Le sconfitte militari sul campo del cosiddetto Stato Islamico sembrano determinarne una nuova strategia mediatica, più offensiva, che pare riguardare il nostro territorio da vicino, dato che l’Occidente e l’Italia in particolare ne appaiono al centro e proprio gli ultimissimi fatti sembrano darne conferma. L’ultimo numero di Dabiq, la rivista in lingua inglese fino ad oggi punta di diamante della propaganda di Da’esh, si intitola significativamente Break the Cross, “Spezza la Croce”, mentre da pochissimo è uscita una nuova rivista in inglese, tradotta in diverse lingue europee, intitolata Rumiyah, ossia Roma, indirizzata appositamente ad un pubblico europeo. Il titolo è significativo, perché esplicita la visione millenarista che caratterizza l’ISIS, suffragata da un hadith secondo il quale la vittoria sui Romani a Dabiq darebbe il via alla fine del mondo e al “Giorno del Giudizio [universale]”.
Nell’introduzione di Dabiq si trova l’elogio dei fatti di sangue avvenuti a Dacca (Bangladesh) e in Occidente, “Orlando (USA), Magnanville, Nizza, e Normandia (Francia), Würzburg e Ansbach (Germania)”, mentre l’articolo più rilevante lo si incontra nella rubrica periodica del magazine jihadista In the words of the enemy, “Con le parole del nemico”, aperto da una enorme foto di Papa Francesco Bergoglio sorridente mentre stringe la mano all’imam dell’Azhar, El Tayeb, commentata da una eloquente didascalia: “Il crociato Papa Francesco e l’apostata Ahmed el-Tayeb”, una frase che riassume i concetti principali della narrazione jihadista: un Occidente “Crociato”, e istituzioni ufficiali islamiche “traditrici” dell’islam. Passando ad analizzare la nuova rivista Rumiyah, osserviamo un’introduzione il cui titolo rende subito l’idea del tenore militante della pubblicazione: Stand and die upon that for which your brothers died, in cui i mujahidiin sono invitati a prendere l’esempio dal deceduto portavoce Al ‘Adnani, mentre l’articolo di chiusura esplicita lo scopo della rivista: The Kafir’s blood is Halal for you: so shed it, ovvero “Il sangue dei miscredenti è lecito: perciò versatelo”.
Quest’ultimo articolo è particolarmente indicativo del nuovo strumento di propaganda dell’ISIS: spiega perché è un obbligo e non solo lecito secondo la versione jihadista dell’Islam uccidere “i miscredenti”. Una versione molto semplificata e binaria dell’Islam, che sembra considerare – in netto contrasto con la tradizione islamica – il versetto 5 della sura 9 del Corano, chiamata al Tawba, il famoso “versetto della spada”, come l’unico valido nel trattare con i non-musulmani e che significativamente costituisce il sottotitolo di entrambi gli articoli, sia l’introduzione di Dabiq che la chiusura di Rumiyah. Questo dice molto dell’ideologia dell’ISIS e in generale del jihadismo, per cui sono riservate ben poche opzioni ai non-musulmani: la conversione all’Islam, o la sottomissione e il pagamento della jiziya, tassa imposta a cristiani ed ebrei. Però più intensamente degli altri gruppi jihadisti, ISIS insiste molto sul dovere di combattere i cristiani e gli ebrei che vivono in Occidente e Rumiyah sembra proprio pensata per diffondere questa visione binaria e violenta. Dopo aver ribadito il classico concetto jihadista della liceità del sangue dei “miscredenti”, a dispetto della tradizione islamica, questo compendio per la diffusione della visione del jihadismo militante si conclude con un passaggio che tenta di legittimare, con parole propagandistiche, gli atti di violenza utilizzando i testi sacri e la religione come scudo: “Ai musulmani che attualmente vivono nel Dar al-Kufr deve essere ricordato che il sangue dei miscredenti è halal, e la loro l’uccisione è una forma di culto ad Allah, Signore, Re, e Dio del genere umano”.
Questi passaggi sono veri e propri inviti ad agire anche individualmente, vogliono rivolgersi ai “lupi solitari”, ai marginali, alle nuove generazioni nichiliste come ai militanti islamisti delusi e a tutti coloro che per motivi diversi possono risultare sensibili al loro messaggio. Persone che possono prendere le sembianze di Dahir Adnan, il ventiduenne di origini somale che il 18 settembre ha ucciso nove persone in un centro commerciale di St. Cloud nel Minnesota, urlando “Allah Akbar” o di Ahmed Khan Rahami, il ventottenne afghano ricercato per le bombe esplose nella stessa giornata a New York e nel New Jersey. L’improvvisa e attuale concentrazione dell’ISIS sull’Occidente – come promosso dalla nuova rivista – rappresenta un’evoluzione significativa nella strategia del gruppo, che cerca di reagire a quanto accade sul campo di battaglia aumentando la violenza dello scontro, facendo leva su una capacità propagandistica che si sta rivelando molto pericolosa ed in grado di mobilitare anche singoli individui.
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L’Isis, Dabiq e l’escatologia della fine del mondo. Jihadisti pronti ad attaccare Roma?
Ormai molti associano il nome Dabiq alla rivista in lingua inglese dell’Isis. Ma non molti hanno compreso che a partire dal nome scelto per la rivista si può comprendere un aspetto centrale della visione dell’Isis e anche molto singolare, in quanto rivela l’impronta millenarista che la differenzia da tutti i gruppi jihadisti che l’hanno preceduta. Infatti è noto che l’intento dell’Isis è quello di costruire un vero e proprio Califfato, diversamente da Al Qa’eda che non aveva mai mirato ad una così spiccata territorializzazione. Si osserva che l’Isis mira più al nemico vicino che a quello lontano, contrariamente ad Al Qa’eda e al jihadismostorico, che hanno sempre puntato sulla lotta all’Occidente con spettacolari attentati, che generalmente non attaccavano i governi arabi.
Tuttavia non molti osservano che tra queste caratteristiche specifiche dell’Isis dal punto di vista tattico, esistono anche delle caratteristiche particolari che contraddistinguono l’Isis dal punto di vista religioso-politico, sebbene il pattern sia sempre quello del jihadismomilitante. Infatti l’Isis nei suoi scritti usa le tipiche argomentazioni dei gruppi del jihad globale, dall’illegittimità dei governanti islamici attuali che non seguono la shari’ah o non lo fanno in maniera appropriata, alla denuncia dei crimini dell’Occidente (e le conseguenti minacce di vendetta) condite da versetti coranici e hadith – i detti del Profeta – presi senza alcuna contestualizzazione. Ma l’Isis fa qualcosa di più: elabora una visione messianica da fine del mondo che divulga continuamente attraverso ogni suo format propagandistico. A partire da Dabiq. Infatti Dabiq, secondo un hadith riportato infinite volte negli scritti dell’Isis, è il luogo dove avverrà la discesa del Dajjal, l’Anticristo dell’escatologia islamica, e dove gli eserciti musulmani e cristiani finalmente si fronteggeranno e “i Crociati verranno distrutti”.
L’importanza di questa profezia per l’Isis è stata rivelata nel video in cui si annunciava la decapitazione dell’operatore umanitario americano Peter Kassig. “Eccoci, bruciando il primo crociato americano in Dabiq, in trepidante attesa che arrivi il resto dei vostri eserciti”, dichiarava un combattente nel video. L’importanza di Dabiq è confermata anche da un un miliziano che ha combattuto contro Isis, il quale ha dichiarato al Wall Street Journal: “Dabiq è il paese più importante in tutta la Siria per loro … soprattutto per i combattenti stranieri. Loro prendono (le profezie) molto seriamente”. L’hadith 6924 afferma: “L’ultima ora non verrà fino a quando i Romani arriveranno ad al-A’maq o a Dabiq. Un esercito composto dai migliori (soldati) dei popoli della terra in quel momento verrà da Medina (a contrastarli) … Combatteranno e una terza (parte) dell’esercito scapperà, e Allah non li perdonerà mai. (Un terzo) che sarà costituito da eccellenti martiri agli occhi di Allah, verrà ucciso ed il terzo, che non sarà mai messo alla prova, vincerà e saranno i conquistatori di Rum”. Rum in arabo è Roma ma era anche Costantinopoli e per l’Isis che ha già dimostrato di interpretare la Rum dell’hadith come Roma, la conquista della capitale italiana segnerebbe la fine del mondo con l’inizio del Giorno del Giudizio. Per questo le minacce a Roma sono in primo luogo simboliche. È importante anche ricordare che proprio Dabiq fu teatro della battaglia che originò il Califfato Ottomano, circostanza che conferisce al luogo ulteriore valore simbolico.
Questa lettura degli hadith escatologici ha portato l’Isis a giustificare la schiavitù, quando annunciò al mondo tramite la propria propaganda video – e un accurato articolo sulla rivista Dabiq – la vendita delle schiave yazide, sciite, cristiane, ma anche sunnite finite dalla parte sbagliata, poiché secondo un hadith di questo tipo, il ritorno della schiavitù sarebbe uno dei “segni” della fine del mondo. In questo Isis tocca le corde di molti musulmani che sin da piccoli hanno ascoltato narrare in famiglia gli hadith relativi al Giorno del Giudizio, e che nella confusione del mondo moderno credono di riscontrarne numerosi segni. Infatti gli hadith indicano – come in ogni tradizione millenarista – che il Giorno del Giudizio verrà anticipato da guerre, sconvolgimenti naturali, esseri umani che crederanno al falso e sbugiarderanno il vero, eccetto una piccola comunità di veri credenti.
È importante sottolineare questa vena millenarista dell’Isis, perché è un altro degli elementi che la rendono unica nella storia dei movimenti jihadisti. I giovani che dalle banlieue raggiungono il Califfato, sono talvolta spinti dalla convinzione di scrivere davvero le ultime pagine della Storia: non solo la convinzione di costruire un Califfato sunnita che rivivifichi le antiche glorie dell’Islam e faccia riprendere il posto che spetta alla civiltà islamica, percepita come umiliata e debole, ma anche certezza di essere sulla curva finale della Storia e tra coloro che stanno operando per l’arrivo del Giudizio divino sull’umanità, momento di massimo riscatto per chi pensa di aver subito ingiustizie. L’Isis crede davvero in queste profezie, studiarle e conoscerle diventa perciò importante anche per noi, perché su di esse si baseranno tattiche di battaglia, con le armi e con il pensiero.
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