venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS II Parte

Le altre fabbriche della morte

...I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera.A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera...

Risultato immagini per rischio biologico



Mappa della dislocazione delle maggiori Unità giapponesi per la sperimentazione di armi biologiche.

Come è già stato detto, Pingfan era il quartier generale di un’enorme struttura di sperimentazione per lo sviluppo di armi biologiche che comprendeva varie filiali in Cina e nelle altre zone del Sud-Est Asiatico sotto il controllo nipponico. Con le ingenti somme messe a disposizione dal governo, Ishii assicurò la creazione di molte basi satellite dove lavorarono centinaia di medici giapponesi e dove veniva addestrato il personale per compiere i test sugli uomini. In ogni fabbrica della morte venivano prodotti in quantità germi, batteri, virus e tossine necessari alla contaminazione di vaste aree di territorio.



L’Unità Songo (Unità 673) presso Sunyu era specializzata nelle ricerche sulle cause delle febbri emorragiche e sulla peste bubbonica. Molti roditori selvatici vennero catturati in Manciuria, allevati e infettati con le pulci appestate e coltivate nei laboratori. Questi ratti vennero utilizzati nelle successive sperimentazioni e operazioni di guerra biologica. L’Unità 673 si occupò anche di molti test umani sul congelamento. Altre basi più piccole erano situate ad Hailaer (Unità 543), vicino alla frontiera con l’URSS, e in altre zone remote della Manciuria. A Dalian nella provincia del Liaodong, sorse l’Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud dove venivano prodotte enormi quantità di vaccini per l’immunizzazione delle truppe dell’Armata Imperiale. Distaccamenti urbani dell’Unità 731 sorsero ad Haerbin, a Shenyang, dove venivano studiati i microrganismi letali e le sostanza chimiche tossiche da utilizzare in un eventuale scontro con l’Unione Sovietica.

A Changchun si stabilì l’Unità 100, detta anche Unità Wakamatsu (il veterinario Wakamatsu Yujiro fu a capo del centro di sperimentazione dal 1936 al 1945) o Unità amministrativa per la protezione anti-epizootica equina dell’Armata del Kwantung. Venivano portati avanti gli esperimenti sulle armi biologiche contro animali, piante e raccolti. L’Unità si estendeva per una superficie di quasi venti chilometri quadrati che comprendeva, oltre ai vari laboratori, estesi terreni coltivati dove venivano sperimentate sostanze chimiche, batteri e funghi per la distruzione e la contaminazione dei raccolti di grano e riso. Sviluppò anche numerosi progetti di contaminazione del bestiame da spingere dietro le linee sovietiche.
Agli ordini di Wakamatsu c’erano ottocento fra scienziati e soldati; gli edifici dell’Unità di Changchun erano numerosi e, come a Pingfan, la sede amministrativa, le prigioni e i laboratori erano accorpati e vi si accedeva tramite tunnel sotterranei segreti.

Le malattie trasmissibili dal contatto con gli equini furono le più studiate, come morva, l’anemia infettiva equina (malattia che distrugge il sistema immunitario) e la pirosplasmosi (infezione dei globuli rossi trasmessa dalle zecche). I tecnici di questa Unità concentrarono i loro esperimenti principalmente sui microrganismi trasmissibili da animale a uomo o sui microrganismi capaci di contaminare le risorse umane come i raccolti e le falde acquifere: svilupparono approfonditi studi ed esperimenti sul virus del mosaico, della ruggine rossa, su diserbanti chimici in modo da devastare interi raccolti; agenti patogeni vennero coltivati in laboratorio per trovare il modo più rapido ed efficace per sterminare mandrie di bestiame.
I pazienti dell’equipe di Wakamatsu ricevettero lo stesso trattamento che l’Unità 731 riservava ai suoi maruta: microrganismi e sostanze letali furono testati su centinaia di uomini, poi dissezionati per seguire gli sviluppi della malattia sperimentata. Le autopsie e le vivisezioni venivano condotte con un’estrema meticolosità come dimostrano due spessi rapporti che i giapponesi, al momento della resa nell’agosto del 1945, non riuscirono a distruggere. Il Rapporto G, costituito da 372 pagine, descrive ventuno casi di morva con numerose illustrazioni e centinaia di fotografie delle cellule malate. Il Rapporto A, 406 pagine, riporta le annotazione sulle vivisezioni di trenta persone infettate con l’antrace e il modo in cui nove prigionieri furono costretti a contrarre l’infezione intestinale dell’antrace mangiando cibo contaminato. Tutti i pazienti morirono in pochi giorni per emorragie interne e dopo un’atroce agonia.

Anche l’Unità 100 sviluppò alcune basi satellite in Manciuria che lavoravano in collaborazione con gli scienziati di Wakamatsu.
Il 18 aprile 1939 Ishii diede ordine di creare, nella città di Nanjing, l’Unità 1644 distaccamento dell’Unità antiepidemica per l’approvvigionamento idrico della Cina centrale, detta anche Unità Tama, e ne affidò la gestione al microbiologo Masuda Tomosada. Un ricercatore assegnato all’Unità di Nanjing rimasto anonimo scrisse che nel luglio 1942 fui trasferito in Cina e il mese seguente assegnato all’Unità 1644 di Nanjing. Attrezzature e tecnici furono trasferiti da Haerbin. La struttura era buona; avevamo persino una piscina. Sotto il regime di Chiang Kai-shek [JiangJieshi], la struttura era in origine un ospedale civile. La parte anteriore del complesso ospedaliero si estendeva per duecento metri, isolata da alte mura difese da guardie. La struttura si sviluppava per settecento metri al di là di questo muro e c’era una grande croce rossa sul tetto dell’edificio principale. […] Le persone che lavorarono nell’Unità erano medici militari, medici specialisti, interpreti e dipendenti civili.
La nostra attività includeva lo sviluppo di vaccini preventivi, curare gli animali e prelevare sangue animale per la ricerca e la produzione di vaccini. Io fui assegnato al team che si occupava dei vaccini. Eravamo in centoventi, circa il dieci percento degli effettivi dell’Unità. Ogni giorno, io dovevo dare informazioni sul lavoro svolto il giorno precedente, incluso quale medico militare aveva effettuato quel lavoro, quali risultati si erano ottenuti e così via. Avevo il compito di scrivere tutti i dettagli in un rapporto di ricerca, poi ponevo il timbro sopra, «segreto», e lo mettevo al sicuro. Ogni persona collegata con gli esperimenti umani indossava uno speciale bottone al lato del suo cappello. I maruta erano tenuti in celle all’ultimo piano di un edificio a tre piani.
Si doveva passare attraverso gli uffici amministrativi per andare al terzo piano, dove erano le celle. L’area dei prigionieri era chiusa ermeticamente da una porta. Un metro prima di questa e di là da essa c’erano due tappetini pregni di materiale disinfettante per prevenire che i batteri potessero uscire restando attaccati alle scarpe. Dietro la porte, la stanza era di circa 10-15 metri quadrati con le celle tutte in fila. La maggior parte dei maruta nelle celle erano distesi a terra. Nella stessa stanza c’erano contenitori d’olio con topi infettati con i batteri della peste e pulci che si nutrivano sui topi. Non erano il tipo usuale di pulci, ma di una varietà trasparente. Intorno al perimetro della stanza c’era un solco largo trenta centimetri in cui scorreva l’acqua.
Vicino alla stanza per le dissezioni c’era la stanza dei campioni sperimentali umani.

I laboratori di batteriologia dell’Unità 1644 erano stati progettati in particolar modo per la messa a coltura di virus e batteri letali da utilizzare nelle azioni di guerra biologica. In un solo ciclo di produzione e utilizzando le duecento incubatrici che possedeva l’Unità, si potevano produrre fino a dieci chilogrammi di microrganismi. Gli scienziati di Nanjing somministrarono a civili cinesi una vasta varietà di sostanze chimiche tossiche e veleni come acetone, arsenicanti, cianuro, nitrito prussico, veleno del cobra, habu, amagasa e il veleno contenuto nella carne del pesce palla (fogu).
La posizione strategica di Nanjing rese l’Unità 1644 il punto di partenza delle varie missioni di sperimentazione e attuazione di guerra biologica nella Cina centrale.

Presso Anda, a circa 120 chilometri a nord-ovest di Pingfan, si stabilì un terreno di sperimentazione a cielo aperto in cui vennero effettuati test di bombe biologiche e batteriologiche, usando gli agenti patogeni di colera, peste bubbonica e altri microrganismi letali. Per queste particolari prove venivano utilizzati dai dieci ai cinquanta individui legati a dei pali e generalmente disposti in più circoli di diverso diametro, per poter stabilire la giusta distanza dal punto della deflagrazione alla persona che veniva colpita dalle schegge contaminate dell’ordigno. Le cavie erano protette da un elmetto e da un piatto di metallo che copriva il collo e tutto il busto. In questo modo, erano solamente gli arti esposti ad essere colpiti, evitando così che gli organi vitali dei maruta venissero mortalmente lesionati.
Il coreano Choi Hyung Shin lavorò come interprete per i giapponesi nell’Unità 1855 di Beijing dal 1942 al 1943 e testimoniò che le cavie venivano infettate con la peste, il colera ed il tifo. Coloro che non erano stati ancora infettati venivano messi in differenti zone. C’erano grandi specchi nelle celle dei soggetti così da poter essere osservati in maniera migliore. Io parlavo con i prigionieri usando un microfono e guardandoli attraverso un pannello di vetro, traducendo le domande dei dottori: “hai la diarrea? hai emicranie? hai freddo?”. I dottori registravano attentamente tutte le risposte.
Durante un esperimento sul tifo, dieci persone furono costrette a bere una mistura di germi e a cinque di loro fu somministrato il vaccino. I due gruppi furono separati l’uno dall’altro. I dottori li visitavano attentamente e ponevano loro domande che io traducevo, registrando le risposte. Il vaccino funzionò con i cinque che erano stati immunizzati. Gli altri cinque soffrirono orribilmente.
Nei test con la peste, i prigionieri soffrirono di feroci brividi, di febbre alta e gemevano per i dolori, finché non morirono. Per quello che ho potuto vedere, ogni giorno una persona veniva uccisa.
Choi si ammalò di appendicite e ne approfittò per fuggire dall’Unità 1855, in cui era stato costretto a lavorare. Fu catturato dal Kempeitai e sottoposto alla tortura dell’acqua5 mista a peperoncino che gli causò un danno permanente ai polmoni. Per cinquanta anni è stato costretto a continui ricoveri ospedalieri.
Molte altre ancora furono le fabbriche della morte e tutte lavorarono su soggetti umani, al di là di ogni morale scientifica e umana.

Principali fabbriche della morte giapponesi in Asia 

Unità giapponesi di sviluppo e sperimentazione della guerra biologica


Pingfan 

Unità 731 o Unità Ishii


Nanjing 

Unità 1644 o Unità Tama


Beijing 

Unità 1855


Changchun 

Unità 100 o Unità Wakamatsu


Sunyu 

Unità 673 o Unità Songo


Beiyinhe 

Unità Togo


Hailaer 

Unità 543


Dalian 

Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud


Haerbin 

Distaccamento dell’Unità 731


Shenyang 

Distaccamento dell’Unità 731


Anda 

Distaccamento dell’Unità 731


Shanghai 

nome sconosciuto


Guangzhou 

Unità 8604 o Unità Nami


Singapore 

Unità 9420 o Unità Oka


Burma 

nome sconosciuto


Rangoon 

nome sconosciuto


Bangkok 

nome sconosciuto


Manila 

nome sconosciuto



1 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 164.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 94.


3 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 150-152.


4 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 52-53.


5 Nella bocca e nelle narici della vittima veniva pompata dell’acqua nei polmoni finché il torturato non perdeva i sensi.

Le bombe vive

“Queste spaventose applicazioni belliche sono opera di medici che dovrebbero proteggere l’umanità dal dolore e dalla malattia”

Franco Graziosi

Tutti gli scienziati e tecnici delle Unità di Ishii lavorarono febbrilmente alla produzione su larga scala di potenti e letali microrganismi biologici e batteriologici da impiegare negli attacchi contro il nemico. Per poter disseminare gli agenti patogeni su vaste aree si progettarono e realizzarono moltissimi mezzi di dispersione, ma soprattutto vi era il continuo bisogno di coltivare gigantesche quantità di batteri e virus sufficienti a provocare un’epidemia.
All’inizio si cercò di costruire proiettili esplosivi con ogive piene di agenti letali, ma, fin da subito, si rivelarono totalmente inefficaci: la detonazione uccideva i microrganismi impiegati o li rendeva innocui. Questo tipo di armi fu scartato e si cercò di produrre bombe specifiche che non annientassero il loro contenuto letale e, allo stesso tempo, adatte alla disseminazione su un vasto territorio.
La bomba HA fu progettata per disperdere, da alte quote e su un’ampia area, l’antrace sotto forma di spore o di batteri polverizzati. La forma era quella di una pallottola costituita da sottile acciaio e il suo scopo era quello di provocare ferite con schegge infette.
Le bombe Uji e le varianti Uji modello 50, realizzate per veicolare qualsiasi tipo di microrganismo, furono testate presso la pista aerea di Pingfan e di Anda su centinaia di prigionieri: le bombe risultarono inefficaci, la detonazione necessaria a spaccare l’acciaio annullava la letalità dei microrganismi. Venne progettata un’altra variante della bomba Uji, ma questa volta con pareti di ceramica con all’interno sei litri di liquido micidiale. Il sottotenente Segochi Kenichi, assistente della Divisione per la Produzione e la Fabbricazione dell’Unità 731, descrisse il tipo di bomba: “le bombe erano lunghe fra i 70 e gli 80 centimetri, per un diametro di circa 20. Sul fondo c’era un’apertura filettata. Le bombe erano cave all’interno, dove veniva inserita una spoletta a tempo. Sulla superficie del proiettile venivano fatte scanalature a zig-zag, mentre nella parte superiore venivano sistemati gli attacchi per lo stabilizzatore. Nelle scanalature veniva applicato l’esplosivo, che serviva a far deflagrare le bombe. Lanciate dagli aerei, queste dovevano esplodere prima dell’impatto al suolo”. Nei proiettili venivano inserite delle palle di porcellana al cui interno erano immesse, per esempio, pulci dell’uomo veicolanti peste bubbonica, precedentemente coltivate e selezionate nei laboratori dell’edificio 7 dell’Unità 731. Una volta rotti i contenitori, le pulci si spostavano e infettavano la persone.
Si cercò anche di trovare alcuni metodi per disperdere batteri sotto forma di aerosol, delle vere e proprie nubi micidiali, ma i tecnici giapponesi ritennero questo sistema poco affidabile.
L’Unità 731 ideò anche le cosiddette bombe Madri e Figlie: la Madre controllava, con un radiocomando incorporato, l’esplosione delle Figlie, contenenti gli agenti microbiologici immersi in un liquido che si sarebbe diffuso al suolo. Oltre ad essere un sistema di attacco particolarmente costoso, non diede mai i risultati sperati. Per questo il progetto fu abbandonato.
Le bombe con le pareti di ceramica si rivelarono, dopo innumerevoli esperimenti sui soggetti cinesi, il sistema di diffusione per le epidemie più efficace e divenne quello maggiormente utilizzato.
La prima offensiva in cui fu impegnata l’Unità 731 fu nell’estate del 1939. Durante un attacco proditorio alle truppe sovietiche e mongole a Nomonhan, lungo i confini sino-sovietici. Dopo essere stati trasportati su camion all’interno di bidoni metallici, vennero gettati batteri del tifo in un fiume che scendeva nei pressi degli accampamenti nemici. Oltre quaranta membri dell’Unità giapponese contrassero il virus della febbre tifoide. Non si fece particolarmente attenzione alle necessarie misure di sicurezza da adottare durante simili trasporti eccezionali e si trascurò persino il fatto che i microrganismi del tifo non potessero sopravvivere nella corrente gelata del fiume. Proprio per questo, sorge il sospetto che Ishii stesse solamente tentando di dare maggior prestigio al proprio programma e di aumentare i fondi ad esso destinati, anche perché nessuno aveva avuto modo di constatare gli esiti dell’attacco. L’Unità 731 ricevette un premio, sebbene l’offensiva biologica si fosse dimostrata un totale fallimento, per aver contribuito con una “decisiva operazione tattica2”. Nel 1940, l’imperatore Hirohito autorizzò con un decreto un aumento nel numero dei ricercatori e delle strutture; l’aumento del territorio sotto il comando diretto di Ishii Shiro; l’apertura di nuovi centri scientifici in Manciuria; l’aumento di tremila tecnici al personale di stanza a Pingfan.
Nello stesso anno in cui Hirohito favorì un ulteriore sviluppo economico e strutturale delle ricerche scientifiche per la costruzione di armi di distruzione di massa, l’Unità per la Purificazione dell’Acqua di Pingfan sperimentò un nuovo attacco di guerra batteriologica, questa volta sulla popolazione civile di Ningbo, nella provincia dello Zhejiang. Nel maggio del 1940, un aereo carico di 70 chili di batteri del tifo, 50 chili di batteri del colera e milioni e milioni di pulci veicolanti la peste bubbonica, partì dalla città di Hangzhou. Scopo della missione era disperdere le pulci nei campi e nei pozzi idrici di Ningbo in modo da far ammalare il maggior numero di individui e ridurre in estrema povertà e degrado i pochi sopravvissuti che sarebbero rimasti. Gli attacchi batteriologici, compiuti in questa città, furono effettuati con differenti metodi: chicchi di grano cosparsi con batteri della peste e cotone contaminato furono gettati da aerei a bassa quota oppure vennero semplicemente liberate delle pulci. Nella stessa Ningbo, i pozzi vennero avvelenati con batteri che potevano vivere nell’acqua quali tifo e colera. Lo staff del programma di guerra biologica studiò, in loco,gli effetti degli attacchi, facendo particolare attenzione alla misure sanitarie che sarebbero state adottate per circoscrivere le epidemie e, soprattutto, se le unità antiepidemiche cinesi fossero state in grado di capire che le epidemie erano state causate artificialmente dei giapponesi. Il tenente colonnello Nishi Toshihide confessò nel 1949:
“vidi un documentario sulla spedizione del Distaccamento 731 nella Cina centrale nel 1940. All’inizio le immagini mostravano un contenitore pieno di pulci infette della peste che veniva attaccato alla fusoliera di un aereo. Poi furono illustrati l’apparato diffusore e le procedure per attaccarlo alle ali dell’aereo. Apparve poi una didascalia che spiegava che l’apparecchiatura era carica di pulci infette. Dopodiché, quattro o cinque persone salirono sull’aereo, ma non saprei dire chi fossero. L’apparecchio decollò, e un’altra didascalia spiegò che stava volando verso il territorio nemico. La scena seguente lo mostrava in volo sopra le linee nemiche, poi si susseguirono immagini dell’aereo, delle truppe cinesi in movimento e dei villaggi. Dalle ali dell’aereo si vide uscire una nuvola di fumo, ma la didascalia chiarì che si trattava delle pulci che venivano disperse sul nemico. Poi l’apparecchio tornò alla base, e un’altra didascalia annunciava: «Operazione conclusa». L’aereo atterrò, una squadra di tecnici della disinfestazione lo mise in sicurezza. Quindi scesero i passeggeri: il primo fu il generale di divisione Ishii Shiro, seguito dal maggiore Ikari. Chi fossero gli altri, non saprei proprio dirlo. Questa scena fu seguita da un’altra didascalia: «Risultati», e fu mostrato un giornale cinese con la traduzione in giapponese. Il testo spiegava che una grave epidemia di peste era scoppiata nella zona di Ningbo. L’ultima inquadratura ritraeva alcuni operai cinesi in tuta bianca mentre disinfettavano la zona colpita dalla peste. Grazie a questo filmato, appresi, in modo piuttosto chiaro, che sulla regione di Ningbo erano state utilizzate armi biologiche”.
I microrganismi lanciati su Ningbo erano così violenti, essendo stati precedentemente coltivati nei boilers umani, che provocarono la morte al 99% dei contagiati. I batteri vennero dispersi anche nella città di Quzhou, provincia dello Zhejiang. Nel mese di novembre, il morbo si diffuse nella vicina città di Yiwu. A Jinhua furono dispersi strani granuli giallognoli, ma non si verificò alcuna epidemia. Focolai di tifo si verificarono a Tangxi, villaggio nei pressi di Quzhou, dovuti all’inquinamento delle pozze acquifere da parte dei nipponici.
Il 4 novembre 1941, un solo aereo dell’Unità 731 lanciò sopra i cieli di Changde, provincia dell’Hunan, grano, riso, cotone e pezzi di carta intrisi di batteri della peste e trentasei chilogrammi di pulci. La missione fu guidata dal colonnello Ota Kiyoshi, che già aveva condotto simili esperimenti su persone legate ai pali nel campo di Anda. Dopo pochi giorni dall’attacco, alcuni abitanti della città morirono colpiti dalla “Morte Nera”. Una missione della Croce Rossa cinese, basandosi sulle analisi del sangue e sullo studio di alcuni animali morti, concluse che la peste era stata provocata dall’attacco giapponese. L’epidemia si propagò ben presto in tutta la città e in centinaia di piccoli villaggi limitrofi causando, in base ad una ricerca molto accurata compiuta negli anni Novanta e durata sette anni, 7643 morti. Nell’aprile del 1942, il governo cinese formulò la prima accusa contro il Giappone, additandolo come l’unico responsabile delle epidemie di peste e tifo che stavano esplodendo in almeno tredici città della Cina centrale e denunciando il programma di sviluppo di armamento biologico e batteriologico nipponico.

I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera. A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera. Un veterano del Distaccamento 731, Shinohara Tsuro, raccontò che, mentre era impegnato in operazioni di guerra biologica in un piccolo paesino della Manciuria centrale, il suo istruttore capo e la sua equipe “portarono i batteri della peste ed eseguirono i test. Il metodo prevedeva che gli agenti patogeni fossero iniettati in dolciumi da avvolgere nella carta. Gli uomini dell’Unità 731 andarono in una zona dove alcuni bambini stavano giocando e cominciarono a mangiare dolci simili a quelli infetti. Due o tre giorni dopo, la squadra tornò in paese per indagare, e riferì casi di peste”.
Fra il 1939 e il 1940, si svilupparono molti focolai di colera nelle zone intorno ad Haerbin. In ogni caso, i tecnici di Ishii, dopo aver compiuto le necessarie osservazioni, segnalavano sempre nuovi e migliori metodi per i futuri attacchi.

Il 22 giugno 1941, il Fuhrer tedesco Adolf Hitler diede il via all’Operazione Barbarossa, con la quale la Germania dava inizio alla campagna militare contro il fronte orientale, attaccando l’Unione Sovietica. Il Capo di Stato Maggiore nipponico diede ordine alle varie Unità per la Purificazione dell’Acqua di aumentare sensibilmente la produzione di agenti biologici da impiegare in attacchi mirati lungo le frontiere sino-sovietiche a sostegno delle normali azioni armate convenzionali. Secondo le testimonianze rese durante il Processo di Khabarovsk, il Giappone voleva utilizzare armi biologiche contro le città sovietiche di Khabarovsk, Cita, Voroshilov e Blagoveschensk. Molti attacchi sperimentali furono compiuti dalle Unità di Ishii, ma non è tuttora chiaro quali ne siano stati gli esiti. E’ certo comunque che i giapponesi utilizzarono bacilli dell’antrace per contaminare il terreno e le riserve d’acqua, la morva venne utilizzata per infettare animali da pascolo e gettata in alcuni corsi d’acqua lungo il fiume Derbul, che scorre lungo la frontiera russo-mancese. L’Unità 100 a Changchun, nel marzo del 1944, aveva prodotto 200 chili di bacilli di antrace, 100 di morva e 30 chili di funghi della ruggine nera, un parassita che attacca il grano.

Nel 1942, l’armata imperiale nipponica avanzò nella provincia dello Zhejiang. Gli attacchi di guerra biologica in questa provincia avevano lo scopo di estendere il controllo giapponese in maniera più rapida ed efficace, oltre a rappresentare un buon terreno di prova per le nuove armi. Il generale Kiyoshi Kawashima testimoniò che “Ishii Shiro riunì il personale dirigente del Distaccamento 731 e lo informò che, a breve, sarebbe stata organizzata una spedizione nella Cina centrale, con l’obiettivo di studiare i migliori metodi per il dispiegamento delle armi biologiche. […] Fu emesso un ordine che distaccava un gruppo scelto in Cina centrale. […] Il gruppo doveva comprendere fra i cento e i trecento uomini. Si decise di utilizzare peste, colera e paratifo. […] Le azioni di guerra biologica si svolsero alla fine dell’agosto del 1942. Questo corpo di spedizione dell’Unità 731 operò nel territorio del Distaccamento Ei [Unità 1644 a Nanjing] dove aveva stabilito le proprie basi logistiche”. Una delle prime città ad essere colpite durante questi nuovi attacchi fu Fuxing, al confine tra le province delle Zhejiang e Jiangxi. Piume di uccelli ricoperte dai batteri dell’antrace furono disseminate sulla città e vennero utilizzati uccelli vivi cosparsi d’antrace con la speranza che questi facessero cadere le loro piume sulla popolazione, infettandola. Le piume risultarono un buon sistema di diffusione dell’antrace, in quanto riproducono l’habitat ideale nel quale possono sopravvivere i batteri, al riparo dai vari agenti atmosferici. Batteri della peste bubbonica furono disseminati sul piccolo paesino di Shangrao. Come vettore si utilizzò cibo infetto o animali. Nel settembre 1942, toccò alla città di Chongshan di essere colpita dalla Yersinia pestis, e un terzo della popolazione morì del terribile morbo. Wang Lijun, in una testimonianza scritta al processo intentato contro il Giappone, nel 1997, da alcuni parenti delle vittime cinesi degli esperimenti nipponici, per ottenere un risarcimento e il giusto riconoscimento della tragedia subita, descrisse la sua esperienza:

nel 1942, quando avevo dieci anni, all’improvviso la peste diventò molto diffusa, per via dei germi che il crudele esercito giapponese aveva sparso sopra al villaggio. Tutti i malati mostravano gli stessi sintomi: febbre alta, atroce mal di testa, sensazione di sete e ghiandole linfatiche gonfie. In appena un paio di mesi un terzo degli abitanti, ossia oltre quattrocento persone, furono uccisi dalla peste. […] Quando il villaggio era pieno di persone malate, arrivarono i soldati giapponesi in camice bianco e maschere antigas. Obbligarono gli abitanti a riunirsi in una piazza in fondo al villaggio, poi esaminarono tutti e somministrarono iniezioni di farmaci ignoti.
I medici giapponesi confinarono i pazienti nella parte più lontana delle case. Comunque, non curarono i malati, ma li trattarono in modo orribile. Una ragazza di nome Wu Xiaonai fu sezionata e le furono tolti gli organi interni mentre era ancora viva, un’azione veramente diabolica. […] Inoltre, quando si seppellivano i cadaveri, spesso ai corpi mancavano le braccia o le gambe. Fino ad allora non avevamo mai avuto ammalati di peste, né in paese né nei dintorni. E’accertato che quel tragico incidente fu provocato dalle armi biologiche dell’esercito giapponese. Non solo diffusero la peste, ma vivisezionarono le persone come fossero animali”.

Da questa testimonianza si può ben capire come i tecnici di Ishii operassero test ed esperimenti direttamente sul campo e non più solamente all’interno delle varie Unità sparse per il territorio cinese. Dopo che l’epidemia a Chongshan raggiunse livelli stabili, i giapponesi tornarono per dare fuoco al villaggio, in modo da circoscrivere la malattia ed evitare che le truppe nipponiche, accampate nei pressi del paesino, fossero anch’esse contagiate. Gli abitanti ancora malati furono trascinati a forza fuori dalle loro case e vivisezionati nei campi.

Sempre nel 1942, con un’azione combinata di membri dell’Unità 731 e 1644, la città di Baoshan nella provincia dello Yunnan fu bombardata con il colera. L’obiettivo era quello di tagliare fuori le vie di comunicazione degli alleati che attraverso la Birmania passavano per Kunming per poi collegarsi con Chongqing, capitale della Cina Nazionalista.
Bombe al colera, insieme alla contaminazione delle riserve idriche, fecero scoppiare nell’aprile del 1942, nell’intera provincia dello Yunnan, un’epidemia di enormi proporzioni. Il pericolo di essere contagiati era talmente alto da non permettere alle truppe cinesi di raggiungere la provincia meridionale. Ishii e i suoi tecnici avevano raggiunto un risultato strategico importantissimo in quanto diedero la possibilità all’armata giapponese di lasciare sguarnita la provincia dello Yunnan per andare a rinforzare altri fronti.
Venne creata un’apposita Unità, detta 113, addestrata nell’utilizzo delle armi biologiche. Cominciò con il contaminare varie riserve idriche lungo il confine tra Yunnan e Birmania per poi spostarsi verso Baoshan dove si unì ad altri gruppi di tecnici delle Unità 1644 e 8604 (o Unità Nami con base a Guangzhou). Le tre Unità continuarono il loro lavoro di contaminazione a Baoshan, rilasciando enormi quantità di germi del colera nelle fonti d’acqua. Il 4 maggio 1942, cinquanta bombardieri nipponici sganciarono sulla città bombe convenzionali, bombe incendiarie e bombe biologiche di ceramica dette bombe Yagi o bombe larva, che, all’impatto con il suolo, liberavano una gelatina batterica piena di mosche vive che si posavano su persone, animali, cibo, acqua e utensili, depositando larve letali piene del vibrione del colera. I pochi sopravvissuti abbandonarono la città riversandosi nelle campagne circostanti, portando con loro la terribile malattia. Il 5, 6 e 8 maggio aerei giapponesi continuarono a bombardare con armi convenzionali la città ormai in macerie e quasi completamente sfollata. Lo scopo di questi attacchi, apparentemente senza senso, era quello di far fuggire i pochi abitanti rimasti e favorire l’effetto degli attacchi biologici: gli abitanti di Baoshan si erano inconsapevolmente trasformati in involucri di bombe biologiche. Molti furono anche coloro che si avventurarono nelle macerie della città in cerca di oggetti abbandonati da riportare nei loro villaggi: anche loro si trasformarono in veicoli della malattia.
Fino ad allora, non vi era mai stata notizia nello Yunnan di un’epidemia di colera, ma, nel giugno del 1942, la malattia si era diffusa in 66 contee su 108. In base ad uno studio di ricercatori cinesi compiuto nel 1999 “possiamo desumere che il numero totale delle vittime delle epidemie di colera provocate dai giapponesi nello Yunnan possa superare i 210.000 individui”.

Nell’agosto del 1943, toccò alla provincia dello Shandong essere attaccata con il colera. Anche in questo caso la combinazione di attacchi convenzionali e bombe biologiche creò una numerosa massa di individui-vettori che si spostarono per i vari villaggi della provincia. Il numero delle vittime anche in questo caso fu enorme: l’epidemia devastò dodici contee nello Shandong, nove nell’Hebei e due nell’Henan causando almeno 200.000 morti. Con questa feroce campagna di annientamento, i giapponesi erano riusciti a bloccare temporaneamente l’avanzata delle forze comuniste in quelle regioni.

Il 9 agosto del 1945, l’Unione Sovietica denunciò il patto di non aggressione con il Giappone (firmato il 13 aprile 1941) e invase la Manciuria. L’Unità 100 iniziò ad evacuare il suo quartier generale a Changchun, distruggendo tutti le sue strutture e uccidendo gli operai che lavoravano all’interno del campo e i prigionieri ancora in vita con iniezioni al cianuro. Il 20 agosto, dopo che l’imperatore Hirohito, il 15, aveva annunciato la resa del Giappone, vennero liberati migliaia di ratti appestati e dalle scuderie dell’Unità 100, sessanta cavalli a cui era stata fatta mangiare avena infetta con la morva. Epidemie di peste bubbonica scoppiarono dal 1946 e per alcuni anni seguenti nella zona limitrofa a Changchun; una volta che i germi vengono dispersi, se incontrano situazioni ottimali, possono proliferare e riprodursi per decenni. Tutte le varie Unità di sperimentazione distrussero le strutture e la documentazione relativa agli studi scientifici effettuati; tutti le cavie-testimoni furono uccise con iniezione letali o fucilate.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit..


2 James Yin, The Rape of Biological Warfare, op. cit., p. 167.


3 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 287-288.


4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 197.


5 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 261-262.


6 Keichiro Ichinose, Hidden Holocaust in the World War II by Japanese Army, Tokyo 1998, pp. 158-163.


7 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 224.

CONTINUA....

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS I PARTE

LE ARMI INVISIBILI

Risultato immagini per rischio biologico

INTRODUZIONE


La guerra biologica ha una lunga storia alle sue spalle, soprattutto ha lasciato dietro di sé numerosissime vittime. Per guerra biologica si intende l’uso di malattie infettive e altamente contagiose per uccidere o ferire il nemico e la popolazione civile. Le malattie sono diffuse tramite virus, batteri ed ogni sostanza viva e attiva prodotta da un microrganismo come spore o tossine. Questi microrganismi possono essere diffusi attraverso testate missilistiche, bombe, cosparsi in forma di aerosol oppure dispersi nelle risorse umane primarie, come cibo e acqua.



L’uso delle armi biologiche è d’estrema efficacia per la sua terribile letalità: un milionesimo di grammo di antrace costituisce una dose letale per l’uomo, un chilogrammo, potenzialmente, potrebbe uccidere centinaia di migliaia di persone in un’area metropolitana. Altro enorme e assolutamente non trascurabile vantaggio della guerra biologica è il suo bassissimo costo: colpire un chilometro quadrato di territorio con armi convenzionali costerebbe oltre i 2000 euro, 800 euro con armi nucleari, 600 con quelle chimiche, ma appena un euro usando agenti biologici, la cui produzione è agevole a qualsiasi nazione con un’industria farmaceutica e una ricerca medica relativamente avanzata; la messa a coltura di agenti patogeni è rapidissima: in alcuni giorni, partendo da un solo batterio, se ne possono ottenere a tonnellate.

L’effetto delle armi convenzionali, nella maggior parte dei casi, termina dopo la loro esplosione; le armi biologiche invece trasformano ogni contagiato in una bomba viva, sebbene l’impiego di determinati microrganismi richieda specifiche condizioni ambientali che ne consentano e favoriscano la sopravvivenza, ma soprattutto la diffusione. Un attacco biologico riuscito provoca uno spontaneo diffondersi dell’epidemia che, in assenza di adeguate contromisure sanitarie, tende a propagarsi in maniera esponenziale senza intaccare il potenziale economico del territorio colpito, lasciando intatte le infrastrutture e colpendo solamente l’ambiente umano.



La Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute ha considerato agenti biologici ad alta priorità (categoria A) i microrganismi del vaiolo (Variola major), dell’antrace o carbonchio (Bacillus anthracis), della peste (Yersina pestis), del botulino (tossina di Clostridium botulinum) e dei virus di febbri emorragiche. Tutti questi virus e batteri rappresentano seri rischi per la sicurezza nazionale perché possono essere disseminati agevolmente e trasmessi da persona a persona;
causano alta morbosità e mortalità, con il rischio di un gravissimo impatto sulla sanità pubblica;
possono provocare panico e perturbamento sociale;
richiedono azioni speciali per la preparazione della sanità pubblica (1).

Altre malattie infettive e agenti patogeni utilizzati negli attacchi biologici sono il colera, la dissenteria, organismi rickettsiali (simili ai virus, ma di dimensioni più ridotte) come il tifo, la brucellosi, tularemia, cancrena gassosa ed altri ancora.

Uno dei primi usi documentati di guerra biologica avvenne nel 1346 nel presidio genovese di Caffa ad opera delle truppe tartare che catapultarono all’interno della città assediata cadaveri di appestati. Le navi in fuga e di ritorno a Genova portarono con loro il batterio della peste bubbonica che, secondo alcuni storici, da lì a cinque anni propagò la “Morte Nera” in Europa mietendo circa venticinque milioni di individui. Alcuni secoli dopo, nel 1763, durante la Guerra dei Sette Anni il governatore generale inglese delle colonie nordamericane, Sir Jeffrey Amherst (a cui fu intitolata anche un’università e una città), diede ordine di distribuire alle tribù indiane della Pennsylvania e dell’Ohio, sospettate di fiancheggiare i francesi, coperte intrise di germi prelevate dagli ospedali dove venivano curati i malati di vaiolo. In poco tempo questa terribile malattia decimò le forze indigene. Durante la Prima Guerra Mondiale, la Germania Guglielmina diede il via ad un programma di guerra biologica con l’intento d’infettare con antrace e morva il bestiame e gli animali da macello destinati alle forze alleate.

Dopo gli orrori generati dall’uso delle armi chimiche e tossiche durante la Prima Guerra Mondiale, si sentì il bisogno di limitare la prolificazione di tali armi di distruzione di massa. L’utilizzo di agenti biologici e batteriologici come arma di offesa fu vietato dal Protocollo di Ginevra del 1925 (Proibizione dell’Uso in Guerra di Asfissianti, Veleni o Altri Gas e dei Metodi di Guerra Batteriologica), nel corso della Conferenza Internazionale di Ginevra sul Commercio di Armi promossa dalla Società delle Nazioni e ratificato da 128 nazioni, compreso il Giappone. Tuttavia civili cinesi, per la maggior parte, ma anche alcuni prigionieri di guerra russi, mongoli, coreani, forse anche statunitensi ed europei furono utilizzati come cavie umane dallo staff di scienziati guidati dal generale di divisione Ishii Shiro, per lo sviluppo di un vasto programma di guerra biologica e sperimentazione sull’uomo. Negli anni che vanno dal 1932 al 1945, vennero costruite della vere e proprie fabbriche della morte (2) in numerose località della Cina occupata e negli altri stati del Sud-Est Asiatico sotto il giogo nipponico. In queste Unità (Togo a Beiyinhe, 731 o Ishii a Pingfan, 1644 a Nanjing, 100 a Changchun, 1855 a Beijing, queste le più conosciute) venivano studiati i batteri e i virus più violenti e letali quali peste, antrace, morva, tifo, colera, dissenteria, virus delle febbri emorragiche, tubercolosi e inoculati nei maruta (così venivano chiamate le cavie umane, pezzi di legno) in modo da poterne isolare i più virulenti e studiarne con estrema precisione gli effetti e la loro applicazione nelle operazioni di guerra biologica. La maggior parte dei soggetti infettati veniva poi dissezionata senza anestesia, per non alterare le osservazioni degli organi interni, ed i resti dei cadaveri inceneriti nei crematori.

Con tutta quella quantità di materiale umano a disposizione i migliaia di medici, tra le menti più brillanti del Giappone, dell’equipe di Ishii potevano sbizzarrire la loro fantasia e curiosità sottoponendo i loro “pazienti” a trapianti di organi animali; trasfusioni di sangue equino per poter sopperire all’estrema carenza di sangue umano; studi sui rimedi al congelamento (il Giappone voleva prepararsi ad un’eventuale guerra alla Russia); cura e prevenzione delle malattie veneree come la sifilide, molto diffusa tra i soldati dell’esercito imperiale; sperimentazione e produzione di vaccini su larga scala.

Nel 1939, iniziarono le sperimentazioni di guerra batteriologica direttamente sul campo. Al confine tra Unione Sovietica e Cina furono gettati in un fiume, nei pressi degli accampamenti nemici, batteri della febbre tifoide. Nel 1940, l’Unità 731 nella provincia cinese dello Zhejiang disperse nei pozzi d’acqua 70 chili di batteri del tifo. La città di Ningbo fu bombardata con i batteri della peste bubbonica, facendo scoppiare una micidiale epidemia provocando la morte del 99 per cento dei contagiati. La peste si diffuse anche nelle zone limitrofe a Ningbo, portata dagli abitanti in fuga dalla città appestata. In almeno 13 città dello Zhejiang scoppiarono epidemie di tifo e peste. Sempre in questa provincia, gli scienziati dell’Unità 731 fecero cadere piume pregne d’antrace e dispersero uccelli vivi cosparsi d’antrace che trasferirono i germi alle persone. Nel 1942, un terzo della popolazione del paesino di Chongshan morì di peste o vivisezionata in loco dai medici nipponici giunti per esaminare gli esiti dell’attacco. Nel maggio del 1942, bombe al colera (bombe Yagi) fecero scoppiare un’epidemia nella provincia dello Yunnan causando oltre 200.000 morti (mai prima di allora si erano avuti casi di colera in questa provincia). Nel 1943, le stesse bombe colpirono la provincia dello Shandong; le province dell’Hebei e dell’Henan furono decimate dagli sfollati che portavano in corpo i terribili effetti degli attacchi giapponesi, delle vere e inconsapevoli bombe biologiche umane, causando anche qui circa 200.000 morti. Si presume che siano circa 600.000 gli individui morti a causa del programma di armamento biologico giapponese. Il progetto di sperimentazione della guerra biologica fu un’idea del dottor e generale di divisione Ishii Shiro che ottenne l’appoggio dai massimi vertici dello stato, compreso l’imperatore Hirohito, e ingenti finanziamenti per realizzare i suoi atroci esperimenti in Cina.
Al momento della resa, nell’agosto del 1945, l’equipe delle Unità di Ishii, dopo aver distrutto le varie strutture e ucciso i prigionieri che ancora erano in vita, fuggì in Giappone. Lì, i membri dello staff furono interrogati per diversi mesi dagli scienziati statunitensi che cercavano di assicurarsi l’esclusivo possesso dei dati delle sperimentazioni sull’uomo e delle ricerche sulle armi biologiche dei nipponici. Nel gennaio del 1947, lo Stato Maggiore USA (massimo organo militare degli Stati Uniti) ordinò al generale Douglas MacArthur (comandante in capo dello SCAP, Comando Supremo delle Potenze Alleate) di mantenere segretissime le rivelazioni degli scienziati giapponesi, in cambio, Ishii e la sua equipe, avrebbero ottenuto l’immunità ufficiale da qualsiasi forma di persecuzione e di processo per crimini di guerra e contro l’umanità.
Nessuno scienziato giapponese fu quindi portato davanti ad una giuria internazionale per rispondere delle ferocissime colpe di cui si era macchiato, ad eccezione di dodici medici ed ufficiali dell’Unità 731 che furono giudicati nel 1949 al Processo di Khabarovsk nell’ex Unione Sovietica. I dodici furono tutti condannati a pene che andavano fino ad un massimo di 25 anni di reclusione, ma poi rimpatriati in Giappone nel 1956.

Durante la guerra di Corea (1950-1953), i governi della Repubblica Popolare Cinese e Corea del Nord accusarono pubblicamente gli Stati Uniti di utilizzare armi batteriologiche. I comunisti cinesi e coreani chiesero l’intervento di una Commissione Scientifica Internazionale (ISC) per valutare le accuse mosse contro gli USA. Il solo osservatore e consulente era il microbiologo professor Franco Graziosi, un italiano all’epoca ventinovenne e oggi unico testimone vivente dei fatti concernenti la Commissione. Non ebbe modo di compiere indagini sul campo, ma poté visionare e studiare i vari documenti e referti, giungendo alla conclusione che “il popolo coreano e quello cinese sono stati oggetto di attacchi con armi biologiche da parte dell’esercito statunitense (3)” (Appendice 1, p. 211). Il rapporto stilato dall’ISC (oltre 600 pagine) cita anche il nome di Ishii Shiro come uno dei consulenti scientifici del programma degli attacchi batteriologici nella guerra di Corea e afferma che “i popoli della Corea e della Cina sono stati effettivamente l’obiettivo delle armi batteriologiche. Queste armi sono state impiegate da unità delle forze armate degli Stati Uniti, utilizzando una grande quantità di sistemi, alcuni dei quali sembrano essere evoluzioni degli armamenti impiegati dai giapponesi durante il Secondo Conflitto Mondiale (4)“.
I membri dell’ISC interrogarono anche alcuni aviatori statunitensi prigionieri di guerra che dichiararono di aver compiuto attacchi di guerra batteriologica, ma una volta rimpatriati, furono accusati di alto tradimento. Alla fine le accuse vennero ritirate e tutto fu messo nel dimenticatoio.
A tutt’oggi è molto difficile risalire alla verità: gli archivi cinesi, russi e statunitensi relativi alla guerra biologica non sono ancora del tutto accessibili agli studiosi, sebbene in molti ne abbiano richiesto l’apertura (tra i quali il professor Graziosi (5) e Joseph Needham, altro membro dell’ISC). Tutto ciò che riguarda i terribili avvenimenti sopra sommariamente descritti, è nascosto sotto la coltre del silenzio e bollato come top secret. Molte prove emerse dalle indagini dell’ISC che dimostrano gli attacchi di guerra biologica e successivamente confutate con ogni mezzo dalla leadership statunitense e dalla maggior parte delle potenze occidentali, possono essere confermate e ampliate solamente dall’apertura degli archivi militari dei paesi coinvolti.


1 Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione, Ufficio III; Malattie infettive e profilassi internazionale – Osservatorio Epidemiologico Nazionale.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death. Japanese Biological Warfare, 1932-45, and the American Cover-up, Routledge, London 1994.


3 Rapport de la Commission Scientifique Internationale Chargee d’Examiner les Faits Concernant la Guerre Bacteriologique Coree et en Chine (avec Annexes), Pekin 1952, p. 621.


4 Ivi., p. 64.


5 Lettera di Franco Graziosi alle autorità cinesi, Encl. 2 – List of Documents in Franco Graziosi Archive, depositato al London Imperial War Museum.

Gli uomini dietro al sole
Ishii Shiro

L’ uccisione di un capitano giapponese e lo scoppio di una bomba contro la ferrovia Sud-Mancese offrì il pretesto all’Armata Imperiale giapponese del Kwantung per attaccare la Manciuria. Il governo di Tokyo, pur dichiarando la propria estraneità ai fatti non avendo ordinato l’attacco, tuttavia lasciò fare. Le potenze occidentali, dopo il crollo della borsa di Wall Street nel 1929, erano in fortissime difficoltà e del tutto incapaci di porre un adeguato freno alla spinta eversiva dei circoli militari nipponici. Inoltre, la Società delle Nazioni aveva già dimostrato tutta la sua inefficacia nel contrastare l’uso della forza da parte delle grandi potenze ai danni delle minori.

Fu proprio in questa provincia cinese che il dottor Ishii Shiro cominciò gli esperimenti sull’uomo per lo sviluppo e la produzione di un vasto programma di guerra biologica.

Ishii Shiro nacque il 25 giugno del 1892 nel villaggio di Chiyoda Mura, un piccolo paesino nei pressi di Tokyo, da una famiglia aristocratica di antiche tradizioni feudali. Fin dall’infanzia la sua intelligenza strabiliante e il suo fisico possente lo fecero distinguere dai suoi coetanei e persino dai suoi fratelli maggiori. Brillante studente, venne ammesso nelle più esclusive istituzioni scolastiche del paese, come l’Università Imperiale di Kyoto. Qui, nel 1916, si iscrisse a medicina, dove venne notato immediatamente dai suoi professori che gli assegnarono esclusivi progetti di ricerca ben più complessi di quelli che affrontavano i compagni di corso. Nel 1920, si laureò ed entrò nell’esercito come assistente sociale del Terzo Reggimento della Divisione della Guardia Imperiale. Dopo appena cinque mesi, fu promosso al grado di tenente e distaccato come medico chirurgo al Primo Ospedale Militare di Tokyo.

La sua veloce ascesa sociale e militare fu dovuta, oltre che alla sua straordinaria intelligenza, alle importanti amicizie di cui si era saputo circondare. Sposò Araki Kyoko, figlia dell’illustre rettore dell’università di Kyoto, Araki Torasaburo, medico illustre e affermato, che gli assicurò l’appoggio e l’influenza di personaggi importanti e potenti. Fece conoscere il proprio nome nell’ambiente medico durante gli anni del suo dottorato in patologia umana, sierologia e batteriologia a Kyoto quando, nel 1924, diede un importantissimo aiuto alla missione medica e scientifica nel distretto di Kagawa, dove era scoppiata un’epidemia di encefalite emorragica (encefalite B giapponese). Ishii ne isolò il virus con la messa a punto di un efficace sistema di filtraggio.
Nel 1927, dopo aver conseguito il dottorato in microbiologia, venne assegnato dall’esercito all’Ospedale Militare di Kyoto con il grado di capitano. Fu qui che per la prima volta, dopo aver letto un articolo riguardante il Protocollo di Ginevra, venne letteralmente folgorato dall’idea di dotare l’esercito imperiale di armi biologiche. Ben consapevole della potenza dei microbi, cominciò a sondare tutti i suoi ex professori e colleghi, cercò di convincere gli alti vertici militari dell’enorme potenziale strategico e distruttivo delle armi biologiche e si impegnò per ottenere appoggi e sovvenzioni per lo sviluppo di laboratori di ricerca e produzione di virus e batteri letali. Ma i vertici governativi e militari non erano ancora pronti ad accettare la sfida e le proposte di Ishii. Endo Saburo, generale del Ministero della Guerra, ricorda nei suoi diari che “il volto di Ishii era ben conosciuto […] enfatizzava sempre il ruolo della guerra batteriologica nei nostri piani tattici”.
Nell’aprile del 1928, Ishii partì per un tour scientifico di due anni in giro per il mondo in cerca di notizie utili sulla ricerca relativa alle armi biologiche. Non ci sono però documenti utili e attendibili per stabilire ciò che egli vide o chi incontrò, ma è sicuro che visitò Francia, Italia, Germania, Ungheria, Belgio, Svezia, Danimarca, Finlandia, Svizzera, Turchia, Polonia, URSS, Lituania, Estonia, Stati Uniti, Canada, Egitto, Singapore, Ceylon. Sembra che Ishii abbia compiuto questa ricerca a proprie spese, ma è molto strano che l’esercito giapponese, allora rigidamente strutturato, avesse dato il permesso ad un capitano di assentarsi per due anni dall’esercito per compiere ricerche all’estero per proprio conto, se effettivamente non era interessato alle proposte di un armamento biologico.

Nel 1930, quando Ishii ritornò dal suo viaggio, la situazione politica interna stava cambiando: il gabinetto governativo, ma soprattutto i nuovi giovani ufficiali del Ministero della Guerra premevano per azioni più decise ed espansionistiche per estendere il dominio nipponico nell’Asia orientale e vedevano nella Manciuria una posizione strategica ottimale da cui partire. Il Ministro della Guerra, Araki Sadao, divenne un fervido sostenitore dei progetti di Ishii Shiro, insieme al generale Nagata Tetsuan, che spingeva per un ammodernamento dei mezzi offensivi dell’esercito. Dopo soli quattro mesi dal ritorno dal viaggio solitario per il mondo, Ishii fu nominato preside del Dipartimento di Immunologia all’Istituto di Medicina dell’esercito di Tokyo e promosso al grado di maggiore all’età di trentasette anni. Questa promozione fu fortemente appoggiata da Koizumi Chikahiko, un pioniere della ricerca medica e delle armi chimiche che godeva di amicizie molto in alto. Fu proprio lui a trovare a Ishii i fondi necessari per iniziare la ricerca sulle armi biologiche che iniziò nel 1931 all’Istituto di Medicina dell’esercito a Tokyo. Insieme ad una piccola équipe di scienziati fidati, lavorò, di notte, nei laboratori del suo dipartimento alle colture di batteri letali come peste bubbonica, colera, tifo e antrace. Nel 1932, gli venne assegnato un laboratorio di due piani all’Istituto di Medicina dove sviluppò molti vaccini per immunizzare le truppe nipponiche dalle epidemie che potevano scoppiare in caso di guerra e contemporaneamente lavorare allo sviluppo e allo studio dei più terribili flagelli che l’uomo abbia mai conosciuto.

“Ci sono due tipi di ricerca sulle armi batteriologiche, A e B. A è la ricerca offensiva, B è la ricerca difensiva. La ricerca sui vaccini è di tipo B, e può essere fatta in Giappone. Tuttavia, le ricerche di tipo A possono essere fatte solamente all’estero”, in questo modo Ishii cercava di spiegare ai suoi diretti superiori gli scopi della sua ricerca e le potenzialità di un esercito dotato di armi batteriologiche. Con l’occupazione della Manciuria (1932) e la creazione dello stato fantoccio del Manzhouguo, Ishii vide la grandiosa possibilità di poter realizzare quelle ricerche di tipo A che da anni cercava di portare avanti: “è giunto il momento di dare inizio alla sperimentazione. Chiediamo di essere mandati in Manciuria per sviluppare nuove armi”.

Sheldon H. Harris, Factories of Death, p. 21.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante. Gli Esperimenti Segreti Giapponesi. 1932-1945, Rizzoli, Milano 2004, p. 50.


1 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 18.
L’ Unità Togo

Nel 1932 l’armata del Kwantung diede al maggiore Ishii Shiro 200.000 yen di finanziamento per creare, in una distilleria di sakè abbandonata ad Haerbin, un centro per la ricerca e lo sviluppo di armi biologiche, sebbene lo scopo iniziale fosse quello di compiere ricerche di tipo B, studio e produzione di vaccini. Ma, fin da subito, la scelta del luogo non si rivelò adatta ai lavori del nuovo centro: Haerbin era una città abitata da quasi 400.000 persone di varia nazionalità e la segretezza, che la ricerca imponeva, non poteva certo essere mantenuta a lungo. Perciò, nell’estate del 1932, Ishii trasferì il centro di ricerca in un piccolo paesino a cento chilometri a sud-est di Haerbin, ben collegato dalla ferrovia e al riparo da occhi indiscreti: Beiyinhe.
Il nuovo centro venne chiamato Unità Togo, in onore dell’ammiraglio Togo Heihachiro che nel 1905 aveva sconfitto la flotta russa a Tsushima, durante la guerra russo-giapponese (1904-1905). L’esercito giapponese fece evacuare quasi due chilometri quadrati di area per la costruzione della Fortezza di Zhong Ma (come veniva chiamata dei cinesi). I contadini del luogo furono costretti a lavorare per l’edificazione dei fabbricati, ricevendo in cambio soprusi, torture e un misero salario con cui a stento cercavano di sopravvivere. L’Unità era cinta da un muro di mattoni alto tre metri sormontato da reti di filo spinato ad alto voltaggio elettrico con, ai quattro angoli, torrette di sorveglianza. Sentinelle armate delimitavano una zona off limits di 250 metri quadrati al di fuori del perimetro dell’Unità. In meno di un anno, vennero costruiti dagli operai cinesi circa cento edifici, quello più importante era al centro della struttura e diviso in due ali. La prima comprendeva le prigioni, i laboratori per gli esperimenti sull’uomo e il crematorio; l’altra ala era costituita da uffici, baracche, una mensa, magazzini, un parcheggio.
La prima ala poteva contenere fino a mille prigionieri anche se, di norma, non se ne tenevano che un massimo di 600. I primi reclusi furono essenzialmente maschi adulti e sotto i quarant’anni, prigionieri politici che lottavano contro l’occupazione nipponica, banditi e membri della guerriglia o, in mancanza di questi, criminali comuni prelevati dalle prigioni e condotti a Beiyinhe.
I detenuti erano relegati in anguste celle e ammanettati per la maggior parte del tempo, ma ben nutriti e obbligati ad eseguire continui esercizi fisici per mantenere le loro condizioni di salute ad un livello ottimale, anche se per poco tempo. Ogni tre o cinque giorni, a tutte le cavie venivano prelevati cinquecento centimetri cubici di sangue, pratica che spesso portava ad una progressiva invalidità (l’organismo umano contiene dai quattro ai sei litri di sangue).
Le malattie testate sulle cavie umane furono peste bubbonica, antrace, morva, tifo, dissenteria, vaiolo. Karasawa Tomio, un maggiore catturato ed interrogato dai sovietici nel 1946, dichiarò che Ishii tra il 1933 e il 1934 aveva sperimentato l’effettiva efficacia del batterio della peste bubbonica nel suo impiego nella guerra batteriologica. Alcuni documenti, pubblicati successivamente dal governo cinese, descrivono nel dettaglio gli esperimenti. In uno di questi vennero prese le pulci che veicolano il batterio della peste da topi raccolti nel nord della Manciuria dove la malattia era endemica (fenomeno in cui una malattia rimane circoscritta in un’area geografica limitata). I batteri, una volta isolati e messi a coltura, vennero iniettati in tre prigionieri comunisti cinesi che morirono vivisezionati dopo un’atroce agonia di quasi tre settimane.

Il generale Endo Saburo registrò nel suo diario un’ispezione a Beiyinhe nel novembre del 19331:

la Seconda Squadra era responsabile dei gas e dei liquidi velenosi; la Prima Squadra era responsabile degli esperimenti sull’elettricità. Vennero usati due banditi per ogni squadra. 1. Gas fosfogene. 5 minuti di iniezione con gas all’interno di una stanza di mattoni; il soggetto è rimasto vivo per un giorno dopo l’inalazione del gas; condizioni critiche con polmonite. 2. Cianuro di potassio. Al soggetto ne sono stati iniettati 15 milligrammi; perdita di conoscenza dopo approssimativamente venti minuti. 3. 20.000 volt diverse scariche a questo voltaggio non sono sufficienti ad uccidere il soggetto; si è obbligati ad un’iniezione per ucciderlo. 4.5000 volt. Diverse scariche non sufficienti; dopo diversi minuti di scariche continue, è morto carbonizzato. Partito alle 13.30. […] ho fatto fatica ad addormentarmi e non ho dormito bene.

Anche il comandante in capo dell’Armata del Kwantung, Okamura Yasutsugu, visitò il campo di Beiyinhe nel periodo compreso tra il 1932 e il 1934 rimanendo particolarmente impressionato dagli esperimenti sul congelamento: in inverno in Manciuria si può arrivare anche a trenta gradi sotto lo zero ed il freddo rappresentava per l’Armata Imperiale un nemico terribile.
Nella maggior parte dei casi, i prigionieri dell’Unita Togo non sopravvivevano più di un mese, chi riusciva a sopravvivere veniva ucciso con un’iniezione letale. Lo staff di Ishii aveva a disposizione un’enorme quantità di materiale umano, perennemente sostituibile. Molti esperimenti furono condotti solamente per mera curiosità scientifica come per esempio vedere fino a che punto poteva essere prelevato sangue umano prima che sopraggiungesse la morte. La maggior parte dei prigionieri furono dissezionati per poter essere studiati e i loro organi raccolti in vasi immersi in formalina (soluzione per la conservazione dei pezzi anatomici); le cavie, una volta infettate da qualche morbo letale, venivano vivisezionate senza anestesia per non alterare le condizione del sangue, degli organi e per non pregiudicare la raccolta dei dati degli esperimenti. Un veterano dell’Unità 731 disse che “non si possono ottenere dati accurati sugli effetti di un’infezione dopo il decesso di una persona, poiché a quel punto entrano in attività i batteri responsabili della putrefazione. Questi sono più forti di quelli patogeni. Quindi per ottenere risultati accurati è importante sapere se il paziente sia vivo o morto”. Ci furono casi in cui i maruta furono uccisi con un colpo d’ascia secco alla testa per prelevarne il cervello. I resti dei corpi venivano immediatamente bruciati nel crematorio.
I campioni di organi umani erano regolarmente spediti all’Istituto di Medicina dell’esercito di Tokyo; nel tentativo di coinvolgere le alte sfere militari e politiche governative e per ottenere fondi più consistenti, Ishii fece filmare molti esperimenti sugli uomini da far visionare agli ufficiali dell’armata del Kwantung.
Durante la festa d’Autunno (inizio ottobre) del 1934, un prigioniero cinese di nome ?Li, approfittando dell’ebbrezza delle guardie, ne tramortì una, rubandogli le chiavi e aprendo le celle. Pochi furono coloro che riuscirono ad uscire dalle celle, debilitati dalle malattie o dai continui prelievi di sangue. Grazie ad una tempesta che aveva mandato in cortocircuito l’impianto elettrico, trenta prigionieri riuscirono a raggiungere il muro di cinta, ma Li, insieme ad altri nove, fu ucciso dalle guardie ormai allertate. Fuori dalle mura di cinta otto furono catturati o assassinati, gli altri dodici riuscirono a fuggire e ad unirsi ad un gruppo di partigiani cinesi. I testimoni raccontarono la loro storia e gli strani esperimenti che venivano eseguiti all’interno della Fortezza di Zhong Ma, ma nessuna informazione arrivò agli alti canali ufficiali.
Non si può sapere con certezza quante siano state le persone utilizzate negli esperimenti, ne la portata di questi all’interno dell’Unità Togo, ma si sa per certo che lavorò dall’estate del 1932 alla fine del 1934, cioè fino a quando il velo di segretezza fu strappato. Ciò spinse i vertici militari a costruire un altro centro di sperimentazione sull’uomo e di sviluppo del programma di guerra biologica altrove, a Pingfan.

L’impianto di Beiyinhe fu distrutto, i prigionieri rimasti in vita uccisi.

1 James Yin, The Rape of Biological Warfare, Northpole Light, San Francisco 2001, p. 7.


2 Hal Gold, Unit 731 Testimony, Tuttle Publishing, Tokyo 1996, p. 44.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 61.


4 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 37-38.
L’Unità 731

Il primo agosto del 1935, Ishii Shiro fu promosso al grado di tenente-colonnello medico a soli quarantatre anni, per le scoperte ottenute a Beiyinhe. Esattamente un anno dopo, fu nominato capo del Boeki Kyusui Bu, Ufficio per la prevenzione delle epidemie e la purificazione dell’acqua, noto come Ufficio per la purificazione dell’acqua. Molte filiali di questa sorta di “Uffici” sorsero in Manciuria, nelle altre province cinesi e nelle zone dell’Asia orientale sotto il controllo nipponico (Birmania, Filippine, Singapore, Nuova Guinea, Thailandia); ognuna di queste strutture utilizzò cavie umane per condurre ricerche sulla guerra biologica. Ishii Shiro era l’elemento a capo del progetto e aveva posto il suo quartier generale a Pingfan, piccolo villaggio a circa venticinque chilometri a sud-ovest da Haerbin, ben collegato dalla ferrovia Sud-Manciuriana e distante appena cinquanta minuti d’automobile dal centro della città.
La grande compagnia giapponese Nihon Tokoshu Kogyo Kabushiki Kaisha fornì ogni equipaggiamento necessario alla nuova Unità, mentre Ishii riceveva ingenti mazzette per tutte le fatture gonfiate. Al contrario della sua apparenza ligia e severa, Ishii era sempre pronto ad intascare il suo tornaconto. Per la società un uomo onesto e sposato, ma, nel privato, un assiduo frequentatore di casa chiuse e di geishe, grande bevitore e scialacquatore incallito. Molti lo descrissero come un pazzo e un “fuori di testa”, come quando, per dimostrare l’efficacia di un suo nuovo filtro per la purificazione dell’acqua, offrì all’imperatore Hirohito un bicchiere della sua urina filtrata; quando questi rifiutò il gentile invito, Ishii ne tracannò il contenuto, persino con una certa aria di soddisfazione.

I sovrintendenti della Nihon Tokoshu Kogyo assunsero manodopera cinese a bassissimo costo, sottoponendo gli operai a massacranti turni di lavoro. I sei chilometri quadrati di strutture vennero ultimati nel 1939, dopo tre anni di lavori, ma senza mai fermare gli esperimenti e i test sugli uomini. Oltre seicento famiglie furono costrette ad evacuare la zona e a vendere i loro piccoli terreni a prezzi irrisori. Gli edifici della nuova fabbrica della morte erano circa centocinquanta e comprendevano uffici, dormitori, abitazioni per gli ufficiali, laboratori scientifici, baracche, un magazzino per le armi, stalle per gli animali usati negli esperimenti, un edificio per le vivisezioni e dissezioni, serre per sperimentare l’uso delle piante nel loro utilizzo nella guerra biologica, prigioni speciali per i test sulle persone, tre crematori per eliminare le carcasse degli animali e ciò che restava delle cavie umane sottoposte ai test. C’era persino una piscina, delle sale per la ricreazione e un tempio shintoista. Una speciale ferrovia collegava il campo ad Haerbin, insieme ad una pista di decollo ed atterraggio. Un ampio fossato circondava la struttura e un muro alto cinque metri, sopra al quale erano state installate diverse recinzioni di filo spinato elettrificato ad altissimo voltaggio, delimitava l’Unità.

I cinesi addetti ai lavori di costruzione, in alcune zone della struttura, venivano incappucciati con delle ceste di vimini, altri, ultimati i lavori, furono uccisi per mantenere la più totale segretezza. Si suppone che più di un terzo dei lavoratori impiegati a Pingfan tra il 1936 e 1945 siano morti a causa dei maltrattamenti a cui furono sottoposti al campo.

La segretezza era ormai diventata la condizione essenziale e maniacale per poter continuare i lavori scientifici. La zona di Pingfan venne dichiarata Zona Militare Speciale e l’accesso negato a qualsiasi civile, sia giapponese o cinese, salvo speciali lasciapassare rilasciati solamente in situazioni del tutto particolari ed eccezionali. Tre diverse forze di polizia si occupavano della sicurezza della zona: il Kempeitai, la polizia dell’armata del Kwantung e la gendarmeria dell’imperatore fantoccio del Manzhouguo, Pu Yi. Lo spazio aereo sopra Pingfan fu interdetto a tutti i voli civili.

“Paragonata alla ricerca di laboratorio a cui voi siete abituati” disse Ishii ai medici presenti nella sala conferenze di Pingfan nell’autunno del 1936 “quella di Pingfan non è inferiore a nessuna e possiamo essere orgogliosi di avere molte più strutture delle grandi università. Chi mai al di fuori di voi qui riuniti potrebbe immaginare, persino nei suoi sogni più ottimistici, che un simile laboratorio di ricerca culturale esista qui, in questo luogo sperduto? Inoltre noi non abbiamo alcuna preoccupazione, di nessun tipo, sulla disponibilità di fondi destinati alla ricerca”. Ishii aveva l’appoggio dell’esercito e del governo, gestiva un budget annuo di oltre dieci milioni di yen, le strutture del centro erano le più all’avanguardia e comprendevano laboratori di microbiologia, di patologia, laboratori per la messa a coltura dei batteri letali; gli strumenti e i prodotti farmaceutici erano i migliori disponibili. La prigione (detta Ha) era situata in una palazzina di tre piani circondata da un edificio di cinque, che la nascondeva, chiamato Ro. Queste due strutture erano anche contraddistinte da due numeri, rispettivamente 6 e 7.

Le prigioni poteva “ospitare” fino a quattrocento maruta; erano le parti più sorvegliate dell’intera Unità, la cui supervisione fu affidata a Ishii Takeo, fratello di Shiro. Le cavie arrivavano agli edifici 6 e 7 attraverso due tunnel segreti sotterranei, uno conduceva alle prigioni e ai laboratori, l’altro ai forni crematori. Nel numero 6 vi erano solo maschi adulti, nell’altro uomini, donne e bambini. Le anguste celle erano insonorizzate e separate le une dalle altre da pareti molto spesse; un buco nel pavimento funzionava da latrina; la temperatura all’interno sempre ben controllata in modo da non interferire con la verifica dei test; le porte blindate delle celle avevano due fori dai quali la cavia doveva sporgere le braccia, se ci riusciva, per i continui prelievi di sangue. Non sempre i detenuti erano isolati: ciò dipendeva dalle disposizioni del medico e dal tipo di esperimenti che dovevano essere effettuati. Celle e corridoi venivano sempre disinfettati per impedire agli agenti patogeni di infettare gli altri prigionieri e il personale in servizio. L’edificio 7, oltre alle celle, comprendeva i laboratori di coltura e produzione dei batteri letali e i laboratori di ricerca per le malattie infettive.

Ishii divise la sua Unità in otto sezioni. La Prima comprendeva tutti gli impianti di ricerca e produzione degli agenti patogeni da utilizzare contro il nemico: peste, colera, febbri del tifo e del paratifo, dissenteria, antrace, morva, tetano, cancrena gassosa (infezione tossica delle ferite aperte), tubercolosi. Si occupava anche dei problemi derivanti dal congelamento. Due camere di raffreddamento contenevano oltre cento coltivatori, che potevano produrre anche fino ad un massimo di 40.000.000 di miliardi di agenti patogeni in un solo ciclo di produzione. Questa sezione era anche responsabile della gestione degli edifici 6 e 7.


La Sezione Seconda si occupava degli esperimenti: gli scienziati sviluppavano e testavano sugli uomini l’effettiva efficacia dei vari tipi di bombe biologiche e batteriologiche. Era responsabile della produzione attraverso due boilers, dalla capacità di due tonnellate ciascuno, di alcuni agenti patogeni. Il generale Kawashima Kiyoshi affermò che “quando la sezione I e II operavano al massimo delle loro capacità, si potevano produrre 300 chilogrammi di batteri della peste, 500-600 chilogrammi di germi dell’antrace, 800-900 di tifo, paratifo o dissenteria e oltre 1000 chilogrammi di germi del colera. Tutto questo si sarebbe potuto fare in un solo mese4”. La Sezione Seconda era inoltre responsabile della gestione del campo di esperimenti presso l’aeroporto di Anda a 146 chilometri a nord di Pingfan.
La Sezione Terza era l’Unità per l’Approvvigionamento dell’Acqua e la Prevenzione Epidemicache dal 1944 fu incaricata di produrre i contenitori per le bombe biologiche.
La Sezione Quarta era la Divisione per la Produzione e la Fabbricazione per l’Unità 731. Si occupava degli impianti di produzione e assortimento degli agenti patogeni, era inoltre responsabile dell’immagazzinamento e mantenimento dei microrganismi.
La Sezione per l’Educazione aveva il compito di formare il personale appena dislocato all’Unità 731. Finito il corso di addestramento Ishii metteva in guardia le reclute, “fate particolare attenzione alla vostra salute nel momento in cui andate a ricoprire il vostro incarico. Il corpo medico non si deve ammalare a sua volta. E ancora, non dovete morire a causa di malattie o sotto al fuoco nemico. Dovete vivere, dovete sopravvivere in onore del Giappone; dovrete affrontare le avversità per il futuro del Giappone”.
La Sezione degli Affari Generali era incaricata della tesoreria del centro; la Sezione Materiali costruiva e metteva a punto le bombe biologiche e batteriologiche, preparava e forniva il materiale per la messa a coltura degli agenti patogeni; la Sezione Diagnosi e Trattamento si occupava dei vari problemi medici che potevano colpire il personale dell’Unità.

A Pingfan lavorarono microbiologi, patologi, chirurghi, chimici, infermieri, biologi, entomologi, veterinari, specialisti e tecnici tutti impegnati nel produrre terribili armi biologiche sperimentate su migliaia e migliaia di civili cinesi. Naito Ryoichi (scienziato veterano dell’Unità 731) affermò che i medici civili impegnati nel programma di sperimentazione della guerra biologica erano talmente tanti che ormai tutta la comunità scientifica doveva per forza esserne a conoscenza, “in Giappone, la maggior parte dei microbiologi era in qualche modo collegata al lavoro di Ishii. […] Divenne noto ben presto a tutti che nel centro di Haerbin si usavano esseri umani per le sperimentazioni”.

La nostra missione divina di medici è di sfidare tutti i microrganismi patogeni; di bloccare loro tutte le possibili vie di accesso al corpo umano; di annientare tutta la materia estranea che vive nel nostro corpo e di individuare la terapia più efficiente possibile. Tuttavia, il lavoro di ricerca che noi intraprenderemo è all’esatto opposto di questi principi e potrà essere causa di tormento per le nostre coscienze di medici. […] Ciò nondimeno, io vi chiedo di condurre queste ricerche mosso da una doppia aspirazione: in primo luogo, in quanto medico, dal desiderio di fare qualsiasi sforzo per trovare la verità nelle scienze naturali, nella ricerca e nella scoperta del mondo sconosciuto; in secondo luogo, in quanto soldato, dalla volontà di costruire con successo un’arma potente contro il nemico.

Queste le parole di Ishii al discorso inaugurale dell’Unità Ishii (cambiò nome in Unità 731 nel 1941, per questioni di sicurezza. E’ con questa designazione numerica che passò alla storia). Migliaia furono gli scienziati che vollero sfruttare le possibilità di una ricerca senza limite e l’opportunità di studiare le varie fasi di una malattia vivisezionando un essere umano, ottenendo così i risultati sperimentali più certi e puri. I prigionieri deliberatamente contagiati, un volta insorti i primi sintomi del morbo, venivano portati nei laboratori di patologia, spogliati e lavati. Senza anestesia, gli veniva praticata un’incisione a forma di “Y” sull’addome. Molto spesso la cavia rimaneva cosciente mentre i medici facevano le loro fredde osservazioni o ne esaminavano gli organi interni. La vittima moriva in seguito alla grande perdita di sangue e di tessuti corporei. Se una cavia moriva prima di essere vivisezionata, il cadavere veniva immediatamente sottoposto ad autopsia e, dopo essere stati asportati gli organi interessati, cremato.
Sebbene la maggior parte degli esperimenti prevedessero l’utilizzo di giovani cavie di sesso maschile, in diverse occasione vennero usate donne, soprattutto incinte. Una donna sovietica fu imprigionata a Pingfan, dove partorì il proprio figlio. Per due anni furono sottoposti a continui esperimenti e poi uccisi.

Le donne erano utilizzate soprattutto per i test riguardanti le malattie veneree, come la sifilide. Le malattie a trasmissione sessuale rappresentavano un grave flagello per l’Armata Imperiale giapponese: la prostituzione militare era molto diffusa insieme ai continui stupri perpetrati a bambine, donne e anziane nelle nazioni sotto il giogo nipponico. Un assistente personale di Ishii confessò che “all’inizio, infettavamo le donne con la sifilide praticando un’iniezione. Questo metodo però, non produceva risultati reali. La sifilide si trasmette normalmente per contatto diretto. Le indagini sul decorso della malattia non possono dare risultati utili a meno che non venga contratta in quel modo. Di conseguenza adottammo un sistema per infezione diretta attraverso contatti sessuali”, naturalmente erano i prigionieri, uno dei quali affetto da sifilide, ad essere costretti ad avere rapporti sessuali. Oltre a poter verificare il decorso della malattia attraverso l’osservazione degli organi sessuali, i tecnici dell’Unità potevano ricorrere alla vivisezione per controllare lo stato degli organi interni. Spesso le donne “stuprate” dagli altri prigionieri rimanevano incinte: si verificava come la malattia si trasmetteva da madre a embrione, poi i medici uccidevano e dissezionavano madre e feto.

Tra il 1938 e il 1943, il dottor Tabei Kanau testò diverse specie di germi del tifo e paratifo su alcune centinai di soggetti. Nella maggior parte dei casi, dava da bere alle cavie una soluzione di acqua, zucchero e bacilli del paratifo; in altri casi i maruta furono sottoposti all’esplosione di bombe che contenevano pallettoni di argilla mescolati a dieci milligrammi di bacilli riportando positivi esami di laboratorio.
Nella maggior parte degli esperimenti, le cavie venivano infettate con differenti dosaggi di microrganismi per poter poi stabilire la quantità necessaria che doveva essere usata in vista di un futuro utilizzo in guerra. Il contagio avveniva tramite iniezione oppure attraverso il contatto con oggetti cosparsi con germi letali: tessuti, attrezzi da lavoro e qualsiasi altro utensile di comune utilizzo. Molti furono i prigionieri costretti a trangugiare liquidi o cibi ripieni di tifo, antrace o peste.
I maruta erano spesso usati come veri e propri boiler: gli agenti patogeni venivano coltivati iniettandoli direttamente nei prigionieri, isolati e messi a coltura i batteri che avevano dato i sintomi e le manifestazioni più virulente. Ciò dava la possibilità ai medici nipponici di ottenere ceppi virali sempre più letali.
La curiosità scientifica dei medici giapponesi è una grande sfida all’immaginazione umana: urina di cavallo fu iniettata nei reni di alcuni detenuti solamente per osservarne le conseguenze; “misi più di un grammo di eroina in un dolcetto per un civile cinese arrestato. Circa trenta minuti dopo perse conoscenza e rimase in quello stato per 15-16 ore. Sperimentai 5-6 volte l’effetto dell’eroina”; le conseguenze della tubercolosi (la tubercolosi non incide su larga scala e perciò non è utilizzata nella guerra biologica) vennero testati su alcuni bambini manciuriani; ad un detenuto furono amputate entrambe le mani e subito trapiantate la destra al posto della sinistra e la sinistra al posto della destra; alcuni furono bolliti vivi o centrifugati, appesi a testa in giù fino a provocarne la morte per soffocamento o uccisi da massicce dosi di radiazioni.

Tra il 1938 (anno in cui Ishii Shiro fu nominato colonnello) e il 1945, Ishii e Kitano Masaji, a comando del programma di sperimentazione dal 1942 alla resa del Giappone, studiarono e testarono su civili cinesi le reazioni umane alla peste bubbonica, tifo, paratifo A e B, antrace, botulino, vaiolo, tubercolosi, salmonellosi, meningite, epatite A e B, febbri emorragiche, dissenteria, pertosse, scarlattina, morva, colera, salmonella, encefalite, febbre gialla, malattie veneree, cancrena gassosa, febbre maltese, tularemia (provocata da un batterio simile alla peste, ma con effetti meno gravi), febbri ricorrenti, difterite, congelamento, malattie endemiche delle province in cui operavano le varie Unità di Ishii e colleghi, e dozzine di altre patologie. La ricerca scientifica non si basava solamente nell’infettare con malattie letali cavie umane, ma aveva anche lo scopo di individuare i metodi di coltura di agenti biologici e batteriologici più adatti all’offensiva e di sviluppare un programma di disseminazione efficace dei microrganismi.

Venivano effettuate anche ricerche di tipo B (studi difensivi): a Pingfan oltre venti milioni di dosi di diciotto differenti vaccini venivano prodotte ogni anno. Tra il maggio e il giugno del 1940, venti persone, tutte di età compresa tra i venti e i trent’anni, furono utilizzate per testare l’efficacia di un nuovo vaccino contro il colera. A otto persone fu iniettato il nuovo vaccino ottenuto con gli ultrasuoni, ad altri otto il vaccino tradizionale, i restanti non furono sottoposti a nessuna immunizzazione. Dopo venti giorni furono tutti costretti a bere grandi quantità di latte e colera. I quattro non vaccinati morirono entro pochi giorni, alcuni dei giovani immunizzati con il vaccino tradizionale si ammalarono e morirono, negli otto vaccinati con il vaccino anti-colera prodotto con gli ultrasuoni non si riscontrò alcun sintomo della malattia. Lo stesso tipo di esperimento fu compiuto utilizzando il batterio della peste bubbonica. Dopo la verifica dei test, Ishii ordinò alla sua Squadra Vaccini (Squadra A) di produrre solamente vaccini per mezzo di ultrasuoni.

Furono compiuti diversi esperimenti per trovare un rimedio efficace al congelamento e all’assideramento. Il dottor Yoshimura Hisato fu direttamente convocato da Ishii come esperto delle cure al congelamento. Nishi Toshihide, a capo dell’Unità 673 a Sunyu (Distaccamento della 731), confessò che Yoshimura gli raccontò che “nei periodi di grande gelo, con temperature inferiori ai meno 20°C, i prigionieri venivano condotti all’aria aperta. Venivano loro scoperte le braccia e vanivano fatte congelare con l’aiuto di una corrente d’aria o con dell’acqua. Questo finché gli arti, percossi con una bacchetta non producevano lo stesso suono di una tavoletta di legno”. Venne costruito a Pingfan un edificio a due piani con un laboratorio di congelamento degli esseri umani con attrezzature tali da poter raggiungere artificialmente la temperatura di -70°C; in questo modo gli esperimenti potevano essere condotti non solo durante l’inverno.

Una volta che parti del corpo del prigioniero erano state congelate, il maruta veniva ricondotto nella propria cella. Ad alcuni venivano amputati gli arti, altri morivano per le cancrene dovute al gelo. Si scoprì, sulla pelle di molti civili cinesi innocenti, che il miglior rimedio era scongelare le parti colpite con acqua ad una temperatura compresa tra i 38°C e i 50°C.

Molti altri test furono effettuati per osservare gli effetti della denutrizione e della disidratazione. “Scoprire quanto a lungo riuscisse a resistere un uomo solo con acqua e gallette. Due maruta furono usati per questi test. Dovevano percorrere continuamente un tragitto stabilito all’interno del campo, portando un sacco di sabbia di venti chilogrammi sulle spalle. L’esperimento durò due mesi. Venivano date loro solo gallette dell’esercito e acqua, cosicché non potessero sopravvivere troppo a lungo. Non li lasciavano nemmeno dormire molto. Morirono uno dopo l’altro”.

La maggior parte dei maruta utilizzati dall’Unità 731 furono prelevati da Haerbin. Per lo più cinesi, ma anche russi, prigionieri di guerra, mongoli, coreani, europei accusati di vari crimini, ma, comunque, tutti condannati alla pena capitale, elementi criminali anti-giapponesi incorreggibili. In mancanza di materiale umano, venivano rapiti lungo le strade vagabondi o persone sole, senza famiglia. Le persone che venivano inviate nei campi di sperimentazione erano criminali la cui “tipologia del crimine è tale che, se si intraprende un’azione legale, l’individuo può essere prosciolto oppure condannato a un breve periodo di detenzione, e potrebbe lasciare presto il carcere; l’individuo è un vagabondo, senza fissa dimora, senza parenti. E’ un fumatore d’oppio (sebbene l’uso di oppio ed eroina fosse stato legalizzato in Manciuria dalle autorità nipponiche, a volte veniva persino usato per pagare gli operai cinesi); l’individuo ha idee affini a quelle che rientrano nella categoria di custodia speciale; individui il cui rilascio sia indesiderabile, nonostante la minima entità del crimine”. Molti sospetti arrestati furono inviati alla fabbrica della morte senza alcun processo. I maruta venivano caricati su furgoni Dodge neri con i finestrini oscurati, destinazione Pingfan. Una volta arrivati, si effettuavano tutti i controlli medici necessari, venivano destinati alle rispettive celle e assegnato un numero di tre o quattro cifre (era solamente un pezzo di legno, un oggetto per esperimenti), partendo da 101 fino a 1500, per poi ripartire dal 101. Questo sistema di identificazione numerica non permette, ancora oggi, di stabilire con precisione il numero delle vittime dei medici giapponesi. Il generale Kawashima affermò che “il numero dei prigionieri del Distaccamento 731 che morirono dopo essere stati infettati con malattie letali fu non meno di circa 600 l’anno15”. Il generale lavorò insieme a Ishii dal 1941 al 1945 e, se si tiene fede alle sue parole, si possono stimare un numero di almeno 3000 morti, ma senza contare gli anni dal 1936 al 1938 e senza contare le vittime delle altre “Unità anti-epidemiche” e tutti i prigionieri-testimoni uccisi prima dell’arrivo delle armate comuniste cinesi e sovietiche in Manciuria nel settembre del 1945. L’unica certezza è che il sistema creato da Ishii Shiro con l’approvazione dei vertici militari e delle più alte cariche dello stato, compreso, è bene ricordarlo, l’imperatore Hirohito, non prevedeva assolutamente sopravvissuti. Le prove del coinvolgimento dell’establishment politica giapponese si possono trovare nel telegramma top secret, datato 6 maggio 1947,destinato a Washington e inviato dal quartier generale di MacArthur a Tokyo: “dichiarazioni riluttanti di Ishii Shiro indicano che egli ebbe l’autorizzazione per il suo programma dai suoi superiori (probabilmente dallo Stato Maggiore)”. Qualsiasi Unità, per quanto speciale e segreta essa sia, deve essere approvata e finanziata e necessariamente qualcosa deve pur trapelare alle autorità politiche e militari. E’ quasi impossibile ritenere che un qualsiasi gruppo privato possa realizzare delle strutture di tale portata (oltre venticinque Unità in tutta l’Asia estremorientale), di assoluta e spietata efficienza ed in totale segretezza senza il nullaosta dei propri superiori. Nelle attività delle fabbriche della morte erano impegnati migliaia di medici sia civili che militari, il Kempeitai, grandi compagnie private giapponesi, membri del gabinetto governativo (lo stesso Tojo, Viceministro della Guerra e Primo Ministro, visionò più volte i filmati sugli esperimenti sugli esseri umani), alti vertici militari (come i generali dell’armata del Kwantung), università ed istituti pubblici di medicina giapponesi, militari di vario grado che garantivano la sicurezza delle Unità nipponiche. Non è possibile che tutto ciò sia potuto avvenire all’oscuro delle autorità pubbliche, governative e dell’esercito, soprattutto in una nazione dove vigeva una rigidissima gerarchia sociale e militare.

1 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 47.


2 Polizia militare dell’esercito giapponese, controllata dal Ministero della guerra. Aveva pieni poteri di arresto e di indagine su civili e militari.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 80.


4 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 55.


5 Ivi, pp. 55-56.


6 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 76-77.


7 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit, pp. 81-82.


8 Documents Relatifs au Procès des Anciens Militaires de l’Armée Japonaise Accusés d’Avoir Préparé et Employé l’Arme Bacteriologique, Edition en Langues Etrangères, Moscou 1950, p. 117.


9 Per un maggiore approfondimento consultare: George Hicks, The Confort Woman: Sex Slaves of the Japanese Imperial Forces, Allen & Urwin, London 1995 e Iris Chang, Lo Stupro di Nanchino, l’Olocausto Dimenticato della Seconda Guerra Mondiale, Casa Editrice Corbaccio, Milano 2000.


10 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 163-164.


11 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 63.


12 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


13 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


14 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 99-100.


15 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


16 John W. Powell, “ Japan’s Biological Weapons: 1930-1945. A Hidden Chapter in History”, Bulletin of Atomic Scientists, ottobre 1981.

https://cinaoggi.it/2009/01/23/le-armi-invisibili-2/


CONTINUA.....

LITURGIA DEL GIORNO

La Liturgia di Venerdi 14 Febbraio 2020

SANTI CIRILLO E METODIO

Risultato immagini per santi cirillo e metodio

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco

Antifona d'ingresso
Questi sono i santi, amici di Dio,
gloriosi araldi del Vangelo.

Si dice il Gloria.

Colletta
O Dio, ricco di misericordia,
che nella missione apostolica
dei santi fratelli Cirillo e Metodio
hai donato ai popoli slavi la luce del Vangelo,
per la loro comune intercessione
fa’ che tutti gli uomini accolgano la tua parola
e formino il tuo popolo santo
concorde nel testimoniare la vera fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

PRIMA LETTURA (At 13,46-49)
Noi ci rivolgiamo ai pagani.


Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, [ad Antiòchia di Pisìdia] Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono [ai Giudei]: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore:
“Io ti ho posto per essere luce delle genti,
perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione.

Parola di Dio.


Oppure, in Quaresima:

(Is 52,7-10 - Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio)

Dal libro del profeta Isaìa

Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Sal 116)
Rit: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.

Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.

Canto al Vangelo (Lc 4,18)
Alleluia, alleluia.
oppure (in Quaresima):
Lode e onore a te, Signore Gesù.

Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.

Alleluia, alleluia.
oppure (in Quaresima):
Lode e onore a te, Signore Gesù.

VANGELO (Lc 10,1-9)
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
I santi Cirillo e Metodio sono stati mirabili messaggeri di pace, di bene e di salvezza presso i popoli slavi. Con la loro intercessione, preghiamo Dio Padre perchè aiuti la Chiesa a farsi tutta a tutti. Diciamo insieme:
Riunisci il tuo popolo, Signore.

Per la santa Chiesa: santifichi il mondo con l'efficacia della tua grazia. Preghiamo:
Per le nazioni dell'Europa: trovino nella fede in Dio e nei valori umani il sostegno all'unità e alla concordia. Preghiamo:
Per gli operatori della cultura: diffondiamo con forza e convinzione il bene presente in ogni popolo. Preghiamo:
Per i cristiani: si impegnino attivamente per cancellare le divisioni tra le Chiese. Preghiamo:
Per i popoli slavi: il loro profondo senso religioso li aiuti a sopportare le attuali difficoltà. Preghiamo:
Per i governanti: impegnino la loro opera per la libertà, la giustizia e la pace. Preghiamo:
Per noi che partecipiamo a questa eucaristia: il Cristo centro dell'universo ci liberi da ogni divisione e discordia. Preghiamo:

O Padre, in Cirillo e Metodio ci doni un modello e un invito alla missione; degnati ora di ascoltare queste nostre preghiere, perchè la Chiesa sappia sempre servirsi delle parole degli uomini per diffondere la tua Parola. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Preghiera sulle offerte
Guarda, o Padre, i doni
che nel ricordo dei santi Cirillo e Metodio
deponiamo sul tuo altare
e fa’ che diventino il segno
dell’umanità nuova riconciliata nell’amore.
Per Cristo nostro Signore.

Prefazio dei santi I,
oppure Prefazio dei santi II,
oppure Prefazio dei pastori.


Antifona di comunione
I discepoli partirono
e predicarono il lieto annunzio,
e il Signore operava insieme con loro. (cf. Mc 16,20)


Preghiera dopo la comunione
O Dio, Padre di tutte le genti,
che nell’unico pane e nell’unico Spirito
ci hai fatti commensali ed eredi del banchetto eterno,
per l’intercessione dei santi Cirillo e Metodio
fa’ che la moltitudine dei tuoi figli,
unita nella stessa fede,
sia solidale nel costruire la giustizia e la pace.
Per Cristo nostro Signore.


Commento
Le due letture di oggi parlano dell'evangelizzazione a proposito dell'apostolato dei santi Cirillo e Metodio.
Il testo di Isaia parla già di "buona notizia" ed esprime un movimento centripeto verso Gerusalemme; il messaggero annuncia la pace "le sentinelle vedono con i loro occhi il ritorno del Signore in Sion", tutti i popoli guardano la santa città.
Nel Vangelo il movimento è inverso. Gesù invia gli Apostoli nel mondo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura... Allora essi partirono e predicarono dappertutto".
Ci sono dunque due dinamiche diverse nell'AT, si pensa la salvezza come la venuta delle nazioni a Gerusalemme, il centro del mondo, dove si sale al monte del Signore, che attira tutti; nel NT Gerusalemme non è più il centro dell'unità, il "luogo" dell'unità è ora il corpo di Cristo risorto, presente in modo misterioso dovunque sono i suoi discepoli. "Andate in tutto il mondo". Ecco la legge dell'evangelizzazione, senza evidentemente perdere il legame con Gesù, luogo dell'unità di tutti coloro che credono in lui.
Il problema per i santi Cirillo e Metodio è stato proprio quello di andare ad altri popoli, malgrado le grandi difficoltà, che non erano solo difficoltà di viaggio (c'erano certamente anche quelle, nel IX secolo), ma difficoltà di rivolgersi a popoli che non erano di cultura greca o latina, i popoli slavi.
Cirillo e Metodio furono veramente pionieri di quella che oggi si chiama "inculturazione", cioè il tradurre la fede nella cultura del paese invece di imporre la propria. Essi tradussero la Bibbia in slavo e celebrarono la liturgia in lingua slava, una audacia per la quale furono denunciati a Roma da missionari latini. Venuti dal papa per discolparsi, furono capiti, approvati da lui che, dopo la morte di Cirillo avvenuta appunto a Roma, un 14 Febbraio, consacrò Vescovo san Metodio e lo rimandò nei paesi slavi a continuare la sua opera di evangelizzazione.
Oggi si è preso più coscienza di questo problema che per secoli ha causato incomprensioni, condanne e ritardi nell'evangelizzazione. Ormai ci si rende conto che la fede è separabile da ogni cultura e deve radicarsi in ognuna di esse, come fermento che le impregna del Vangelo.
È un problema non solo di popoli diversi, ma di generazioni diverse: in ogni generazione la fede domanda di essere espressa in modo nuovo.
È sempre la stessa, ma è un fermento di vita che chiede di crescere e di trovare sempre nuove forme per progredire. Proprio Gesù ha paragonato il Vangelo a un seme di senapa che cresce, si trasforma, diventa un albero.
Dobbiamo avere la preoccupazione di andare agli altri e di non obbligarli a uniformarsi alle nostre abitudini, a ciò che noi pensiamo sia il meglio.
Andare agli altri come Gesù è venuto a noi: facendosi uomo, accettando tutto ciò che è umano per farsi comprendere dagli uomini e poterli introdurre nella sua intimità.