Cade o non cade? Si disfa, si scioglie o regge? Chi trarrà il dado? Presi dallo sport nazionale preferito dal circuito politico-mediatico, il retroscenismo sui tempi e modi della caduta dell’esecutivo, abbiamo perso di vista la vera posta in gioco: il paesaggio democratico che lascerà la prima esperienza di governo dichiaratamente populista in Europa occidentale quando si esaurirà, oppure no.
Non ci siamo accorti – o non abbastanza – che dietro la stagione delle poltrone ballerine, dei ribaltoni immaginati o forse solo auspicati, andava in scena in realtà tutt’altro: l’estate della ferocia. Una ferocia ineguagliata da decenni, nella vita pubblica italiana: rabbiosa, scomposta, e al contempo attentamente preparata. Ma ci sono sempre, nel concatenarsi della Storia, dei momenti-spartiacque: quelli che segnano un prima e un dopo – anche nella consapevolezza di una comunità. La dichiarazione del 1° agosto del ministro dell’Interno rappresenta uno di questi. “Stai buona, zingaraccia, stai buona, che tra poco arriva la ruspa”. Leggere e ripetere ad alta voce per credere.
#Salvini: Ma vi par normale che una zingara a Milano dica “A Salvini andrebbe tirata una pallottola in testa”?
Stai buona, zingaraccia, stai buona, che tra poco arriva la RUSPA. @SkyTG24
Vale la pena riavvolgere il nastro per osservare l’escalation verbale – le parole sono pietre – che ha condotto, nel giro di poche settimane, a quest’abisso. Giacché la lingua non è utilizzata per caso: è lo strumento per centrare dei fini politici, per preparare il terreno ad altri, più concreti, atti. L’estate torrida della democrazia si è aperta – fine di giugno – con la costruzione di un bersaglio perfetto: la capitana della barca di un’organizzazione non governativa impegnata nel soccorso dei migranti al largo della Libia. Esaurito il confronto “di forza” sull’attracco della nave (a favore di quest’ultima, per altro), la macchina della comunicazione del primo partito d’Italia ha partorito o caldeggiato ogni genere di nefandezza contro il nemico perfetto: donna, giovane, tedesca, impegnata ad aiutare gli “ultimi della Terra”. Un cocktail micidiale. Attenzione alla terminologia, che non è casuale: si è costruito il nemico, esterno.
Le settimane che sono seguite hanno rappresentato l’acme della tensione e dell’insofferenza tra i due alleati di governo, oltre che tra questi e il principale partito d’opposizione. Una campagna quotidiana di accuse e insinuazioni reciproche che non ha portato ad alcun esito concreto sul piano politico – la caduta dell’esecutivo non fa comodo a nessuno, ora – ma ad un avvelenamento ulteriore del dibattito pubblico, se possibile. Non che questo sia noto, in questa stagione o nelle precedenti, per le sue alte vette, naturalmente. Insulti e colpi bassi sono all’ordine del giorno da anni, tra il serio e il faceto. Ma vale la pena, per seguire il filo degli eventi, di annotare qual è assurta ad essere la massima accusa da poter sfoderare contro l’avversario politico. Diciamolo senza orpelli: il collaborazionismo. Niente di peggio che collaborare col nemico interno – ad esempio il principale partito d’opposizione reo sostanzialmente di tutti i mali in cui si trova il Paese – o con quello esterno, la potenza straniera che ambirebbe a rigirare il dito nella piaga aggravando quegli stessi mali.
È esattamente questa l’accusa che i due contraenti di governo si sono rinfacciati nel mese di luglio. Lo ha fatto per prima la Lega, dopo l’elezione di Ursula Von der Leyen, per accusare il M5S di intelligenza col nemico: aveva sostenuto, in modo decisivo, la salita dell’ex ministra tedesca (!) scelta dal “vecchio establishment” al vertice più alto della politica europea. Boccone difficile da digerire, per un Movimento nato in opposizione a tutte le élites, quello di vedersi additato al fianco di queste. L’unica reazione possibile era quella di rispondere con la stessa, infamante – secondo la logica del veleno – accusa. Ecco dunque che sulla scelta del governo, non più rinviabile, sul Tav Torino-Lione già si prepara la macchina della contro-propaganda 5S: voteranno con il Partito Democratico, Forza Italia, con le lobbies di affaristi. Massima nefandezza, convergere su un provvedimento con forze di opposizione, nella visione “democratica” che prende il sopravvento.
Ed eccolo, il terzo vocabolo chiave fare capolino: traditori. Hanno tradito il mandato del popolo, quello del “cambiamento” – dunque stanno dalla parte delle élites, fanno altri, e loschi, interessi. Alto tradimento. Lo stesso di cui ora è accusato un ex sottosegretario dei governi di centrosinistra, Sandro Gozi, reo di aver intrapreso un nuovo incarico per conto del governo francese (!). Scelta che si può discutere, sia ben chiaro, ma non è di questo che si tratta. Il livello della delegittimazione totale dell’avversario prevede altro: la richiesta di revoca della cittadinanza, in nome del tradimento della patria.
Siamo al linguaggio della macchina comunicativa pre-bellica. La guerra non si vede, ma diverrà inevitabile se la catena non si spezza. Sarà forse un segno del destino che il salto nel buio finale del ministro dell’Interno, l’aggressione tv a una non meglio identificata “zingara” – il nemico interno, la chiusura del cerchio – con la minaccia di eliminarla con una ruspa sia giunta a poche ore dal centesimo anniversario della nascita di un Testimone del Novecento: Primo Levi. Testimone nel proprio corpo e con la mente degli abissi cui l’uomo, una manciata di decenni fa, è stato in grado di discendere. Scriveva Levi nella prefazione di Se questo è un uomo:
“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”.
Siamo in tempo per fermarci prima. Ma c’è bisogno di farci tutti – al di là delle opinioni politiche, religiose, culturali – sentinelle democratiche contro la violenza. Verbale e non.
Le sconfitte militari sul campo del cosiddetto Stato Islamico sembrano determinarne una nuova strategia mediatica, più offensiva, che pare riguardare il nostro territorio da vicino, dato che l’Occidente e l’Italia in particolare ne appaiono al centro e proprio gli ultimissimi fatti sembrano darne conferma. L’ultimo numero di Dabiq, la rivista in lingua inglese fino ad oggi punta di diamante della propaganda di Da’esh, si intitola significativamente Break the Cross, “Spezza la Croce”, mentre da pochissimo è uscita una nuova rivista in inglese, tradotta in diverse lingue europee, intitolata Rumiyah, ossia Roma, indirizzata appositamente ad un pubblico europeo. Il titolo è significativo, perché esplicita la visione millenarista che caratterizza l’ISIS, suffragata da un hadith secondo il quale la vittoria sui Romani a Dabiq darebbe il via alla fine del mondo e al “Giorno del Giudizio [universale]”.
Nell’introduzione di Dabiq si trova l’elogio dei fatti di sangue avvenuti a Dacca (Bangladesh) e in Occidente, “Orlando (USA), Magnanville, Nizza, e Normandia (Francia), Würzburg e Ansbach (Germania)”, mentre l’articolo più rilevante lo si incontra nella rubrica periodica del magazine jihadista In the words of the enemy, “Con le parole del nemico”, aperto da una enorme foto di Papa Francesco Bergoglio sorridente mentre stringe la mano all’imam dell’Azhar, El Tayeb, commentata da una eloquente didascalia: “Il crociato Papa Francesco e l’apostata Ahmed el-Tayeb”, una frase che riassume i concetti principali della narrazione jihadista: un Occidente “Crociato”, e istituzioni ufficiali islamiche “traditrici” dell’islam. Passando ad analizzare la nuova rivista Rumiyah, osserviamo un’introduzione il cui titolo rende subito l’idea del tenore militante della pubblicazione: Stand and die upon that for which your brothers died, in cui i mujahidiin sono invitati a prendere l’esempio dal deceduto portavoce Al ‘Adnani, mentre l’articolo di chiusura esplicita lo scopo della rivista: The Kafir’s blood is Halal for you: so shed it, ovvero “Il sangue dei miscredenti è lecito: perciò versatelo”.
Quest’ultimo articolo è particolarmente indicativo del nuovo strumento di propaganda dell’ISIS: spiega perché è un obbligo e non solo lecito secondo la versione jihadista dell’Islam uccidere “i miscredenti”. Una versione molto semplificata e binaria dell’Islam, che sembra considerare – in netto contrasto con la tradizione islamica – il versetto 5 della sura 9 del Corano, chiamata al Tawba, il famoso “versetto della spada”, come l’unico valido nel trattare con i non-musulmani e che significativamente costituisce il sottotitolo di entrambi gli articoli, sia l’introduzione di Dabiq che la chiusura di Rumiyah. Questo dice molto dell’ideologia dell’ISIS e in generale del jihadismo, per cui sono riservate ben poche opzioni ai non-musulmani: la conversione all’Islam, o la sottomissione e il pagamento della jiziya, tassa imposta a cristiani ed ebrei. Però più intensamente degli altri gruppi jihadisti, ISIS insiste molto sul dovere di combattere i cristiani e gli ebrei che vivono in Occidente e Rumiyah sembra proprio pensata per diffondere questa visione binaria e violenta. Dopo aver ribadito il classico concetto jihadista della liceità del sangue dei “miscredenti”, a dispetto della tradizione islamica, questo compendio per la diffusione della visione del jihadismo militante si conclude con un passaggio che tenta di legittimare, con parole propagandistiche, gli atti di violenza utilizzando i testi sacri e la religione come scudo: “Ai musulmani che attualmente vivono nel Dar al-Kufr deve essere ricordato che il sangue dei miscredenti è halal, e la loro l’uccisione è una forma di culto ad Allah, Signore, Re, e Dio del genere umano”.
Questi passaggi sono veri e propri inviti ad agire anche individualmente, vogliono rivolgersi ai “lupi solitari”, ai marginali, alle nuove generazioni nichiliste come ai militanti islamisti delusi e a tutti coloro che per motivi diversi possono risultare sensibili al loro messaggio. Persone che possono prendere le sembianze di Dahir Adnan, il ventiduenne di origini somale che il 18 settembre ha ucciso nove persone in un centro commerciale di St. Cloud nel Minnesota, urlando “Allah Akbar” o di Ahmed Khan Rahami, il ventottenne afghano ricercato per le bombe esplose nella stessa giornata a New York e nel New Jersey. L’improvvisa e attuale concentrazione dell’ISIS sull’Occidente – come promosso dalla nuova rivista – rappresenta un’evoluzione significativa nella strategia del gruppo, che cerca di reagire a quanto accade sul campo di battaglia aumentando la violenza dello scontro, facendo leva su una capacità propagandistica che si sta rivelando molto pericolosa ed in grado di mobilitare anche singoli individui.
L’Isis, Dabiq e l’escatologia della fine del mondo. Jihadisti pronti ad attaccare Roma?
Ormai molti associano il nome Dabiq alla rivista in lingua inglese dell’Isis. Ma non molti hanno compreso che a partire dal nome scelto per la rivista si può comprendere un aspetto centrale della visione dell’Isis e anche molto singolare, in quanto rivela l’impronta millenarista che la differenzia da tutti i gruppi jihadisti che l’hanno preceduta. Infatti è noto che l’intento dell’Isis è quello di costruire un vero e proprio Califfato, diversamente da Al Qa’eda che non aveva mai mirato ad una così spiccata territorializzazione. Si osserva che l’Isis mira più al nemico vicino che a quello lontano, contrariamente ad Al Qa’eda e al jihadismostorico, che hanno sempre puntato sulla lotta all’Occidente con spettacolari attentati, che generalmente non attaccavano i governi arabi.
Tuttavia non molti osservano che tra queste caratteristiche specifiche dell’Isis dal punto di vista tattico, esistono anche delle caratteristiche particolari che contraddistinguono l’Isis dal punto di vista religioso-politico, sebbene il pattern sia sempre quello del jihadismomilitante. Infatti l’Isis nei suoi scritti usa le tipiche argomentazioni dei gruppi del jihad globale, dall’illegittimità dei governanti islamici attuali che non seguono la shari’ah o non lo fanno in maniera appropriata, alla denuncia dei crimini dell’Occidente (e le conseguenti minacce di vendetta) condite da versetti coranici e hadith – i detti del Profeta – presi senza alcuna contestualizzazione. Ma l’Isis fa qualcosa di più: elabora una visione messianica da fine del mondo che divulga continuamente attraverso ogni suo format propagandistico. A partire da Dabiq. Infatti Dabiq, secondo un hadith riportato infinite volte negli scritti dell’Isis, è il luogo dove avverrà la discesa del Dajjal, l’Anticristo dell’escatologia islamica, e dove gli eserciti musulmani e cristiani finalmente si fronteggeranno e “i Crociati verranno distrutti”.
L’importanza di questa profezia per l’Isis è stata rivelata nel video in cui si annunciava la decapitazione dell’operatore umanitario americano Peter Kassig. “Eccoci, bruciando il primo crociato americano in Dabiq, in trepidante attesa che arrivi il resto dei vostri eserciti”, dichiarava un combattente nel video. L’importanza di Dabiq è confermata anche da un un miliziano che ha combattuto contro Isis, il quale ha dichiarato al Wall Street Journal: “Dabiq è il paese più importante in tutta la Siria per loro … soprattutto per i combattenti stranieri. Loro prendono (le profezie) molto seriamente”. L’hadith 6924 afferma: “L’ultima ora non verrà fino a quando i Romani arriveranno ad al-A’maq o a Dabiq. Un esercito composto dai migliori (soldati) dei popoli della terra in quel momento verrà da Medina (a contrastarli) … Combatteranno e una terza (parte) dell’esercito scapperà, e Allah non li perdonerà mai. (Un terzo) che sarà costituito da eccellenti martiri agli occhi di Allah, verrà ucciso ed il terzo, che non sarà mai messo alla prova, vincerà e saranno i conquistatori di Rum”. Rum in arabo è Roma ma era anche Costantinopoli e per l’Isis che ha già dimostrato di interpretare la Rum dell’hadith come Roma, la conquista della capitale italiana segnerebbe la fine del mondo con l’inizio del Giorno del Giudizio. Per questo le minacce a Roma sono in primo luogo simboliche. È importante anche ricordare che proprio Dabiq fu teatro della battaglia che originò il Califfato Ottomano, circostanza che conferisce al luogo ulteriore valore simbolico.
Questa lettura degli hadith escatologici ha portato l’Isis a giustificare la schiavitù, quando annunciò al mondo tramite la propria propaganda video – e un accurato articolo sulla rivista Dabiq – la vendita delle schiave yazide, sciite, cristiane, ma anche sunnite finite dalla parte sbagliata, poiché secondo un hadith di questo tipo, il ritorno della schiavitù sarebbe uno dei “segni” della fine del mondo. In questo Isis tocca le corde di molti musulmani che sin da piccoli hanno ascoltato narrare in famiglia gli hadith relativi al Giorno del Giudizio, e che nella confusione del mondo moderno credono di riscontrarne numerosi segni. Infatti gli hadith indicano – come in ogni tradizione millenarista – che il Giorno del Giudizio verrà anticipato da guerre, sconvolgimenti naturali, esseri umani che crederanno al falso e sbugiarderanno il vero, eccetto una piccola comunità di veri credenti.
È importante sottolineare questa vena millenarista dell’Isis, perché è un altro degli elementi che la rendono unica nella storia dei movimenti jihadisti. I giovani che dalle banlieue raggiungono il Califfato, sono talvolta spinti dalla convinzione di scrivere davvero le ultime pagine della Storia: non solo la convinzione di costruire un Califfato sunnita che rivivifichi le antiche glorie dell’Islam e faccia riprendere il posto che spetta alla civiltà islamica, percepita come umiliata e debole, ma anche certezza di essere sulla curva finale della Storia e tra coloro che stanno operando per l’arrivo del Giudizio divino sull’umanità, momento di massimo riscatto per chi pensa di aver subito ingiustizie. L’Isis crede davvero in queste profezie, studiarle e conoscerle diventa perciò importante anche per noi, perché su di esse si baseranno tattiche di battaglia, con le armi e con il pensiero.
Due settimane fa è stato pubblicato il nuovo Terrorism Situation & Trend Report di Europol. Come ogni anno rappresenta un documento importante e utile per tutti coloro che addetti ai lavori o meno vogliano avere una fotografia di respiro internazionale, circa la minaccia terroristica e altre forme di estremismo violento.
Dalla sua lettura emergono alcuni punti interessanti, che è opportuno sottolineare in quanto si stima possano avere un impatto importante, per la generale comprensione di fenomeni complessi, quali quelli del terrorismo e crimini affini.
In particolare:
le analisi degli attacchi terroristici di estrema sinistra e anarchici ripercorrono una linea di spiegazione e presentazione essenzialmente criminologica, permanendo all’interno di una definizione “classica” di attività terroristica. Qui la prima nota: sempre più nel corso degli anni, il presente report si è caratterizzato per un focus specifico sugli attacchi occorsi o sventati, promossi da organizzazioni terroristiche. E’ una prospettiva importante da percorrere, perché pone in risalto solo una parte del fenomeno ovvero quella emersa, non approfondendo le attività informali e sommerse che invece sono cifra costitutiva della natura stessa di tali organizzazioni;
correlata al precedente, un’altra considerazione è degna di nota: gli attacchi effettuati e quelli sventati sono sempre preceduti da weak signals presenti nel milieu socio- culturaleche trovano però poca riflessione, non solo in questo report, ma anche nelle linee guida per il counter – extremism e le più ampie attività di governance di questi fenomeni nel medio – lungo periodo;
prendendo in esame i fenomeni legati a gruppi di estrema destra emerge la frammentarierà e la complessità di tali organizzazioni sia sul piano della variabilità culturale e geografica, sia da quello di organizzazione effettiva di azioni estremiste;
l’aspetto più importante però che emerge dal documento è l’aleatorietà di tali fenomeni. Infatti come scritto: “While the vast majority of rightwing extremist groups across the EU have not resorted to violence, they nevertheless help entrench a climate of fear and animosity against minority groups. Such a climate, built on xenophobia, anti-Semitic, Islamophobic and anti-immigration sentiments, may lower the threshold for some radicalised individuals to use violence against persons andproperty of minority groups.”, la maggioranza dei contributi e delle riflessioni occorse in questi ultimi anni e riguardanti l’estremismo di destra si basano sui sentimenti, sulle percezioni delle persone, sulle interpretazioni più o meno esperienziali di tali questioni nonché su un media coveragesbilanciato e poco analitico. E’ essenziale comprendere la portata di tale impostazione sia metodologica sia teorica, perché guida direttamente alla discrepanza fra le percezioni quotidiane di molte persone in vari Stati Europei e non, supportata ampiamente dai mass media tradizionali e dai social media, e la portata reale del fenomeno. I sentimenti come driver interpretativi dell’estremismo di destra sono una costante anche di altri lavori di ricerca e pubblicazioni sia accademiche sia extra accademiche. Un limite di tale approccio è che il fenomeno sembra rimanere relegato ad uno stato del “sentire” e non del “valutato”: una maggiore attenzione alle peculiarità locali, ma anche alle reti internazionali di tali organizzazioni dovrebbe essere posta, al fine di meglio comprendere e gestire la complessità interpretativa di tali fenomeni.
Ancora, il Te-Sat 2019 presenta un quadro puntuale dei gruppi gravitanti nell’orbita dell’estrema destra europea registrati in attività nel corso del 2018, menzionando un totale di 16 organizzazioni in 8 diversi paesi.Già nel marzo 2017, in relazione all’estrema destra, il commissario per la sicurezza dell’UE aveva allertato che “it tended to receive less media coverage. This may contribute to underreporting on the subject”[1].
È curioso notare che comparando il rapporto corrente con quello del 2018 (15 gruppi registrati attivi in 10 paesi), nel primo il focus sarebbe centrato sugli identitari, tendenza non confermata nel secondo, e solo 4 delle 31 organizzazioni complessivamente citate apparirebbero in entrambi i documenti. Dettaglio che potrebbe evidenziare la necessità di una copertura maggiormente sistematica del fenomeno nonostante la sua sottolineata eterogeneità.
Un altro elemento degno di nota riguarda la lettura di questo fenomeno come “localizzato”, il quale però troverebbe sempre meno posto all’interno della contemporanea realtà globalizzata, dove le relazioni di interdipendenza sarebbero in grado di generare il cosiddetto rischio sistemico globale per il quale: sebbene un evento accada all’interno di un contesto definito, gli effetti che produce si ripercuotono ben al di là dei meri confini di quel contesto.
A tale proposito, è interessante notare che all’interno del rapporto oltre ad un terrorismo di matrice jihadista dal comprovato carattere globale, vengono riportati i tentativi diinternazionalizzazione sia degli anarchici e dell’estrema sinistra, come l’utilizzo della Hambacher Forst tedesca “as a setting for international networking”[2], sia dell’estrema destra con vari esempi menzionati fra i quali Pegida, Identitarian Movement, Blood and Honor e Nova Ordem Social.Infine, la sezione dedicata al Single-issue terrorism risulta di particolare interesse. Sebbene all’interno del Te-Sat 2019 venga menzionato unicamente un attacco incendiario contro un macellaio ad Atene rivendicato dal gruppo animalista (estremista) Mavroprasini Midenistes, tematiche trasversali in termini politici, sociali e culturali come le migrazioni o i citati diritti degli animali e l’ambiente hanno recentemente conseguito risultati straordinari in termini di seguito e mobilitazione.
Tali eventi costituirebbero segnali significativi della crescente rilevanza di numerose problematiche contemporanee, nonché di tendenze sociali, potenzialmente capaci di determinare un impatto rivoluzionario sulla società e che sarebbe imperativo comprendere e gestire al meglio.
Nel quadro quindi delineato dal rapporto in oggetto, diventa essenziale un’analisi e un focus specifici al fine di meglio identificare tutti quei weak signals – tanti e già in essere – delle società attuali, in modo da poter supportare le più adeguate politiche di governance e attività efficaci di prevenzione. Il fine ultimo di tali azioni congiunte – politiche e operative – dovrebbe di fatto essere la promozione di una comprensione olistica di fenomeni che invece, per loro natura già frammentati, non trovano una ricomposizione equilibrata in fase di analisi, comprensione e identificazione.
LA RECRUDESCENZA DELL'ISIS VERSO I CRISTIANI AUMENTA DOPO LA SCONFITTA IN SIRIA. EUROPA A RISCHIO....
IMPRENDITRICE DI 60 ANNI VITTIMA DEL BRANCO
NELL’ENNESIMO TURPE CRIMINE DEI TERRORISTI
AIUTATI DALLA TURCHIA CON ARMI E MEDICINE
ISRAELE BOMBARDA ANCORA VICINO AL GOLAN
MA IL PONTEFICE FRANCESCO AMMONISCE ASSAD
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Da cristiano mi ero ripromesso di non indugiare nelle critiche al Pontefice della Chiesa Cattolica Apostolica Romana perché sono ben lungi da essere prossimo a quella perfezione che consente di giudicare gli altri potendo reggere alla conseguenza evangelica di essere giudicati. Ma quanto accaduto nei giorni scorsi in Siria ha dell’incredibile e palesa la grave incapacità del Vaticano di analizzare ciò che sta accadendo nel mondo e soprattutto in Medio Oriente. È una terribile coincidenza a mettere alla berlina la superficialità della Santa Sede nel valutare i fenomeni di politica estera senza la facoltà di approfondirli e sviscerarli ma affidandosi ad una retorica qualunquista che predica un amore e benessere terreno talmente utopico da non essere profetizzato nemmeno nella Bibbia: almeno fino alla Parusia, il ritorno di Cristo.
Papa Francesco I, al secolo Jose Maria Bergoglio
Il male c’è. C’è sempre stato ma oggi è sempre più forte e potente nel mondo. Ogni guida spirituale dovrebbe saperlo individuare ed additare ai fedeli affinché evitino di lambirlo o proteggerlo. Il 18 luglio una benestante donna cristiana di 60 anni che abitava nella provincia di Idlib in Siria è stata rapita dai jihadisti, stuprata dal branco, torturata per malefico divertimento e quindi lapidata: si sa che per i musulmani radicali, quali sono i miliziani sunniti salafiti di Hayat Tahrir al-Sham (HTs, ex Al Nusra, affiliati di Al Qaeda), anche una donna stuprata va messa a morte in quanto complice di adulterio. Lo insegnano alcune Sure del Corano di Maometto.
Ebbene quattro giorni dopo Papa Francesco I, con tutta probabilità ispirato da consiglieri fraudolenti porporati, fa recapitare una lettera al presidente della Repubblica Araba della Siria, Bashar Al Assad, per invitarlo a tutelare i diritti umani della popolazione della provincia di Idlib, usata sovente come scudo dai terroristi islamici per difendersi dagli atacchi della coalizione siriano-russa e denunciare vittime tra i civili. Una battaglia continua senza esclusione di colpi che procede ininterrotta perchè i jihadisti hanno ripetutamente violato la tregua concordata da Russia e Turchia allo scopo di consentire ai turchi di permettere la fuoriuscita protetta dei terroristi: mai attuata da Ankara.
La missiva, portata al Palazzo di Governo brevi manu dal Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto della Dicastero per la promozione dello sviluppo Umano Integrale, accompagnato da padre Nicola Riccardi ofm, sottosegretario del medesimo Dicastero vaticano, e dal Cardinale Mario Zenari, Nunzio apostolico a Damasco (come riporta l’agenzia Fides) sa di bacchettata al capo di stato del paese mediorientale devastato dalla guerra più incivile del terzo millennio. Un conflitto infame che ormai anche i bambini ignoranti sanno essere stato scatenato dai finanziamenti USA all’Isis a partire dal 2011 e dagli armamenti forniti dai Fratelli Musulmani della Turchia ai jihadisti qaedisti di Al Nusra per allargare i propri confini in quei territori siriani occupati, in pacifica convivenza coi siriani, nel Nord e nel Rojava, dai Curdi, considerati nemici etnici dai turchi tanto da piangere la morte dei più feroci combattenti jihadisti.
Dopo otto anni di guerra civile scatenata da ribelli armati fino ai denti fin dai progetti americani di George Bush jr. nel 2006 (vedi reportage I cospiratori contro Assad) tutto il mondo che non è asservito alle politiche USA sa di chi è la colpa di quasi mezzo milione di morti. Tutti gli analisti seri di geopolitica sanno che, come ripetutamente denunciato dall’ambasciatore siriano all’Onu, il conflitto in Siria prosegue con morti ammazzati ogni giorno per colpa della presenza di contingenti militari americani e turchi che proteggono, aiutano e finanziano i terroristi jihadisti in quanto non vogliono accettare l’onta e il danno economico di una vittoria di Assad contro il quale hanno investito miliardi di dollari in armamenti per toglierlo dal potere. Lo sanno tutti. Tanto che i giornalisti occidentali filotrumpiani ormai si vergognano persino a scrivere della Siria calando solo un velo più impietoso che pietoso.
CRISTIANA STUPRATA DAL BRANCO JIHADISTA: TORTURATA E LAPIDATA
Ebbene dall’immagine che mi sono fatto del pontefice Jorge Maria Bergoglio posso assolutamente credere che lui, immerso nei sogni di un paradiso terrestre che non è quello descritto dall’apostolo San Giovanni Evangelista nel libro dell’Apocalisse, non abbia cognizione di questi fatti, ma non posso credere che non li conoscano i suoi collaboratori cardinali o i responsabili della sala stampa vaticana che divulgano le notizie sulle iniziative del Papa e dovrebbero però prima almeno leggere gli organi d’informazione, almeno quelli cristiani. Come ha fatto il mensile Tempi riprendendo la notizia diffusa da un media cattolico francese.
La sessantenne cristiana Suzan Der Kirkour violentata, torturata e lapidata dai jihadisti
Tempi riferisce una notizia tremenda. «I jihadisti l’hanno rapita, stuprata a ripetizione, torturata per nove ore e poi lapidata. È morta così Suzan Der Kirkour, cristiana armena di 60 anni, residente nel villaggio siriano di Yacoubieh, nella provincia di Idlib. La donna è scomparsa l’8 luglio ed è stata ritrovata il giorno dopo morta da uno dei pochi sacerdoti della zona, l’ultima rimasta sotto il controllo dei terroristi islamici» scrive il mensile cattolico.
Come riportato da Sos Chrétiens d’Orient, Suzan proveniva da una famiglia agiata e viveva occupandosi degli uliveti di famiglia e insegnando gratuitamente l’arabo ai bambini della chiesa del villaggio di Knayeh. Preoccupato per la sua assenza, il 9 luglio il sacerdote del villaggio è andato a cercarla e l’ha trovata morta nel suo campo. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i medici hanno trovato sul suo corpo tracce di stupro e tortura: «La donna è stata torturata per circa nove ore prima di essere lapidata a morte». Gli assassini, non ancora identificati, appartengono quasi certamente alla milizia jihadista di Al-Nusra che, per riabilitarsi agli occhi del mondo dopo anni di efferati crimini, ha cambiato nome in HTS (Hayat Tahrir al-Sham) cercando di spacciarsi per rivoluzionari.
Tempi riporta anche una testimonianza fatta all’Agensir da padre Hanna Jallouf, frate della Custodia di Terra Santa, in cui l’anno scorso raccontava quali difficoltà vivono i cristiani del villaggio di Knayeh (così come quelli di Yacoubieh e Gidaideh, vicini al confine con la Turchia): «Ringraziamo il Signore che siamo ancora vivi. Molti cristiani vengono rapiti, altri uccisi. Nessuno va più a lavorare i propri terreni. Dentro casa i cristiani si sentono più al sicuro. Ogni giorno vengono in chiesa almeno 50-60 persone. La domenica sono molte di più perché arrivano anche dai villaggi vicini. La vita è difficile, manca praticamente tutto: i prezzi per acquistare i beni necessari sono altissimi. Non abbiamo elettricità e acqua corrente. I miliziani di Al Nusra hanno preso le nostre terre, anche quelle dei conventi, e hanno cacciato i cristiani dalle proprie case per dare alloggio ai loro profughi e ai loro combattenti. Le nostre celebrazioni sono tollerate solo se svolte all’interno della chiesa, ma ci è vietato esporre all’esterno croci, statue dei santi, immagini sacre, suonare campane. La situazione è grave ma continuiamo a pregare e ogni giorno sentiamo la mano di Dio che veglia su di noi. Preghiamo per la pace in Siria, perché finisca questa strage inutile».
MEDICINE DEI TURCHI ALL’ISIS, MISSILI ISRAELIANI SULLA SIRIA
C’è poco altro da aggiungere. Con spirito cristiano posso soltanto pensare che in Vaticano regni tanta ignoranza su quanto accade in Siria dove feroci jihadisti, sebbene isolati in una piccola provincia montuosa, continuano a ricevere regolarmente munizioni per cannoni e razzi potenti con cui uccidono, preferibilmente, gli abitanti dei vicini villaggi cristiani. Non è un fatto giustificabile per lo Stato Pontificio ma è una colpa meno grave di essere consapevoli del nome dei responsabili e non volerli accusare pubblicamente: persino il Vangelo invita ad ammonire il fratello che sbaglia.
E l’errore della Turchia è così grave e reiterato da essere ormai diventato orrore soprattutto nel circondario di Afrin dove l’operazione sarcastica Olive Branch, ramo d’ulivo, è stata affidata dall’esercito di Recipe Erdogan, presidente della Turchia, ai miliziani di Al Qaeda che compiono persecuzioni quotidiane e massacri di Curdi nel silenzio dei media: qualche settimana fa, come riportato solo da Gospa News nel civile occidente, i jihadisti protetti dai Turchi hanno sequestrato e brutalmente ucciso, per il mancato pagamento del riscatto, un nonno, un padre ed il fanciullo di 10 anni con la sindrome di Down.
Nei giorni scorsi il media curdo ha pubblicato le ricevute delle forniture di medicinali fatte dalla Turchia ai guerrieri Isis nel lontano 2013. A conferma di una strategia che solo i tentativi, peraltro in gran parte falliti, del presidente russo Vladimir Putin hanno in parte limitato.
Sotto una delle ricevute di consegna di medicinali dalla Turchia all’Isis pubblicate dal media curdo Anf
Pochi giorni fa la Russia si è incontrata con USA ed Israele proprio per concordare un piano di pacificazione in Siria. Il dialogo ha portato al conseguente ritiro degli Hezbollah libanesi dai territori siriani sul confine israeliano in quanto tale presenza veniva ritenuta una minaccia dal governo di Benjamin Netanyahu che l’ha presa come pretesto per bombardare circa 2mila volte la Siria nel 2018 ed almeno un centinaio nel 2019, con l’ultimo attacco degli F-16 dell’Israeli Defense Forces che una settimana fa ha fatto quattro vittime civili tra cui un bambino.
Gli Hezbollah si sono ritirati in altre parti del paese ma proprio ieri l’esercito di Israele ha compiuto un nuovo raid missilistico nel territorio siriano vicino alle alture occupate dagli stessi sionisti nel Golan…
Esimio Pontefice, se vuole sollecitare qualcuno per risolvere il sanguinario conflitto in Siria scriva a Washington, Ankara e Tel Aviv. Oppure faccia come il santo di cui porta il nome: emuli Francesco d’Assisi e vada ad Idlib a parlare coi jihadisti. Magari li converte…
ISIS SCONFITTO IN SIRIA, PIU’ PERICOLOSO IN EUROPA
IN FRANCIA 273 ARRESTI NEL 2018, IN ITALIA 40
PAURA PER I MINORI INDOTTRINATI ALLA JIHAD
MA ANCHE PER GLI INFILTRATI TRA I MIGRANTI
Allarme estrema sinistra: 19 attacchi in un anno
di cui la metà soltano nella penisola italica
__di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Nel 2018, il terrorismo ha continuato a costituire un maggiore minaccia alla sicurezza negli Stati membri dell’UE. Orribile attacchi perpetrati da jihadisti come quelli di Trèbes, Parigi, Liegi e Strasburgo hanno ucciso in totale tredici persone e ne hanno ferite molte di più. Inoltre, un attacco terroristico da parte di un estremista di destra in Italia e numerosi arresti di sospetti terroristi di destra per la pianificazione degli attacchi in tutta l’Unione Europea (UE), indicano che gli estremisti di divergenti orientamenti considerano sempre più la violenza come uno strumento giustificato di confronto. I terroristi non mirano solo a uccidere e mutilare ma anche a dividere la nostra società e a diffondere l’odio. Dobbiamo rimaneri vigile se vogliamo proteggere i nostri cittadini e i nostri valori di fronte ai tentativi di usare la violenza per scopi politici».
A scrivere queste parole è Catherine De Bolle, già commissario generale della polizia belga e dal 2018 direttore esecutivo dell’Europol, nel dossier The Sat 2019, il rapporto annuale sul terrorismo elaborato dagli investigatori di tutte le forze dell’ordine dell’Unione Europea denominato Terrorism Situation and Trend Report. E’ appena stato pubblicato dall’Europol e perciò non è ancora stato diffuso dai media internazionali. Il dato più eclatante delle statistiche è quello sugli arresti: 1.056 sospetti terroristi finiti in manette nel 2018, 511 dei quali perché sostenitori della Jihad nel nome di Allah.
IL TERRORISMO NAZIONALISTA E DI ESTREMA SINISTRA
In esso emergono tre sostanziali gravi emergenze: il terrorismo di matrice etnica-nazionalista soprattutto in Gran Bretagna (Irlanda del Nord), che detiene il record di 83 attacchi (tra effettuati e progettati ma smascherati dai poliziotti dei vari paesi), quello di ispirazione jihadista particolarmente grave in Francia, dove si sono registrati la metà dei 24 attentati (8 realizzati e 16 tentati) da radicali islamici, ed infine quello di estremisti di sinistra: 19 casi in tutta Europa a fronte di 1 soltanto di ispirazione di destra. Quest’ultimo si riferisce della nota sparatoria contro gli immigrati dello pseudo-leghista Luca Traini a Macerata in reazione al brutale squartamento di Pamela Mastropietro, la diciannovenne drogata, violentata, uccisa e fatta a pezzi da un nigeriano in odore di mafia nera.
Siccome però l’orientamento politico dell’Unione Europea è da sempre socialista-democratico la direttrice dell’Europol si concentra sui pericoli dei terroristi di ultra-destra omettendo completamente di degnare di analoga preoccupazione quelli compiuti dall’ultra-sinistra che proprio in Italia ha portato a segno 10 attacchi nel 2018 con l’arresto di 8 persone mentre in tutta l’Unione Europea gli arrestati di sinistra sono stati 34 contro i 44 di destra, a conferma che l’azione preventiva è molto più concentrata nei confronti dei gruppi neonazisti piuttosto che degli eredi delle famigerate Brigate Rosse comuniste, nonostante il numero di attacchi assai differente.
LA MINACCIA JIHADISTA IN EUROPA OCCULTATA DAL REGNO UNITO
Ma l’allarme più grave per l’Europa e per la penisola italica è rappresentato dai jihadisti. Se nello scorso anno nella multietnica Francia, emblema di libertà, uguaglianza e fratellanza, sono stati arrestati 273 sospettati di terrorismo islamico, in Olanda 45 ed in Germania 43, in Italia 40 musulmani sono finiti dietro le sbarre per cospirazioni finalizzate ad attentati riusciti soprattutto nel territorio francese (10) ed in quelli olandesi e britannici (4) a fronte di due soltanto nello stato tedesco e un in quello italiano.
Da un attenta analisi del documento emerge anche il grossolano tentativo di copertura sull’allarme jihadista in Gran Bretagna: mentre in tutte le altre nazioni è bene evidente il numero dei terroristi islamici radicali, nel regno della Regina Elisabetta II, dove le Corti della Sharia sono attive e riconosciute da anni per la risoluzione dei contenziosi civili nelle problematiche familiari, i servizi di intelligence e polizia hanno preferito non diffondere i dati reali degli arrestati di matrice musulmana.
Nella lotta al terrorismo «il Regno Unito ha contribuito con 273 arresti non disaggregati per tipo di terrorismo e non includono 148 arresti effettuati in Irlanda del Nord» scrive una nota del dossier The Sat da cui emerge che Londra, guardacaso amministrata da un sindaco musulmano, non ha voluto specificare il numero dei fanatici della Jihad finiti dietro le sbarre, nonostante l’allarme della NCA (National Crime Agency, l’agenzia britannica omologa alla FBI americana) per gli stupri seriali ai danni di ragazze minorenni compiuti dalle bande di musulmani in varie contee, come riportato da Gospa News in altri reportage.
Ecco quindi che il rapporto dell’Europol nasce già in parte “falsato” sebbene la stessa direttrice De Bolle sia la prima ad evidenziare il grave pericolo della minaccia jihadista nell’Unione Europea sempre più benevola per l’accoglienza indiscriminata dei migranti africani nonostante proprio in tale continente ci sia il fermento e la proliferazione dell’Islam radicale.
«Mentre nel 2017 i jihadisti hanno perpetrato dieci attacchi terroristici nella UE, l’anno scorso abbiamo subito sette attacchi terroristici jihadisti. Allo stesso tempo, tuttavia, il numero di interruzioni di complotti terroristici jihadisti è aumentato sostanzialmente. Quest’ultimo includeva tentativi di produrre e diffondere prodotti chimici e sostanze biologiche, un fatto che illustra il livello di impegno di individui, cellule e reti per usare tattiche terroristiche per danneggiare il società in cui vivono – scrive la direttrice Europol lanciando un nuovo gravissimo allarme – Il livello della minaccia del terrorismo, quindi, non è diminuito, nonostante la sconfitta militare dell’Isis nell’anno precedente. Semmai, la situazione è diventata più complessa. All’interno del ambiente jihadista, attori multipli di motivazione e fedeltà divergenti stanno complottando da soli o cospirando altri; e estremisti di destra, in un tentativo di giustificare la violenza, preda del percezione di una minaccia dall’Islam, che alcune persone facilmente alimentano interpretando la propaganda terroristica e comportamento criminale come rappresentante di una religione mondiale».
GLI ATTACCHI JIHADISTI NEL 2018
Quanto segue è una panoramica degli attacchi terroristici jihadist completati nel 2018, quattro dei quali sono stati rivendicati dal cosiddetto Stato Islamico (IS).
Il 23 marzo, un uomo marocchino di 26 anni ha dirottato un’auto a Carcassonne (Francia), uccidendo il passeggero e ferendo il conducente. Più tardi, ha sparato e ferito quattro agenti di polizia nelle vicinanze delle caserme e ha attaccato un supermercato a Trèbes, dove ha ucciso due civili, ferendone altre e tenendo in ostaggio i clienti. Un tenente colonnello della Gendarmeria Nazionale Francese, che si è scambiato per un ostaggio, è stato colpito e pugnalato dall’attentatore e morì in seguito alle ferite. La speciale task force della gendarmeria nazionale francese ha ucciso l’aggressore. Un comunicato di Amaq News ha affermato che era “un soldato di IS”;
Il 5 maggio un uomo ha pugnalato e ferito gravemente tre persone all’Aia (Paesi Bassi) prima di essere ferito con un colpo di fucule e arrestato dalla polizia. Le autorità in seguito hanno valutato che aveva un movente terroristico;
Il 12 maggio, un cittadino francese di 20 anni di origine cecena armato con a coltello ha ucciso una persona ferendone molte altre a Parigi (Francia), prima essere colpito a morte dalla polizia. È rivendicata la responsabilità dell’attacco attraverso Amaq News la quale ha affermato che l’attentatore era “un soldato di IS” e ha rilasciato a video dell’attaccante che si dichiara fedele a IS;
Il 29 maggio, un uomo di 31 anni che era stato rilasciato dal carcere in libertà vigilata il giorno prima, ha pugnalato due agenti di polizia e ha preso una delle loro armi a Liegi (Belgio). Ha usato la pistola per sparare e uccidere entrambi gli ufficiali e il passeggero di un’auto, e ferire altri quattro agenti di polizia all’uscita dall’edificio scolastico dove aveva brevemente tenuto una donna in ostaggio. L’aggressore è stato ucciso dalla polizia e il giorno seguente è stato rivendicata la responsabilità dell’attacco tramite Amaq News. L’autore aveva convertito all’Islam ed era stato radicalizzato alla violenza mentre scontava una condanna per reati di droga;
Il 31 agosto, un cittadino afgano di 19 anni che aveva presentato domanda di asilo in Germania pugnalò e ferì gravemente due turisti americani nella stazione centrale di Amsterdam (Paesi Bassi), prima di essere ferito da un colpo d’arma da fuoco e arrestato dalla polizia. Successivamente le autorità hanno valutato che aveva un motivo terroristico;
L’11 dicembre, un cittadino francese di 29 anni di origine algerina armato con una pistola e un coltello ha ucciso cinque persone e ferito altri in un attacco vicino al mercatino di Natale di Strasburgo (Francia). È stato ferito dalla polizia prima di fuggire dalla scena. Dopo una ricerca di due giorni, è stato ucciso a Strasburgo e IS ha affermato che l’attentatore era un “soldato IS” attraverso una dichiarazione di Amaq News del 13 dicembre. Diverse persone sono state arrestate in connessione con l’attacco, compreso l’individuo che presumibilmente ha fornito l’attaccante con un’arma da fuoco;
Il 31 dicembre, un uomo di 25 anni di origine somala armato con a coltello da cucina pugnalato e ferito tre persone tra cui un ufficiale di polizia alla stazione Victoria di Manchester (Regno Unito). L’aggressore è stato arrestato, e in seguito le autorità hanno valutato che aveva un movente terroristico.
L’IMPATTO SULL’UE DELLA JIHAD NEL SAHEL E IN MEDIORIENTE
«L’uguaglianza e la libertà possono prosperano solo dove i i cittadini possono essere fiduciosi di poter esercitare i loro diritti e partecipare alla vita pubblica senza intimidazione o paura della violenza. Purtroppo, in un numero crescente di luoghi al di fuori dell’Europa, la violenza è diventato prevalente – aggiunge la dottoressa De Bolle – Nei paesi come la Siria, la Libia, il Mali, l’Afghanistan, tra l’altro, i gruppi terroristici hanno acquisito influenza in misura tale da rivaleggiare lo stato, la cui autorità in molti casi sono minate da faziosità politiche, strutture deboli e corruzione. I cittadini di questi paesi sono esposti a esistenziali minacce alle loro vite e proprietà basate sulla loro appartenenza a particolari comunità o aderendo a particolari pratiche o credenze. La perpetuazione di queste crisi ha dimostrato di avere un impatto sull’Europa, sia attraverso la creazione di nuove lamentele o pregiudizi tra diversi comunità in Europa, screditando gli sforzi internazionali per risolvere la crisi attraverso la diplomazia o fornendo spazio ad ideologie distruttive ed alla prosperazione di reti terroristiche».
Più che un’analisi sui dati investigativi internazionali l’introduzione della numero uno dell’Europol pare un trattato di politica mondialista che omettendo di citare le persecuzioni cristiane nei paesi musslmani del Medio Oriente asiatico e del Sahel africano segnala invece un pericolo inevitabile: «la polarizzazione e l’aumento delle opinioni estremiste è una preoccupazione per gli Stati membri dell’UE. Il dibattito pubblico su fenomeni sensibili come il terrorismo, quindi, deve essere basato sui fatti prima di giungere a conclusioni – precisa la direttrice Europol – Sono orgogliosa di dire che Ue Terrorism Situation and Trend Report (TESAT) ha fornito fatti verificati sul terrorismo in Europa dal 2006. Il rapporto è stato accolto come un punto di riferimento nelle discussioni sulle Politiche antiterrorismo dell’UE e sugli studi accademici. Il lavoro dei membri dell’Advisory Board, costituito dalla “troika” (Presidenze del Consiglio UE, vale a dire Austria, Romania e Finlandia); Francia; Spagna; Eurojust; il Centro di intelligence e situazione dell’UE (INTCEN) e l’Ufficio dell’UE per il coordinamento antiterrorismo ha stato indispensabile per la realizzazione del The Sat 2019»
Richiederebbe un articolo intero l’analisi degli innumerevoli interessanti aspetti del dossier. Pertanto ci concentriamo solo sulle più significative novità tralasciando volutamente la lunga parte sulla minaccia jihadista in Asia ed Africa già ampiamente testimoniata da molteplici reportage di Gospa News.
GLI ATTACCHI MORTALI DEI TERRORISTI ISLAMICI NEGLI ULTIMI ANNI
Con la sconfitta dell’Isis in Iraq ed in Siria «il numero di Foreign Terrorist Fighters europei che viaggiano o tentano di recarsi in zone di conflitto è stato molto basso» ma l’obiettivo delle reti jihadiste è ora nell’UE: «i membri degli stati si sono indirizzati verso la realizzazione di attività nell’Unione Europea».
«Nel 2018, tutti gli attentati mortali del terrorismo sono la conseguenza di attacchi jihadisti: 13 persone hanno perso la vita, inoltre 46 sono state ferite. Questa è una diminuzione considerevole rispetto al 2017, quando dieci attentati hanno ucciso 62 persone». Evidenzia la sintesi del dossier rimarcando che negli Stati membri Ue sono stati ben 16 i complotti sventati e 7 quelli compiuti: «un fatto che indica sia la continua alta attività terroristica ma illustra l’efficacia degli sforzi antiterrorismo».
Tutti gli attacchi terroristici jihadisti sono stati commessi da persone che hanno agito da sole per colpire simboli di autorità ma spesso «il movente dell’autore e il collegamento con altri individui o gruppi radicalizzati è rimasto poco chiaro». Armi da fuoco e coltelli sono stati gli strumenti utilizzati denotando una «diminuita sofisticazione nella preparazione e nell’esecuzione degli attacchi terrorisitici» che ha determinato «un numero inferiore di vittime».
LA MINACCIA AL QAEDA E L’USO DI ORDIGNI ESPLOSIVI IMPROVVISATI
Ma «c’è stato anche un aumento nell’uso di miscele pirotecniche per produrre ordigni esplosivi improvvisati (IED) nelle trame jihadiste. Tre complotti terroristici con l’uso di materiali CBRN (chimici, biologici, radioattivi o nucleari)». Dopo la sconfittà dell’Isis in Siria, eliminato anche dalla roccaforte di Baghouz dalle milize curde SDF, c’è stato un calo degli affiliati al di fuori dell’Unione Europea ma ciò non deve creare troppo ottimismo. L’Europol ritiene infatti «probabile che venga sostituito con l’aumento degli sforzi di al-Qaeda per rivendicare potere e influenza nell’area. La strategia di Al-Qaeda si regge sulla costruzione di alleanze con tribù locali per appofittare delle rimostranze politiche locali ed internazionali anche in Europa».
Ecco perché fenomeni come la strage nelle moschee di Christchurch in Nuova Zelanda, ordita dall’autraliano Brenton Tarrant, di origini israeliane ed addestrato da Isis e Mossad come riportato da Gospa News, piuttosto che i massacri di Pasqua nelle chiese cristiane dello Sri Lanka, progettati da un imam istruito dall’Isis in Siria, rappresentano i fenomeni ideali per creare quella strategia del terrore capace di far proliferare gli estremismi e giustificare l’Islam radicale ed i suoi antagonisti.
PROPAGANDA ISIS SUL WEB E INDOTTRINAMENTO DEI MINORI
«La sconfitta militare dell’IS in Iraq e la Siria ha avuto un significativo impatto sulla funzionalità numerica del gruppo» e «la coerenza narrativa è stata compromessa dall’incapacità unificare internamente le sue posizioni ideologiche. Tuttavia, IS è riuscito a mantenere una presenza online in gran parte grazie a reti non ufficiali di sostenitori e organi di stampa. Sia IS sia al-Qaeda hanno continuato a cercare nuovi vettori online per la loro propaganda». Ma se l’uso di piattaforme e open source tecnologiche è avanzato come uello di strumenti di comunicazione crittofragata «le capacità di attacco informatico del gruppo sono rimaste rudimentali.
Ma il pericolo del proselitismo radicale resta alto: «C’è un rischio continuo che gli individui con background criminale, compresi quelli attualmenti imprigionati, siano vulnerabili all’indottrinamento e potrebbero impegnarsi nel terrorismo». Mentre è drasticamente calato il numero dei cosiddetti Foreign Terrorist Fighters, i combattenti europei in Medio Oriente: «Piuttosto che tentare il viaggio nella zona del conflitto, il focus delle reti jihadiste degli Stati membri UE si è indirizzato allo svolgimento di attività nell’Unione Europea, sia online che offline.
Il numero di individu di ritorno nell’UE è rimasto molto basso: centinaia di europei i cittadini rimangono in detenzione in Iraq e in Siria. Tutti gli uomini e alcune donne si preputa che abbiano ricevuto addestramento per le armi, anche acquisendo esperienza di combattimento.
Mentre i minori sono essenzialmente vittime, ci sono preoccupazioni tra i membri dell’UE che possano essere stati esposti all’indottrinamento e alla formazione in ex territori IS, e ciò potrebbe rappresentare un potenziale minaccia in futuro. L’abuso dei flussi di migrazione da parte di terroristi per entrare nell’UE non sembra essere sistematico». Ma pur non essendo tale finalmente il dossier Europol ammette che anche questa emergenza rappresenta una drammatica certezza.
IL TERRORISMO ETNICO-NAZIONALISTA IN IRLANDA DEL NORD
Come è acclarato l’allarme per le minacce terroristiche di matrice etnico-nazionalista. Se nel 2018, nessun attacco terroristico è stato attribuito al Partiya Karkeren Kurdistan (PKK, Partito dei lavoratori del Kurdistan), a conferma che la minaccia era tale in risposta alle persecuzioni dei Curdi nell’Iraq di Saddam Hussein e nella Turchia, dove il partito HDP è entrato per la prima volta in Parlamento nel 2018, resta altissime le tensioni in Irlanda del Nord ed in Spagna per i partiti separatisti.
«Nel 2018, i gruppi Dissident Republican (DR) hanno continuato a rappresentare un significativo minaccia alla sicurezza nell’Irlanda del Nord – riporta il dossier Europol – La minaccia è principalmente rappresentata dal Nuovo Esercito Repubblicano Irlandese (NIRA), la Continuità Repubblicano Irlandese Esercito (CIRA), Arm na Poblachta (ANP, Esercito della Repubblica) e Óglaigh na hÉireann (ONH, Guerrieri d’Irlanda) che si dividono in due fazioni». Gli attacchi hanno quasi sempre come obiettivo la polizia britannica e sono stati condotti con molotov, esplosivi e armi da fuoco da invidui collegati con la criminalità organizzata.
In Spagna, invece, la minaccia terroristica l’anno scorso è rimasta molto contenuta dopo che l’Eta Euskadi ta Askatasuna (Basque Fatherland and Liberty) ha sospeso gli attacchi dal 2009 annunciando proprio nel maggio 2018 lo smantellamento della rete. Gli unicici episodi di violenza, con attentati a infrastrutture pubbliche della comunicazione o dei trasporti, sono avvenuti ad opera di pochi estremisti di tale organizzazione confluiti nell’Ernai group, collegato ai partiti di estrema sinistra Baschi. Ma non hanno causato gravi danni o vittime.
Proprio l’estrema sinistra, come detto all’inizio, rimane una delle componenti terroristiche più attive in Europa sebbene le reminiscenze del periodo Nazista inducano la politica e le forze dell’ordine ad evidenziare le preoccupazioni per la minaccia di destra. Ciò non è altro che la conseguenza della solita propaganda dei media del mainstream in gran parte sostenuti da editori di area democratica come il gruppo Gedi in Italia, di proprietà della finanziaria di Carlo De Benedetti, tessera numero uno del Partito Democratico.