratori di giustizia.
Nella sentenza i Giudici fanno una scelta addirittura più drastica, eliminano del tutto le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che è il testimone-imputato che a un certo punto decide semplicemente di raccontare quello che gli raccontava suo padre, quello che vedeva a casa sua e di suo padre, e quali incarichi riceveva da suo padre per andare a ritirare o portare pizzini, papelli o fare un po’ il ragazzo di bottega del padre che stava agli arresti domiciliari e incontrava ufficiali dei Carabinieri eccetera.

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