Il No alla Tav non compare mai, almeno a chiare lettere. Ma il senso dell’ordine del giorno partorito dal M5S torinese e approvato ieri dal Consiglio comunale di Torino è inequivocabile. Muovendosi sul crinale delle interpretabili enunciazioni del contratto di governo più per non indispettire gli alleati della Lega che per cautela, il documento si limita a fare riferimento all’analisi costi-benefici promessa dal ministro Danilo Toninelli. Salvo poi chiedere di sospendere qualsiasi cantiere prima che lo studio non sia terminato. Pretendere dall’esecutivo la testa del direttore di Telt, la società che sta realizzando la ferrovia, Mario Virano, e del commissario governativo, Paolo Foietta. E invocare che «i fondi attualmente previsti per la Torino-Lione vengano destinati alla mobilità collettiva e sostenibile»: piste ciclabili e auto elettriche.
Insomma, non si scappa: Torino da ieri è una città «No Tav». Un traguardo, per qualcuno, festeggiato dagli applausi dei militanti valsusini riuniti sotto il municipio. Una sciagura, per molti altri, tanto che per la prima volta il mondo dell’economia e del lavoro torinese, una delegazione di cinquanta persone, tra industriali, artigiani, commercianti, professionisti, ha bussato invano alla porta di Palazzo Civico per chiedere un ripensamento: «Ci hanno detto un no ideologico. Ma non finisce qui». Così come è stato vano il tentativo dell’opposizione di centrosinistra di bloccare il voto interrompendo la seduta con i cartelli: «Torino dice sì alla Tav». Il risultato: tutti espulsi dall’aula, compreso l’ex sindaco Piero Fassino.
E poco importa che tutto questo sia avvenuto mentre la sindaca Chiara Appendino si trovava in missione a Dubai. «Sono sempre stata contraria», si è premurata di ricordare la prima cittadina alla vigilia del voto, per rispondere a chi le chiedeva conto della sua assenza, criticata dai vertici degli industriali torinesi.
Certo, non è la prima volta che i Cinquestelle torinesi votano contro l’Alta Velocità. Lo avevano già fatto il 5 dicembre del 2016, uscendo dall’Osservatorio. Ma allora non c’era un governo gialloverde. E il Movimento non aveva appena fatto retromarcia rispetto alle proprie promesse elettorali sul Tap in Puglia. «Per noi le lotte in Val di Susa sono state un laboratorio politico, la Tav è la madre di tutte le battaglie», ricorda con orgoglio la pasdaran valsusina Viviana Ferrero dai banchi della maggioranza in Sala Rossa. «Se venisse completata quell’opera, non sarebbe altro che un mausoleo a un modello di sviluppo finito. Ora il no ha finalmente una piena legittimazione democratica», attesta la capogruppo pentastellata Valentina Sganga.
Per il M5S torinese la lotta No Tav non si discute, fa parte del suo Dna.Così meglio cercare di mettere subito un’ipoteca sulle future scelte del governo. Una mossa che non è affatto piaciuta ai leghisti piemontesi. Il capogruppo Fabrizio Ricca ha votato contro l’ordine del giorno grillino. E ha rassicurato gli imprenditori torinesi: «State tranquilli, c’è la Lega che è da sempre a favore dell’opera. Il Piemonte non può permettersi di restare isolato».
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