lunedì 26 novembre 2018

150 anni di unità d'Italia: furono i livornesi i primi ladri di Stato

BastogiMentre il Sindaco Alessandro Cosimi ed il fido Mario Tredici stanno verificando che i ristoratori livornesi rispondano positivamente all’appello patriottico di colorare di tricolore i piatti serviti il 17 marzo, la nostra redazione è andata a curiosare nelle vicende della nuova Italia nata nel 1861. Sorpresa delle sorprese, apprendiamo (ma come siamo ignoranti) che non sono stati Ciano e Matteoli i primi livornesi a ricoprire incarichi di governo. Il primo in assoluto è stato un banchiere (non bancario) diventato Ministro delle Finanze il 23 marzo del 1861, Pietro Bastogi, costretto poi a dimettersi per un intrigo tra interessi privati e soldi dello stato. Altrettanto sorprendente è stato apprendere delle “fortunate” circostanze per le quali il Bastogi (o meglio la Società italiana per le strade ferrate meridionali di cui era Presidente) divenne concessionario delle ferrovie meridionali. Ma andiamo con ordine. Tutto ha inizio in quegli anni in cui si tramava per fare l’Italia. I mazziniani erano sparpagliati per ogni dove e tra questi c’era un giovane livornese, Adriano Lemmi, nato a Livorno nel 1822, divenuto poi famoso per essere stato Gran Maestro dell’Ordine massonico dal 1885 al 1896. Il livornese, conosciuto  come il “banchiere della rivoluzione”, aveva iniziato la sua carriera con un furto ai danni di una signora di Marsiglia. A quei tempi Lemmi aveva solo 22 anni, ma prometteva bene, Falsificando una lettera di credito della ditta Falconet & C. di Napoli, il livornese diventò amico del medico Boubagne e frequentatore della sua casa. Il 3 febbraio del 1844, mentre era in casa del medico e si trovava da solo con la moglie, Adriano Lemmi finse di avere un malessere. La signora, premurosa, andò in cucina per preparare una tisana e fu in quel preciso istante che, il futuro Gran Maestro, rubò una borsa di perle e 300 franchi d’oro. I maligni sostengono che fosse il compenso dovuto per alcune prestazioni, una sorta di Ruby alla rovescia, fatto sta che Adriano Lemmi venne pizzicato dalla polizia in una taverna con ancora addosso la refurtiva. Il 22 marzo 1844 Lemmi venne condannato ad 1 anno e un giorno di reclusione e 5 anni di alta sorveglianza. Sorveglianza che non impedì al Lemmi di arrivare a Costantinopoli dove conobbe un rabbino polacco che lo ammaliò al punto che, per ingraziarselo, Lemmi decise di aderire alla religione di Mosè, abbandonare il cristianesimo e farsi circoncidere. Tutto questo avvenne il 14 gennaio del 1846. Due anni dopo, a Londra, Lemmi si iscrive alla massoneria presentato da un inglese amico di Mazzini. L’anno successivo conobbe Kossuth (una sorta di Mazzini ungherese)di cui divenne il segretario.
lemmiRientrato in Italia dall’America nel 1851, Lemmi si dette un gran da fare. Erano gli anni di morti ammazzati eccellenti tra duchi, granduchi e cardinali, e tutti vedevano in qualche modo parteciparvi il livornese ormai nelle grazie di Mazzini. Tant’è che dopo le varie rivolte più o meno spontanee (a Livorno, presente il Lemmi, il 30 giugno 1857) Mazzini scrive una lettera a Crispi e Garibaldi, di cui si conserva l’autografo, e nella quale riferendosi al livornese dice:«lo soltanto vi dico che mentre altri farebbe suo prò di ogni impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non la sua». Come dire, signori miei se anche Lemmi guadagnerà qualcosa lo farà per il bene della causa repubblicana. Tutto questo accadeva mentre Garibaldi stava completando la sua spedizione al sud e si stava delineando un business di grande portata, la costruzione delle ferrovie, che attrasse l’interesse dello stesso mitico barone Rothschild (sinonimo per anni di ricchezza sfrenata - da qui il detto livornesissimo . Nella corsa ad accaparrarsi quella commessa il più lesto di tutti fu un altro banchiere livornese, Pietro Augusto Adami, che si fece ricevere da Garibaldi a Napoli, mentre il Lemmi con tanto di lettera di presentazione di Mazzini, si presentò da Crispi. Alla fine, per non far torto a nessuno il “Generale Dittatore, Giuseppe Garibaldi”, firma a Caserta, il 25 settembre 1860, un decreto con cui affida la costruzione delle ferrovie alla società Adami e Lemmi. Un affare che, paragonato ai giorni nostri,  vale 5/6 miliardi di euro. In contropartita i politici del partito d’azione ottengono la possibilità di assumere i tecnici e la mano d’opera che vogliono, oltre all’apertura di numerose testate giornalistiche finanziate dai due livornesi. L’affare era talmente grosso che subito si mossero critiche all’operato di Garibaldi, definito disinvolto, e sulla stampa si scatena il putiferio. Intervengono Carlo Poerio e Carlo Cattaneo (tutti nomi noti a Livorno che hanno strade e scuole dedicate)e lo stesso Cavour, in procinto dell’unificazione dell’Italia, si sente in dovere di attaccare i cosidetti “rossi livornesi”. La questione morale viene sollevata dalla destra e sul giornale torinese (non La Stampa, ma L’Espero)viene accusato Agostino Bertani (segretario e braccio destro di Garibaldi) di aver intascato una tangente da parte dei livornesi di 4 milioni di lire (60 milioni di euro oggi). Querele e controquerele, fino a che, sotto la mediazione del Cattaneo, il parlamento ratificò il nuovo mandato alla società Adami e Lemmi. Fu allora che intervenne il giornale napoletano “Il Nazionale” (potenza dei media!!! e senza intercettazioni telefoniche) che pubblicò i capitolati del progetto mettendo in mostra che la società dei livornesi, oltre ad aver lucrato un centinaio di milioni di ducati, avrebbe fatto spendere allo stato di più di quanto non previsto dalle cordate francesi interpellate dai Borboni. Per rispondere allo scandalo i due livornesi finanziarono e fondarono giornali a loro partigiani a Palermo, Napoli, Genova, Firenze e Milano. Ma lo scandalo era tale che costrinse i due livornesi a cedere alla società francese Delahante le linee pugliesi e calabresi mentre la società livornese confluirà nella nuova compagnia “Vittorio Emanuele” di Charles Lafitte, in qualche modo legato con i Rothschild, per le linee ferroviarie calabro-sicule. L’insurrezione delle popolazioni siciliane contro il governo di Torino, spaventò i francesi che si ritirarono dall’impresa e tornarono a galla i livornesi ai quali venne concesso di occuparsi della costruzione di 900 km di ferrovia. Solo Lemmi, però, riuscì a resistere alle varie bufere, Adami dovette cedere le quote societarie e ritirarsi a lavorare presso la Regia manifattura tabacchi, il cui appalto (ma guarda un pò) venne dato in regime di monopolio proprio al Lemmi.
Pur in presenza di una accelerazione imposta dal nuovo regno, la vicenda delle ferrovie  stava annaspando, malgrado si spendessero milioni per consulenze, studi e progettazioni di massima. Un ritorno di interesse dei Rothschild stimolò il nascente capitalismo targato Italia e, con una mossa a dir poco priva di scrupoli, il nostro concittadino Pietro Bastogi si assicurò la concessione delle ferrovie del sud dopo aver costituito la Società italiana per le strade ferrate meridionali con capitale 100 milioni di lire. La proposta dei Rotschild, arrivata ai responsabili dei Lavori pubblici, avrebbe dovuto essere illustrata in parlamento per essere esaminata e approvata, ma all’ultimo momento, venne tolta dall’ordine del giorno. Era successo che l’allora Ministro delle Finanze, (Bastogi appunto), pur di non far guadagnare il banchiere straniero (e di mettersi in tasca un pò di soldi n.d.r.)si dette da fare per costituire una società della quale facevano parte numerosi parlamentari scelti accuratamente per non dover restare impallinati nella discussione in aula. In questo modo la destra italiana era riuscita a trovare forme di finanziamento illecito. La sinistra radicale di allora protestò vivacemente e venne deciso di nominare una commissione d’inchiesta. Alla fine tutti concordarono (ma guarda un pò) che “Qualunque voce o sospetto di corruzione esercitata verso uno o più deputati nell'occasione della discussione e votazioni della legge sulle ferrovie meridionali è rimasta pienamente smentita.Egualmente è eliminato ogni sospetto a carico di quei deputati che pur avendo ingerenza in lavori parlamentari nella stessa occasione accettano di far parte dell'amministrazione della società italiana per le strade ferrate del meridione". Nessuno andò in galera o venne salvato da leggi ad personam anche se Bastogi e altri parlamentari furono costretti a dimettersi. 20 anni dopo le vicende Crispi scriveva : “Per le ferrovie meridionali si tratta di costruire 3.982 km,spesa preventiva nel 1878,non per tre ma per 6.000 km 1.200 milioni,spesa preventiva nel 1888 non per 6 ma per 3.000 km 1.121 milioni cioè 404.319 Lire a kilometro,ma le ferrovie costruite prima, senza economie erano costate 282.703 lire a km ciò vuol dire mezzo miliardo pagato a Bastogi Balduino e Bombrini... “ Insomma lo stato non ci aveva fatto un bel guadagno ma qualche altro si.
Niente di nuovo sotto il sole, direte voi, ma di questi personaggi (purtroppo livornesi), in questi giorni, stiamo per celebrare il ricordo che a leggere la storiografia ufficiale non si direbbe abbiano fatto male. Ma la storia, quella vera, è altra cosa da quella che scrivono i vincitori, così, tanto per chiudere, vi regaliamo due chicche dei nostri amici. La prima riguarda Bastogi che come ministro delle finanze ebbe l’incarico di predisporre il “Gran libro del debito pubblico” nel quale far confluire le voci in passivo dei bilanci dei vari stati prima dell’unificazione. Ebbene il  Ministro si imbatté nel debito contratto dal Granduca di Toscana nei confronti di Bastogi banchiere quando quest’ultimo gli prestò dei soldi per finanziare la repressione dei moti carbonari del 1849. La morale è che il Bastogi, uomo di governo, firmò gli atti che permisero al Bastogi, banchiere, di recuperare quei soldi che erano serviti per combattere la nascita proprio di quel governo in cui sedeva (veramente un genio !!!!). Invece del Lemmi, di cui si può vedere l’effige in una statua esposta nella Villa Fabbricotti, si dice che fu il primo a intuire l’importanza di avere a disposizione una loggia segreta tant’è che riunì il fior fiore dell’Italia di allora, politici, banchieri, giornalisti, nella loggia Propaganda 2(ogni riferimento a cose e persone dei tempi nostri non è per niente casuale). Il suo credo pare che fosse “Chi è al governo degli stati o è nostro fratello o deve perdere il posto”. Malgrado la sua capacità di intrallazzare ebbe un forte ridimensionamento dallo scandalo della banca di Roma. Insomma, Livorno non solo è capace di dare vita alla tre giorni di festa per l’unità d’Italia, ma è capace anche di dimenticare gli oscuri personaggi che si sono agitati in quel periodo, anzi, se possibile, li celebra affidandone la memoria a strade, scuole e monumenti.
Nella foto in alto Bastogi, al centro Lemmi
Per Senza Soste, Gino lo storico
15 marzo 2011

GLI EBREI IN ITALIA – STATISTICHE

SE VOLETE CAPIRE DI PIU' COME SIAMO MESSI (MALE) IN ITALIA  LEGGETE QUI. DA QUESTO ARTICOLO SI CAPISCE LA GENESI DELL'ODIO VERSO OGNI SOVRANISMO E PATRIOTTISMO RIVENDICATO, A RAGION VEDUTA, DA TUTTI QUEI POPOLI CHE SONO ORGOGLIOSI DI VANTARE UN'APPARTENENZA AD UN TERRITORIO CHE POSSONO CHIAMARE "PATRIA". PROPRIO QUELLO CHE E' SEMPRE MANCATO AGLI EBREI, SPARSI IN TUTTO IL MONDO, CHE INVIDIANO E CONTRASTANO FEROCEMENTE OGNI SACROSANTO RIGURGITO DI ORGOGLIO PATRIO DA PARTE DI TUTTI QUEI POPOLI CHE POSSONO FARLO, ITALIANI COMPRESI. SONO LORO A DEFORMARE I CONCETTI DI SOVRANISMO E PATRIOTTISMO IN "PERICOLOSE" DERIVE ANTISEMITE! 

GLI EBREI IN ITALIA  – STATISTICHE

di Dagoberto Husayn Bellucci
“Uomini siate e non pecore matte si che di voi tra voi ‘l giudeo non rida”
(Dante Alighieri)

“Notiamo a Livorno una colonia ebrea; quando e come venisse si ignora; ma, per indovinar giusto, può farsene rimontare l’origine alle prime monete che presero a circolare fra noi. Dov’é monetà è Ebreo! A qual numero assommano è cosa incerta, avvegnachè l’eterno loro sospetto li consiglia a dissimularlo. Partecipi della natura dei gatti, non li ammansisci; nulla con essi giova; l’amicizia non sentono: ogni loro affetto non oltrepassa la circonferenza dello scudo. O in Toscana, o in Romagna, o in Polonia per ogni dove per loro è l’Egitto, Egiziani i popoli. Passano attraverso i secoli e la gente come l’olio in acqua: non si confondono. Essi, gli eletti, essi i veri figli di Dio: alla fine verrà l’aspettato Messia, ed allora noi Amorrei, noi Amaleciti, ben potremmo chiamarci avventurosi se ci useranno per somieri. Quando furono dispersi mutarono pelo, non vizio; di leoni si fecero volpi, e la guerra di sangue convertirono in guerra di frodi.”

( Francesco Domenico Guerrazzi livornese, patriota italiano da “Note Autobiografiche” scritte dal carcere di Portoferraio nel 1833)
 

Abbiamo cercato nel nostro primo intervento sulla presenza ebraica in Italia (o per esser più esatti, utilizzando la dizione ebraica di I’tal’yà ovvero Isola della rugiada divina, nell’avamposto giudaico accampato nel nostro paese dai periodi più antichi della storia della repubblica romana) di identificare l’Ebreo alla luce del suo esclusivismo razziale. Come detto è il sangue che assicura la ‘continuità’ della razza ebraica (di ogni razza per esser precisi) ed in particolare – in base alla legge rabbinica – la linea matrilineare che garantisce la “purezza” razziale. Vale per gli ebrei come per i non ebrei.
Vediamo adesso di smentire quanto ci viene dichiarato ufficialmente dall’Unione delle Comunità Ebraiche (UCEI) in merito al ‘numero’ degli appartenenti alla “razza eletta” ovvero confutare la cifra dei cosiddetti 35mila giudei presenti sul territorio nazionale. Cifra bassissima che non tiene ovviamente ‘conto’ sia dei tantissimi conversi sia dei cripto-giudei per non parlare di coloro – e non sono pochi – che hanno adottato un cognome ‘ariano’ (o comunque non riconducente ad ambienti giudaici).
E’ un problema essenziale per comprendere esattamente quanti sono gli ebrei nel nostro paese e qual’è la loro influenza nella vita economica, sociale, politica e anche religiosa. Per capire l’importanza del problema statistico inerente l’ebraismo italiano basti pensare a quanti giudei sono ‘entrati’ a far parte della classe dirigente utilizzando una rinnovata identità ma , ancor più pericoloso, è il tentativo di assimilazione nella società attraverso i matrimoni “misti” e la contaminazione del sangue di elementi non ebrei.
Un problema già affrontato durante gli anni del Ventennio fascista da Giovanni Preziosi , direttore de “La Vita Italiana” e – per dirla con lo storico Renzo De Felice – “forse l’unico vero e coerente antisemita italiano del XXmo secolo e certo uno dei pochissimi antisemiti italiani che non ripeteva pappagallescamente le parole e gli slogan altrui, ma che, indubbiamente, per oltre trent’anni “studiò” l’ebraismo italiano…” (1).
Preziosi infatti era arrivato a stabilire (2) la cifra di circa 100mila appartenenti alla razza ebraica sulla base delle sue statistiche che comprendevano – come invitava a fare durante gli anni in cui affrontò e studiò la questione ebraica – sia ricerche condotte sulla base dei cognomi degli ebrei italiani e stranieri presenti sul territorio che quelle relative alle conversioni – soprattutto al cattolicesimo – che si intensificarono a partire dalla seconda metà del XIXmo secolo.
Un problema dunque nel problema causato dalla mancanza di linee generali, di un’indirizzo di educazione razziale, di metodi. Per quanto riguardava gli ebrei – più ancora degli altri italiani – era spesso impossibile risalire genealogicamente indietro nel tempo a causa di diversi aspetti sia relativi agli spostamenti interni alle comunità sia per ciò che riguardava da un lato gli ebrei che erano arrivati a posizioni privilegiate mediante nomine di titoli nobiliari (mancò una censimento araldico serio su molte famiglie dell’aristocrazia nazionale) sia coloro che mutarono il cognome assumendone altri “non ebrei” che infine – ancor più rilevante – quelli tra loro che decisero di convertirsi. Le fonti battesimali che secondo la dottrina cattolica avrebbero dovuto “purificare” l’anima – non certo il sangue – del converso di turno si sarebbero, con il varo delle cosiddette leggi razziali del 1938, riempite di ‘aspiranti’ cristiani. Una pretesa assurda: l’ebreo potrà mutare identità civile o religiosa ma rimane ebreo.
Ora il problema che si porrà fin dall’inizio è quello di ‘censire’ esattamente il numero degli ebrei sulla base non delle cifre indicate da enti ebraici (che , del resto, non tengono in conto proprio dei molti ebrei “assimilati” in un modo o nell’altro alla società dei ‘goyim’ e quindi eliminano dai loro registri elementi appartenenti alla razza) fuorvianti e assolutamente falsificanti la realtà; ma della consistenza fattuale del giudeo (in quanto appartenente ad una comunità di sangue) nella vita italiana.
Stabilire l’ammontare della popolazione ebraica fu tutt’altro che facile anche per Preziosi e i suoi collaboratori ai quali non bastò certamente il censimento , effettuato sulla base della cosiddetta legislazione razziale, del 22 agosto 1938. Intanto c’è da premettere che il numero degli ebrei censiti dalle comunità non potrà mai essere quello definitivo proprio perchè viene considerato solo l’ebreo appartenente o iscritto alla stessa comunità e quasi sempre senza alcuna distinzione tra ebrei italiani e ebrei stranieri residenti in Italia (ammesso poi che esista questa differenza considerando che gli ebrei comunque sono alieni da qualsivoglia comunità ‘nazionale’ o ‘etnica’ poichè la patria degli ebrei sono gli altri ebrei con buona pace per qualunque ideale di bandiera, patria o nazionalità).
I censimenti ufficiali dello Stato italiano effettuati nel 1911 e soprattutto nel 1931 – precedenti a quello su ‘basi razziali’ voluto dal Fascismo sette anni più tardi – non danno il numero di coloro che dichiararono all’epoca di professare culti diversi da quello israelita. Non è una ‘sottigliezza’ se si considera che nel 1911 furono 653.404 le persone che dichiararono di non professare alcun culto, cifra scesa a 17283 vent’anni più tardi. A questi censimenti dunque non è possibile credere considerando che le incertezze e i dubbi aumentavano se si prendeva in considerazione gli ebrei indigeni delle colonie appartenenti al Regno d’Italia, gli ebrei stranieri residenti e quelli italiani all’estero. Il buio più totale.
Queste le cifre relative agli Ebrei italiani nei tre censimenti presi in esame:

1911 – 32.825
1931 – 39.112
1938 – 47.252

Come rilevato altrove si nota un incremento demografico dell’elemento ebraico nel periodo preso in considerazione. Non è un incremento relativo anche se tale aumento di popolazione ebraica dev’essere considerato alla luce delle annessioni del 1918 che, all’indomani del primo conflitto mondiale, portarono all’ebraismo italiano circa 7mila nuove unità (specialmente grazie al feudo ebraico di Trieste. Un migliaio furono gli stranieri che assunsero, nel ventennio 1911-31, la cittadinanza italiana.
Ma è comunque un incremento reale contrariamente a quanto asserisce il De Felice che scrive: “Da queste cifre risulta chiaramente: a) che quasi un decimo di coloro che al censimento del 1931 dichiararono di non professare alcun culto era di origine ebrea; b) che lo sbalzo tra le cifre del 1931 e del 1938 sta tutto nel criterio religioso del primo e razzistico del secondo. Il numero di coloro che professavano il culto israelitico nel 1931 (39.112) è addirittura più elevato di quello di coloro che lo professavano secondo le rilevazioni del 1938 (37.241); quelli che provocano lo sbalzo sono (oltre ai 1367 di nessuna religione) i 7.019 ebrei che sin dalla nascita risultavano cristiani (6.881) , di altra religione cristiana (135) e di altra religione non cristiana (3), figli, cioè, di genitori già convertiti prima della loro nascita o di matrimoni misti a prevalenza non israelitica.” (3)
Niente di più falso proprio perchè è razzialmente che si deve considerare il problema ebraico. Quindi i 7.019 ebrei “cristiani” sono da considerarsi , a tutti gli effetti, di razza ebraica. Ancor più rilevante sarebbe stato l’incremento se – a queste cifre – si fossero addizionate quelle relative agli ebrei convertiti, ai cripto-ebrei che aveva adottato cognomi ‘ariani’, ai “nuovi cristiani” che cercarono nelle fonti battesimali una ‘verginità razziale’ proprio per sfuggire alla ‘cerca’ dell’ebreo così maldestramente imbastita dal regime fascista.
Gli ebrei stranieri residenti in Italia secondo il censimento del 1938 era di 10.173 e anche su questa cifra sarebbe da analizzare quanti tra loro ottennero, prima e dopo il 2.o conflitto mondiale la nazionalità italiana soprattutto perchè ciò ci aiuterebbe a comprendere esattamente l’entità del giudaismo nazionale reale nell’immediato dopoguerra (allontanando così anche le pretese ‘vittime’ olocaustiche tricolori delle quali vanno da tempo scrivendo interessati ambienti sterminazionisti). Comunque è certo che il numero di questi ebrei stranieri andrà aumentando progressivamente dal censimento dell’11 a quello del 38 a causa dei flussi migratori provenienti dall’Europa centro-orientale e considerando che una grossa aliquota di questi ebrei era praticamente fissa nel nostro paese come residente e quindi parte integrante dell’Ebraismo nazionale.
In merito all’incremento della popolazione ebraica in Italia (4) nel periodo in esame c’è inoltre da soffermarci anche sull’entità degli ebrei italiani residenti nelle colonie e all’estero: nel 1931 il loro numero era di 511 unità (di cui 385 in Libia ripartiti tra Tripolitania 331 e Cirenaica 54 ; 108 nelle Isole dell’Egeo, 16 in Eritrea e 2 in Somalia)

alle quali però , dato essenziale, erano da aggiungere quelle relative agli ebrei indigeni (5) che ammontavano ad oltre 28.600 così suddivisi:
– Libia 24.024 (di cui 21.138 in Tripolitania e 2.886 in Cirenaica);
– Isole dell’Egeo (Dodecaneso) 4.371;
– Eritrea 193;
– Somalia 11;

Cifre che , per intenderci, non possono lasciare tranquilli: quanti tra questi 28.600 ebrei indigeni appartenenti alle diverse colonie italiane raggiunsero il nostro paese assicurandosi cittadinanza all’indomani del conflitto mondiale? Quanti e quante tra questi ebrei contrassero matrimoni con elementi non ebraici? Sappiamo di una vasta comunità di ebrei libici (in Libia l’elemento ebraico complessivamente costituiva il 3.57% della popolazione) residenti nella capitale: sono questi inseriti o no nelle ‘stime’ dell’UCEI che parlano di “35mila ebrei in Italia”?
Ma torniamo adesso all’entità dei soli ebrei italiani. Essi erano così ripartiti: 41.224 residenti nei capoluoghi di provincia e 4.137 in altri comuni. A questi si devono aggiungere 7.767 ebrei stranieri residenti nei capoluoghi e 1.975 in altri comuni. Come si noterà la cifra ottenuta raggiunge e supera le 55mila unità dando sicuramente un valore alle affermazioni del Preziosi che, sulla base di uno spoglio dei cognomi ebraici presenti nell’Annuario Generale del Regno d’Italia e pubblicate nel 1920, assicurava imponente l’influenza ebraica nel nostro paese: “Gli ebrei sono, in Italia, alla testa della grande banca; danno una percentuale altissima di membri ai Consigli d’Amministrazione delle nostre Società Anonime; sono numerosi tra i membri del Senato e della Camera dei Deputati; occupano i primi e i più importanti posti delle nostre Amministrazioni di Stato. Nel campo dell’insegnamento sono numerosissimi e alcune facoltà delle nostre Università sono divenute un loro campo chiuso. Hanno nelle mani quasi tutte le Case editrici librarie d’Italia. Molta parte dei giornali quotidiani sono nelle loro mani…Nè si dimentichi, che tutte le iniziative affaristiche, anche quelle a tinta patriottica, hanno alla loro testa un ebreo.” (6)
Il cosiddetto “risorgimento” in Italia nel XIXmo secolo non fu forse un autentico “risorgimento ebraico”? Quando nel 1848 si schiusero i ghetti d’Italia i maggiori centri dell’ebraismo erano: Livorno – la Sion d’Italia – ,Roma, Trieste, Mantova, Ancona, Venezia, Torino, Ferrara, Firenze, Venezia e Verona.

I rivolgimenti che avrebbero abbattuto le monarchie ‘assolutiste’ dei diversi Stati pre-unitari italiani furono avvenimenti direttamente influenzati, suscitati e diretti da elementi ebraici come giustamente ci fa notare Carlo Alberto Roncioni che scrive: “L’opera compiuta dagli Ebrei in Piemonte per interessare i pubblici poteri alla causa della loro emancipazione fu messa in luce dall’ebreo Giuseppe Levi. Gli ebrei diffusero libri, giornali, pubblicazioni a loro favorevoli, premiarono gli autori che scrissero in difesa del giudaismo, parteciparono alle agitazioni patriottiche dando al paese uomini e denaro. Un drappello di ebrei torinesi si unì ai volontari delle altre comunità ebraiche e formò la 7.a compagnia Bersaglieri Ebrei. Nel periodo della formazione d’Italia emerse Manin, il dittatore di Venezia, dal lato paterno di puro sangue ebraico. Suo padre era figlio di genitori ebrei veronesi convertiti: Samuele e Allegra Medina i quali avevano assunto il cognome Manin in onore al loro padrino al fonte battesimale. Cavour dovè in parte la sua elezione a deputato, nel 1853, al rabbino maggiore Lelio Cantoni che allora godeva alta autorità negli ambienti politici della capitale. Fra i parecchi Ebrei collaboratori di Cavour, il più in vista fu Isacco Artom, suo segretario particolare, divenuto più tardi segretario generale agli Esteri, posto che occupò per diversi anni. Artom fu il primo ebreo entrato in Senato. Operarono vicino a Cavour all’Interno molti Ebrei: il giornalista Dina, il caricaturista Redenti, nato Nacnami, Giuseppe Finzi, ex mazziniano, D’Ancona, Avigdor e , fuori d’Italia, i banchieri Rothschild e Fould, coi quali ebbe rapporti frequentissimi. Fra gli artefici del nostro Risorgimento, Giuseppe Mazzini è stato il più vicino all’anima ebraica. Così pensa Ercole Specos, il quale sostiene che il motto mazziniano “Dio e Popolo” era stato il motto dei profeti d’Israele. Mazzini a Londra ebbe ad un dato momento come factotum Luigi Wolff che passava per tedesco, ma che parlava alla perfezione l’inglese, il francese e l’italiano. Più tardi si scoprì che era un Ebreo. Sempre Mazzini nel 1947 scriveva degli Ebrei: “Eglino meritano amore, rispetto e stima al pari di qualunque altro…Fino a tanto che non si avrà riguardo a questa classe di nostri connazionali, fino a tanto che non le sarà concesso di stare a contatto con noi, sempre ci staremo servi: saranno essi obbligati a portarci inimicizia e ostilità di pensieri e oltre alla mancanza di un poderoso aiuto dal lato di questi nostri concittadini avremo le forze dei nemici interni ed esterni raddoppiate.”. Ebrei erano i Nathan amicissimi di Mazzini. (…) Anche attorno a Garibaldi , gli Ebrei non scarseggiarono. Liquidati i “sentimentali” che avevano rischiato la pelle per fare l’Italia, gli affaristi presero il sopravvento e cominciò la scalata a tutti i poteri da parte di avventurieri senza scrupoli. Gli Ebrei – gli eterni sfruttatori delle fatiche altrui – che, prima, si erano tenuti dietro le quinte, incominciarono lo spaccio del paradiso in terra, ma a scadenza dilazionata, per meglio organizzare nel frattempo il proprio parassitismo. E’ proprio a quest’epoca che risalgono le baronie e i titoli degli Ebrei Franchetti, Todros, Corinaldi, Montel, Leonino, Levi, Lombroso, Castelnuovo, Vitta seguiti più tardi dagli Ottolenghi, De Veali, Sacerdoti, Weil, Weiss, Padoa, Da Zara ecc La Massoneria fu la scala usata dagli Ebrei per l’arrembaggio al nuovo Stato. Costituito il Grande Oriente Italiano nel 1861 , fu posto a capo di esso un certo Cordova, al quale successero: De Luca, Frapolli, Lemmi, Ferrari, Nathan; il primo segretario del Grande Oriente fu Davide Levi; una tribù di Ebrei e di marrani. Lo strumento che più facilitò agli Ebrei la scalata al potere effettivo è stata la stampa. Anche gli Ebrei italiani si diedero perciò alla conquista della stampa. Guardiamo ai più importanti giornali italiani di allora. Nel 1870 il giornali crispino “La Riforma” aveva il suo principale collaboratore in Primo Levi; il mazziniano “Dovere” era sostenuto da Nathan; “L’Opinione” era stata fondata e diretta da Giacomo Dina, passato poi al “Corriere” di Milano, del quale è stato anche redattore politico Emilio Treves. Il deputato Raffaele Sonzogno è stato direttore della “Gazzetta di Milano”. Tutti ebrei. Nel 1880 si scoprì che i cinque principali giornali d’Italia erano sovvenzionati dal banchiere ebreo Obleight. Nel 1890 Roma aveva una loggia composta di soli Ebrei e i giornali “Tribuna”, “Riforma”, “Capitan Fracassa”, “Messaggero”, “Campidoglio” erano diretti e redatti da Ebrei. Anche la stampa liberale di Trieste era nelle mani di Ebrei mantovani, livornesi e armeni. Proprietari dell’agenzia Stefani erano gli Ebrei Obleight e Freidlander; corrispondente italiano della Reuter era l’ebreo Arbib. Per diciotto anni, dal 1905 al 1923, è stato presidente dell’Associazione della Stampa Italiana l’ebreo triestino Salvatore Barzilai, preceduto in tale carica dall’ebreo Luigi Luzzatti. (…) Da una statistica del 1922 risulta che di Ebrei al Governo italiano ce n’erano molti:
– Parlamento 64
– Corpi Consultivi, Consulta Araldica e Consiglio di Stato 25,
– Affari Esteri 54
– Colonie 11
– Amministrazione Interni 317
– Giustizia 398.” (7)

Vediamo ‘dunque’ dove erano disseminati gli ebrei italiani regione per regione e nelle principali province. Secondo le stime del censimento del 1938 gli ebrei erano così ‘accampati’:

– Lazio 12.943
– Lombardia 11.559
– Venezia Giulia e Zara 8.285
– Toscana 5.931
– Piemonte 5.439
– Veneto 3.822
– Emilia 2.964
– Liguria 2.770
– Marche 1.218
– Venezia Tridentina 989
– Campania 714
– Umbria 224
– Sicilia 202
– Abruzzi e Molise 138
– Puglie 122
– Sardegna 67
– Calabria 24
– Lucania 10

Ora secondo le stime attuali non si registrerebbe presenza ebraica in molte delle regioni summenzionate. Mancherebbe qualsiasi elemento di razza ebraica in regioni dove il loro peso era considerato relativo ma comunque non irrilevante come la Sicilia, l’Abruzzo (quando in realtà di ebrei – per quanto riguarda la sola città di Pescara – ce ne sono e a iosa), Puglia, Sardegna, Calabria, Lucania. Dove sarebbero finiti questi ebrei risulta un mistero: semplicemente non sono affatto ‘conteggiati’ nelle statistiche dell’UCEI che non rilevano elementi appartenenti alla confessione israelitica nelle suddette regioni. Anche quì ovviamente si tratta di autentica menzogna: gli ebrei in queste regioni ci sono….anche se non esistono comunità organizzate nè luoghi di culto dove sia officiata la liturgia ebraica.
Prendiamo alcuni esempi: Alessandria e il Monferrato. In questa zona di ebrei ce ne sono a bizzeffe…al di là della vecchia sinagoga alessandrina essi esercitano prevalentemente attività commerciale (si pensi a Valenza Po capitale italiana dell’oro dove le oreficerie sono per la maggior parte in mani giudaiche) ma nell’annuario censimento degli ebrei in Italia la città – ed i ‘dintorni’ – non risulta affatto compresa come un vero e proprio feudo ebraico.
Altro esempio: Bologna. Nel capoluogo emiliano l’UCEI annualmente riporta la modesta cifra di qualche centinaia di soggetti appartenenti alla comunità…quando “Il Resto del Carlino” , in un articolo a firma proprio di un’eletta tale Paola Rodi, in occasione delle elezioni per la camera dei deputati e il senato del marzo 1994 (indette durante le festività ebraiche della pesah = pasqua che scatenarono l’ira dell’allora rabbino-capo d’Italia Elio Toaff e della presidentessa dell’UCEI , Tullia Zevi) parlerà delle “circa 400 famiglie ebree” della città felsinea….ovviamente se tale cifra fosse reale si dovrebbero conteggiare almeno un migliaio abbondante di soggetti di religione ebraica in Bologna.
Vediamo poi altri ‘casi’ al limite dell’idiozia quali i poco più di settecento ebrei residenti a Livorno….la Sionne italiana dove si ‘contano’ per lo meno 24 strade intitolate a ‘eminenti personalità dell’ebraismo italiano’ compresa “Via degli Ebrei vittime del Nazismo” (…immaginiamo solo la ‘fatica’ che ci ‘costerebbe’ scriverne l’indirizzo su qualunque lettera o cartolina..). A dir poco gli ebrei livornesi non sono meno di qualche migliaio se comprendiamo tutte le piccole medie aziende e i negozi, i banchi al mercato (feudo popolare ebraico) cittadino vicino al quale è situato anche l’unica macelleria kosher labronica.
Sempre secondo queste stime irrilevante sarebbe l’elemento ebraico nel modenese (135 unità comprendenti i giudei di Reggio Emilia che frequenterebbero la sinagoga della città estense). Falso. Basterebbe scorgere l’elenco telefonico – almeno quello di una decina di anni fa – per accorgersi dell’assoluta menzogna di simili cifre. Identiche constatazioni sono valide per Mantova, Ferrara e Verona dove di ebrei ce ne sono a iosa. Per non parlare poi degli ‘uffici’ del Mossad – servizio segreto israeliano – disseminato un pò ‘ovunque’ sotto ‘copertura’ , delle ditte di spedizione e trasporti “made in Israel” o delle agenzie di sicurezza e investigazione spesso feudi giudaici (si registrano in proposito anche evidenti ‘contatti’ con ambienti direttamente collegati al Ministero dell’Interni ovvero organi di polizia vari).
Vediamo le ‘cifre’ secondo il censimento del 1938 (di cui sopra) tra le province maggiormente giudaizzate d’Italia:

– Roma 12.799
– Milano 10.219
– Trieste 6.085
– Torino 4.060
– Livorno 2.332
– Firenze 2.326
– Genova 2.263
– Carnaro 1.782
– Ancona 1.031
– Bologna 1.000
– Bolzano 938
– Padova 748
– Ferrara 733
– Napoli 678
– Mantova 589
– Modena 547
– Alessandria 449
– Pisa 416
– Verona 414
– Vercelli 325
– Lucca 315
– Parma 247
– Gorizia 239
– La Spezia 219
– Siena 219
– Como 197
– Brescia 195
– Imperia 193
– Cuneo 182
– Perugia 180
– Novara 170
– Varese 163
– Asti 150
– Grosseto 149
– Treviso 147
– Istria 130
– Friuli 129
– Reggio Emilia 129
– Piacenza 124
– Pesaro Urbino 109
– Rovigo 109
– Aosta 103
ecc ecc

Davvero è possibile credere che intere comunità ebraiche siano ‘scomparse’ nel “nulla” dopo la 2.a Guerra Mondiale? Dove sarebbero andati a finire i 547 ebrei modenesi (ne rimane meno di un quarto a sentire l’UCEI)? E i 449 ebrei alessandrini? Per non parlare poi di interi nuclei ebraici che sono letteralmente , o quasi, “evaporati” nel nulla (e non ci si continui a ‘raccontare’ delle fole olocaustiche perchè onestamente poco , per niente, credibili) come quelli residenti allora nelle province di Pisa, Lucca, Gorizia, La Spezia, Siena, Como, Brescia, Imperia, Perugia, Varese, Grosseto, Treviso, Piacenza, Rovigo o Aosta. Non risulta , in queste province, che vi siano consistenti nuclei familiari ebrei dopo la 2.a guerra mondiale….alcune di queste addirittura risultando completamente svuotate da elementi giudaici.
Sempre secondo quel censimento per esempio risultavano 66 ebrei a Viterbo e a L’Aquila. Oggi la cifra comunicata dall’UCEI è uguale a …zero! E i 49 ebrei cagliaritani, i 75 catanesi, i 95 savonesi o i 20 residenti a Campobasso e provincia dove sarebbero andati a ‘finire’?
Domande. Dubbi. Sospetti. Soprattutto un dato che emerge evidente: alla ‘realtà’ censitoria dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane bisogna opporre la realtà fattuale ricognitiva….basta la semplice ricerca sugli annunci mortuari dei quotidiani delle differenti province o l’elenco dei beni catastali città per città , l’elenco telefonico o quello dei registri civici delle unioni matrimoniali (ma anche qualche ricerca nei cimiteri per identificare sepolcri ebraici non sarebbe affatto ‘male’) per comprendere che la cifra pretesa dei “35mila ebrei in Italia” è nient’altro che una menzogna….
Nella società rovesciata della contemporaneità isterica e sodomizzata dai deliri di massa sappiamo che a ‘pochi’ interesserà un serio approfondimento ‘ginecologico’ e criteri razziali certi…Tant’é noi continueremo a ‘indagare’ al di là e oltre di tutte le ‘peripezie’ esistenziali degli esseri senza volto nè storia nè identità della società cosiddetta ‘moderna’.
Giovanni Preziosi scriverà la cifra di centomila elementi giudei nel 1938. Noi diciamo almeno il doppio forse il triplo considerando cripto-giudei, marrani, conversi, ‘arianizzati’ d’ogni latitudine…Il ‘resto’ è noia!

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
Dir. Resp. Agenzia Stampa “Islam Italia”




Note –

1) Renzo De Felice – “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo” ediz. “Einaudi” – Torino 1962 (ediz. tascabile 1993);
2) Giovanni Preziosi – articolo “Centomila?” in “La Difesa della Razza” – 5 Ottobre 1938;
3) Renzo De Felice – ibidem;
4) si consultino L.Livi – “Gli ebrei alla luce della statistica” – Firenze 1918-20 (2 voll) , R. Bachi – “La demografia degli ebrei italiani negli ultimi cento anni” in “Atti del Congresso Internazionale di studi sulla popolazione” Roma 1934 , “La demografia dell’ebraismo italiano prima della emancipazione” in “Scritti in onore di Dante Lattes” , Città di Castello, 1938;
5) R. Bachi – “Gli Ebrei delle colonie italiane. Note statistiche sul censimento 1931” in “Rassegna mensile di Israel” gennaio-febbraio 1936 pp.385-96;
6) Giovanni Preziosi – “Giudaismo – Bolscevismo – Plutocrazia – Massoneria” ediz. Hoehnstaufen – Milano 1944;
7) Carlo Alberto Roncioni – “Il Potere Occulto” – ediz. Sentinella d’Italia – Monfalcone 1974. Sul ruolo svolto dai giudei nell’ideale repubblicano mazziniano dell’epoca si vedano del massone Luigi Armando Giovannini – “Mazzini e la Massoneria” 1972. In merito alla sinergia massonico-giudaica si veda quanto scritto Julius Evola nel suo “Tre Aspetti del Problema Ebraico” (ediz. di ‘Ar’ – Padova) nel quale è possibile leggere: “Una relazione esiste senza dubbio fra la tradizione ebraica e la Massoneria. Nel 1848 il massone Von Knigge ebbe a scrivere: “Gli Ebrei hanno riconosciuto saldamente che la Massoneria era il mezzo per fondare saldamente il loro impero segreto.”

Sul ruolo dell’ebraismo nelle vicende del Risorgimento italiano si consulti anche Piero Sella “Prima d’Israele” ediz. L’Uomo Libero – Milano e il nostro “I’tal’yà – Ebrei e lobbie’s ebraiche in Italia” ediz. Effepi – Genova;



LIVORNO E LA MASSONERIA

–         di Dagoberto Bellucci
“La Massoneria fu la scala usata dagli ebrei per l’arrembaggio nel nuovo Stato. Essa divenne il loro segno. Con essa fecero breccia ovunque. Senza di essa resterebbero inspiegati molti altri fattori, anche utili, come ad esempio le numerose defezioni di ministri, generali e ammiragli borbonici venuti meno al loro giuramento.
Costituito il Grande Oriente italiano nel 1861, fu posto a capo di essi un certo Cordova, al quale successero: De Luca, Frapolli, Lemmi, Ferrari, Nathan; il primo gran segretario del Grande Oriente italiano fu Davide Levi; una tribù di ebrei e di marrani.
Vi è tanta costante dipendenza della massoneria italiana all’ebraismo, prima e dopo la formazione del Regno d’Italia. Aspetti di uno stesso fenomeno, fermenti della stessa decomposizione.”
 ( Giovanni Preziosi – “Ebrei ed antisemitismo in Italia” – dalla raccolta di scritti “Giudaismo Bolscevismo Plutocrazia Massoneria” Ediz. “Hohenstaufen” – Weiblingen )
 
Livorno, dove siamo nati e nonostante tutto e tutti città alla quale restiamo legati, oltre a rappresentare la culla del comunismo italiano (al Teatro Goldoni venne fondato nel gennaio 1921 il Partito Comunista d’Italia dalla scissione socialista dell’ala massimalista che guardava a Lenin, sognava i Soviet e la rivoluzione bolscevica da esportare dalla Russia) e, storicamente e culturalmente, la Sion d’Italia ‘vanta’ anche un altro non certo invidiabile ‘primato’ : sessanta strade cittadine intitolate ad altrettante personalità della Massoneria.
A darne notizia, in un trafiletto nella rubrica “Il sogno di Zoro” a firma Diego Bianchi, è “Il Venerdì” supplemento del quotidiano “La Repubblica” quello fondato dal fascista Eugenio Scalfari e per il quale scarabocchia i suoi accrocchi scrittorii alla rinfusa tal Marco Pasqua … “un cretino qualsiasi” per dirla con Cloroalclero… lo ‘scopritore’ (…dell’acqua calda…) di blog “razzisti”, “antisemiti” e “omofobi” per conto del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Milano ovvero i censori dell’anti-“antisemitismo” italiota.
Nel trafiletto in questione a firma g.c., intitolato “Grembiulini – Livorno, piccoli massoni crescono”, viene riportato: “Sessanta strade intitolate ai fratelli di squadra e compasso. E non è un caso. Livorno, dopo Firenze, è la città più massone (casomai massonica ndr) d’Italia: ogni 500 abitanti c’è un libero muratore.” (1).
E non è proprio un caso che sia la città labronica – che rappresenterà fin dalla sua fondazione un tentativo di città cosmopolita “multiculturale” ante-litteram con la costituzione delle Leggi livornine, varate dai Medici signori della Toscana, che la edificarono come  porto-franco verso il quale arriveranno turbe di ebrei – a rendere onore ai fratelli ‘tre puntini’ ed alla potenza della Massoneria che, sia detto per inciso, ha costruito questo paese fin dall’epoca del cosiddetto “Risorgimento” che, per influenza, sarà una vera e propria ascesa della Libera Muratoria ai vertici del neocostituito Stato unitario italiano.
“Raccontano che Garibaldi – prosegue l’articolista – , noto frammassone, avesse un debole per questa città cosmopolita. Attenzione però a pensare che la massoneria viva solo di album ingialliti. Anzi, l’iniziazione tira parecchio tra i giovani. Sarà l’alone di mistero, sarà che la confraternita è considerata da sempre una potente lobby, fatto sta che a Livorno abbondano i “grembiulini”. Nella città toscana è infatti nata la prima loggia giovanile di Opera, la massoneria francese della Grande Loge Traditionelle et Symbolique. I muratori junior, tra i 24 e i 30 anni, dal 2012 avranno una loggia tutta loro. E intanto stanno facendo proselitismo. In altri tempi ad attrarre i giovani erano le sezioni di partito. Nella crisi della Seconda Repubblica è, invece, il triangolo di Salomone”.
Questa è l’I’tal’yà del terzo millennio….
Poco da aggiungere.
Prendiamo semplicemente atto.
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”
14 Ottobre 2011
Note –
1)      Grembiulini – Livorno, piccoli massoni crescono ; da “Il Venerdì” di Repubblica nr 1238  del 9 Dicembre 2011;

Priva una persona dell’antidoto contro il veleno per darlo al suo cane eroe

cane eroe
Cane-eroe si sacrifica per salvare tre bambini da un serpente velenoso: tam tam social per aiutarlo – di B.C.
Simon è stato morso dal rettile a Las Heras, in Argentina. La sua padrona, aiutata dai social media, ha affrontato unʼodissea per reperire in tempo lʼantidoto in grado di neutralizzare il veleno.
Simon è un eroe. Non ci sono altre parole per definire questa bestiola, che ha difeso i tre bambini della sua “famiglia” da un serpente velenoso, finendo per immolarsi al posto loro.
La sua padrona, la signora Valeria Centeno di Las Heras, in Argentina, ha dovuto affrontare un’odissea per trovare l’antidoto e salvare il suo amico a quattro zampe.

Il farmaco per salvare Simon, il cane-eroe

Come raccontano i quotidiani locali, nella sua provincia (Mendoza) non c’erano abbastanza scorte di siero antiofidico nemmeno per gli umani.
Valeria ha dovuto lottare contro il tempo, aiutata dai social, per trovare il farmaco per Simon, finché un funzionario del dipartimento dell’Ambiente non è intervenuto.
Valeria ha scritto un lungo post su Facebook per ringraziare tutte le persone che le sono state al suo fianco nel momento in cui Simon soffriva.
E ha ovviamente detto ‘grazie’ a l’animale per aver salvato la vita dei suoi figli. Sempre sui social, ha raccontato tutta la storia.
“In ospedale mi hanno detto: ‘È consapevole di aver privato una persona dell’antidoto contro il veleno per darlo al suo cane?’. E io ho risposto: ‘Rispetto la vita delle persone ma anche quella del mio cane. Se non fosse stato per lui, quel serpente avrebbe morso i miei figli’”.
Ora il cane sta molto meglio. Dopo questa esperienza, la padrona ha chiesto alle autorità locali di rendere disponibili antidoti anche per gli animali domestici.

L’ITALIANA RAPITA IN KENYA NELLE MANI DI TRE SEQUESTRATORI: LA POLIZIA INSEGUE IL COMMANDO CON L’AIUTO DEI VISORI TERMICI CHE RIVELANO IL CALORE UMANO



«Silvia Romano è viva. Non abbiamo dubbi». A riportare questa dichiarazione di Noah Mwivanda, comandante della Polizia regionale costiera di Mombasa, è l’inviata di Repubblica Raffaella Scuderi. Un’affermazione che se da una parte porta speranza dall’altra non fornisce aggiornamenti certi. «Silvia si trova nella foresta in mano a tre degli assalitori – dice l’investigatore che sta coordinando le ricerche – Gli altri cinque sono scappati, e ne abbiamo perse le tracce. Di lei invece abbiamo la localizzazione e le impronte. Siamo certi che sia lei perche in caso contrario i tre banditi avrebbero preso tutt’altra direzione, come i loro complici». Come riferisce la giornalista italiana la Coast Regional Police avrebbe anche identificato i tre rapitori: sarebbero Ibrahim Adan, Yusuf Kuno e Said Abdi. Su di loro è stata messa una taglia di un milione di scellini kenyani pari a 8600 euro, una cifra da capogiro per gli abitanti del paese africano. Nella zona è scattata una massiccia operazione di ricerca in un’area che supera i 40mila chilometri quadrati, setacciata da tutte le forze di polizia possibili, dotate di cani, droni ed elicotteri, con la complicsazione della pioggia dei scorsi giorni. Ma il comandante Mwivavanda ritiene di essere ormai sulle tracce dei sequestratori grazie all’aiuto dei 20 presunti complici, rinchiusi nelle celle della stazione di polizia di Malindi. Rimane ancora un mistero il movente che diventa anche oggetto di polemiche tra polizia ed autorità locali circa il coinvolgimento dei miliziani islamici di Al Shabaab, vicini ad Al Qaeda.


Il comandante della Coast Regional Police di Mombasa, Noah Mwivanda

Nonostante la parlata somala riferita dai testimoni dell’agguato alla giovane volontaria dell’orfanotrofio Chakama Guest House, nonostante il potente e costoso armamento con fucili d’assalto AK 47, la stessa arma kalashnikov sequestrata dall’esercito siriano ai terroristi jihadisti di Al Shabaab nella foresta di Boni che usano come rifugio (a circa 200 km dal luogo del rapimento), lo stesso Mwivanda dichiara a Repubblica che gli investigatori sono «propensi ad escludere un atto terroristico» entrando in contraddizione con le prime dichiarazioni del comandante nazionale della Polizia del Kenya, Joseph Boinnet, che aveva comunicato che era stata aperta un’inchiesta per terrorismo, ma anche con quanto sostenuto dal governatore di Kilifi, Amason Jeffah Kingi.
«Il commando che ha rapito Silvia si è diviso, affidando l’ostaggio a un gruppo di tre persone – aggiunge l’inviata Raffaella Scuderi – Una certezza che sarebbe stata raccolta grazie agli “apparati tecnologici” impiegati per le ricerche: probabilmente si riferisce a visori termici, in grado di rilevare il calore dei corpi anche nella foresta e permettere l’inseguimento dei criminali. E questi strumenti avrebbero confermato le indicazioni raccolte dagli inquirenti kenyani con gli interrogatori di alcune persone sospettate di avere aiutato il commando nel rapimento». Tra le ipotesi, anche quella di un sequestro condotto da elementi delle tribù somale che si dedicano alla pastorizia nella zona magari per rivendere la donna agli estremisti islamici. La pista dei terroristi somali, oltrechè da armamenti e testimonianze sulla parlata, è subito affiorata come ipotesi per l’intensa attività dei miliziani di Al Shabaab nelle contee di Lamu e Garissa, vicine a qualla di Kilifi dove è avvenuto il rapimento. Ma anche da una serie di coincidenze: «il sequestro infatti è avvenuto in concomitanza con la visita a Roma del presidente somalo che si oppone alla formazione fondamentalista» rileva Repubblica. Ma è soprattutto avvenuto all’indomani di un pesantissimo attacco compiuto in Somalia che ha ucciso 37 jihadisti somali compiuto coi droni dell’Africom, il comando americano contro il terrorismo islamico che ha due sedi anche in Italia (leggi i precedenti articoli ai link sotto).
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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DOPO LO SCONTRO NAVALE CON LA RUSSIA NEL MAR D’AZOV: MOGHERINI CONDANNA MOSCA. SOLIDARIETA’ DI MACRON ALLA RESISTENZA SIRIANA ANCHE DOPO L’ATTACCO CHIMICO CON 100 INTOSSICATI AD ALEPPO

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Se visto come un caso isolato l’incidente marittimo tra le navi di Kiev e di Mosca nel mar d’Azov potrebbe soltanto rappresentare l’ennesimo acuirsi delle tensioni tra Ucraina e Russia dopo che nel Donbass la guerra civile è in un fase di sostanziale stallo. Ma l’annuncio del presidente ucraino Petro Poroshenko di voler imporre la legge marziale in tutto il paese e la solidarietà espressa dal presidente francese ai ribelli siriani a pochi giorni dal tremendo attacco con armi chimiche su Aleppo da parte dei terroristi loro alleati hanno tutta la parvenza di prove tecniche di terza guerra mondiale perché paiono il frutto di una comune strategia di provocazione di due presidenti voluti e sostenuti da George Soros (occulto finanziatore di Macron quanto della rivoluzione arancione Euromaidan che portò al governo Poroshenko) contro  Vladimir Putin: questioni di cui dovrà occuparsi la Nato, sempre più strumento nelle mani anglofrancesi dopo il crescente disinteresse di Donald Trump per l’Europa ed il costoso supporto del Patto Atlantico. Se si analizzano i gravi conflitti della storia si scopre che essi sono maturati in momenti politici in cui l’egemonia massonica-mondialista era messa alle corde dalle rivendicazioni populiste e democratiche esattamente come sta avvenendo ora in Gran Bretagna con la Brexit, in Francia con i “gilets jaunes”, in Italia con il crescente consenso della Lega e del M5S che si stanno scontrando coi vertici Ue e preparando ad un travolgente successo nelle elezioni di primavera per il rinnovo del Parlamento Europeo, dove 226 eurodeputati su 751 sono controllati o influenzati da George Soros. Oggi sarà una giornata cruciale per l’Europa perché sia la Nato che l’Onu affronteranno la crisi del Mar d’Azov su cui ha gia preso dura posizione contro la Russia dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’italiana Federica Mogherini, già ministro del Governo Renzi ed espressione politica di un partito che ormai non rappresenta che una risibile minoranza in Italia. E’ stata lei a rinfocolare l’illegittima annessione della Crimea: il casus belli perfetto per la Nato dopo il fallimento del tentativo di dimostrare al mondo intero la cattiveria del governo siriano di Bashar Al Assad e l’ormai schiacciante vittoria dei russi nel paese mediorientale sia sul fronte bellico che diplomatico. Ma vediamo nel dettaglio tutti i fatti…
IL CONFLITTO SOTTO IL PONTE PER LA CRIMEA

La motovedetta della Guardia Costiera russa mentre insegue l’imbarcazione Ucraina
«La Russia ha confermato che le sue navi hanno usato gli armamenti per fermare illegalmente le navi ucraine che erano entrate nelle acque russe nel Mar Nero. Tre marinai ucraini sono stati feriti e hanno ricevuto assistenza medica. La Russia ha sparato contro un gruppo di tre navi ucraine che sono entrate nelle sue acque territoriali nei pressi della Crimea, come confermato dal Servizio di sicurezza russo (FSB). Le navi furono quindi sequestrate e saranno rimorchiate nel porto di Crimea di Kerch». E’ di questa notte la notizia dell’agenzia Russia Today che conferma lo scontro a fuoco avvenuto davanti alla penisola crimeana denunciato alcune ore prima dalle autorità di Kiev. «Le navi della Marina Ucraina “Berdiansk”, “Nikopol” e “Yany Kapu” con i loro equipaggi sono detenute per aver violato le acque territoriali russe – hanno comunicato i servizi segreti dello FSB (ex Kgb) in una nota ufficiale di domenica sera – Stavano ignorando le “richieste legali di fermarsi” e “eseguendo manovre pericolose” e le navi da guerra russe hanno dovuto aprire il fuoco per costringerli a fermarsi. Un’indagine penale è stata avviata contro la presunta violazione del confine di stato russo».


Lo scontro navale davanti alla Crimea

Come evidenzia l’intelligence russa «le autorità ucraine sono a conoscenza della procedura che regola il passaggio delle navi militari attraverso le acque territoriali russe» ma entrambe le parti si accusano a vicenda di violare la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. «Kiev sostiene di aver informato la parte russa in anticipo del suo piano di navigare dalla località ucraina del Mar Nero di Odessa a Mariupol, un porto sulla costa settentrionale del Mar d’Azov, un’affermazione che la guardia costiera russa nega» si evidenzia nell’articolo di Russia Today. La questione rimane controversa per il fatto che l’Ucraina e l’Unione Europea non riconoscono la Repubblica di Crimea che si è dichiarata indipendente e il 18 marzo 2014, a seguito di un referendum considerato illegale e non valido dalla comunità internazionale ma che registrò ben il 97,2 % di voti favorevoli alla proclamazione dell’autonomia ed all’annessione alla Federazione Russa con il nome di Repubblica di Crimea. Vicenda da cui scaturirono le pesanti sanzioni contro la Russia da parte di Ue e Usa.
NAVIGAZIONE VIETATA NELLO STRETTO: IL CASO ALL’ONU


Lo stretto di Kerch dove è avvenuto lo scontro navale

Proprio in un momento estremamente delicato in cui sembrava che il conflitto tra Mosca ed occidente si stesse acquietando in Siria e nelle relazioni diplomatiche ecco il “casuale” incidente in Ucraina che, secondo Kiev, sarebbe scaturito dallo speronamento di un rimorchiatore ucraino, il cui motore e lo scafo sono rimasti danneggiati, da parte della lancia dei guardiacoste russi Don. Una palese «provocazione» per le autorità ucraine. Una recriminazione che la Russia rimanda al mittente per il tramite dello Fsb che accusa invece l’Ucraina di voler provocare «un conflitto nella regione», aggiungendo di aver preso «tutte le misure per garantire la sicurezza della navigazione» come riporta il Corriere della Sera che dà la notizia del transito vietato alla navigazione per il Mar d’Azov. «Il passaggio attraverso lo Stretto di Kerch per navi civili è chiuso», ha comunicato Alexei Volkov, amministratore delegato dei porti marittimi crimeani. Il transito sotto il viadotto di recente e rapidissima costruzione che collega la Crimea con la regione di Taman nel Krasnodar (il più lungo d’Europa con i suoi 19 km, inaugurato da Vladimir Putin alla guida del primo camion il 16 maggo 2018) è stato bloccato anche con il posizionamento di una petroliera. Per questo scontro marittimo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha convocato una riunione di urgenza per oggi, lunedì, alle 11 del mattino ora di New York, ore 17 italiane. L’annuncio è stato dato dall’ambasciatrice americana all’Onu, Nikky Haley. «La Nato ha esortato entrambe le parti a mostrare moderazione – evidenzia ancora Russia Today – La portavoce del Patto Atlantico, Oana Lungescu, ha dichiarato che la Nato ha “monitorato da vicino gli sviluppi nel Mar di Azov e nello Stretto di Kerch”, confermando il proprio sostegno all’Ucraina: “La NATO appoggia pienamente la sovranità dell’Ucraina e la sua integrità territoriale, compresi i suoi diritti di navigazione nelle sue acque territoriali”».
L’ITALIANA MOGHERINI DIFENDE KIEV: CRIMEA E’ DELL’UCRAINA
Una posizione analoga è stata espressa dall’Alto rappresentante dell’Unione Euopea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che, comne riferisce il Corsera, ha chiesto alla Russia di allentare la tensione e di ripristinare la libertà di circolazione nello stretto. La situazione ad Azov, ha sottolineato Mogherini, dimostra come le tensioni e l’instabilità possono alimentarsi «quando non si rispettano le norme basilari di cooperazione internazionale». A tal proposito l’Alto rappresentante ha ricordato che la costruzione del ponte di Kerch, voluta dal presidente russo Vladimir Putin per collegare direttamente la Crimea alla Russia, è una «violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina». L’Ue, ha ricordato, «non riconosce l’annessione illegale della penisola di Crimea alla Russia»che ha scatenato una crisi e una raffica di sanzioni tra l’Occidente e Mosca. Nel frattempo il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha convocato una riunione d’emergenza con i vertici militari per assumere posizioni alquanto drastiche come evidenzia un altro articolo pubblicato questa notte dalla stessa agenzia Russia Today.
LA LEGGE MARZIALE IN UCRAINA PER RADERE AL SUOLO IL DONBASS


Petro Poroshenko ha convocato i vertici militari a Kiev

«Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha detto che proporrà di dichiarare la legge marziale in seguito al litigio nel Mar Nero che ha visto le forze armate russe sequestrare le navi ucraine per aver violato le acque territoriali russe – scrive RT – Il Consiglio nazionale ucraino per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina (NSDC) ha annunciato la dichiarazione di legge marziale per 60 giorni. La mozione dovrà ora arrivare al parlamento ucraino, la Verkhovna Rada, per l’approvazione finale». Secondo quanto riportato dall’agenzia di Mosca si tratterebbe di un’azione preventiva e deterrente perché «il leader ucraino afferma che Kiev non prevede di effettuare alcuna operazione offensiva se viene imposta la legge marziale» ma lo stesso Poroshenko avrebbe aggiunto dichiarazioni di tenore esattamente opposto: «Facciamo appello all’intera coalizione internazionale filo-ucraina: dobbiamo unire gli sforzi» avrebbe dichiarato il presidente ucraino aggiungendo che lunedì discuterà ulteriori passi con il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e con l’Unione Europea per «coordinare le nostre azioni per garantire la protezione dell’Ucraina». Poroshenko ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica sostenendo che la decisione di Kiev di imporre la legge marziale non violerà i diritti e le libertà dei suoi cittadini, osservando che l’Ucraina effettuerà solo azioni difensive per proteggere il suo territorio e le persone. Il presidente ucraino ha anche aggiunto che l’imposizione della legge marziale non influenzerà la situazione di stallo nelle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk, che sono «in un traballante stato di tregua con Kiev». Ma di fatto renderà legittima qualsiasi rappresaglia perché qualsiasi dichiarazione, gesto o assembramento potrebbe essere interpretato come una “minaccia” tale da motivare, senza bisogno di legittimazioni parlamentari, un attacco decisivo e riprendersi il Donbass che fa gola soprattutto a Burisma – la società energetica nazionale in cui siede il figlio dell’ex vicepresidente Usa Joe Biden, braccio destro di Barack Obama – per i giacimenti di gas e petrolio del sottosuolo.
UN ESCAMOTAGE ANCHE PER BLOCCARE LE PRESIDENZIALI IN UCRAINA
La legge marziale consente al governo ucraino di limitare una serie di libertà civili altrimenti protette dalla Costituzione, come la libertà di stampa, la libertà di movimento e la libertà di riunione il che significa «restrizioni al viaggio fino a impedire ai residenti di lasciare del tutto il paese, controlli più severi alle frontiere, maggiore controllo sui media e consente il diritto di vietare raduni pacifici, proteste e manifestazioni, così come altre azioni di massa, come le attività di partiti politici e associazioni pubbliche. Inoltre, né le imminenti presidenziali, né le elezioni parlamentari possono essere tenute con la legge marziale in vigore: se dovesse durare solo 60 giorni ciò non creerebbe problemi alle consultazioni di marzo e ottobre ma se fosse prorogata impedirebbe le presidenziali del 31 marzo che vedono Poroshenko in crisi di leadership. «Secondo un recente sondaggio – riferisce Russia Today – solo il 7,8 per cento degli ucraini è pronto a votare per l’attuale leader ucraino nel voto di marzo. La corsa è guidata dall’ex primo ministro ucraino Yulia Tymoshenko con circa il 18,5% dei voti. Poroshenko è anche dietro a un famoso comico ucraino, Volodymyr Zelenskiy, che è al secondo posto con il 10,8 per cento, nonostante non abbia ancora confermato la sua candidatura».
SI RIACCENDE IL CONFLITTO IN SIRIA DOPO L’ATTACCO CHIMICO

Uno degli intossicati dai proiettili al cloro ad Aleppo mentre viene ricoverato in ospedale

La crisi nel Mar d’Azov scoppia all’indomani della recrudescenza del conflito in Siria. Come riporta Tg24 di Sky sabato scorso «oltre cento persone sono rimaste ferite dopo un sospetto attacco chimico che, secondo le autorità siriane e l’agenzia di Stato, è stato condotto ieri dai ribelli ad Aleppo, nel nordest della Siria. I ribelli hanno negato responsabilità. Ma la Russia ha reagito bombardando diversi settori sotto il controllo di insorti e jihadisti. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (Sohr) ha riferito che il bombardamento ha martellato il quartiere di Al Rashidin, alla periferia di Aleppo, e la località di Khan Tuman, a sudovest della città. Si tratta dei primi bombardamenti sulle zone da più di due mesi, cioè da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco il 17 settembre scorso». Il governo di Damasco ha accusato i ribelli della periferia di Aleppo, nella zona demilitarizzata negoziata tra Russia e Turchia nel nordovest della Siria, intorno alla provincia di Idlib, roccaforte della resistenza siriana e dei jihadisti di Al Nusra e Isis, di aver utilizzato proiettili al cloro in questo bombardamento contro alcune zone residenziali, ma i rivoluzionari hanno respinto ogni addebito accusando Assad di voler minare il cessate il fuoco. L’agenzia di stampa statale Sana ha riportato che l’attacco è stato effettuato da “gruppi terroristici posizionati nella campagna di Aleppo”, che hanno sparato su tre quartieri. Il ministero degli Esteri siriani, secondo l’agenzia, ha aggiunto che “questo atto terroristico” è stato condotto con il sostegno di “alcuni Paesi” che hanno aiutato i ribelli ad avere accesso alle sostanze chimiche. Sana ha anche segnalato 107 casi di soffocamento secondo la ong Sohr 94 persone sono state curate e dimesse mentre 31 sono ancora in ospedale (alcune in gravi condizioni). Poche ore dopo la diffusione della notizia dell’attacco, Mosca ha reagito bombardando diversi punti sotto il controllo di ribelli e jihadisti vicino ad Aleppo. «I caccia hanno colpito le posizioni di artiglieria dei terroristi nella zona, da dove sono stati condotti i bombardamenti sui civili di Aleppo con armi chimiche» ha dichiarato il portavoce dell’esercito russo, il generale Igor Konashenkov aggiungendo che una squadra di specialisti è stata inviata ad Aleppo. Per gli attacchi la Russia potrebbe aver già utilizzato i quattro nuovi caccia stealth Sukhoi Su 57 di ultima generazione posizionati in Siria dopo l’abbattimento dell’areo di ricognizione avvenuto a settembre.
IDLIB COME LA STRISCIA DI GAZA


Terroristi qaedisti di Al Nusra a Idlib in una tenda con il marchio Usaid (United States Agency fort International Development), l’agenzia governativa americana per la lottà alla povertà globale e il rafforzamento delle democrazie nei paesi del terzo mondo

L’attacco chimico su Aleppo ed i conseguenti bombardamenti russi rappresentano la più grave violazione della tregua raggiunta da Russia e Turchia, che aveva creato un cuscinetto di protezione intorno alla provincia di Idlib, uno degli ultimi covi dei ribelli e dei jihadisti in Siria. L’accaduto rievoca la storia della striscia di Gaza dove ogni volta che ci sono accordi di pace i terroristi palestinesi di Hamas lanciano missili pur sapendo che la contraerea israeliana li abbatterà quasi tutti ma per poter poi recriminare su eventuali rappresaglie di Tel Aviv. E viene davvero difficile ritenere affidabili i ribelli che smentiscono l’attacco chimico nel momento in cui combattono fianco a fianco con i jihadisti che spesso hanno la supremazia di comando per i metodi intimidatori con cui seminano il terrore nei villaggi da loro controllati. D’altronde la tregua e la zona demilitarizzata rappresentano un isolamento senza uscita tanto per la resistenza siriana che per i terroristi islamici di Al Nusra e di Isis (in minoranza nell’area). Ecco perché il governo siriano, intanto, ha inviato una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e al Consiglio di sicurezza per chiedere una condanna «immediata e forte» dell’«attacco con gas tossico» ad Aleppo. Il ministero degli Esteri siriano ha esortato l’Onu a prendere «misure deterrenti, immediate e punitive» contro gli Stati e i regimi che finanziano il terrorismo. Come già scritto in un precedente articolo “I cospiratori contro Assad” tra i sostenitori dei ribelli c’erano anche il Bilderberg e George Soros (articolo a fondo pagina)
LA SOLIDARIETA’ DI MACRON ALLA RESISTENZA SIRIANA


Il presidente francese Emmanuel Macron

Sulla questione è intervenuto anche il presidente francese Emmanuel Macron: ha spiegato che discuterà dei recenti sviluppi in Siria con i partner internazionali, membri Ue e non, nei prossimi giorni. Ma proprio lui, come riporta l’agenzia Reuters, ha preso spunto dall’uccisione di un radiocronista satirico siriano per esprimere solidarietà anche ai rivoluzionari. «Il presidente francese Emmanuel Macron ha elogiato il coraggio di Raed al-Fares, un attivista di spicco che è stato ucciso a colpi di arma da fuoco insieme al suo amico Hamoud al-Juneid in Siria venerdì – scrive la Reuters – Fares era un attivista pro-democrazia che gestiva una stazione radio a Idlib, nel nord-ovest della Siria, che forniva notizie indipendenti e ironizzava sia sul presidente Bashar al-Assad che i ribelli dell’opposizione». Secondo l’Osservatorio siriano Sohr uomini armati non identificati hanno sparato e ucciso Fares, insieme al suo amico, a Kafranbel, sede della sua stazione Radio Fresh.



Il tweet di Emmanuel Macron

«Sono stati uccisi in modo codardo. Erano la coscienza della rivoluzione e si sono schierati pacificamente contro i crimini del regime e dei terroristi. Non dimenticheremo la resistenza di Kafranbel» ha detto Macron su Twitter che pare aver trovato così una scusa per giustificare un nuovo interessamento della Francia alla causa dei ribelli. Non va infatti dimenticato che fu la fregata francese Auvergne che diede copertura al raid aereo israeliano contro alcune basi di Hezbollha, gli sciiti libanesi alleati del governo di Assad, nel quale ci fu l’incidente che costò la vita a 15 uomini dell’equipaggio di un aereo russo di ricognizione. Un attacco sferrato da Isarele e Francia proprio il giorno dopo in cui Russia e Turchia avevano firmato l’accordo di tregua su Idlib. L’abbattimento fu imputato ad un errore della contraerea siriana e Putin, molto diplomaticamente, non reagì militarmente ma annunciò un rafforzamento degli armamenti avvenuto con l’invio in Siria delle batterie antiaereo S-400 e dei quattro avveniristici caccia Su 57.
UNA GUERRA PER SALVARE L’UE E REPRIMERE I POPULISTI
In un momento in cui l’Italia sta arrivando alla resa dei conti con i tecnocrati di Bruxelles, in cui la popolarità di Macron sta precipitando a causa dei disordini interni causati dalle proteste dei “gilets jaunes” per il caro benzina e nel Regno Unito procede a singhiozzo la Brexit voluta dal referendum popolare ma fortemente osteggiata da frange di potere mondialiste fedeli all’Unione Europea, ecco che non esiste migliore distrazione politica che quella di un escalation dei conflitti bellici. Una soluzione che, come ben intuito da Poroshenko, potrebbe giustificare leggi di emergenza in grado di consolidare i governanti contestati e anzi dotare premier e presidenti nazionali di maggiori poteri di controllo di manifestazioni dei populisti. Se Francia e Gran Bretagna sono sempre state al fianco degli Usa nella sfida alla Russia in Siria ci sarà da capire quale posizione potrebbe tenere l’Italia ma come è noto si sa che nella Repubblica Italiana il capo delle Forze Armate è il Presidente della Repubblica che, come già avvenuto nel 2011 per il bombardamento della Libia contro Gheddafi ordinato dal presidente Giorgio Napolitano al premier Silvio Berlusconi, può essere di fatto imposto da Sergio Mattarella al Governo di Giuseppe Conte. Soprattutto se il casus belli non è solo la controversa questione siriana ma quella della Crimea che l’Unione Europea, proprio per bocca di un’italiana, ribadisce essere dell’Ucraina. Ciò determinerebbe il paradosso che alcuni esponenti politici del partito sconfitto alle recenti elezioni, i piddini Mattarella e Mogherini, di fatto deciderebbero il ruolo dell’Italia in un eventuale scontro bellico. Ecco perché Matteo Salvini dovrebbe cominciare quanto prima ad occuparsi di più anche di politica estera e trovare una soluzione per risolvere l’anomalia di due Dem nei centri di potere più importanti per l’Italia.
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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