venerdì 25 gennaio 2019

Il debito russo continua a svanire nonostante le sanzioni degli USA

CI VORREBBE UN PUTIN PURE IN ITALIA....


La Banca centrale russa ha registrato un calo significativo del ldebito estero nell’ultimo anno. Nel 2018, è diminuito di 64,4 miliard di dollari, pari al 12,4%, rispetto alla fine del 2017. Il debito estero totale della Russia è ora di 453,7 miliardi, il minimo da 10 anni. I settori istituzionali e non dell’economia russa hanno contribuito riducendo gli obblighi finanziari esteri, osservava la Banca centrale. Il debito estero della Russia è costantemente calato dal 2014, quando le sanzioni occidentali contro le entità del Paese furono introdotte. Le sanzioni hanno limitato la capacità delle banche russe di ottenere crediti a lungo termine all’estero comportando un cambio nelle importazioni russe. Alcuni prodotti provenienti occidentali sono stati sostituiti da prodotti nazionali o importati da altri Paesi che non fanno parte del regime di sanzioni. La Russia versò 125,2 milioni di dollari nell’agosto 2017 alla Bosnia ed Erzegovina, ultimo debito ereditato dall’Unione Sovietica, dichiarava il Ministero delle Finanze russo. “Il Ministero delle Finanze della Russia annunciava la fine del pagamento del debito russo corrispondente agli obblighi assunti dall’ex-Unione Sovietica con la Bosnia ed Erzegovina”, si leggeva nella dichiarazione ufficiale del ministero. La Bosnia ed Erzegovina era l’ultimo creditore estero dell’ex-Unione Sovietica con cui la Federazione Russa regolarizzava tutti gli obblighi.
Il 21 marzo 2017, la Russia ha concluso un accordo per la restituzione del debito di 125,2 milioni di dollari, adempiendo agli obblighi nei confronti di altri Paesi dell’ex-Jugoslavia (Croazia, Slovacchia, Slovenia, Serbia, Montenegro e Macedonia) tra il 2011 e il 2016. Questa impressionante riduzione del debito veniva raggiunta nonostante la Russia sia presa di mira da severe sanzioni di Stati Uniti e fantocci, in primo luogo l’Unione europea. Si prevede che nel prossimo decennio la Russia spazzerà via il debito estero.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Etna si risveglia, attività esplosiva nel cratere



E’ in corso sull’Etna una intensa attività esplosiva all’ interno del cratere di Nord Est, che mantiene il tremore vulcanico su valori medio bassi, secondo gli esperti dell’Istituto nazionale di Geofisica di Catania, che monitorano costantemente il vulcano. L ‘INGV ha registrato ieri alle 11:04 una emissione di cenere: durante la mattinata l’emissione di cenere dal cratere di nord-est si è intensificata , in rapporto ai dati comunicati dall’ultimo bollettino settimanale emesso dall’Istituto di Geofisica.




La cenere è stata sospinta dal vento in direzione est-nord-est , con un inevitabile ricaduta della stessa sul versante orientale, fino alla costa etnea. In particolare, è stata segnalata una debole ricaduta di cenere a Giarre. L’Etna non ha ancora smesso di farsi sentire. Dopo lo sciame sismico delle scorse settimane, la terra trema ancora con scosse inferiori ai 3 gradi della scala Richter. Abitudine per gli abitanti oramai, ma i comuni che si trovano intorno all’Etna, vivono in una situazione a dir poco precaria.


Da ieri si sono osservate emissioni di cenere, anche dal cratere Bocca Nuova : “E’ già da più di due settimane che il Cratere di Nord-Est – il più alto (3326 m) dei crateri sommitali dell’Etna – sta emettendo cenere in maniera intermittente“: spiega il vulcanologo INGV Boris Behncke. “Questa attività non ha niente a che vedere con i terremoti sui fianchi dell’Etna. L’attività sismica è attualmente piuttosto bassa e su livelli completamente normali“.


Gli esperti, più volte, hanno confermato che si attendono eventi importanti dal vulcano, il quale deve ancora scaricare l’energia accumulata nel corso dell’ultimo periodo. Michele Alì, ha spiega a MeteoWeb: “Non ci sono state vittime, quindi se ne parla poco, ma la situazione è grave, ci sono tante case inagibili. La mia è stata interdetta all’uso e all’accesso per diverso tempo. I danni sono stati tanti e tantissimi sono gli sfollati. Su 1600 abitanti, almeno la metà si sono ritrovati per strada. “

Intanto che la terra continua a tremare, la scuola e diversi servizi sono inagibili e gli abitanti temono di non vedere una normalizzazione della situazione, perchè i danni sono davvero tanti.



USA e complici riconoscono un presidente fantasma


MADURO RISCHIA LA FINE DI GHEDDAFI?

Nel mondo della post-verità tutto è possibile. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e alcuni complici governi latinoamericani, riconoscevano l’autoproclamato Juan Guaidó, presidente di un’Assemblea nazionale decaduta e non votato da nessuno, a presidente ad interim del Venezuela, coll’appoggio di Washington. Corollario (non previsto?): il Venezuela rompeva i rapporti cogli Stati Uniti. Il 23 gennaio fu presentato da opposizione e stampa transnazionale, come “D-day”. Ed era il giorno D. della smobilitazione di entrambi. Giornata di dimostrazione di apatia e passività che ha conquistato i venezuelani, stufo di un’opposizione senza idee o credibilità e un governo che non è riuscito a far uscire il Paese dalla grave crisi sociale ed economica in cui si trova. È vero che il partito al governo non ha voluto mobilitarsi, ma non è nemmeno facile organizzare una vera mobilitazione a sostegno di Maduro. E i media aziendali sono pieni di notizie false, bugie e mezze verità su un auto-presidente che potrò installare il suo governo a Washington o Bogotá.


Rompere le relazioni
Il Presidente Nicolás Maduro annunciava la decisione d’interrompere le relazioni diplomatiche con Washington. “Il governo imperialista degli Stati Uniti conduce un’operazione per imporre un governo fantoccio ai suoi interessi nella Repubblica attraverso un colpo di Stato (…). Intendono eleggere e nominare il presidente del Venezuela con mezzi extraconstitutional”, dichiarava dal Palazzo Miraflores. “Fuori, lasciare il Venezuela. Qui c’è dignità, cazzo, qui c’è un popolo disposto a difendere questa terra”, aggiungeva indicando che lo staff diplomatico e consolare aveva 72 ore per lasciare il Paese. “I nostri problemi saranno risolti a casa, contando sempre sul popolo”, ribadiva assicurando che non permetterà ai Paesi stranieri di decidere sulle questioni del Venezuela. “Oggi abbiamo visto un brutale silenzio informativo (…) i media internazionali ancora una volta censurano il popolo del Venezuela, tutti i media internazionali manipolano nascondendo al mondo che c’è un popolo bolivariano che governa qui”, iniziava il discorso Maduro.

Complici gli uni, sovrani gli altri
Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS), Luis Almagro, dichiarava che il processo biennale avviato dal Venezuela nell’aprile 2017 per lasciare l’organizzazione veniva interrotto. “Ovviamente l’orologio è fermo da oggi”, aveva detto Almagro, uno dei piloti della strategia del governo parallelo, che potrebbe dover ospitare il presunto “presidente ad interim” presso gli uffici dell’OAS a Washington. Prevedibilmente, il capo colombiano Iván Duque riconosceva Juan Guaidó auto-proclamato presidente ad interim. Lo stesso è previsto dal governo del Canada, che segue i dettami di Washington, che in Colombia “accompagna questo processo di transizione verso la democrazia, in modo che il popolo venezuelano sia liberato dalla dittatura”, aveva detto al Forum economico di Davos. “Confidiamo, come gli altri Paesi del gruppo di Lima, che la decisione dell’assemblea e del suo presidente porterà al ripristino della democrazia attraverso elezioni libere e trasparenti, con piena forza della Costituzione e partecipazione dei capi dell’opposizione”, aveva detto l’argentino Mauricio Macri, unendosi alla linea di Washington. Guiadó, giovane sconosciuto ai venezuelani, assunse il ruolo di presidente ad interim prima che alcune centinaia di persone si riunissero in viale Francisco de Miranda, a Caracas, durante una mobilitazione a sostegno del parlamento e in rifiuto del governo del Presidente Nicolás Maduro. “Il presidente Donald Trump riconosce ufficialmente il presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó a presidente ad interim del Venezuela”, Trump annunciava che userà “tutto il peso diplomatico ed economico degli Stati Uniti per premere per il ripristino della democrazia venezuelana”, incoraggiando altri governi dell’“emisfero occidentale a riconoscere Guaidó come presidente ad interim del Venezuela”. Ma non tutto è roseo per il presidente nordamericano. Il governo messicano avvertiva che riconosce il governo Maduro dopo che il capo del parlamento venezuelano, Juan Guaidó, veniva proclamato presidente ad interim. “Riconosciamo le autorità elette secondo la Costituzione venezuelana”, dichiarava il portavoce della presidenza messicana Jesús Ramírez. “Finora non c’è alcun cambiamento nelle relazioni diplomatiche con quel Paese o suo governo”. Una dichiarazione congiunta di Messico e Uruguay indicava che entrambi i Paesi chiedono a tutte le parti coinvolte, sia all’interno del Paese che all’estero, di ridurre le tensioni e impedire l’escalation di violenze che potrebbe aggravare la situazione. “In conformità coi principi del diritto internazionale, Messico ed Uruguay sollecitano tutti gli attori a trovare una soluzione pacifica e democratica al complesso panorama che il Venezuela affronta. Per raggiungere questo obiettivo, entrambi i Paesi propongono un nuovo processo di negoziazione inclusivo e credibile, nel pieno rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani”. I governi uruguaiano e messicano, in linea con le dichiarazioni di Nazioni Unite ed Unione europea, nonché dei governi di Spagna e Portogallo, esprimono pieno sostegno, impegno e volontà di collaborare a favore di stabilità, benessere e pace del popolo venezuelano, aggiungeva la dichiarazione congiunta. La nostra solidarietà al fratello popolo venezuelano, in queste ore decisive in cui gli artigli dell’imperialismo cercano nuovamente di uccidere la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli del Sud America. Non saremo mai più il cortile degli Stati Uniti, aveva detto il Presidente Evo Morales.

Bolivariani in veglia
Il Vicepresidente del Partito Socialista Unificato del Venezuela, Diosdado Cabello, affermava che “oggi i lacchè dell’impero dicono che finora è il Presidente Nicolás Maduro, che ha votato questa gente qui? Chi è il nostro presidente? (…) Noi chiediamo l’unità delle forze rivoluzionarie, dei partiti del Grande Polo Patriottico (…) L’unità è ciò che ci garantisce il trionfo della rivoluzione, che nessuno si arrenda”, aveva detto il leader, secondo cui, l’opposizione “crede in un Paese di comiquitas (…) crediamo nella realtà delle strade (…) crediamo nella Patria, in un futuro di pace”. “Alcuni compagni sono nervosi perché non ci angosciano, qui gli angosciati sono loro (l’opposizione) (…) cercano di provocarci, di cadere nelle loro trappole, no, sono bloccati in una grande trappola (…)”, osservava nel suo discorso. Cabello chiese alla folla di “stasera essere di guardia davanti al palazzo di Miraflores.

La guerra è assunta dal comando militare statunitense
Il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, inviava un messaggio-video ai venezuelani per incoraggiare i manifestanti contro il Presidente Nicolás Maduro, sottolineando la ferma approvazione di Washington del capo dell’opposizione Juan Guaidó, diffuso attraverso 2751 media mondiali. Sui media di lingua spagnola, venivano contrattati spazi e tempi più visti, ascoltati ed evidenziati. Il “discorso” di Pence fu preparato da 25 consiglieri accuratamente scelti in Spagna, Messico, Colombia, Argentina e Brasile, col coordinamento di esperti di OAS ed Human Rights Watch. Pence lavorò sul suo discorso per dodici ore, il 17, 18 e 19 gennaio, lavoro arduo e molto impegnativo. Per i generali del Comando meridionale, “il Venezuela è una nazione seriamente colpita, anche se questo implica che in questo momento non ci sia opposizione…”, sottolineava José Saint Roz. Per il Comando meridionale, non ci sono più partiti o capi che possano da soli lottare per il potere su posizioni elettorali o democratiche per scacciate i chavisti. Ecco perché Pence, che non sa cosa sia successo in Venezuela (rovesciamento del dittatore Marcos Pérez Jiménez nel 1958), doveva fare un “discorso” nel nome dell’opposizione venezuelana. Per il Comando meridionale in combinazione col cosiddetto Gruppo di Lima e i capi dell’OAS, il piano per scatenare un serio intervento in Venezuela è creare una crisi sociale interna straziante che, di fronte alla cosiddetta comunità internazionale, incoraggi senza restrizioni l'”aiuto umanitario”. Con tale immagine “angosciante e straziante”, gli Stati Uniti dovranno assumere un ruolo di primo piano. Il 27 dicembre, insieme a un gruppo di oppositori venezuelani, a Washington fu deciso che il colpo mortale per scatenare la polveriera in Venezuela, simile a ciò che successe a Gheddafi, doveva essere il 23 gennaio. Il piano del Pentagono era finora stimolare il “duello” tra i venezuelani, prima fase di una strategia applicata per quasi due decenni, seguita da assedio internazionale, sanzioni, blocchi. La terza fase è l’intervento diretto, attraverso mercenari o forze dei Paesi vicini (Colombia, Brasile). Ma nel Venezuela non è apparso un Pinochet, dove le Forze Armate non sono forgiate esclusivamente da una casta “molto raffinata, profondamente imbevuta dei valori della società occidentale”, secondo il Comando meridionali. E nessuno crede che l’opposizione venezuelana possa essere venduta come “eroina della libertà”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio


LEX ORANDI SENZA LEX CREDENDI – COMMENTO ALLA SOPPRESSIONE DELLA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

Come preannunziato, la Commissione Ecclesia Dei è stata soppressa, e le sue competenze passano ora ad una costituenda sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Motu Proprio promulgato ieri, 19 Gennaio, ha confermato quanto da più parti si era già dato come fatto compiuto. 
L’avvocato Fabio Adernò, in un suo commento pubblicato su Messa in Latino [qui] ritiene che «l’unica cosa che cambia, da oggi, è la carta intestata». Una pia illusione, se posso permettermi, che verrà presto smentita dai fatti. Come giustamente osservava Steve Skojek in un tweet, quel che fa Bergoglio, ancorché apparentemente innocuo, dovrebbe sempre destare qualche sospetto. E il sospetto che un atto di governo di natura meramente amministrativa possa preludere ad un ulteriore ridimensionamento delle libertà concesse ai conservatori in ambito liturgico è tutt’altro che irragionevole, anzi pare confermato dalla prassi ormai invalidata in seno alla neo-chiesa. Si rassegnino quindi i normalisti che, per rimanere in comunione con la setta conciliare, sono disposti a negoziare sulla dottrina accettando il Vaticano II, pur di mantenere in vita la liturgia tridentina. 
L’araldo vaticano, recentemente assurto alla Direzione Editoriale della Santa Sede, in un editoriale apparso ieri [qui], dopo la divulgazione della notizia su Vatican News [qui], non manca di ribadire la vulgataufficiale: «finisce l’eccezionalità». Il pio Lettore crederà di trovare nelle parole di Tornielli e dei commentatori di Corte una qualche rassicurazione: «gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita». Chi conosce viceversa l’eloquio clericale sa bene che in queste parole si cela l’insidia principale del documento papale: la stabilità cui si riferisce Bergoglio non consiste tanto nella conservazione delle prerogative e del diritto di celebrare liberamente la liturgia tradizionale della Chiesa, quanto nel fatto che a questi Istituti non se ne potranno aggiungere altri; chi vorrà avvalersi del Motu Proprio Summorum Pontificum si accorgerà presto che l’unica possibile strada percorribile è quella di unirsi ad una comunità approvata – Fraternità San Pietro, Istituto di Cristo Re, Istituto del Buon Pastore – senza possibilità di erigerne una nuova: perché, appunto, «gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita». Di numero: non ne occorrono altre. Ed è evidente che il diritto riconosciuto dal Summorum Pontificum a qualsiasi chierico secolare o regolare di celebrare secondo le Rubriche del 1962 troverà a questo punto un necessario ed ineludibile ridimensionamento, se non una vera e propria soppressione, come già prevedevo in un mio precedente commento [qui]. 
Chi ha cercato di attribuire la responsabilità di questa decisione alla Fraternità San Pio X – come sappiamo esser avvenuto ad opera di alcuni chierici conservatori – si trova oggi nella scomoda posizione di poter ancora beneficiare della tolleranza di Santa Marta nelle questioni liturgiche, purché non vengano messe in discussione – nemmeno indirettamente – le istanze dottrinali ed ecclesiologiche del Vaticano II. Infatti, «le finalità e le questioni trattate dalla Commissione “sono di ordine prevalentemente dottrinale”», e «quello dottrinale rimane l’unico ma anche più importante tema rimasto aperto». Il tema dottrinale, appunto, rimane aperto ma solo con la Fraternità San Pio X, dal momento che gli Istituti della soppressa Commissione Ecclesia Deiaccettano sine glossa il Concilio, limitandosi a chieder di poter celebrare i riti preconciliari. 
Così, se baloccarsi con pianete plicate, arundini e tenebrari è ammesso entro ben delimitati spazi, non è altresì concesso professare quella Fede che, per la stessa essenza della liturgia, è coerente e necessaria espressione della lex orandi. In sostanza, Bergoglio ha resa evidente quella contradictio in terminis che, nel legittimare la cosiddetta forma straordinaria, l’ha strappata alla sua radice dottrinale, che manifestamente si oppone all’ecclesiologia ed alla dottrina della setta conciliare. Lo conferma in forma breviore anche Massimo Faggioli, uno degli intellettuali progressisti emergenti dopo l’avvento di Bergoglio: «Con la sua decisione a proposito della Ecclesia Dei, Papa Francesco dice ai tradizionalisti: potete avere la liturgia preconciliare, ma non potete avere la dottrina pre(e anti)-Vaticano II» [qui]. 
La Fraternità San Pio X rimane quindi l’unica entità genuinamente cattolica che, nel mantenimento della forma cultuale tradizionale, ne abbraccia coerentemente anche il presupposto teologico, de factoescluso ed ignorato – anzi, decisamente negato – dalle comunità sinora facenti capo all’Ecclesia Dei
Questo non è – sia chiaro – l’acido commento di un fanatico tradizionalista, aprioristicamente avverso al nuovo corso modernista: l’analisi di questa situazione è confermata in forma longiore da uno dei più ferventi apostoli della neo-chiesa e zelantissimo cortigiano di Santa Marta, Andrea Grillo, docente di Teologia sacramentaria e Filosofia della Religione presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma. Il quale, in un articolo pubblicato proprio ieri su Munera [qui], conferma l’analisi impietosa di chi scrive, pur approvandola con lo scomposto entusiasmo tipico del settario che vede finalmente confermata in alto loco la propria avversione all’antica religione soppiantata dal Concilio: «Nata per rimediare alla frattura con il mondo lefebvriano, [la Commissione] era diventata, progressivamente, un settore della Curia romana nel quale si costruiva una “identità parallela” del cattolicesimo tradizionalista e con il pretesto di un immaginario “accordo con lefebvriani”, si pretendeva di spostare continuamente verso di loro la barra della identità cattolica, soprattutto con un progressivo svuotamento della comprensione e della efficacia del Concilio Vaticano II». É qui rilevabile l’insofferenza di Grillo non solo verso il tradizionalismo tout-court, ma anche verso quel moderatissimo conservatorismo che, sotto il Pontificato di Benedetto XVI, aveva trovato una propria collocazione giuridica nel pantheon conciliare. Secondo il professore, dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum e la promulgazione dell’Istruzione Universae Ecclesiae, «era facile immaginare che questo provvedimento avrebbe aperto la via ad un processo inarrestabile di sempre più ampie concessioni, fatte non dalla Chiesa di Roma, ma dai tradizionalisti della Curia romana, che avevano ottenuto una pericolosa e troppo ampia autonomia». Si noti l’ardita distinzione «non dalla Chiesa di Roma, ma dai tradizionalisti della Curia romana», che prelude ad un ulteriore cancellazione di quelle «sempre più ampie concessioni» concesse in nome di una «pericolosa e troppo ampia autonomia». 
Un’autonomia, par di capire, che sotto il gesuita Ladaria non troverà alcuno spazio ad intra, ma al massimo ad extra, nei confronti della Fraternità San Pio X; ammesso e non concesso che l’Istituto di mons. Lefebvre ritenga fruttuoso un qualsivoglia confronto con chi non è intenzionato a cedere alcunché sul fronte dottrinale. Da quel ch’è dato comprendere dalle dichiarazioni del Superiore della Fraternità, don Davide Pagliarani, l’unico scopo degli incontri romani è il lasciar traccia documentale che, nel silenzio universale dei Prelati, vi è stato chi ha coraggiosamente affermato le immutabili verità cattoliche davanti alla Gerarchia conciliare che progressivamente le va negando. 
Andrea Grillo, preso dal raptus modernista, tradisce nel proprio articolo quelle che, se non rappresenta un vero e proprio programma concordato coi vertici della setta conciliare, esprime quantomeno degli scompostidesiderata di cui già si intravvede la possibile realizzazione. Egli definisce il coetus fidelium previsto per la richiesta della celebrazione nella liturgia antica come una «follia tradizionalista installata nella Curia romana». E aggiunge: «Ora, secondo il motu proprio che entra oggi in vigore, tutte le competenze di Ecclesia Dei sono spostate ad una Sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sarebbe logico che, innanzitutto, la Istruzione Universae Ecclesiae, essendo destinata ad una Commissione che non esiste più, venisse abrogata. Per riportare un poco di buon senso e di onestà in un mondo in cui la fiction ha raggiunto, da troppo tempo, livelli di guardia». In sostanza, Grillo auspica l’abrograzione del documento applicativo del Motu ProprioSummorum Pontificum, vanificandone l’efficacia. «Questo passaggio inaugura una nuova fase nel rapporto con i lefebvriani, ma soprattutto nella applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, che sta alla radice di questa grande messa in scena, giunta oggi, finalmente, al sipario finale. Ma forse è solo il sipario del primo atto della commedia». 
Avete letto bene: una grande messa in scena, anzi una Messa in scena, oserei dire, con la maiuscola. Poiché, pur da posizioni antitetiche ed inconciliabili, Grillo mi vede perfettamente concorde con la sua analisi. La farsa perpetrata con il Motu Proprio, infatti, è stata svelata da un semplice atto amministrativo in cui il Romano Pontefice esercita la propria potestà. Un atto amministrativo che, come dice l’avvocato Adernò, «rientra – con buona pace dei contestatori del Summorum Pontificum – nell’orbita della fase – discutibile o meno che sia – di normalizzazione avviata sotto il Pontificato di Benedetto XVI». Normalizzazione, appunto. Ma una normalizzazione che compie un ulteriore passo verso l’apostasia, poiché sancisce la rottura ope legisdell’intrinseco legame tra lex credendi lex orandi, non solo all’interno della stessa Chiesa latina – cosa ch’era già avvenuta con la compresenza della forma ordinaria e straordinaria – ma anche all’interno dell’ala conservatrice, che si trova ad avere sì la liturgia tradizionale, ma senza che le sia riconosciuto il diritto di credere a ciò che celebra, a professare quella Fede di cui il rito tridentino è necessaria espressione. In questo senso, la celebrazione del rito antico da parte di chi accetta il Vaticano II si conferma inesorabilmente una «grande Messa in scena, giunta oggi, finalmente, al sipario finale». 
E, come preannuncia Grillo, questo «forse è solo il sipario del primo atto della commedia» secondo le intenzioni del regista, ma destinata a concludersi – temiamo – in tragedia per i fedeli.

da Opportune Importune, Cesare Baronio

LITURGIA E PROPONIMENTO DI OGGI


LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano - 




 PRIMA LETTURA 

At 22,3-16
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Paolo disse al popolo:
«Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamalièle nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti.
Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.
Un certo Ananìa, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”».


 SALMO 

Sal 116
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.

Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.


 VANGELO 

Mc 16,15-18
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro:
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».


Prima di parlare con le persone che incontrerò oggi farò ad ognuna di loro un bel sorriso.
  

giovedì 24 gennaio 2019

BUONANOTTE BIMBI

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LA PACE DEGLI ANGELI SIA CON TUTTI VOI

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BUONANOTTE

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Proletario armato per il Comunismo

I COMUNISTI (SIONISTI) HANNO PERMESSO L'ESTRADIZIONE DI BATTISTI PER RIORGANIZZARE UN PARTITO "PROLETARI ARMATI PER IL COMUNISMO"?....




L'arresto di Battisti, come è stato detto, è dovuto soprattutto a un cambio di clima politico in Brasile. Bolsonaro non è Lula e nemmeno Dilma Roussef. In queste ore c'è forse troppa pressione mediatica sul caso, ma pochi si soffermano sui burattinai che hanno coperto per quasi 40 anni la sua latitanza. Quali garbugli e intrecci governativi ci sono stati in Francia a partire dalla dottrina Mitterand , rea di aver coperto tutti i peggiori mascalzoni, delinquenti e criminali degli anni di piombo, e che hanno permesso una latitanza così lunga e indisturbata a Battisti?
Ma non è che con la decadenza  presidenziale di Gigi l'Amoroso (così chiamarono in Francia Mitterand dopo una sua relazione con Dalida, interprete della citata canzone), le coperture sulla sua latitanza e i  vari depistaggi fossero finiti. Anzi... Come in tutti i casi di chi resta a lungo latitante,  la regola aurea  è: non si latita mai da soli. 

Ed ecco il curriculum vitae del terrorista: due omicidi, il primo, un poliziotto, il secondo, un padre (ucciso davanti agli occhi del figlio), ha sparato rendendo disabile a vita un uomo (il povero Alberto Torregiani figlio dell'orefice) e altri due omicidi di cui comunque, se non esecutore materiale, è stato ideatore e collaboratore. Poi ci sono le contestazioni giuridiche (le testimonianze di "pentiti" contestati da quelli sempre in punta di diritto quando trattasi di comunisti). Ma resta il fatto che il curriculum dell'esponente dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo), tra risse, rapine che lui chiama "espropri proletari", evasioni dal carcere, fughe, false  testimonianze, false generalità anagrafiche, travestimenti,  tentativi di cancellare le sue tracce, è  un copione degno di una cupa gangster story. Un personaggio da film noir.  Del resto si dilettò a scrivere romanzi noir in prevalenza ispirati alla sua rocambolesca  esistenza. Tanto gli bastò per trovare copertura presso l'intelligentzia della gauche au caviar francese come Bernard-Henri Lévy e altri "philosophes" nel cui ambiente bazzicava anche la futura Première Dame di Francia,  la modella Carla Bruni.

Le porte del carcere di sicurezza di Oristano ora si sono aperte per lui. Speriamo che restino ben chiuse e sigillate senza i'immancabile codazzo di Amnesty International, dei Radicali (Cappato, Rita Bernardini) , dei Vauri, dei Saviani, degli Erri De Luca,  e di tutto l'immancabile soccorso rosso.

Ma soprattutto è bene che si faccia una disamina spietata di cosa fosse l'Italia nel decennio degli anni '70, detti "anni di piombo", quando il nostro paese pullulava di spie, servizi segreti stranieri, spioni, spiati, agenti provocatori ed era il campo di contesa delle due superpotenze Urss-Usa-Cia e KGB e  pure Mossad. Chi finanziava queste destabilizzazioni? Chi arruolava, armava e inquadrava tutte queste sigle terroriste che spuntavano come funghi dall'oggi al domani come BR, NAP (Nuclei Armati Proletari), Prima Linea, Formazioni comuniste combattenti, PAC, Fronte Armato Rivoluzionario Operaio, GAP (Gruppi Armati Proletari) ma anche Gruppi Armati Partigiani, eccetera.
Qui potrete trovare la scheda  sinottica di tutte le sigle legate a gruppi armati comunisti, le cui azioni nefande  dagli anni '70, arrivano alle porte degli anni '90. Evitiamo, per favore, la retorica dello Stato che vince sul brigatismo rosso, perché è una palla! In realtà le bande armate di ispirazione comunista finiscono la loro azione in concomitanza con la globalizzazione, l'applicazione dei Trattati internazionali del WTO, ma soprattutto con la costruzione del Moloch Unione Europea.
Genova, Torino, Milano costituivano in prevalenza il triangolo rosso-sangue  nel quale si svolgevano  i loro misfatti.






Il PCI in quegli anni perseguiva la doppia subdola strategia di lotta (di piazza e di fabbrica) e di governo. Era specialista nello schiacciare l'occhiolino ai gruppi armati ("i compagni che sbagliano", l'album di famiglia, il mito della lotta partigiana mai interrotta), ma nel contempo, nel cercare con ogni mezzo di entrare nell'area governativa, mediante governi detti "di solidarietà nazionale". Ogni grossa provocazione terrorista intentata, offriva loro il pretesto per offrire una mano tesa ai governi dell'arco costituzionale. Pertanto, rimproverava e nello stesso tempo, coccolava gli eretici fuoriusciti dalla sua parrocchia.

Ecco perché il caso Battisti non è ancora chiuso e la storia del nostro paese deve essere rivista, riaperta e rianalizzata senza inibizioni di sorta. Vogliamo sapere chi voleva privarci della nostra sovranità  e della nostra libertà, già fin da allora.  Vogliamo sapere chi organizzava,  finanziava, foraggiava, copriva le bande armate terroriste in  tutti questi decenni che tanto lutto hanno procurato a povere oneste famiglie italiane,  alcuni congiunti delle quali, sono state vittime  con la sola colpa di essersi trovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Che ci fanno politici del PD nella Legion D'Onore francese?

LA VERGOGNA E L' "ONORE".....