venerdì 22 maggio 2020

I contagi cinesi che hanno annichilito l’Italia. La Cina è una pericolosa tirannia comunista. Ma ecco cosa si dice della Cina fra le forze di governo e in Vaticano


Nel 1996, quasi 25 anni fa, Alberto Pasolini Zanelli pubblicò un prezioso pamphlet dal titolo “Il genocidio dimenticato (la Cina da Mao a Deng)”, edito da Ideazione.

Vittorio Feltri, nella sua prefazione (entusiasta del talento dell’autore), confessava che —a differenza di tanti innamorati del regime di Pechino — lui non aveva nessuna voglia di oltrepassare la Grande Muraglia, ‘e dunque’ — scriveva testualmente — “addio Cina, che sarà anche vicina, ma spererei non esagerasse e non ci contagiasse”.

Alla fine siamo stati affondati proprio da un “contagio” arrivato dalla Cina. Ora ci ritroviamo un Paese ribaltato dalla pandemia, con migliaia di morti, con un’economia allo sfascio come nel dopoguerra, con una democrazia boccheggiante e perfino impediti nella nostra libertà di movimento personale e nei nostri rapporti umani. Tutto il mondo è in questa stessa situazione, ma l’Italia è fra i Paesi che stanno peggio.

Il regime cinese ha delle responsabilità? Al di là delle polemiche sul laboratorio di Wuhan (prima o poi si troverà la verità), una ricerca dell’Università di Southampton ha calcolato che se la Cina — invece di reprimere chi già aveva scoperto l’epidemia — avesse agito per circoscriverla una, due o tre settimane prima, i casi sarebbero stati inferiori del 66%, dell’86% e del 95%, con una diffusione assai più contenuta nel resto del mondo.

Il Covid-19, per l’Italia, è stato il colpo di grazia imprevisto. Ma il “contagio’ a cui alludeva Feltri era anzitutto quello ideologico ed economico. Infatti proseguiva cosi: “La Cina è destinata, entro il 2020, a diventare la prima potenza del mondo. Sarà capitalista, ma se tutto va secondo tradizione, sarà un orribile capitalismo collettivistico, che della libertà si farà un baffo’.

E’ andata proprio così e oggi quella potenza di (quasi)1 miliardo e mezzodì persone, dove tutto è controllato dal Partito Comunista, sta veramente diventando la prima economia del mondo, con una politica imperialisticache impone sudditanza anche ai paesi liberi.

Come è stato possibile? Lo ha fatto, in questi venti anni, con un sistema economico che non ha le garanzie sociali, i costi di produzione e gli obblighi della nostra industria e che quindi ha annichilito la concorrenza e la manifattura occidentale, impoverendo ceto medio e lavoratori dei nostri paesi

Il libero mercato mondiale cosi non poteva funzionare ed è stato devastato. infatti uno degli slogan con cui Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali nel 2016 era: la Cina ha distrutto l’America.

L’ingresso della Cina nel commercio mondiale, nel Wto, fu propiziato da Bill Clinton che Giulio Tremonti definiva come il leader dell'”Ulivo mondiale”

Tremonti fu l’unico a mettere in guardia a tempo debito da quella operazione. in un’intervista del 2003 egli (allora in consonanza con il leader leghista Bossi) diceva: l’Europa dovrebbe proteggere il mercato interno e la sua produzione nazionale non solo con i dazi doganali, ma anche con strumenti indiretti, come i controlli alimentari, sanitari, ambientali e di tutela sociale sui prodotti in arrivo dall’Estremo Oriente”.

L’allora ministro dell’Economia sosteneva che si poteva integrare la Cina nell’economia mondiale, ma gradualmente, non d’improvviso, perché sarebbe stato devastante. Si doveva prima esigere che il regime introducesse delle garanzie sociali, sia per ragioni umanitarie, sia per rendere la concorrenza leale e corretta. invece si decise l’opposto.

Tremonti ricordava in quell’intervista che era stato nel 1999 nEl summit della Wto di Seattle, che si è aperto il vaso di Pandora… Seattle è stata, tra l’altro, un’iniziativa tipica dell’Ulivo mondiale: l’officiante era Bill Clinton, nella platea dei chierici, per l’Italia, c’era il ministro del Commercio estero Piero Fassino, che sposò senza riserve la tesi del vaso di Pandora. Così l’ex comunista Fassino è passato dal dogma di Mosca al dogma mercatista di Seattle, che è l’estremizzazione della dottrina liberale dei libero mercato. Il risultato politico è evidente: oggi a difendere il lavoro e le imprese dal mercatismo della Wto è la destra, non la sinistra’

La Cina nel dicembre 2001 era entrata nel Wto (che le accordò addirittura lo statuto speciale di Paese in via di sviluppo) e da allora il suo Pil è esploso. raggiungendo il primato mondiale. Anche la sua influenza geopolitica si è ingigantita. Così oggi ci troviamo una grande potenza comunista, che non ha mai allentato il suo totalitarismo (continuando a calpestare i diritti umani) e che sta vincendo la sfida globale.

In effetti è stato impressionante sentire Xi Jinping a Davos nel 2017 presentarsi come il paladino della globalizzazione, contro Trump, indicato come nemico della globalizzazione.

Il leader grillino Alessandro Di Battista in una recente intervista ha rivendicato trionfalmente il fatto che l’Italia ha “un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio. La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europeo tale relazione”.

Una dichiarazione che dice molto sulla vicinanza dell’attuale maggioranza di governo al regime cinese. Il quale può contare anche sulla sponda dell’attuale Vaticano che manifesta tanta simpatia verso Pechino, quanta è l’antipatia verso la Casa Bianca.

Il braccio destro di papa Bergoglio, l’argentino mons. Marcalo Sànchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle scienze, dopo un viaggio a Pechino, ha esaltato la Cina come un Paese dove il ‘bene comune” è il valore primario. Ed ha aggiunto: “In questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”.

Parlava di una tirannia che ha fatto un oceano di vittime fin dal suo instaurarsi e che calpesta sistematicamente i diritti dell’uomo, a cominciare dalla libertà religiosa. Sorondo peraltro non ha mancato in quell’occasione di attaccare gli Stati Uniti di Trump.

Con il ciclone Covid-19 i rapporti fra Usa e Cina si sono fatti ancora più aspri. Trump in questi giorni ha dichiarato che potrebbe “tagliare l’intero rapporto con la Cina”. E’ ormai un braccio di ferro esplicito per il primato geopolitico.

E l’Italia? Nei giorni scorsi un leader storico della sinistra, Massimo D’Alema, in una conferenza sulla globalizzazione, ha detto: “in un quadro di accentuato conflitto tra le due grandi potenze, Stati Uniti e la Cina, non so che cosa l’Europa possa ragionevolmente fare. Già il partito anti-cinese è all’opera anche in Europa, in un clima di nuova guerra fredda. Ho molti dubbi sul protagonismo europeo perché purtroppo noi sappiamo che quando si apre un dissidio con gli americani si disfa anche l’unità Europea. Una parte della destra americana è ormai attratta da uno scenario di una nuova guerra fredda’.

Il giudizio di Dio nella storia


(Rome Life Forum on-line, 20 maggio 2020)

Terra infecta est ab habitatoribus suis,
propter hoc maledictio vastabit terram

Isaia 24, 6.

Nell’epoca del coronavirus, si può parlare di tutto, ma ci sono certi temi che continuano a restare proibiti, soprattutto nel mondo cattolico. Il principale di questi temi forse è quello del giudizio e della retribuzione divina nella storia. L’esistenza di questa censura è una buona ragione per affrontare l’argomento.


Il Regno di Dio e la sua giustizia

Non parto dall’Antico Testamento, dove i riferimenti ai castighi divini sono innumerevoli, ma dalle parole stesse di Nostro Signore che ci dice: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù” (Mt. 6, 31-33).

Queste parole del Vangelo sono un programma di vita per ognuno e ci ricordano una delle beatitudini: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati” (Mt, 5, 6).

La nozione di giustizia è una delle prime nozioni morali della nostra ragione: i filosofi la definiscono come l’inclinazione della volontà a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto. L’anelito alla giustizia è nel cuore di ogni uomo. Noi non cerchiamo solo ciò che è vero, buono, bello, ma anche ciò che è giusto. Tutti amano la giustizia e detestano l’ingiustizia. E poiché il mondo è colmo di ingiustizie e la giustizia umana, quella amministrata dai tribunali, è imperfetta, noi aspiriamo a una giustizia perfetta, che sulla terra non esiste, e che solo in Dio possiamo trovare.

Il più celebre processo della storia, quello a Nostro Signore Gesù Cristo, sancì la più clamorosa ingiustizia di tutti i tempi. Ma Dio è infinitamente giusto, perché dà infallibilmente a ciascuno il suo. La bellezza dell’universo sta nel suo ordine e l’ordine è il regno della giustizia, perché l’ordine è dare a ogni cosa il suo posto e la giustizia è dare a ciascuno il suo: unicuique suum, come stabiliva il diritto romano.

L’infinita giustizia di Dio

L’infinita giustizia di Dio ha la sua suprema manifestazione in due diversi giudizi che attendono l’uomo al termine della sua vita: il giudizio particolare, a cui è sottoposta ogni anima al momento della morte, e il giudizio universale, a cui saranno sottoposti tutti gli uomini, in anima e corpo, dopo la fine del mondo.

E’ fede della Chiesa: al temine della propria vita ogni uomo si presenta davanti a Dio, Signore e Giudice supremo, per riceverne il premio o il castigo. Per questo l’Ecclesiastico dice: Memor est judicii mei, sic enim erit et tuum (Eccl. 38). Ricordati del mio giudizio se vuoi anche tu imparare a giudicare bene.

Nel giudizio particolare, spiega il padre Garrigou-Lagrange, l’anima capisce spiritualmente di essere giudicata da Dio e sotto la luce divina la sua coscienza pronuncia lo stesso giudizio divino. “Questo accade nel primo istante in cui l’anima è separata dal corpo, cosicché tanto è vero dire di una persona che è morta, quanto è vero dire che è giudicata” 1. La sentenza è definitiva e l’esecuzione della sentenza è immediata.

Il giudizio di Dio è diverso da quello degli uomini. E’ celebre il caso di Raymond Diacres, celebre professore della Sorbona, morto nell’anno 1082. Tra i presenti al suo funerale, nella chiesa di Notre Dame di Parigi, vi era una moltitudine di persone, tra cui il suo allievo san Bruno di Colonia. Durante la cerimonia avvenne un fatto sconvolgente, esaminato in tutti i particolari dagli studiosi Bollandisti.

La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l’uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito:

“Rispondimi: quante iniquità e peccati hai…?”, si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: “Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!”.

Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. La domanda fu ripetuta e il defunto gridò con voce ancora più forte di prima: “Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!”.

Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al cadavere e constatarono che era veramente morto. Tra lo spavento e lo sconcerto generale, le autorità ecclesiastiche decisero di rimandare il funerale al giorno successivo.

II giorno seguente fu ripetuto l’ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi: quante iniquità e peccati hai…?”. Il cadavere si alzò da sotto il velo funebre e gridò: “Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all’inferno per sempre!”2.

Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune. Sul feretro del dannato furono scritte le parole che egli pronuncerà al momento della resurrezione: Justo Dei judicio accusatus sum; Justo Dei judicio judicatus sum: Justo Dei judicio condemnatus sum. L’accusa, la condanna, l’assoluzione: questo è ciò che aspetterà i reprobi il giorno del Giudizio universale.

Per questo sant’Agostino, nella Città di Dio, dice: “coloro che necessariamente moriranno non devono preoccuparsi molto di ciò che avviene per farli morire, ma del luogo dove saranno costretti ad andare dopo morti” 3. E questo luogo, aggiungiamo noi, è l’inferno o il paradiso.

Il Messaggio di Fatima si apre con la terrificante visione dell’inferno e ci ricorda che la nostra vita sulla terra è molto seria, perché ci pone di fronte a una scelta drammatica: il paradiso o l’inferno: la felicità eterna o l’eterna dannazione. A seconda della nostra scelta saremo giudicati e la sentenza, una volta pronunciata, sarà inappellabile.

Il giudizio universale

Ma un secondo giudizio ci aspetta dopo la morte: il giudizio universale.

L’esistenza di un giudizio universale, che seguirà al giudizio particolare, è una proposizione di fede. Sant’Agostino sintetizza l’insegnamento della Chiesa in queste parole: “Nessuno mette in dubbio o nega che Gesù Cristo come lo annunzia la Sacra Scrittura, pronunzierà l’ultimo giudizio”4. Sarà l’ultimo giudizio, a cui nessuno potrà sottrarsi.

Nell’ora del Giudizio universale, Gesù-Cristo, l’Uomo-Dio, apparirà dall’alto dei Cieli, preceduto dalla Croce circondato da schiere di Angeli e di Santi (Mt 24, 30-31), seduto in un trono di maestà (Mt 25, 30). Il ruolo di Giudice gli è stato attribuito dal Padre, come Gesù stesso ci rivela nel Vangelo: “Da me io non posso fare nulla; io giudico secondo  ciò che ascolto e il mio giudizio è giusto perché non cerco il mio volere ma il volere di Colui che mi ha mandato” (Gv 5, 30).

Ma perché è necessario un giudizio universale, dato che Dio giudica ogni anima immediatamente dopo la morte e nel giudizio universale sarà confermata la sentenza già data nel giudizio particolare? Non basterebbe un solo giudizio?

San Tommaso risponde: “Ogni uomo è una persona a sé ed è nello stesso tempo parte di tutto il genere umano; perciò gli si deve un duplice giudizio: l’uno particolare, dopo la sua morte, quando riceverà secondo quello che fece in vita, sebbene non interamente, perché riceverà non quanto al corpo, ma solo quanto all’anima; ma un altro giudizio dovrà esserci secondo che noi siamo parte del genere umano: il giudizio universale di tutto il genere umano, per mezzo dell’universale separazione dei buoni dai cattivi”5 .

Lo stesso Dottore Angelico spiega, in un altro passo, che, sebbene la vita temporale dell’uomo termina con la morte, essa si prolunga in qualche modo nel futuro, perché continua a vivere nella memoria degli uomini, a cominciare dai figli. Inoltre la vita dell’uomo continua negli effetti delle sue opere. Per esempio, dice san Tommaso, “dall’impostura di Ario e degli altri impostori pullula l’incredulità fino alla fine del mondo; e fino a codesto termine si dilaterà la fede in forza della predicazione degli apostoli”6.

Il giudizio di Dio dunque non si conclude con la morte, ma si estende fino alla fine dei tempi, perché fino alla fine dei tempi potrà estendersi l’influenza buona dei santi o quella cattiva dei reprobi. San Benedetto, san Francesco e san Domenico meriteranno di essere ricompensati per tutto il bene che la loro opera ha continuato a fare fino alla fine del mondo, mentre Lutero, Voltaire e Marx dovranno essere puniti per tutto il male che le loro opere hanno fatto fino alla fine del mondo. Per questo deve esserci un giudizio finale, in cui venga giudicato perfettamente e palesemente tutto ciò che riguarda ciascun uomo in qualsiasi maniera. Mentre nel giudizio particolare sarà giudicato il singolo soprattutto per quanto riguarda la rettitudine dell’intenzione con cui ha operato, nel giudizio universale saranno giudicate le sue opere oggettive, soprattutto per gli effetti che hanno avuto sulla società.

Dopo il giudizio immediato, di fronte a Dio, al momento della morte, è necessario che ci sia un giudizio pubblico di fronte non solo a Dio, ma a tutti gli uomini, agli angeli, ai santi, alla beatissima Vergine Maria, perché, dice il Vangelo: “nulla vi è di nascosto che non sia palesato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto” (Lc, 12, 2). E’ giusto che coloro che hanno guadagnato il Cielo, grazie a sofferenze e persecuzioni, siano glorificati e che tanti empi e perversi che hanno condotto davanti agli uomini una vita felice, siano pubblicamente disonorati. Il padre Schmaus dice che nel giudizio finale verrà rivelata la verità o la menzogna delle opere culturali, scientifiche, artistiche degli uomini; la verità, o la menzogna degli indirizzi filosofici, delle istituzioni politiche, delle forze religiose e morali che hanno mosso la storia; il significato delle sette e delle eresie, delle guerre e delle rivoluzioni7. I corpi di Ario, di Lutero, di Robespierre, di Marx sono già in polvere, ma nel giorno del giudizio i loro libri, le loro statue, i loro nomi, dovranno essere pubblicamente esecrati.

Aggiungiamo che l’uomo nasce e vive all’interno di una nazione e la sua azione contribuisce a trasformare, nel bene o nel male, le nazioni e i popoli in cui egli vive, e anche questi popoli e queste nazioni, andranno giudicati nella loro cultura, nelle loro istituzioni, nelle loro leggi. Per questo il Vangelo dice che quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria “si aduneranno intorno a lui tutte le nazioni, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai suoi capretti: e metterà le pecorelle alla sua destra e i capretti alla sinistra” (Mt 25, 31-46).

Il giudizio dunque non sarà pronunziato solo sopra i singoli, uomini ed angeli. Anche le nazioni sono chiamate a compiere i disegni della Divina Provvidenza e devono quindi conformarsi alla volontà divina che regge e regola l’universo. Al giudizio universale sarà manifestato se e quanto ciascun popolo ha adempiuto al compito assegnatogli da Dio8.

“Ragioni di sapienza mantengono dei segreti nel corso dei tempi, – scrive monsignor Antonio Piolanti – ma il tempo alla fine dovrà versare il suo tesoro davanti agli occhi dell’universale assemblea. Tutte le maschere cadranno e i fariseismi felici recheranno il marchio di una incancellabile infamia”9.

Il giudizio si estenderà a tutta la storia umana, che sarà pubblicamente svelata, a maggior gloria di Dio. Sarà il trionfo della Divina Provvidenza che nel corso della storia guida, in maniera invisibile e impenetrabile, i destini degli uomini e dei popoli.

Tutti nella valle di Giosafat, di fronte alla sentenza inappellabile proclameranno la grande parola. Iustus es Domine, et rectum iudicium tuum (Ps 117, 137): Tu sei giusto o Signore, e il tuo giudizio è pieno di equità.

Il giudizio particolare e il giudizio universale sono i due momenti supremi in cui si manifesta il giudizio di Dio sugli uomini e sulle nazioni. A questo giudizio divino segue un premio o un castigo. Ma agli uomini, il premio o il castigo si applica, sia durante la vita, sia per l’eternità, dopo la morte, mentre alle nazioni, che non hanno vita eterna, il premio o il castigo viene applicato solo nella storia. E poiché il giudizio universale chiude la storia, Gesù Cristo, in quel momento, non condanna le nazioni alla pena eterna, ma svela agli occhi di tutta l’umanità riunita, come le nazioni sono state premiate o punite nel corso della storia, in seguito alle loro virtù o ai loro peccati.

E’ importante comprendere che, sia per i singoli uomini, che per le nazioni, il giudizio universale è il momento culminante del giudizio divino, ma Dio non si limita a giudicare solo in quell’ora: giudica, si può dire, fin dal momento della creazione dell’universo. All’origine della storia universale, c’è un giudizio: quello portato da Dio contro Lucifero e gli angeli ribelli, così come all’origine della creazione dell’uomo c’è il giudizio portato contro Adamo ed Eva. Da allora, fino alla fine dei tempi, il giudizio di Dio non cessa di applicarsi alle sue creature, perché la Divina Provvidenza mantiene nell’essere e dirige al suo fine il divenire dell’universo creato. Tutti i movimenti del mondo fisico, del mondo morale e del mondo soprannaturale sono voluti da Dio, escluso il peccato, che ha come sua unica causa la creatura libera.

Gesù dice che tutti i capelli del nostro capo sono contati (Lc 12, 8). A maggior ragione ogni nostro atto, sia pur minimo è giudicato da Dio. Ma Dio non è solo infinitamente giusto, è anche infinitamente misericordioso 10, e non c’è giudizio divino che non sia privo di misericordia, così come non c’è espressione della divina misericordia che non sia priva di profondissima giustizia. L’esempio forse più bello di questo abbraccio tra giustizia e misericordia ci è dato dall’immenso dono del sacramento della Penitenza. In questo sacramento, in cui il peccatore viene giudicato ed assolto, il sacerdote, che agisce in persona Christi, esercita il potere giudiziario della Chiesa, ma esercita anche la materna misericordia di Dio, assolvendoci dai nostri peccati. La giustizia di Dio interviene per ristabilire l’ordine attraverso le pene che la colpa merita, la divina Misericordia si manifesta attraverso il perdono dei nostri peccati, grazie a cui Dio ci libera dalle pene eterne.

Il castigo delle nazioni

Ciò vale per gli uomini, ma vale anche per le nazioni. Dio non è assente dalla storia, è anzi sempre presente in essa con la sua immensità e non c’è un punto o momento del tempo creato in cui non si manifesti la giustizia e la misericordia divina sui popoli. Tutte le sciagure che colpiscono le nazioni nella loro storia hanno un significato. Le loro cause talvolta ci sfuggono, ma è certo che l’origine di ogni male permesso da Dio sta nel peccato dell’uomo. San Prospero di Aquitania, allievo di sant’Agostino, dice che “spesso dell’operato divino rimangono occulte le cause e si vedono solo gli effetti”11. Un punto è certo: quali che siano le cause seconde, Dio è sempre la causa prima, tutto dipende da Lui. C’è da chiedersi a questo punto in quale modo Dio giudichi e punisca il comportamento dei popoli nella storia. La risposta della Sacra Scrittura, dei teologi e dei santi è univoca. Tria sunt flagella quibus dominus castigat: guerra, pestilenza e fame. Con questi tre flagelli, spiega san Bernardino da Siena 12, Dio punisce i tre principali vizi degli uomini: la superbia, la lussuria e l’avarizia; la superbia, quando l’anima si ribella a Dio (Apoc 12, 7-9), la lussuria quando il corpo si ribella all’anima (Gen 6, 5-7), l’avarizia quando le cose si ribellano all’uomo (Ps 96, 3). La guerra è il castigo contro la superbia dei popoli, le epidemie sono il castigo contro la loro lussuria e la fame è il castigo contro la loro avarizia.

I segni attraverso cui possiamo conoscere che i giudizi di Dio sono vicini

San Bernardino, nei suoi Sermoni, analizza il Salmo che dice: Tempus faciendi dissipaverunt legem tuam (Ps 118, 26): “E’ tempo di agire Signore, hanno dissipato la tua legge”. In questa espressione del salmista, egli distingue tre momenti: Tempus: il tempo che la misericordia di Dio concede ai popoli per emendarsi. In questo spazio di tempo Dio offre ai peccatori la possibilità di sospendere la sentenza, di revocare la pena, di rimettere le offese, di offrire la grazia. Dio attende perché vuole la conversione dei peccatori. Il tempo dell’attesa può essere lungo, ma ha un limite. Se durante questo tempo manca il pentimento, il castigo è logico e necessario.

Il secondo momento è quello in cui Dio prepara la punizione per i peccatori impenitenti: un tempo che è espresso dalle parole faciendi Domine, che riassumono, secondo san Bernardino, “l’aspra vendetta e la dura punizione di Dio”, se il popolo non si vuole emendare 13. Il castigo però è un atto di misericordia del Padre, che non vuole la morte eterna dei peccatori, ma la loro vita, e attraverso i flagelli che infligge loro, cerca ancora di ottenere la loro conversione. E’ il tempo in cui la scure è posta alla radice dell’albero: securis ad radicem arboris posita est (Mt 3, 10).

Il terzo momento è quello dell’offesa consumata: dissipaverunt legem tuam. E’ l’ora di impugnare la falce e mietere la messe, come dice l’angelo dell’Apocalisse: “Metti mano alla tua falce e mieti; poiché è giunta l’ora di mietere, perché la mèsse della terra è matura” (Apoc 14, 15). Quali sono i segni che indicano che la messe è matura? San Bernardino ne enumera sette:


l’esistenza di molti ed orrendi peccati, come a Sodoma e a Gomorra;


il fatto che il peccato viene commesso con piena avvertenza e deliberato consenso;


che questi peccati siano commessi da tutto un popolo, nel suo insieme;


che ciò accada in maniera pubblica e invereconda;


che avvenga con tutta l’affezione del cuore dei peccatori;


che i peccati siano commessi con attenzione e diligenza;


che tutto ciò venga fatto in maniera continua e perseverante 14.

E’ questa l’ora in cui Dio punisce i peccati della superbia, della lussuria e dell’avarizia, con i flagelli della peste, della guerra, della fame.

Tempus faciendi Domine, dissipaverunt legem tuam

E’ tempo di agire, o Signore, hanno violato la tua legge. Un altro grande santo dalla voce profetica, san Luigi Maria Grignion di Montfort, nella sua Preghiera infuocata, fa eco a san Bernardino, ed esclama: “E’ tempo che Voi agiate, Signore, secondo la vostra promessa. La divina legge è trasgredita, il vostro Vangelo abbandonato, i torrenti di iniquità inondano sulla terra e travolgono perfino i vostri servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà regna sovrana; il vostro santuario è profanato e l’abominio è fin nel luogo santo. Giusto Signore, Dio delle vendette, lascerete nel vostro zelo, che tutto vada in rovina? Ogni luogo diverrà alla fine come Sodoma e Gomorra? Continuerete a tacere in eterno, a pazientare in eterno?”.

San Luigi Maria scrive queste parole all’inizio del XVIII secolo. Due secoli dopo la Madonna a Fatima ha annunciato che se il mondo continuerà ad offendere Dio, esso sarà punito per mezzo della guerra, della fame e di persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre e “diverse nazioni saranno annientate”.

Ma oggi, cento anni dopo le apparizioni di Fatima, trecento anni dopo la morte di san Luigi Maria, il mondo ha smesso di offendere Dio? La divina legge è forse meno trasgredita, il Vangelo meno abbandonato, il santuario meno profanato? Non vediamo peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, come l’aborto e la sodomia, giustificati, esaltati, protetti dalle leggi degli Stati? Non abbiamo visto l’idolo del Pachamama essere accolto e venerato perfino all’interno del recinto sacro del Vaticano? Tutto questo non esige di essere giudicato da Dio, fin da ora? E chi ama Dio non deve amare e desiderare l’ora della sua giustizia, per ripetere, come nel giorno del giudizio finale: Iustus es Domine, et rectum iudicium tuum (Ps 117, 137): Tu sei giusto o Signore, e il tuo giudizio è pieno di equità?

Perché i popoli non si rendono conto dei castighi che incombono su di loro

Tra i cattolici, quando si abbattono le sciagure su un popolo, c’è chi dice di non sapere se si tratti di un castigo o di una prova. Ma a differenza che per gli uomini, i mali delle nazioni sono sempre castighi. Può succedere infatti che un uomo virtuoso debba soffrire molto per essere provato nella sua pazienza, come accadde a Giobbe. Le sofferenze che i singoli uomini incontrano nella loro vita non sono sempre un castigo, ma più spesso una prova che li prepara a guadagnarsi un’eternità felice. Ma nel caso delle nazioni, le sofferenze dovute a guerre, epidemie o terremoti, sono sempre un castigo, proprio perché esse non hanno eternità. Affermare che una sciagura possa essere “una prova” per una nazione non ha senso. Può essere una prova per i singoli uomini di una nazione, ma non per la nazione nel suo complesso, perché è nel tempo e non nell’eternità che le nazioni ricevono il loro castigo.

I castighi di una nazione aumentano in proporzione dei peccati di una nazione. E in proporzione dei peccati aumenta, da parte dei malvagi, il rifiuto dell’idea di castigo, come fece Voltaire nel suo blasfemo Poema sul disastro di Lisbona, scritto dopo il terribile terremoto che distrusse la capitale del Portogallo nel 1755. Alle blasfemie degli atei la Chiesa ha sempre risposto ricordando che tutto ciò che accade dipende da Dio e ha un significato. Ma quando sono gli stessi uomini di Chiesa a negare l’idea di castigo, vuol dire che il castigo è già in corso ed è irrimediabile. Nei giorni del coronavirus, l’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini è arrivato al punto di affermare che “è da pagani pensare a un Dio che manda flagelli”. In realtà ciò che è, non da pagani, ma da atei, è pensare a un Dio che non manda flagelli. Il fatto che questo sia il pensiero di tanti vescovi nel mondo, significa che l’episcopato mondiale è immerso nell’ateismo. E questo è un segno del castigo divino in corso.

San Bernardino spiega che quanto più il castigo di Dio è vicino, tanto meno i popoli che lo meritano se ne rendono conto 15. La ragione di questa cecità delle menti è la superbia, initium omnis peccati (Ecclesiastico 10, 15). La superbia ottenebra l’intelletto, impedendo di vedere quanto è prossima è la rovina e Dio, con questo accecamento, vuole umiliare i superbi.

Con l’aiuto di san Bernardino possiamo anche interpretare una sentenza dei Salmi che è stata ripresa da Leone XIII nel suo Esorcismo contro gli Angeli ribelli: “Veniat illi laqueus quem ignorat, et captio quam abscondit, apprehendat eum et laqueum cadat in ipsum” (Ps 34, 8). La traduzione libera di questo passo potrebbe essere: venga il laccio, cioè la trappola a cui egli non pensa e le manovre che egli nasconde colgano lui ed egli cada nel suo stesso laccio di morte.

San Bernardino dice che questo passo dei Salmi può essere interpretato sotto tre aspetti.

Dalla parte di Dio: Veniat illi laqueus quem ignorat. La prima causa di questa ignoranza viene da Dio, che per nascondere i suoi piani si serve delle epidemie e delle carestie: “laqueus est pestis vel fames et consimilia”16, dice san Bernardino. Innanzitutto Dio sottrae ai popoli le loro guide: non solo le guide politiche e quelle spirituali, ma anche gli angeli che presiedono alle nazioni. Dio sottrae poi il lumen veritatis, che è una grazia, come ogni bene che viene da Dio. Infine, Dio permette ai popoli peccatori di cadere in mano dei propri vizi, dei demoni che sostituiscono gli angeli e di malvagi, che li guidano verso l’abisso.

Et captio quam abscondit, apprehendat eum. Una volta sottratta loro ogni guida e luce di verità, i popoli impenitenti, quando Dio annuncia il castigo, non solo non si emendano, ma aumentano i loro peccati. E la moltiplicazione dei peccati aumenta l’accecamento dei popoli.

Et laqueum cadat in ipsum. I popoli peccatori ignorano l’ora del castigo, che giunge improvviso e inaspettato. Le manovre che essi tentano per distruggere il bene si rivolgono contro di loro. Essi non sono solo puniti, ma umiliati. Si compie così la profezia di Isaia: “Verrà sopra di te la sciagura, né saprai da dove nasca, piomberà su di te una calamità che non potrai scongiurare; verrà repentinamente su di te una catastrofe che non penserai” (Isaia 47, 11).

Il timore e la paura

Quando inizia il castigo, il demonio, che vede sconvolti suoi piani, diffonde nei popoli il sentimento della paura, anticamera di quello della disperazione. I malvagi negano l’esistenza della catastrofe, i buoni ne comprendono l’arrivo, ma invece di cogliere nel castigo l’occasione della loro rinascita, sono tentati di vedervi l’ora della propria rovina. Ciò accade quando essi rinunziano a vedere dietro gli eventi la mano sapiente di Dio, per inseguire le manovre degli uomini. Un autore caro a san Luigi Maria di Montfort, l’arcidiacono Henri-Marie Boudon scrive: “Dieu ne frappe que pour être regardé; et l’on n’arrête les yeux que sur les créatures”17. Dio colpisce per essere contemplato e noi invece di volgere lo sguardo a lui, lo soffermiamo sulle creature.

Ciò non significa che le manovre delle forze rivoluzionarie non debbano essere osservate, analizzate e combattute, ma senza mai dimenticare che la Rivoluzione è sempre sconfitta nella storia, per il carattere autodistruttivo del male che ha in sé, e la Contro-Rivoluzione vince sempre, per la fecondità del bene che porta in sé.

L’ateismo è l’espulsione di Dio da ogni ambito dell’attività umana. La grande vittoria dei nemici di Dio non sta nel sopprimere la nostra vita o nel restringere la nostra libertà fisica, ma nel rimuovere l’idea di Dio dalla nostra mente e dal nostro cuore. Tutti i ragionamenti, le speculazioni filosofiche, storiche o politiche in cui Dio non tiene il primo posto, sono false e illusorie.

Bossuet dice che: “Toutes nos pensées qui n’ont pas Dieu pour objet sont du domaine de la mort”18. E’ vero e noi potremmo dire che tutti i pensieri che hanno Dio per oggetto appartengono al campo della vita, perché Gesù Cristo, Giudice e Salvatore dell’umanità, è “via, verità e vita” (Gv 14, 6). Parlare del giudizio di Dio nella storia e sulla storia non è dunque parlare di morte, ma parlare di vita, e chi ne parla non è “profeta di sventura”, ma annunciatore di speranza.

Coloro che oggi con più forza rifiutano l’idea di castigo sono gli uomini di Chiesa ed essi rifiutano il castigo, perché rifiutano il giudizio di Dio, a cui sostituiscono il giudizio del mondo. Ma il timor di Dio nasce dall’umiltà, la paura del mondo nasce dall’orgoglio.

Temere Dio è la più alta sapienza: Timor Domini initium Sapientiae, dice il libro dell’Ecclesiastico, che si conclude con queste parole: Deum time, et mandata ejus serva: hoc est enim omnis homo (Eccl 12, 13): “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto”. Chi non teme Dio, sostituisce ai comandamenti divini i comandamenti del mondo, per paura di essere isolato, censurato e perseguitato dal mondo. La paura del mondo, che è una conseguenza del peccato, spinge alla fuga, il timor di Dio incita alla lotta.

Un grande autore francese, Ernest Hello dice: “Temere il nome di Dio vuol dire non aver paura di niente”19. E lo stesso Hello, ci ricorda che una parola della Sacra Scrittura di cui noi non conosceremo mai la profondità: laetetur cor meum ut timeat nomen tuum (Ps 85, 11): “gioisca il mio cuore affinché tema il tuo nome”.

C’è gioia solo dove c’è la presenza di Dio e Dio non può essere presente se non c’è il timore di Lui. Lo Spirito Santo dice che non vi è cosa migliore del timore di Dio: Nihil melius est quam timor Domini (Eccl 23, 37); lo chiama fonte di vita: Timor Domini fons vitae (Prov 14, 27); giubilo e letizia: Timor Domini gloria, gloriatio et laetitia et corona exultationis! (Eccl 1, 11).

E’ questo timore di Dio che ci spinge a riconoscere la mano divina nei tragici eventi del nostro tempo e a disporci con tranquillo coraggio alla lotta.

Il cavaliere, la morte e il diavolo 

Il cavaliere, la morte e il diavolo è un’incisione su lastra di rame di Albrecht Dürer, realizzata nel 1513. L’opera raffigura un cavaliere, con un elmo sul capo e armato di spada e di lancia, che cavalca su di un maestoso destriero, sfidando la morte, che gli mostra una clessidra col tempo della vita che fugge, e il diavolo, raffigurato come un animale cornuto che impugna un’alabarda.

Plinio Corrêa de Oliveira, in un articolo pubblicato sulla rivista Catolicismo quasi settant’anni fa, nel febbraio del 1951, evocava quest’immagine per evocare lo scontro tra la Rivoluzione che non può retrocedere, e la Chiesa che, nonostante tutto, non è riuscita a vincere.

Egli scriveva: “La guerra, la morte e il peccato si apprestano a devastare nuovamente il mondo, questa volta in proporzioni maggiori che mai. Nel 1513 il talento incomparabile di Dürer li rappresentò sotto forma di un cavaliere che parte per la guerra, completamente rivestito dell’armatura e accompagnato dalla morte e dal peccato, quest’ultimo rappresentato da un unicorno. L’Europa, già allora immersa negli sconvolgimenti che precedettero la Pseudo-Riforma, si avviava verso l’età tragica delle guerre religiose, politiche e sociali che il protestantesimo scatenò.

La prossima guerra, senza essere esplicitamente e direttamente una guerra di religione, toccherà in modo tale i più sacri interessi della Chiesa che un vero cattolico non può fare a meno di vedere in essa principalmente l’aspetto religioso. E la strage che si scatenerà sarà per certo incomparabilmente più devastante di quelle dei secoli scorsi.

Chi vincerà? La Chiesa?

Le nubi che abbiamo davanti non sono rosee. Ma ci anima una certezza invincibile e cioè che non solo la Chiesa — com’è ovvio, data la promessa divina — non scomparirà, ma che otterrà ai nostri giorni un trionfo maggiore di quello di Lepanto.

Come? Quando? Il futuro appartiene a Dio. Molte cause di tristezza e di apprensione si parano davanti a noi, perfino nel guardare alcuni fratelli nella fede. Nel calore della lotta è possibile e perfino probabile che vi siano terribili defezioni. Ma è assolutamente certo che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa mirabili e indomabili energie spirituali di fede, purezza, ubbidienza e dedizione che al momento opportuno copriranno ancora una volta di gloria il nome cristiano.”

Plinio Corrêa de Oliveira, concludeva il suo articolo con la speranza che il secolo XX sarebbe stato “non soltanto il secolo della grande lotta, ma soprattutto il secolo dell’immenso trionfo”. Ci facciamo eco di questa speranza che estendiamo al secolo XXI, il nostro secolo, l’epoca del coronavirus, e di nuove tragedie, ma anche il tempo di una rinnovata fiducia nella promessa di Fatima. Una fiducia che vogliamo esprimere con le parole che papa Pio XII rivolgeva all’Azione Cattolica nel 1948:

“Voi conoscete, diletti figli, i misteriosi cavalieri di cui parla l’Apocalisse. Il secondo, il terzo e il quarto sono la guerra, la fame e la morte. Chi è il primo cavaliere sul bianco destriero? « Su questo sedeva uno che aveva un arco, e fu data a lui una corona ed egli uscì da vincitore » (6, 2). È Gesù Cristo. Il veggente Evangelista non mirò soltanto le rovine cagionate dal peccato, guerra, fame e morte; egli vide anche in primo luogo la vittoria di Cristo. Ed invero il cammino della Chiesa attraverso i secoli è bensì una via crucis, ma è anche in ogni tempo una marcia di trionfo. La Chiesa di Cristo, gli uomini della fede e dell’amore cristiano, sono sempre quelli che alla umanità senza speranza portano la luce, la redenzione e la pace. Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula (Hebr. 13, 8). Cristo è la vostra guida, di vittoria in vittoria. Seguitelo”20.

Note:

1 Réginald Garrigou-Lagrange, La vita eterna e la profondità dell’anima, tr. it., Fede e Cultura, Verona 2018, p. 94.


2 Vita del gran patriarca s. Bruno Cartusiano. Dal Surio, & altri …, Alessandro Zannetti, Roma 1622, vol. 2, p. 125


3 S. Agostino, De Civitate Dei, I, 10, 11.


4 S. Agostino, De Civitate Dei, 20, 30.


5 San Tommaso d’Aquino, In IV Sent. 47, 1, 1, ad 1.


6 San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, III, q. 59, art. 5.


7 Michael Schmaus, Le ultime realtà, tr. it. Edizioni Paoline, Roma, 1960 p. 247.


8 Ivi, p. 248.


9 Antonio Piolanti, Giudizio divino, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI (951), col. 731 (731-732).


10 Réginald Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence et son nature, Beauchesne, Paris 1950, vol. I, pp. 440-443.


11 Prospero d’Aquitania, De vocatione omnium gentium (La vocazione dei popoli, Città Nuova, Roma 1998, p. 74).


12 San Bernardino, Opera omnia, Sermo 46, Feria quinta post dominicam de Passione, in Opera omnia, Ad Claras Aquas, Florentiae 1950, vol. II, pp. 84-8,


13 Ivi, Sermo XIX, Feria secunda post II dominicam in quadragesima, vol. III, p. 333.


14 Ivi, pp. 337-338.


15 Ivi, pp. 340-350.


16 Ivi, p. 341.


17 Henri-Marie Boudon, La dévotion aux saints Anges, Clovis, Cobdé-sur-Noireau 1985, p. 265.


18 Jacques-Bénigne Bossuet, Oraison funèbre de Henriette-Anne d’Angleterre (1670), in Œuvres complètes, Outhenin-Chalandre fils, Paris 1836, t. II, p. 576.


19 Ernst Hello, L’homme, Librairie Académique Perrin, Paris 1911, p. 102.


20 Pio XII, Discorso del 12 settembre 1948 alla Gioventù di Azione cattolica, Discorsi e Radiomessaggi, X (1948-1949), p. 212.

LITURGIA DEL GIORNO

La Liturgia di Venerdi 22 Maggio 2020
Venerdì della VI settimana di Pasqua

Domenica 7 aprile - Mauro Leonardi - Come Gesù

Grado della Celebrazione: Feria
Colore liturgico: Bianco

Antifona d'ingresso
Ci hai redenti, o Signore, con il tuo sangue
da ogni tribù e lingua e popolo e nazione,
e hai fatto di noi un regno di sacerdoti
per il nostro Dio. Alleluia. (Ap 5,9-10)

Colletta
Si compia in ogni luogo, Signore,
con la predicazione del Vangelo,
la salvezza acquistata dal sacrificio del Cristo,
e la moltitudine dei tuoi figli adottivi
ottenga da lui, parola di verità,
la vita nuova promessa a tutti gli uomini.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Dove la solennità dell’Ascensione è celebrata il giovedì, si dice la colletta seguente:

O Dio, che nella risurrezione del tuo Figlio
ci hai aperto il passaggio alla vita eterna,
innalza il nostro spirito
verso il Salvatore che siede alla tua destra,
perché, quando tornerà nella gloria,
noi tutti, rinati nel Battesimo
riceviamo la veste candida della vita immortale.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

PRIMA LETTURA (At 18,9-18)
In questa città io ho un popolo numeroso.


Dagli Atti degli Apostoli

[Mentre Paolo era a Corìnto,] una notte, in visione, il Signore gli disse: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso». Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio.
Mentre Gallione era proconsole dell’Acàia, i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale dicendo: «Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge». Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai Giudei: «Se si trattasse di un delitto o di un misfatto, io vi ascolterei, o Giudei, come è giusto. Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra Legge, vedetevela voi: io non voglio essere giudice di queste faccende». E li fece cacciare dal tribunale. Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagòga, e lo percossero davanti al tribunale, ma Gallione non si curava affatto di questo.
Paolo si trattenne ancora diversi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s’imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era rasato il capo a causa di un voto che aveva fatto.

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Sal 46)
Rit: Dio è re di tutta la terra.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Egli ci ha sottomesso i popoli,
sotto i nostri piedi ha posto le nazioni.
Ha scelto per noi la nostra eredità,
orgoglio di Giacobbe che egli ama.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Canto al Vangelo (Lc 24,46.26)
Alleluia, alleluia.
Cristo doveva patire e risorgere dai morti,
ed entrare così nella sua gloria.
Alleluia.

VANGELO (Gv 16,20-23)
Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
Gesù ci ha promesso una gioia che nessuno ci può togliere. Con la fiducia che la nostra preghiera, compiuta con i gemiti del suo Spirito, sarà esaudita, diciamo:
Rendici degni della tua gioia, Signore.

- Ti preghiamo per i pastori della Chiesa: forti della tua continua assistenza, servano con totale dedizione il popolo affidato alle loro cure:
- Ti preghiamo per tutti gli evangelizzatori: nel diffondere la buona novella del vangelo sappiano superare ogni paura e intimidazione:
- Ti preghiamo per tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito a causa del vangelo o della giustizia: siano confortati dalla speranza che la loro tristezza si cambierà in gioia:
- Ti preghiamo per quanti si dedicano al sollievo delle sofferenze e miserie umane: sentano di servire la passione di Cristo prolungata nei fratelli:
- Ti preghiamo per tutti noi: nella fede comprendiamo il valore e il significato delle sofferenze quotidiane se vissute in unione con Cristo:
- Per i poveri, i malati, gli anziani della parrocchia. Preghiamo.
- Per le madri tentate di interrompere la maternità. Preghiamo.

D Dio, che hai posto nell'ora suprema del Cristo il segno generatore della nuova vita dell'umanità, concedi a noi di partecipare con fede alle sofferenze della Chiesa nostra madre nel generare l'umanità nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Preghiera sulle offerte
Accogli, Padre misericordioso,
l’offerta di questa tua famiglia,
perché con la tua protezione
custodisca i doni pasquali e giunga alla felicità eterna.
Per Cristo nostro Signore.

Oppure:
Dio Padre misericordioso,
che ci hai amati con immenso amore,
fino a dare per noi il tuo unico Figlio,
fa’ che nella perfetta unione con lui
possiamo presentarti un’oblazione degna della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.

PREFAZIO PASQUALE I, II, III, IV, V


Antifona di comunione
Cristo nostro Signore
è stato messo a morte per i nostri peccati
ed è risuscitato per la nostra giustificazione.
Alleluia. (Mt 4,25)

Oppure:
“Non vi lascerò orfani”, dice il Signore;
“Verrò di nuovo a voi
e si allieterà il vostro cuore”. Alleluia. (Gv 14,18; 16,22)


Preghiera dopo la comunione
Proteggi, Signore, con paterna bontà,
il tuo popolo che hai salvato con il sacrificio della croce,
e rendilo partecipe della gloria del Cristo risorto.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Oppure:
O Padre, che ci hai accolti alla tua mensa,
fa’ che il tuo Spirito operante in questi misteri
ci confermi nella tua volontà
e ci renda davanti a tutti testimoni del tuo Vangelo.
Per Cristo nostro Signore.



Commento
Queste parole che Gesù, poco prima della sua passione, indirizza nell’intimità ai suoi discepoli trovano il loro compimento letterale poco tempo dopo, e, in modo definitivo anche se misterioso, esse si realizzano senza sosta nella vita della Chiesa. “La sua ora” in effetti è giunta, l’ora della grande tristezza di Gesù Cristo e dei suoi nel primo venerdì santo della storia. Le forze del mondo, della morte, del peccato, sembrano trionfare, ma la loro vittoria è passeggera. Non si tratta che di un dolore somigliante a quello del parto, che ha reso possibile la gioia di una vita nuova, quella di Gesù Cristo risorto. Il Signore è ritornato e i discepoli hanno potuto approfittare della sua presenza; lo hanno toccato, gli hanno parlato, si sono riempiti di una tale pace e gioia che le stesse persecuzioni non hanno potuto strappargliele.
Allo stesso modo, le parole del Signore si compiono per noi. Mentre il mondo gioisce nel peccato e nel conforto egoista, il cristiano si rattrista di vedere un mondo lontano da Dio, la persecuzione che attacca la Chiesa o l’incomprensione che essa incontra. Pertanto, questa realtà è transitoria, quello che è definitivo, eterno, è la gioia di incontrarlo, risorto, nella certezza di non perderlo mai. Mentre viviamo in questa vita, la certezza della sua presenza ci appaga; non abbiamo bisogno di interrogarci sul passato o sul futuro. Cristo, Signore risorto, dà il senso ultimo della storia e della nostra vita.

giovedì 21 maggio 2020

Sulla comunione eucaristica in tempi di Coronavirus





SAPEVATE CHE LE DISPOSIZIONI GOVERNATIVE SONO NULLE IN MATERIA DI CULTO RELIGIOSO?.... 

Ogni singolo vescovo, purché sia in comunione con il Papa, è sovrano nella sua diocesi per ciò che compete alla sua autorità; in essa non rientra tuttavia quanto stabilito dalle rubriche del Messale, che sono legge per tutta la Chiesa e possono essere modificate solo dalla Santa Sede, o di sua iniziativa o in risposta ad eventuali richieste dei vescovi (rescriptive).



Il recente protocollo d’intesa sulla ripresa delle celebrazioni liturgiche con concorso di popolo ha provocato, con le sue disposizioni, disagio e disorientamento in molti fedeli. Sono in tanti, perciò, a chiedere lumi sul comportamento da tenere nell’inedita situazione che si è venuta a creare a partire dal 18 maggio 2020. Dato che la questione tocca molteplici ambiti (teologico, giuridico, liturgico, morale), non è possibile fornire un’unica indicazione da applicare obbligatoriamente in tutti i casi. Partendo da una costatazione incontestabile (l’illegittimità del protocollo), si cerca qui di fissare alcuni punti fermi che consentano di orientarsi in questa spinosa circostanza. L’autore è un distinto teologo.



Occorre anzitutto osservare che le disposizioni governative sulla ripresa delle celebrazioni con il popolo sono assolutamente nulle: le autorità civili non hanno alcuna competenza in materia di culto religioso; i rappresentanti della conferenza episcopale, dal canto loro, non hanno giurisdizione né sui vescovi, né sui sacerdoti, né sui fedeli. Ogni singolo vescovo, purché sia in comunione con il Papa, è sovrano nella sua diocesi per ciò che compete alla sua autorità; in essa non rientra tuttavia quanto stabilito dalle rubriche del Messale, che sono legge per tutta la Chiesa e possono essere modificate solo dalla Santa Sede, o di sua iniziativa o in risposta ad eventuali richieste dei vescovi (rescriptive). La Santa Sede, poi, ha facoltà solo sugli elementi non essenziali dei riti, non sulla loro sostanza immutabile. Le rubriche del Messale non dicono nulla circa l’uso di guanti nella celebrazione della Messa. Nel rito tradizionale il vescovo, nella prima parte della Messa pontificale, indossa le chiroteche, ma le ritira prima di accedere all’altare per la parte sacrificale. Da ciò si deduce che secondo la Tradizione ecclesiastica, di cui la liturgia è testimonianza qualificata, l’Ostia consacrata può essere toccata solo con mani nude: la ragione è che dei frammenti possono rimanere attaccati alle dita che la tengono, motivo per cui, dopo la consacrazione del Pane, il sacerdote tiene uniti i polpastrelli del pollice e dell’indice fino a quando, terminata la comunione, non li purifica nel calice, assumendo poi il vino e l’acqua con cui li ha purificati. L’uso di guanti di lattice, alla luce di quanto appena esposto, è assolutamente da escludere, salvo ammettere l’aberrante idea di purificarli nel calice, che ha contenuto il Sangue di Cristo. Oltretutto il Corpo sacramentale del Signore, essendo quanto di più prezioso la Chiesa possieda in assoluto, non può certo essere toccato con materiale spregevole che sarà gettato nella spazzatura, ma soltanto dalle mani consacrate del sacerdote, il quale, proprio per questo, se le lava immediatamente prima della Messa e non può usarle se non per atti buoni o indifferenti. Inoltre tutti i vasi sacri, per rispetto di ciò che devono contenere, sono obbligatoriamente dorati; anche da ciò si deduce che il mettere volontariamente le Sacre Specie a contatto con materiali vili è un attentato alla loro sacralità, cioè un atto sacrilego in senso lato.


La distinzione tra la sostanza (il Corpo di Cristo) e gli accidenti (le specie consacrate) non risolve il problema. Nell’Eucaristia, per un miracolo permanente dell’onnipotenza divina, persistono sì le apparenze del pane e del vino, ma esse non sussistono più nelle rispettive sostanze del pane e del vino, bensì in quella del Corpo e Sangue del Figlio di Dio fatto uomo e morto sulla croce; il sostrato ontologico (subiectum) cui ineriscono non è più quello proprio, bensì un altro, dal quale sono a tal punto inseparabili che, una volta distrutte le specie, non c’è più il Sacramento. Pertanto il toccare le specie non significa toccare solo gli accidenti, ma toccare la sostanza, benché quest’ultima non sia visibile in se stessa. In alcuni miracoli eucaristici, anche recenti, la specie del pane ha mostrato la realtà: tessuto miocardico di un uomo sottoposto a grave violenza. Ora, il fedele che si trovi ad assistere ad una Messa in cui il sacerdote indossi guanti di lattice per tenere e distribuire il Corpo di Cristo non ne porta la minima responsabilità, in quanto non ha alcuna facoltà di impedirlo e non coopera positivamente a quell’azione intrinsecamente cattiva; qualora però possa agevolmente partecipare a una Messa in cui ciò non avvenga, ha il diritto di manifestare così la propria disapprovazione, evitando di assistere a un atto che scandalizza la sua coscienza. Anche la sofferenza di vedere il Signore trattato in modo quantomeno irriverente è una ragione più che valida per andare altrove, potendolo fare, almeno dopo aver tentato di persuadere il sacerdote ad evitare l’uso dei guanti. La carità può suggerire svariati modi di aiutare i ministri sacri, con rispetto e delicatezza, a prendere coscienza della responsabilità che grava su di loro, non solo verso Dio, ma anche verso i fedeli.

Né il vescovo né, a maggior ragione, il sacerdote può imporre la comunione sulla mano. La legge universale della Chiesa stabilisce la comunione sulla lingua come la forma ordinaria, alla quale si può derogare solo qualora la conferenza episcopale ne abbia chiesto e ottenuto licenza dalla Santa Sede. Un vescovo o un sacerdote che imponga la comunione sulla mano può essere denunciato alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha il compito di intervenire per richiamare l’interessato all’osservanza delle norme vigenti. Nessuno deve sentirsi forzato nella coscienza a subire tale grave abuso; se non ottiene nulla né con la persuasione né con la denuncia, il fedele si astenga dal comunicarsi e ricorra a un sacerdote fidato che lo comunichi nella bocca fuori della Messa.

Non è necessario comunicarsi per adempiere il precetto festivo, né la partecipazione alla Messa è imperfetta senza la comunione; solo una volta all’anno i cattolici hanno l’obbligo di comunicarsi, cioè a Pasqua (intendendo con ciò tutto il tempo pasquale, fino alla Pentecoste). Nell’impossibilità di ricevere l’Eucaristia in una modalità adeguata al mistero, i fedeli possono praticare la comunione spirituale. Astenersi dalla comunione per non riceverla sulla mano non è peccato, dato che non si sta respingendo il Signore, bensì rifiutando un modo di porgerlo che ripugna alla fede ed espone il Santissimo Sacramento a una profanazione involontaria consistente nella dispersione accidentale di frammenti. Essendo tale eventualità altamente probabile, è peraltro difficile considerarla del tutto involontaria.

In sintesi, le norme emanate circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo non obbligano in nulla nessuno, né sul piano civile, né su quello morale, né su quello canonico. La loro inosservanza, da parte del sacerdote o del fedele, non costituisce peccato, nemmeno veniale, dato che non sussiste alcuna ragionevole ipotesi di un rischio maggiore di contagio se l’Eucaristia è amministrata in modo corretto; la ricezione sulla lingua, anzi, rimane il metodo più sicuro anche dal punto di vista sanitario, dato che il sacerdote è tenuto a lavarsi le mani prima della Messa e deve comunque evitare di toccare la lingua dei comunicandi. Pertanto nessuno deve sentirsi obbligato a comunicarsi in una modalità che la sua coscienza non può accettare; viceversa, chi accetta di farlo perché non può altrimenti accedere al Sacramento non commette peccato, purché abbia la massima cura di evitare la dispersione di frammenti dell’Ostia consacrata. A questo proposito, l’uso di un fazzoletto di lino o di un piattino dorato non è risolutivo, dato che il fedele è tenuto a purificarli subito dagli eventuali frammenti, ma non ne ha né la facoltà né i mezzi, mentre il sacerdote purifica subito, nel calice, patena e piattello. Fin qui la prospettiva si è limitata agli obblighi morali in senso stretto; ciò non esclude tuttavia che lo zelo della fede e l’ardore della carità possano spingersi oltre ciò che è strettamente dovuto e richiedano da alcuni una risposta più radicale: non solo il rigetto assoluto, ma anche l’attiva lotta contro norme totalmente irrazionali e illegali che oltraggiano il Santissimo Sacramento, umiliano la Chiesa e calpestano i diritti dei fedeli. Le conseguenze giudiziarie e canoniche che tale scelta può comportare sono mezzi atti al conseguimento della virtù eroica; in ogni caso, le sanzioni civili o ecclesiastiche in cui si può incorrere non valgono minimamente la tremenda posta in gioco, cioè il rispetto della Presenza Reale e la fede dei cattolici.

Lo zelo autentico non è disgiunto da quella prudenza soprannaturale che fa tener conto del fatto che molti sacerdoti possono essere soggettivamente in buona fede, convinti di compiere la volontà di Dio obbedendo a disposizioni superiori che suppongono, benché erroneamente, miranti al bene comune; perciò nessuno deve sentirsi autorizzato a comportamenti ispirati da aggressività o disprezzo. Non dimentichiamo che il giudizio sulle coscienze spetta unicamente a Dio e che le svolte interiori sono sempre possibili, ma richiedono l’aiuto della Sua grazia; è per questo che non si pregherà mai abbastanza per i ministri sacri e per i loro superiori.

MESSAGGIO DI SAN MICHELE ARCANGELO A LUZ DE MARIA 18 maggio 2020





Amato Popolo di Dio:


SIATE UNA COSA SOLA NELL’UNITÀ E NELLA FRATERNITÀ DEI FIGLI DI DIO.
POPOLO DI DIO, DOVETE ESSERE SANTI, COME CRISTO È SANTO. 

La benedizione rimane sui figli di Dio e sui figli della Nostra Regina e Madre, tuttavia per meritare questa benedizione, ogni persona deve comportarsi ed agire a somiglianza del Nostro Signore e Re, Gesù Cristo.

La Misericordia Divina si riversa su tutta l’umanità e fiorisce nelle persone che si sforzano e che lottano per la conversione, che si pentono e riparano le offese che hanno commesso contro la Trinità Sacrosanta, contro la Nostra Regina e Madre, contro i loro simili e pertanto si rendono degne della Misericordia Divina. (Cfr. Mc 11,25; Sal 32,5).



In questo momento in cui la confusione sta circolando in modo vertiginoso tra il Corpo Mistico del Nostro Re, devo chiamarvi all’OBBEDENZA A CIÒ CHE È ESPRESSO NELLA LEGGE DI DIO E CHE NON PUÒ ESSERE TRASFORMATO. (Cfr. Sal 19,8-10).



Il Popolo di Dio, per poter fare fronte a quello che si sta avvicinando alla Chiesa e quindi al Corpo Mistico del Nostro Re, deve farsi trovare fortificato nella Fede.



Le persone di questo tempo non conoscono la sofferenza e per questo non la riconoscono come parte dell’espiazione e di fronte al dolore danno la colpa a Dio.



L’UMANITÀ PRIVA DI INDIRIZZO HA PROFANATO IL MISTERO DELL’AMORE DIVINO, DONATO DA DIO ALL’UOMO NEL SANTISSIMO SACRAMENTO E NOI DEI CORI CELESTI ABBIAMO PIANTO LACRIME DI DOLORE PER UN TALE GRAVISSIMO ATTO DA PARTE DELL’UOMO.



Questi sono atti che danno forza al demonio e che lo esaltano, perché poi si scagli con forza contro i figli della Nostra Regina e Madre, colpendoli ripetutamente, adesso con la malattia ed in seguito aumentando ancora questo stesso flagello delle malattie, per portare gli uomini alla disperazione, facendo in modo che andando di sofferenza in sofferenza ed essendo in costante angoscia, l’essere umano giunga a sentirsi incapace di sopravvivere.



PER AMORE PER IL DIO UNO E TRINO, PER AMORE PER LA NOSTRA REGINA E PER AMORE PER VOI, IN QUANTO FIGLI DI DIO, VI AVEVO GIÀ ALLERTATO CHE LA BATTAGLIA INCOMBE SULL’UMANITÀ, la battaglia tra il bene ed il male (Cfr. Gen 3,15) che è diventata adesso guerra di potere ed arriverà a deflagrare nell’uso di armi belliche e successivamente nel deplorevole impiego di armi di distruzione di massa.



Dovete rendervi conto della situazione cruciale in cui vi trovate e che andrà aumentando sempre di più, livello dopo livello, istituzione dopo istituzione, coinvolgendo la società in tutte le sue funzioni e soprattutto lo spirito dell’uomo, per minare la sua Fede in Dio.



POPOLO DI DIO, LA BATTAGLIA CESSERÀ DI ESSERE BATTAGLIA, PER TRASFORMARSI NELL’ATTESA E TEMUTA GUERRA MONDIALE. (*)



Le ideologie sono in lotta per le anime. Discernete figli di Dio, discernete, non lasciate spegnere la Fede, mantenetevi svegli e vigilanti, perché è proprio in questo momento che i lupi in pelle di pecora sovrabbondano. (Cfr. Mt 7,15)



DOVETE DISCERNERE, PER NON DARE LE PERLE AI PORCI.


ORA BASTA CON LA STOLTEZZA UMANA, CON LA CECITÀ SPIRITUALE, CHE PORTERÀ UNICAMENTE AL TRADIMENTO E ALLA PERSECUZIONE ANTICIPATA DEL POPOLO DI DIO.



Dovete tenere presente quello che accadde nel corso della storia della salvezza a coloro che disobbedirono a Dio e si ribellarono contro di Lui.



QUESTA GENERAZIONE NON SARÀ DISPENSATA PER LE SUE ERESIE E PER LE SUE PROFANAZIONI. 


DOVETE UMILIARVI E RICONOSCERVI PECCATORI DAVANTI A DIO. 


In questo momento chi anela e si dispone alla conversione, troverà un cammino più libero nel silenzio che sta predominando nell’umanità.



La forza esercitata su tutta l’umanità per zittirla viene mascherata, sì, la forza, senza che l’uomo lo percepisca!


L’umanità è prigioniera anche se non si rende conto di essere stata privata della sua libertà.



LA NUOVA RELIGIONE STA AVANZANDO SENZA CHE IL POPOLO DI DIO SE NE RENDA CONTO, UNA RELIGIONE SENZA ALIMENTO SPIRITUALE, DOVE IL POPOLO DI DIO VIVE COME SE PRATICASSE UN’ALTRA RELIGIONE.


Stanno spianando la strada alla “RELIGIONE UNICA”, stanno usurpando a Nostro Signore Gesù Cristo il Suo Scettro.



La follia dell’uomo si sta manifestando e con il peggiorare dell’economia vi soggiogheranno ALLA MONETA UNICA.



SENZA MORALE NÈ VERITÀ… COSA SI ASPETTA L’UOMO?



Popolo di Dio, i segnali ed i segni sono visibili, voi dovete scegliere.



Le placche che formano la crosta terrestre si stanno muovendo in modo insolito e provocheranno terremoti di grande magnitudine.


L’acqua dei mari si solleverà, attenti, Popolo di Dio!



Il comunismo si è addentrato nei paesi dell’America e sta per arrivare il dolore, che già comincia a manifestarsi in questo momento.



PIEGATE LE GINOCCHIA, “PREGATE IN OGNI MOMENTO” NON SOCCOMBETE, MANTENETE UNA FEDE VIVA E PALPITANTE, L’AUSILIO DI DIO DISCENDERÀ DAL CIELO.


Chi non ha creduto, creda…

Chi non ha camminato, cammini…

Chi si è fermato lungo la strada, prosegua con forza…


Questo è il momento, questo e non un altro, questo è il momento di riconciliarvi con la Trinità Sacrosanta.



Questo è il momento di prendere la Mano tesa davanti a ciascuno di voi, la Mano della Regina e Madre di tutto il creato,


CON FEDE, CON SPERANZA, SENZA VENIRE MENO, CON LA PREGHIERA E CON LA PRATICA DELLA PREGHIERA, CON I FATTI, CON IL PERDONO E CON LA CERTEZZA. 


San Michele Arcangelo


AVE MARIA PURISSIMA, CONCEPITA SENZA PECCATO


AVE MARIA PURISSIMA, CONCEPITA SENZA PECCATO 


AVE MARIA PURISSIMA, CONCEPITA SENZA PECCATO