giovedì 13 giugno 2019

Chi controlla il denaro? – di Michael Snyder

Lo fa in segreto una Banca Centrale Mondiale non eletta e che non deve rendere conto a nessuno…





Un’organizzazione internazionale immensamente potente di cui la maggior parte delle persone non ha mai nemmeno sentito parlare controlla segretamente l’offerta di moneta del mondo intero. Si chiama Banca dei Regolamenti Internazionali, ed è la banca centrale delle banche centrali. Si trova a Basilea, in Svizzera, ma ha filiali anche a Hong Kong e Città del Messico. Si tratta essenzialmente di una banca centrale non eletta, indipendente e che ha la totale franchigia dalle imposte e dalle leggi nazionali. Anche Wikipedia ammette che ” non risponde a nessun singolo governo nazionale.La Banca dei Regolamenti Internazionali è stata utilizzata per riciclare denaro per i nazisti durante la seconda guerra mondiale, ma in questi giorni lo scopo principale della BRI è quello di guidare e dirigere il sistema finanziario globale destinato ad essere unificato. Oggi, 58 banche centrali globali appartengono alla BRI, e influiscono sul modo in cui l’economia degli Stati Uniti (o qualsiasi altra economia) si svolgerà nel corso del prossimo anno molto più di un qualsiasi politico.


Ogni due mesi, i banchieri centrali del mondo si riuniscono a Basilea per un “Convegno di Economia Mondiale”. Le decisioni che vengono prese durante questi incontri interessano ogni uomo, donna e bambino sul pianeta, eppure nessuno di noi ha voce in capitolo in quello che succede. La Banca dei Regolamenti Internazionali è un’organizzazione fondata dall’élite globale e opera a vantaggio delle élite globali, ed è destinata ad essere uno dei cardini principali del nascente sistema economico mondiale. E’ imperativo che le persone vengano informate su ciò che è questa organizzazione e dove ha intenzione di portare l’economia globale.


Purtroppo, solo pochissime persone sanno veramente cos’è la Banca dei Regolamenti Internazionali, e ancora meno persone sono a conoscenza delle riunioni di economia globale che si svolgono a Basilea su base bimestrale.

Questi incontri di economia globale sono stati discussi in un recente articolo del Wall Street Journal

Ogni due mesi, più di una dozzina di banchieri si incontrano qui la domenica sera, per parlare e cenare al 18° piano di un edificio cilindrico che si affaccia sul Reno.

Le discussioni durante la cena sul denaro e sull’economia sono più che accademiche. Al tavolo ci sono i capi delle maggiori banche centrali del mondo, che rappresentano i paesi che producono ogni anno più di 51.000 miliardi di dollari di prodotto interno lordo, i tre quarti della produzione economica mondiale.

L’articolo prosegue descrivendo la stanza nella quale avvengono questi incontri di economia globale. Sembra uscita fuori da un romanzo …


Mr. King della Banca d’Inghilterra conduce le discussioni durante la cena in una sala decorata dallo studio svizzero di architettura Herzog & de Meuron, che ha progettato lo stadio a “Nido d’Uccello” per le Olimpiadi di Pechino. Gli uomini hanno posti riservati ad una tavola rotonda in una sala profumata di orchidee bianche e incorniciata da pareti bianche, soffitto nero e vista panoramica.

I banchieri centrali che si riuniscono per questi convegni non sono lì solo per socializzare. Nessun membro del personale è ammesso a questi incontri, che si svolgono in un clima di assoluta segretezza …

Argomenti seri si alternano a stuzzichini, vino e chiacchiere, secondo le persone che hanno familiarità con queste cene. Mr. King chiede di solito ai suoi colleghi di parlare delle prospettive nei rispettivi paesi. Altri fanno domande supplementari. Le riunioni non producono trascrizioni o verbali. Nessun membro del personale è ammesso.

Dunque il destino dell’economia mondiale è determinato da banchieri centrali non eletti in incontri segreti di cui nessuno ha mai sentito parlare?

Questo certamente non sembra molto “democratico”.

Ma questa è la direzione verso la quale la “governance globale” ci sta portando. L’élite crede che le “grandi decisioni” sono di gran lunga troppo importanti per essere lasciate “al popolo”, e così la maggior parte delle “istituzioni internazionali” che sono state fondate dall’élite funzionano indipendentemente dal processo democratico.

Purtroppo, la verità è che tutto questo è stato progettato da moltissimo tempo.

In un recente articolo dal titolo “Chi governa il mondo? La prova consistente che un gruppo ristretto di ricchi elitari tira le fila“, ho inserito una citazione del professore di storia della Georgetown University Carroll Quigley, tratta da un libro completato nel 1966 e che parlava dei grandi progetti che l’élite aveva per la Banca dei Regolamenti Internazionali …

l poteri del capitalismo finanziario avevano un altro obiettivo di vasta portata, di creare nientemeno che un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ogni paese e l’economia del mondo nel suo complesso. Questo sistema doveva essere controllato in un regime feudale dalle banche centrali del mondo che agivano di concerto, tramite accordi segreti concordati in frequenti incontri e conferenze private. Il vertice del sistema doveva essere la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, in Svizzera, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private.

A quel tempo, la Banca dei Regolamenti Internazionali iniziava appena a giocare un ruolo importante negli affari mondiali. Ma nel corso degli anni, la BRI è diventata sempre più importante. Il seguente è un estratto da un articolo di Ellen Brown

Per molti anni la BRI ha mantenuto un profilo molto basso, operando dietro le quinte di un hotel abbandonato. Era qui che si prendevano decisioni per svalutare o difendere valute, fissare il prezzo dell’oro, regolare il sistema bancario offshore, e aumentare o abbassare i tassi di interesse a breve termine. Nel 1977, tuttavia, la BRI ha dato il suo anonimato in cambio di una sede più efficiente. Il nuovo edificio è stato descritto come “un grattacielo circolare di 18 piani con una lunga storia che si erge sopra la città medievale come un reattore nucleare fuori luogo.” Presto divenne noto come la “Torre di Basilea.” Oggi la BRI è indipendente dai governi, non paga le tasse, e ha una sua forza di polizia privata. E’, come previsto da Mayer Rothschild, al di sopra della legge.

Sì, sicuramente ha una notevole somiglianza con la Torre di Babele, come potete vedere dalla foto in questo articolo. Ancora una volta l’élite globale sta cercando di unire l’umanità sotto un unico sistema, e questa non è certamente una buona cosa.

Ma molti di questi elitisti sono del tutto convinti che “la governance globale” è ciò di cui l’umanità ha un disperato bisogno. Hanno detto anche pubblicamente cosa hanno intenzione di fare, ma la maggior parte delle persone non ascolta.

Ad esempio, quello che segue è un estratto da un discorso che l’ex presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet ha tenuto al Council on Foreign Relations di New York …

Nel settore della cooperazione tra le banche centrali, il forum principale è il Global Economy Meeting (GEM), che si tiene presso la sede della BRI a Basilea. Nel corso degli ultimi anni, questo forum ha ospitato 31 governatori come membri permanenti, più un certo numero di altri governatori presenti a rotazione. Il GEM, al quale partecipano a pieno titolo tutti i governatori delle banche centrali delle economie emergenti, è diventato il gruppo più importante per la governance globale, tra le banche centrali.

Il discorso si intitolava “Governance Globale Oggi”, e si può trovare la trascrizione completa qui. Ma la maggior parte delle persone non ha mai sentito dire che esiste una cosa come il “Global Economy Meeting” anche perché i media mainstream discutono raramente questo genere di cose. Sono troppo occupati a concentrarsi sullo scandalo dell’ultima celebrità o sugli ultimi scontri felini tra repubblicani e democratici.

Se andate sul sito ufficiale della BRI, gli scopi dell’organizzazione sembrano abbastanza innocenti e piuttosto noiosi …

La missione della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) è quella di servire le banche centrali nella loro ricerca di stabilità monetaria e finanziaria, per favorire la cooperazione internazionale in tali aree e di agire come una banca delle banche centrali.

A grandi linee, la BRI persegue la sua missione:


promuovendo il dibattito e facilitando la collaborazione tra le banche centrali;


sostenendo il dialogo con altre autorità che sono responsabili di promuovere la stabilità finanziaria;


effettuando ricerche su questioni politiche incontrando le banche centrali e le autorità di vigilanza finanziaria;


agendo come controparte privilegiata per le banche centrali nelle loro transazioni finanziarie, e come agente o fiduciario nelle operazioni finanziarie internazionali.

La sede centrale è a Basilea, in Svizzera e ci sono due uffici di rappresentanza: nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong della Repubblica popolare cinese e a Città del Messico.

Ma quando si inizia a guardare nei dettagli, le cose si fanno molto più interessanti.

Quindi, esattamente, come fa la BRI a raggiungere “la stabilità monetaria e finanziaria”? Un articolo pubblicato su investorsinsight.com ha descritto come questo si realizza …

Questo si realizza attraverso il controllo delle valute. Attualmente essa detiene il 7% dei fondi di cambio disponibili a livello mondiale, la cui unità di conto è stata convertita nel marzo del 2003 da franco oro svizzero a Diritti Speciali di Prelievo (DSP), una “moneta” fiat artificiale, con un valore basato su un paniere di valute (44% dollaro USA, 34% euro, 11% yen giapponese, 11% sterlina).

La banca controlla anche una grande quantità di oro, che mette da parte e presta dandogli grande leva sul prezzo del metallo e sul potere di mercato che ha, essendo l’oro ancora l’unica moneta universale. Le riserve auree della BRI sono state elencate nel suo rapporto annuale 2005 (il più recente) pari a 712 tonnellate. Come questo si scompone in depositi delle banche affiliate e scorta personale della BRI non si sa.

Controllando i cambi di valuta esteri, nonché l’oro, la BRI può fare molto per determinare le condizioni economiche in un dato paese. Ricordatevelo la prossima volta che Ben Bernanke o il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet annunceranno un rialzo dei tassi di interesse. Potete scommetterci che non è successo senza il concorso del Consiglio della BRI.

Negli ultimi anni, è diventato sempre più evidente chi ha davvero potere sulla nostra economia.

Quando parla Barack Obama, i mercati di solito si muovono molto poco.

Quando parla Ben Bernanke, i mercati spesso rispondono con oscillazioni selvagge.

Un recente articolo della CNBC intitolato “Banche Centrali: come stanno governando il mondo finanziario” spiega in dettaglio l’enorme impatto che le banche centrali hanno avuto sul sistema finanziario globale nel corso del 2012 …

In tutto, altre 13 banche centrali nel mondo hanno seguito l’esempio della Fed e hanno fissato i tassi di interesse pari o vicino allo zero nel tentativo di tenere aperti i rubinetti della liquidità e sostenere le loro economie in difficoltà. Quelle 14 economie rappresentano l’incredibile valore di 65.000 miliardi di dollari in azioni combinate e capitalizzazioni di mercato delle obbligazioni, secondo la Bank of America Merrill Lynch.

Più tardi in questo stesso articolo, l’autore ha discusso le enormi quantità di denaro che le banche centrali mondiali stavano creando dal nulla …

“Quando si tiene conto di tutte le banche centrali del mondo, si arriva ad oltre 9.000 miliardi di dollari,” ha affermato Marc Doss, responsabile regionale degli investimenti per la Banca Privata Wells Fargo. “E’ come creare la seconda più grande economia del mondo dal nulla.”

In effetti, quella delle banche centrali è diventata un’economia a sé stante, un impero di molti miliardi di dollari che massaggia e manipola i mercati, che rispondono alla minima notizia sui comitati politici delle rispettive entità.

Allora, chi controlla il denaro?

Lo fanno le banche centrali di tutto il mondo.

E chi controlla le banche centrali?

Lo fa la Banca dei Regolamenti Internazionali.

Se non ci piace quello che sta facendo la Banca dei Regolamenti Internazionali, possiamo fare qualcosa al riguardo?

No. La Banca dei Regolamenti Internazionali è al di sopra della legge

Forse ci sentiremmo meglio nei confronti della BRI se fosse più trasparente, ma la maggior parte delle cose che la riguardano, comprese le riunioni bimestrali dei membri e le riunioni del consiglio, sono avvolte nel mistero. E forse ancora più preoccupante è il fatto che la BRI è libera da qualsiasi controllo. Grazie ai diritti concessi ai sensi del suo accordo con il Consiglio Federale Svizzero, tutti gli archivi della banca, documenti e “qualsiasi trasmissione dei dati” sono “inviolabili in ogni momento e in ogni luogo.”

Inoltre, i funzionari e i dipendenti della BRI “godono dell’immunità dalla giurisdizione penale e amministrativa, tranne nel caso in cui tale immunità venga formalmente rifiutata… anche dopo che queste persone hanno cessato di essere funzionari della Banca.” Infine, nessuna pretesa nei confronti della BRI o dei suoi depositi può essere avanzata “senza il previo consenso della Banca.”

In altre parole, possono fare quello che vogliono, senza conseguenze. Coma mai questo scudo legale a prova di perdite?

Se la BRI vuole “intervenire” nei mercati finanziari, lo fa e basta.

Se la BRI vuole salvare grandi banche o persino intere nazioni, lo fa e basta.

La BRI mi ricorda questa vecchia barzelletta …

D: Dove si siede un gorilla di 800 libbre?

R: Dovunque vuole.

Allora, che succederà con la Banca dei regolamenti internazionali?

Bene, molti hanno ipotizzato che l’obiettivo finale è quello di avere una moneta unica globale, che sarà gestita da un’unica banca centrale globale. La BRI sta già usando i Diritti Speciali di Prelievo (DSP), che sono considerati un precursore della futura moneta globale. La BRI ha svolto un ruolo importante nell’adozione dell’euro, e una maggiore integrazione monetaria avverrà quasi certamente negli anni a venire


Ma alla fine, il modo in cui vi sentite rispetto alla BRI può dipendere dal modo in cui vi sentite rispetto ad una sola valuta mondiale. La banca ha avuto un ruolo di primo piano nella promozione dell’adozione dell’euro come moneta comune europea. Corrono voci che il suo prossimo progetto sia quello di convincere gli Stati Uniti, il Canada e il Messico a passare ad una moneta regionale unica, che forse si chiamerà “Amero”, ed è logico supporre che l’obiettivo finale della banca sia una moneta unica mondiale. Questo semplificherebbe le transazioni e rafforzerebbe davvero il controllo della banca sull’economia planetaria.

Ma se gli Stati Uniti dovessero mai rinunciare al dollaro statunitense, sarebbe un duro colpo per la nostra sovranità nazionale.

Quando qualcun altro controlla i vostri soldi, non importa più di tanto chi fa le leggi.

Purtroppo, l’élite globale sembra assolutamente ossessionata dall’idea di una valuta globale, un sistema economico mondiale e un governo mondiale.

Nessuna di queste cosa accadrà quest’anno, ma ci stiamo muovendo in questa direzione. Ad ogni nuova crisi, le soluzioni che ci verranno date implicheranno sempre maggiore centralizzazione e più globalizzazione.



Social network, l’esercito del killfie che uccide tra i più giovani


Ci sono cifre e numeri che rimangono nascosti sino a quando un meccanismo o una routine non diventano oggetto fenomenologico e orizzonte di analisi. Si prendano a esempio i numeri dell’ultimo Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes sulle persone morte nel mondo a causa di un selfie azzardato, quello che in gergo viene chiamato “killfie”, un neologismo, una crasi tra selfie e kill, ovvero morire per un selfie.


Il macabro fenomeno, che sfiora l’idiozia e forme patologico-compulsivo, è in enorme crescita un po’ dappertutto, con picchi di autolesionismo in particolar modo in India. Alcuni casi di cronaca fanno riflettere su una pratica che è a metà strada tra l’autolesionismo, la stupidità e la ricerca di visibilità a ogni costo: tre studenti sono morti dopo essere stati investiti da un treno mentre stavano facendo una foto sui binari; un giovanissimo è morto affogato mentre i suoi “amici” si mettevano in posa pronti a immortalare la scena con un video. I casi di killfie non riguardano più solo l’India e ilr esto dei Paesi cosiddetti emergenti, ma è un caso transnazionale che coinvolge ragazzi di tutto il mondo pronti a filmare, fotografare e rilanciare nel web bravate senza limiti.


Le cause più comuni di decesso causate dalla voglia insana di farsi notare, sono derubricate in annegamento, incidenti legati a mezzi di trasporto e cadute da grandi altezze. Tornando all’indagine Eurispes, la ricerca ha evidenziato come nel mondo in 6 anni, 259 persone siano morte per scattarsi un selfie mentre ci si trova in una situazione estrema o pericolosa solo per rendere pubblica la propria immagine, ovvero postarla sulle piattaforme social. Più del 70% delle vittime sono giovani under 30: 76 avevano tra i 10 e i 19 anni e 106 tra i 20 e i 29 anni, tutte decedute per cause incidentali. L’Eurispes rileva infatti che l’84% degli incidenti sono legati a giovanissimi che non hanno calcolato bene i rischi a cui andavano incontro mentre stavano scattando il selfie. In maggioranza le vittime sono uomini, 106 invece sono donne.


Per chi volesse farsi un’idea di cosa si sta parlando e cosa sia questa pratica ormai comune tra gli adolescenti, basta farsi un giro su Instagram (#extremeselfies) dove vengono fuori quasi 12.000 post di ragazzi in posa o in azione mentre si stanno scattando foto in luoghi e condizioni estreme. Vien da sé che il numero di like e di follower sia direttamente proporzionale al grado di pericolosità raggiunto dall’esibizione. Probabilmente anche questa tendenza, macabra e idiota, potrebbe essere contemplata in una tendenza generale che riguarda il nostro rapporto con le nuove tecnologie. Si tratta di ciò che McLuhan preconizzava oltre 50 anni fa nel suo Gli strumenti del comunicare, ovvero la fine della mente lineare. La fine del monopolio detenuto per secoli da parte del testo sui nostri pensieri era giunta grazie all’avveno dei media elettrici. La fusione magmatica di tanti Sé nell’equivalente globalizzato del villaggio globale. Se il medium è il messaggio, famoso aforisma mcluhaniano, non dobbiamo altresì dimenticare che quando un nuovo medium entra nella nostra quotidianità (Internet compresa) più che sul contenuto che veicola, o meglio, prima che dibattere su ciò che trasmette, dobbiamo ragionare sulla tecnologia del mezzo che veicola quel tipo di informazione.


Ragionando sul lungo periodo il contenuto di un medium ha meno importanza del medium stesso, diceva sempre McLuhan, nell’influenzare le persone; i media, cioè, arrecano danni o meno, agendo sul sistema nervoso degli individui, ma di questo noi non ce ne accorgiamo, troppo presi dalle luci abbacinanti dello show business proposto sui nostri schermi.

La deprivazione materiale in Europa

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Nell’UE circa 33,7 milioni di persone sono colpite da deprivazione materiale


L’Eurostat calcola la percentuale di persone sul totale della popolazione che vivono la deprivazione materiale nell’interno dei paesi europei. I dati con riferimento all’anno 2017 possono essere organizzati in forma di classifica. Al primo posto per percentuale della popolazione colpita da deprivazione materiale nel 2017 c’è stata la Macedonia del Nord con un valore pari al 31,1%, seguita dalla Bulgaria con un valore pari al 30,00% e dalla Grecia con un valore pari al 21,10%. A metà classifica si posizionano Irlanda - con un valore pari a 5,2% della popolazione affetta da grave deprivazione materiale -, Belgio e Spagna a pari merito con un valore pari a 5,1%. Chiudono la classifica il Lussemburgo, con una percentuale di persone che sperimentano la deprivazione materiale pari a 1,2, a pari merito con la Svizzera e seguiti dalla Svezia con una percentuale di persone in deprivazione materiale pari ad un valore di 1,1%. Tuttavia occorre considerare che secondo il dato Eurostat nel 2017 il 6,6% della popolazione europea era caratterizzata da deprivazione materiale, ovvero un valore pari a circa 33,7 milioni di persone nell’Europa a 28 paesi.

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Di seguito si analizza la deprivazione materiale nella Macedonia del Nord, in Bulgaria e in Grecia.
Macedonia del Nord. La deprivazione materiale nella Macedonia del Nord è diminuita nel periodo tra il 2010 ed il 2017. Nel 2010 il 34,7% della popolazione macedone viveva in una condizione di deprivazione materiale, una percentuale che è salita fino al 40,3% nel 2011 ovvero pari ad una crescita di 5,60 punti percentuali pari a 16,14%. Nel passaggio tra il 2011 ed il 2012 la percentuale di persone che vivono in deprivazione materiale nella Macedonia del Nord è cresciuto di 0,60 punti assoluti ovvero di un valore pari a 1,49% fino ad un valore pari a 40,9%. Nel passaggio tra il 2012 ed il 2013 la percentuale di persone che vivono in deprivazione materiale in Macedonia è passata da un valore pari a 40,9% fino ad un valore pari a 37,7% ovvero una riduzione pari a 3,20 unità pari a -7,82%. Nel passaggio tra il 2013 ed il 2014 la percentuale di persone in deprivazione materiale è passata da un valore pari al 37,7% della popolazione macedone fino ad un valore pari a 35,7% ovvero pari ad una riduzione di 2 unità pari al 5,31%. Nel passaggio tra il 2014 ed il 2015 la percentuale di persone che vivono in deprivazione materiale nel Nord della Macedonia è passato da un valore pari a 35,7% fino ad un valore pari a 30,4% ovvero pari a -5,30 unità pari a -14,85%. Nel passaggio tra il 2015 ed il 2016 la percentuale di persone che vivono in deprivazione materiale nell’interno della Macedonia del Nord è diminuito da 30,4% fino ad un valore pari a 30,00% ovvero una variazione pari a 0,4 unità in valore assoluto e pari a -1,32%. Nel passaggio tra il 2016 ed il 2017 la percentuale di persone che vivono in deprivazione materiale nella Macedonia del Nord è cresciuto da un valore pari a 30,00% fino ad un valore pari a 31,10% ovvero una variazione pari ad un valore di 1,10 unità pari a 3,67%. Nel complesso del periodo considerato, ovvero tra il 2010 ed il 2017 la Macedonia del Nord è riuscita a ridurre la deprivazione materiale di un valore pari a circa il 10,00%.
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Bulgaria. La percentuale di persone in deprivazione materiale in Bulgaria è stata pari ad un valore del 45,7% nel 2010. Nel passaggio tra il 2010 ed il 2011 la percentuale dei bulgari in deprivazione materiale è passata dal 45,7% fino ad un valore pari a 43,6% ovvero una variazione pari ad un valore di -2,10 unità pari ad una variazione del 4,60%. Nel passaggio tra il 2011 ed il 2012 la percentuale di bulgari in deprivazione materiale è cresciuta da un valore pari a 43,60% fino ad un valore pari a 44,10% ovvero una variazione pari a 0,50 unità equivalente ad un valore di 1,15%. Nel passaggio tra il 2012 ed il 2013 la percentuale di bulgari che hanno sperimentato la deprivazione materiale è diminuita da un valore pari a 44,10 unità fino ad un valore pari a 43,00% ovvero pari ad una variazione di -1,10 unità pari a 2,49%. Nel passaggio tra il 2013 ed il 2014 la percentuale di Bulgari che hanno vissuto la deprivazione materiale è diminuita dal 43,00% fino ad un valore pari al 33,10% ovvero una variazione pari a 9,90 unità ovvero una variazione pari a -23,02%. Nel passaggio tra il 2014 ed il 2015 la percentuale di bulgari che hanno vissuto la deprivazione materiale è passato da un valore pari a 33,10 unità fino ad un valore pari a 34,20% ovvero pari ad una crescita di 1,10 unità pari al 3,32%. Nel passaggio tra il 2015 ed il 2016 la percentuale di persone che hanno sperimentato la deprivazione materiale in Bulgaria è diminuita dal 34,20% fino ad un valore pari a 31,90% ovvero una variazione pari ad un valore di 2,30 unità pari ad una variazione del 6,73%. Nel passaggio tra il 2016 ed il 2017 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Bulgaria è passata da un valore pari a 31,90% fino ad un valore pari a 30,00% ovvero pari ad una riduzione di 1,90 unità pari ad una variazione di 5,96%. Nel complesso nel periodo considerato la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Bulgaria è diminuita di un valore pari a 15,70 unità pari ad una variazione del 34,35%.
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Grecia. La percentuale di greci che vivono in una condizione di deprivazione materiale è cresciuta nel periodo tra il 2010 ed il 2017. Tra il 2010 ed il 2011 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Grecia è passata da un valore pari a 11,60% fino ad un valore pari a 15,20% ovvero una crescita pari a 3,60 unità equivalente ad una crescita di 31,03%. Nel passaggio tra il 2011 ed il 2012 la percentuale di persone che in Grecia hanno sperimentato la deprivazione materiale è cresciuta da un valore pari a 15,20% fino ad un valore pari al 19,50% ovvero una crescita pari a 4,30 unità equivalente ad un valore pari a 28,29%. Nel passaggio tra il 2012 ed il 2013 la percentuale di persone che hanno sperimentato la deprivazione materiale in Grecia è cresciuta da un valore pari a 19,50% fino ad un valore pari a 20,30% ovvero pari ad una variazione di 0,80 unità pari ad una variazione del 4,10%. Nel passaggio tra il 2013 ed il 2014 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale è cresciuta di 1,20 unità pari a 5,91% da un ammontare pari a 20,30% fino ad un valore pari a 21,50%. Nel passaggio tra il 2014 ed il 2015 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Grecia è passata da un valore pari a 21,50% fino ad un valore pari a 22,20% ovvero una variazione pari ad un valore di 0,70 unità pari a 3,26%. Nel passaggio tra il 2015 ed il 2016 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Grecia è cresciuta da un valore pari a 22,20% fino ad un valore pari a 22,40% ovvero una variazione pari ad un ammontare di 0,20 unità equivalente ad un valore di 0,90%. Nel passaggio tra il 2016 ed il 2017 la percentuale di persone che hanno vissuto la deprivazione materiale in Grecia è diminuita da un valore pari a 22,40 % fino ad un valore pari a 21,10% ovvero una variazione pari ad un valore di -1,30 unità pari ad una riduzione del 5,80%. Nel complesso del periodo considerato la percentuale della popolazione che in Grecia vive la deprivazione materiale è cresciuta di 9,54 punti percentuali ovvero una crescita dell’81,90%.
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Conclusioni. In conclusione se si prende in considerazione un periodo sufficientemente lungo, come per esempio il periodo tra il 2005 ed il 2017, che comprenda anche una crisi finanziaria, si può verificare che vi sono dei winners e dei losers nella lotta alla deprivazione materiale. Alcuni paesi, infatti, hanno visto crescere la percentuale delle persone che vivono in deprivazione materiale e questi sono i losers. Altri paesi hanno invece diminuito la percentuale della popolazione in deprivazione materiale: si tratta dei winners.
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Tra i losers compaiono la Grecia, che ha visto crescere la percentuale della popolazione in deprivazione materiale dell’8,3% tra il 2005 ed il 2017, e l’Italia con un valore pari a 3,3%, seguite da Spagna 1%, Austria +0,2%, Irlanda +0,1% e Olanda +0,1%.
Tuttavia vi sono anche dei winners: tra questi, i migliori sono i paesi dell’Est Europa, come per esempio la Slovacchia, che ha ridotto la percentuale delle persone in deprivazione materiale di un valore pari al 15,10%, la Lituania -20,2%, la Polonia -27,9 e la Lettonia con un valore pari a -28%. Tuttavia nel complesso la presenza di circa 34 milioni di europei che in vari paesi vivono in una condizione di deprivazione materiale pone la questione dell’Europa sociale e della creazione di un welfare che possa essere universalistico.

L’ACCORDO DI LONDRA DEL 1953 E LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO ESTERO TEDESCO: ALCUNE CONSIDERAZIONI (IN)ATTUALI

Matteo 18,23-35


A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi.Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».




Giuseppe Bianco è dottorando di ricerca alle università di Oslo e Paris 1 Panthéon-Sorbonne

Nel dibattito pubblico europeo ci si interroga sulle questioni relative al trattamento del debito pubblico (specialmente quello greco) e spesso si menziona il precedente che riguardò la Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Accordo di Londra sul debito estero tedesco del 27 febbraio 1953 tra la Repubblica federale di Germania e venti Paesi creditori prebellici, entrato in vigore il 16 settembre dello stesso anno, rappresenta in effetti un modello unico di ristrutturazione del debito sovrano di uno Stato, inquadrato dal diritto internazionale pubblico. È fuor di dubbio che il contesto relativo a questo episodio possa considerarsi eccezionale, in ragione della Guerra Mondiale da cui la maggior parte dei Paesi partecipanti all’Accordo usciva, della divisione della Germania in due repubbliche e soprattutto dell’inizio della Guerra fredda, con tutte le sue implicazioni geopolitiche e finanziarie. Tuttavia, questo Accordo può essere analizzato come esempio di ricorso a tecniche di diritto internazionale che costituiscono una «riserva» a disposizione degli Stati e che, in funzione delle loro virtù, potrebbero essere impiegate nuovamente – beninteso, se si raggiunge un consenso politico.


La consapevolezza dell’importanza della questione debitoria era ben chiara alle autorità tedesche, le quali già nel 1948 crearono un Comitato tedesco per le relazioni finanziarie internazionali (Deutscher Ausschuss für internationale finanzielle Beziehungen). Nel 1950, gli Alleati formarono un Gruppo di studio intergovernativo sulla Germania (Intergovernmental Study Group on Germany) per esaminare le questioni relative allo statuto giuridico e politico della Repubblica federale. Esso doveva occuparsi delle rivendicazioni contro la Germania derivanti dal debito tedesco precedente alla guerra (Buxbaum).In una lettera all’Alta Commissione Alleata del 6 marzo 1951, il cancelliere Konrad Adenauer da un lato riconobbe a nome della Repubblica federale tedesca i debiti prebellici del Reich e quelli derivanti dall’assistenza economica ricevuta dagli Alleati a partire dall’8 maggio 1945. Allo stesso tempo, tuttavia, segnalò la necessità di un accordo il cui obiettivo fosse «normalizing the economic and financial relations of the Federal Republic with other countries» e di tenere in considerazione «the general economic position of the Federal Republic, notably the increase of its burdens and the reduction in its economic wealth» (v. la lettera riportata nel Department of State Bulletin).

Il Regno Unito, la Francia e gli Stati Uniti accettarono queste premesse e istituirono una Commissione tripartita nel 1951 per rappresentarli durante i negoziati e le riunioni che avrebbero condotto alla ristrutturazione.

Un problema rilevante riguardava l’inclusione dei creditori privati nelle discussioni: ci si accordò per una prima fase con riunioni intergovernative e una seconda con dibattiti tra rappresentanti degli Alleati e rappresentanti dei creditori (Buxbaum).

Una volta che gli Alleati ebbero determinato la porzione di debito a cui avrebbero rinunciato, si aprì una conferenza a Londra, il 28 febbraio 1952, in cui le delegazioni nazionali comprendevano dei rappresentanti dei creditori privati, tra cui il Council of Foreign Bondholders, l’American Committee for Standstill Creditors of Germany, il British Banking Committee for German Affairs e lo Swiss Banking Committee for the German Credit Agreement (Waibel). I tipi di debito presi in considerazione erano assai vari: vi erano dei detentori di «standstill claims» (crediti a breve termine posticipati dal 1931) – soprattutto istituzioni finanziarie europee – e dei detentori di obbligazioni, in gran parte statunitensi.

Un Comitato direttivo (Steering Committee) redigeva delle raccomandazioni per raggiungere «an equitable overall settlement and equal treatment for all creditors within each category». Quattro comitati di negoziati specifici furono poi stabiliti per: A. debiti del Reich e di altre autorità pubbliche; B. altri debiti a medio e lungo termine; C. debiti «standstill»; D. debiti commerciali e diversi. Il negoziatore tedesco Hermann Josef Abs si fece notare per le sue abili doti nel favorire la posizione della Repubblica federale (Hulmann).

L’inclusione di tutti i creditori ha permesso di rendere la negoziazione dell’Accordo di Londra «the only occasion in history when the whole external debt, sovereign and private, of a major industrial state has been reorganised in one unified operation» (Waibel). Altri tipi di debito furono invece esclusi dai negoziati dell’Accordo di Londra: le reclamazioni degli Stati in guerra od occupati dal Reich e i loro cittadini, nonché quelle degli Stati neutri e dei Paesi alleati o incorporati dal Reich e i loro cittadini (Simpson; tali debiti sono ancora oggetto di controversia: Maisano e Da Rold).

Il preambolo dell’Accordo riflette la volontà di tutti i Paesi partecipanti di ristabilire relazioni economiche normali tra la Repubblica federale di Germania e gli altri Stati. Il principio era che i pagamenti non avrebbero dovuto mettere in pericolo il benessere della popolazione nel breve termine e la possibilità di ricostruire l’economia e la società nel lungo periodo (Guinnane). Si mise in pratica la lezione di Keynes: bisognava preservare la capacità del Paese di generare un avanzo commerciale sufficiente a coprire il pagamento del debito.

I risultati della conferenza di Londra furono all’altezza di tali aspettative. Innanzitutto, per il periodo 1953-1958 fu deciso di pagare gli interessi e non il capitale, per dare maggior respiro al Paese, che doveva nel frattempo farsi carico delle riparazioni allo Stato di Israele. Quanto alle obbligazioni derivanti dal Piano Dawes del 1924 e dal Piano Young del 1930, il valore nominale rimase uguale, ma il tasso d’interesse fu ridotto; gli arretrati furono calcolati all’interesse semplice e non composto. Inoltre, il pagamento degli arretrati degli interessi sulle obbligazioni dei Piani Dawes e Young fu posticipato rispettivamente al 1969 e al 1980.

Risulta difficile calcolare l’ammontare della riduzione del debito. Alcune stime (Guinnane) valutano i debiti prebellici a 13,5 miliardi di marchi, con 2,6 miliardi di interessi; i debiti postbellici sarebbero stati di 16,2 miliardi di marchi. L’Accordo li ridusse rispettivamente a 7,5 e 7 miliardi di marchi, di cui il governo tedesco pagò 11 miliardi e i debitori privati tedeschi 3,5 miliardi. In totale, la riduzione del debito pubblico e privato della Repubblica federale tedesca fu, dunque, di almeno la metà.

Inoltre, i negoziatori tedeschi avevano proposto che, qualora la Repubblica federale fosse incorsa in seri disavanzi commerciali, una clausola prevedesse la riduzione o l’interruzione del pagamento del debito. L’Accordo previde, in termini più vaghi, che la Germania poteva richiedere consultazioni nel caso di difficoltà e che si sarebbe tenuto conto di tutte le considerazioni economiche, finanziarie e monetarie relative alla capacità di trasferimento, così come influenzata da fattori interni ed esterni (art. 34).

Un altro problema che emerse durante i negoziati concerneva la clausola oro, contenuta in larga parte delle obbligazioni, che eliminava per i creditori le conseguenze della svalutazione della valuta – fenomeno allora considerevole. Ci si accordò per sostituire la clausola oro con la clausola dollaro: le somme erano calcolate come se la valuta indicata nei titoli fosse il dollaro, invece di quella d’emissione (salvo per il franco svizzero). In tal modo, i negoziatori fecero ricadere gli effetti della svalutazione essenzialmente sulle spalle dei creditori (Guinnane).

Infine, una parte dei pagamenti (ritenuta rappresentare i debiti relativi al territorio della Repubblica democratica) era sottoposta alla condizione della riunificazione. Nel 1953 i creditori ricevettero dei «rights certificates» non delle obbligazioni, ma certificati rappresentativi di questa parte del loro credito a esigibilità futura. Questi certificati furono regolarmente pagati in seguito alla riunificazione, con l’ultimo pagamento effettuato nel 2010 (Crossland).

Quanto allo scambio, secondo l’art. 15 dell’Accordo, il debitore proponeva lo scambio ai creditori (o, nel caso delle obbligazioni, ai rappresentanti dei creditori), che potevano accettare l’offerta presentando le obbligazioni o, per gli altri tipi di debito, manifestando il proprio consenso in maniera chiara con qualsiasi mezzo. L’esecuzione degli obblighi del nuovo contratto o della nuova obbligazione comportava l’estinzione degli obblighi derivanti dal vecchio debito (art. 16).

Un tratto che ha caratterizzato i negoziati e l’Accordo di Londra sin dall’inizio è stato considerare la capacità del debitore di far fronte ai pagamenti, specialmente alla luce dell’impossibilità di farsi carico delle riparazioni dopo il primo conflitto mondiale (Morales). Salvo una controversia arbitrale relativa alla svalutazione (Young Loan Arbitration), non si sviluppò un contenzioso dall’Accordo di Londra. Se si pensa al livello di complessità della ristrutturazione, a causa della natura eterogenea dei tipi di crediti e creditori inclusi, il risultato dell’Accordo acquista una valenza particolare: mostra l’alto tasso di stabilità cui può condurre una soluzione condivisa, globale e retta dal diritto internazionale pubblico.

La Germania era stata il motore dell’economia europea sin dalla fine dell’Ottocento, e il periodo interbellico aveva ampiamente dimostrato che l’Europa non poteva prosperare con una Germania malata. Questa poteva pertanto porre le proprie condizioni e pretendere una generosa ristrutturazione del proprio debito. Inoltre, gli Alleati occidentali avevano tutto l’interesse a sostenere una Germania federale forte anche come contrafforte all’Unione sovietica.

Il confronto con l’attuale situazione greca è istruttivo. La Grecia non può rivendicare un ruolo centrale come quello della Germania all’interno dell’economia europea. Tuttavia, oggigiorno l’appeal della Russia di Putin (malgrado la crisi del rublo), della Cina o di altri attori stranieri potrebbe giocare un ruolo non così dissimile da quello dell’Unione sovietica.

Tenere in considerazione la capacità di pagare fu la scelta vincente dell’Accordo di Londra, che non soffocò l’economia della neonata Repubblica federale, la quale poté giovarsi della ripresa legata alla ricostruzione postbellica. Nel contesto odierno, questo criterio pare ancora più significativo, alla luce della recessione che ha fatto seguito alla crisi finanziaria globale.

Inoltre, laddove nel 1953 gli Stati partecipanti potevano essere animati dallo spirito di riconciliazione tra ex nemici, il cammino compiuto dall’Unione europea, che si impegna a promuovere “la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri” (art. 3.2 TUE), dovrebbe costituire uno stimolo ulteriore alla cooperazione.

Infine, la negoziazione del debito tedesco era complicata dall’eterogeneità dei creditori (pubblici e privati) e delle tipologie di debito. I maggiori creditori della Grecia sono attualmente i Paesi euro, la BCE, il FMI e lo European Financial Stability Facility: un accordo per allungare i termini del rimborso sarebbe più semplice da mettere in pratica.

In conclusione, non pare peregrino ipotizzare che, di fronte a un irrigidimento del dialogo con i partner europei, il governo greco prenda in considerazione l’opzione di rivolgersi altrove per reperire i fondi di cui ha bisogno, con scenari foschi per l’avvenire dell’Unione “sempre più stretta e sempre più perfetta”. L’esempio della riduzione del debito tedesco nel 1953 potrebbe, forse, spingere i leader europei a qualche ripensamento.

Scoperta a Pisa una proteina che combatte la crescita delle cellule dei tumori solidi



Lo studio italiano che ha portato a questa scoperta, validata senza condurre test su animali, è stato pubblicato sulla rivista internazionale "Biochimica et Biophysica Acta - Molecular Basis of Disease". 

Scoperta dai ricercatori dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa una proteina che disabilita la crescita di cellule malate e impedisce la formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono i tumori solidi.



Lo studio che ha portato a questa scoperta, validata senza condurre test su animali, è stato pubblicato sulla rivista internazionale "Biochimica et Biophysica Acta - Molecular Basis of Disease".


"Si tratta di un nuovo tassello utile a comprendere lo sviluppo dei tumori solidi - spiega una nota - cioè la parte maggiore di quelli che colpiscono gli esseri umani, e con cui si aggiunge un nuovo elemento alla possibilità di aggredire il tumore. Studi più approfonditi potranno verificare la possibilità di arrivare ad applicazioni terapeutiche".

Dalla ricerca è emerso come colpendo una proteina, peraltro già nota ai ricercatori italiani e detta MICAL2, sia possibile disabilitare la risposta delle cellule verso un attore di crescita tumorale che si chiama VEGF (fattore di crescita dell'endotelio vascolare) e che rappresenta il principale bersaglio delle attuali terapie anti-angiogeniche, ovvero anti tumorali.

Le cellule tumorali sono infatti particolarmente resistenti e versatili: la capacità di indurre neo-angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni verso il tumore, è un assodato segno distintivo - cosi' lo definiscono i ricercatori - delle cellule tumorali. Anche se la dimostrazione per adesso è limitata all'ambito sperimentale, l'inattivazione della proteina MICAL2 nelle cellule endoteliali (quel tipo di cellule che tappezza dall'interno i vasi sanguigni) è in grado di ridurne vitalità e prestazioni funzionali, bloccando in prospettiva la capacità di formazione di nuovi vasi sanguigni associati al tumore, e dunque, lo sviluppo del tumore solido.

"Da molti anni - commenta Debora Angeloni, biologa molecolare della Scuola Sant'Anna - la ricerca mira a coniugare alle terapie antitumorali, farmaci ad azione anti-angiogenica. I farmaci attuali però continuano a presentare effetti collaterali, efficacia temporanea e problemi di resistenza primaria. Occorre pertanto identificare nuovi bersagli terapeutici, cioè nuovi componenti presenti in modo anomalo nella cellula malata rispetto a quella normale, la cui inattivazione permetta di recuperare la normalità".

La ricercatrice ha poi ricordato come le MICAL siano una famiglia unica di proteine e come abbiano la capacità di modificare una componente importante del citoscheletro, cioè di quella sorta di impalcatura della cellula che le permette di interagire con le cellule circostanti, di aderire ad una superficie e di muoversi, e rappresentano candidati promettenti per questo ruolo di nuovo bersaglio: "Questa scoperta è stata sostenuta grazie anche alle donazioni liberali di numerosi cittadini e di associazioni come il Lions Club International, Distretto 108LA, Toscana. A tutti loro va il nostro ringraziamento per il generoso sostegno e la garanzia del nostro massimo impegno nel portare avanti queste ricerche".



PROPONIMENTO DEL GIORNO


Mi preparerò per fare una confessione generale, o almeno ripassare le mie confessioni dall'ultima confessione generale, secondo quello che mi consiglierà il confessore.


LITURGIA DEL GIORNO


LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



 PRIMA LETTURA 

2Cor 3,15-4,1.3-6
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul cuore dei figli d’Israele; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto.
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo.
E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio.
Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.


  SALMO  

Sal 84
Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria.

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.


 VANGELO 

Mt 5,20-26
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Un’eccezionale documento: l’intervista di mons. Viganò al Washington Post


(di Roberto de Mattei) L’ampia intervista che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha rilasciato a Chico Harlan e Stefano Pitrelli sul Washingon Post del 10 giugno (Archbishop Carlo Maria Viganò gives his first extended interview since calling on the pope to resign) è di eccezionale importanza per diversi motivi.

Il primo e più importante motivo è che quest’intervista segna il completo fallimento della strategia vaticana del “silenzio” di fronte alle circostanziate accuse dell’ex nunzio negli Stati Uniti. I responsabili dei media vaticani erano convinti che le rivelazioni di mons. Viganò potessero restare circoscritte a un pubblico di nicchia, pronto a dimenticare dopo qualche momento di emozione. Così non è accaduto.

Il Washington Post è uno dei giornali più letti del pianeta, con milioni di lettori, e l’intervista all’arcivescovo è stata per quasi tre giorni il secondo articolo più diffuso nel suo sito. La voce di mons. Viganò ha avuto un impatto mondiale, sbriciolando il muro del silenzio e imponendosi come una testimonianza che non può più essere ignorata o minimizzata.

La seconda ragione, legata alla prima, è che con la sua intervista, il Washington Post accredita mons. Viganò come un testimone storico, la cui credibilità non può essere messa in dubbio da alcuno. L’arcivescovo non entra nei problemi teologici sollevati da documenti come l’Amoris Laetitia, ma si limita a parlare di fatti che conosce: l’esistenza di una “mafia corrotta” che «ha preso il controllo di molte istituzioni della Chiesa, dall’alto verso il basso, e sta sfruttando la Chiesa e i fedeli per i suoi scopi immorali». Questa mafia «è legata non da un’intimità sessuale condivisa, ma da un interesse comune a proteggersi e progredire professionalmente, e a sabotare ogni sforzo per riformare la corruzione sessuale».

Ai maldestri tentativi dei media vaticani di screditarlo, attribuendogli obiettivi di potere, mons. Viganò replica: «In ogni caso, la mia motivazione non è il punto [centrale], e le domande al riguardo sono una distrazione. La domanda veramente importante è se la mia testimonianza è vera. Lo sostengo e sollecito indagini affinché i fatti possano comparire. Purtroppo, coloro che contestano le mie motivazioni non sono stati disposti a condurre indagini aperte e approfondite».

Con queste parole l’arcivescovo dimostra un amore per la verità che gli impedisce di avallare eventuali errori dei pontefici precedenti papa Francesco. Cadono così le insinuazioni di chi cerca di metterlo contro Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, come ha fatto Vatican Insider, nell’articolo che ha dedicato al caso dopo l’uscita dell’intervista. Mons. Viganò ha preventivamente risposto in maniera molto equilibrata: «Vorrei sinceramente che tutti i documenti, se non sono già stati distrutti, venissero rilasciati. È del tutto possibile che questo possa danneggiare la reputazione di Benedetto XVI e di san Giovanni Paolo II, ma non è una buona ragione per non cercare la verità. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II sono esseri umani, e possono anche aver commesso errori. Se lo hanno fatto, noi vogliamo conoscerli. Perché dovrebbero rimanere nascosti? Tutti noi possiamo imparare dai nostri errori. Io stesso mi rammarico di non aver parlato pubblicamente prima. Come ho già detto, speravo davvero contro ogni speranza che la Chiesa potesse riformarsi dall’interno. Ma quando è divenuto chiaro che il successore di Pietro stesso era uno di quelli che coprivano i crimini, non avevo dubbi che il Signore mi chiamava a parlare, come ho fatto e continuerò a fare».

Un punto centrale dell’intervista è la reiterata convinzione che l’omosessualità – e la mancata risposta del Vaticano – sia una parte fondamentale del problema attuale della Chiesa nell’affrontare gli abusi. All’intervistatore che gli chiede: «Può spiegare, con la massima chiarezza possibile, come l’omosessualità, a suo avviso, è correlata all’abuso?», Viganò risponde: «Manteniamo due arene distinte: (1) i reati di abuso sessuale e (2) l’occultamento criminale dei reati di abuso sessuale. Nella maggior parte dei casi nella Chiesa di oggi, entrambi hanno una componente omosessuale – di solito minimizzata – che è la chiave della crisi. Per quanto riguarda il primo, gli uomini eterosessuali ovviamente non scelgono ragazzi e giovani uomini come partner sessuali di preferenza, e circa l’80% delle vittime sono maschi, la stragrande maggioranza dei quali sono maschi post-pubescenti. (…). Non sono i pedofili, ma i sacerdoti gay che predano i ragazzi post-pubescenti che hanno fatto fallire le diocesi americane». «Per quanto riguarda la seconda arena, la “mafia gay” tra i vescovi è legata non da un’intimità sessuale condivisa, ma da un interesse comune a proteggersi e progredire professionalmente e a sabotare ogni sforzo di riforma». Comunque, «date le prove schiaccianti, è stupefacente che la parola “omosessualità” non sia apparsa una sola volta, in nessuno dei recenti documenti ufficiali della Santa Sede, compresi i due Sinodi sulla famiglia, quello sulla gioventù e il recente Vertice dello scorso febbraio».

C’è un altro punto dell’intervista che merita di essere sottolineato: la valutazione, da parte di mons. Viganò, della riduzione allo stato laicale del cardinale Theodore McCarrick. Questa punizione, afferma l’ex-nunzio pontificio, «è stata, per quanto si può dire, una giusta punizione, ma non c’è alcuna ragione legittima per cui non sia stata imposta più di cinque anni prima, e dopo un giusto processo con una procedura giudiziaria». Contro McCarrick si è proceduto infatti non per via giudiziaria, ma per via amministrativa. È difficile evitare di pensare che ciò sia stato fatto per “manipolare l’opinione pubblica”: «Condannare McCarrick come capro espiatorio con una punizione esemplare – era la prima volta nella storia della Chiesa che un cardinale veniva ridotto allo stato laicale – avrebbe sostenuto la narrazione che Papa Francesco era fermamente determinato a lottare contro gli abusi sessuali del clero».

Viganò spiega: «Secondo una dichiarazione rilasciata dalla Sala Stampa della Santa Sede il 16 febbraio 2019, McCarrick è stato giudicato colpevole dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) di “adescamento nel sacramento della confessione e peccati contro il sesto comandamento” con minori e adulti, con “il fattore aggravante dell’abuso di potere”. La pena inflitta è la laicizzazione, che papa Francesco conferma come “definitiva”. In questo modo McCarrick, che si è sempre dichiarato innocente, è stato privato di ogni possibilità di impugnare la sentenza. Dov’è il giusto processo? È così che si fa giustizia in Vaticano? Inoltre, avendo reso definitiva la sentenza, il Papa ha reso impossibile condurre ulteriori indagini, che avrebbero potuto rivelare chi in Curia e altrove conosceva gli abusi di McCarrick, quando lo hanno saputo, e chi lo ha aiutato ad essere nominato arcivescovo di Washington e infine cardinale. Si noti, tra l’altro, che i documenti di questo caso, la cui pubblicazione era stata promessa, non sono mai stati prodotti. Il punto fondamentale è questo: Papa Francesco sta deliberatamente nascondendo le prove su McCarrick».

«Ma consideriamo la dimensione spirituale di gran lunga più importante, che è stata completamente assente da qualsiasi dichiarazione su McCarrick o da qualsiasi conferenza stampa al vertice. Lo scopo principale delle sanzioni nell’ordine canonico è il pentimento e la conversione: “Suprema ratio est salus animarum” (la legge suprema è la salvezza delle anime). Credo, quindi, che la semplice “riduzione allo stato laicale” sia del tutto inadeguata, perché non fornisce un rimedio e non esprime la preoccupazione per lo scopo più importante della punizione, cioè la salvezza dell’anima di McCarrick. Infatti, a meno che non sia accompagnata da altre misure, una semplice laicizzazione potrebbe essere considerata un’espressione di disprezzo per lo Stato laico. L’idea che un prelato che si comporta male è punito con l’essere “ridotto” allo stato laico è una specie di clericalismo». «Credo, e non sono l’unico, che la pena della scomunica – da cui può essere assolto in qualsiasi momento – dovrebbe essere imposta anche a McCarrick. Come farmaco adeguatamente dosato, avrebbe dovuto essere imposto per indurre McCarrick ad assumersi la responsabilità dei suoi peccati, a pentirsi, a riconciliarsi con Dio, e quindi a salvare la sua anima».

Queste parole aiutano a comprendere una questione importante. Oggi chi governa la Chiesa avanza a colpi di commissariamento degli istituti religiosi sgraditi e di dimissioni dallo stato clericale di chi potrebbe creare problemi con l’opinione pubblica. La riduzione allo stato laicale è concepita come un “licenziamento” dall’“azienda-Chiesa”, che può avvenire anche senza giusta causa. Tutto per decreto pontificio, senza la possibilità di ricorsi canonici. Si dimentica però che il sacramento dell’Ordine, una volta ricevuto non diviene mai nullo, perché il suo carattere è indelebile. Nessuna autorità può cancellare la condizione ontologica del sacerdote verso il quale bisognerà sempre mostrare misericordia. Ma soprattutto non si può arrivare ad atti estremi, come la riduzione laicale, senza un debito processo in cui sia consentito all’imputato di esporre le proprie ragioni.

Chi non ascolta ragioni, forse non ne ha ed è costretto a mentire per giustificare il suo operato, come accade con papa Fancesco che era al corrente degli abusi di McCarrick almeno dal 23 giugno 2013, quando mons. Viganò, rispondendo a una sua precisa domanda, gli rivelò l’esistenza di un pesante dossier a carico del cardinale americano.

Mons. Viganò è, ad oggi, l’unico vescovo che abbia pubblicamente indicato papa Francesco come il diretto responsabile della terribile crisi che affligge la Chiesa. Alla domanda se «il Vaticano, sotto la guida di Papa Francesco, stia adottando misure adeguate per affrontare i gravi problemi degli abusi», l’arcivescovo risponde: «Non solo Papa Francesco non sta facendo quasi nulla per punire coloro che hanno commesso abusi, ma non sta facendo assolutamente nulla per denunciare e consegnare alla giustizia coloro che, per decenni, hanno facilitato e coperto i maltrattamenti». E agli intervistatori che chiedono: «Crede che aver chiesto le dimissioni del Papa abbia distolto l’attenzione dal suo messaggio?», risponde con umiltà e fermezza che: “sarebbe stato meglio affrontare la questione che lei chiede nel modo seguente, cominciando da un punto che ho incluso nella mia terza testimonianza: Chiedo, anzi imploro vivamente, il Santo Padre di far fronte agli impegni che egli stesso si è assunto nell’assumere il suo ufficio di successore di Pietro. Si è assunto la missione di confermare i suoi fratelli e di guidare tutte le anime nella sequela di Cristo, nel combattimento spirituale, lungo il cammino della croce. Ammetta i suoi errori, si penta, manifesti la sua disponibilità a seguire il mandato dato a Pietro e, una volta convertito, confermi i suoi fratelli (Lc 22,32)». (Roberto de Mattei)

Francia: il senato approva l’estensione di due settimane per l’aborto



In Francia non si potrà abortire più fino alla 12 settimana: a causa di un emendamento approvato venerdì 7 giugno 2019 e sostenuto dalla senatrice Laurence Rossignol, ex ministro dei diritti delle donne, il periodo è stato esteso fino a 14 settimane.

L’emendamento è stato approvato nonostante i voti contrari di Agnès Buzyn, ministro della sanità e di Alain Milon, presidente della commissione sociale (del partito dei Repubblicani).

La senatrice, avendo saputo dei voti sfavorevoli, ha espresso la sua incredulità, non capendo come fosse possibile non essere a favore dell’emendamento viste le difficoltà di accesso all’aborto.

“Non riesco a crederci. Si tratta di una richiesta di pianificazione familiare. È un vero vantaggio per le donne, di fronte alla desertificazione medica ed alle difficoltà di accesso all’aborto”

Dopo questo risultato inaspettato in un Senato a maggioranza di destra, la senatrice ha successivamente difeso un emendamento volto ad eliminare l’obiezione di coscienza. Questa volta però non è passato: l’emendamento è stato respinto con 247 voti favorevoli e 92 contrari.

Il Senato voterà formalmente martedì 11 giugno l’intero testo e deputati e senatori cercheranno di concordare una versione comune. 

Il gruppo socialista ha accolto con favore l’adozione dell’emendamento, affermando che “spetta ora all’Assemblea nazionale ed alla sua maggioranza confermare questo diritto delle donne”.

Il senatore del partito socialista Rachid Temal ha twittato:

“Contiamo sul progressismo dei LREM” (il partito “En Marche”) 

In Francia due anni fa è stata approvata dal Parlamento la legge “d’intralcio all’aborto”: il reato all’ “ostacolo d’interruzione volontaria di gravidanza” è stato esteso anche a siti pro life nati per aiutare le donne in difficoltà.

La pena massima prevista è di 2 anni di carcere e 30 mila euro di multa per chi è giudicato reo di “affermazioni o indicazioni tali da indurre intenzionalmente in errore, con scopo dissuasivo, sulle caratteristiche o le conseguenze mediche dell’interruzione volontaria di gravidanza”.

La cultura di morte e la repressione della libertà dei pro life va avanti a strada spianata, anche se il numero dei pro life, soprattutto giovani è in crescita: alla Marcia per la Vita di Parigi c’erano più di 40 mila partecipanti. (Chiara Chiessi)

mercoledì 12 giugno 2019

I debiti della grande Germania

LA MEMORIA CORTA DELLA GERMANIA E DELLA MERKEL....
«Scheitert Europa?», «L’Europa fallisce?» si chiede l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer nel suo libro, appena pubblicato, in Germania che è un durissimo atto di accusa contro le «politiche di euroegoismo» attuate dalla Cancelliera Angela Merkel e dal suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, la politica dell’«ognuno per sé», come la definisce l’ex leader dei verdi, politico-maratoneta, voce critica dell’attuale dirigenza tedesca.

Fischer scrive che è «sorprendente» che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa le cancellò buona parte dei debiti di guerra. «Senza quel regalo – scrive l’ex ministro tedesco nel suo libro – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico».
La cura di austerità imposta dalla coppia Merkel-Schaeuble, secondo l’ex ministro tedesco, è stata «devastante» perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa «una deflazione dei salari e dei prezzi» impossibile da superare con il peso del rigore; «alla trappola della spirale dei debiti», che condanna questi Paesi a non uscire dalla crisi con il pretesto del risanamento dei conti. Fischer, in definitiva, accusa la Germania della signora Merkel e della sua grande coalizione di «euroegoismo» e di avere la memoria troppo corta. «Se la Bce non avesse seguito le decisioni di Draghi ma le obiezioni dei tedeschi a quest’ora l’euro non esisterebbe più. Il più grande pericolo per l’Europa – conclude il politico tedesco -attualmente è la Germania». Ma cosa si decise alla Conferenza di Londra del 1953? La prima della classe Germania è andata in default due volte durante il Novecento (nel 1923 e, di fatto, nel secondo dopoguerra). In quella conferenza internazionale le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire. Tra i Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’era l’Italia di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, e anche la povera e malandata Grecia, che pure subì enormi danni durante la seconda guerra mondiale da parte delle truppe tedeschi alle sue infrastrutture stradali, portuali e ai suoi impianti produttivi.

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L’ammontare del debito di guerra tedesco dopo il 1945 aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra colossale che era pari al 100% del Pil tedesco. La Germania non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre. Guerre da essa stessa provocate. I sovietici pretesero e ottennero il pagamento dei danni di guerra fino all’ultimo centesimo. Mentre gli altri Paesi, europei e non, decisero di rinunciare a più di metà della somma dovuta da Berlino.

Il 24 agosto 1953 ventuno Paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto.
L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Helmut Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto. Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.
Il resto della storia è noto. E’ scritto nei sacrifici imposti dalla rigida posizione tedesca ai Paesi del Sud Europa che da anni combattono con una crisi che sembra senza fine. Fischer non ha dubbi. E punta il dito contro la sua connazionale Merkel: «Né Schmidt e né Kohl avrebbero reagito in modo così indeciso, voltandosi dall’altra parte come ha fatto la cancelliera. Avrebbero anzi approfittato della impasse causata dalla crisi per fare un altro passo avanti verso l’integrazione europea. La Merkel così distrugge l’Europa».