La fabbrica dei dollari sta in Nord Corea, macina banconote dello Zio Sam per miliardi di dollari. «Centoni» falsi ma veri con tanto di volto di Benjamin Franklin. Macchina, carta, i rarissimi marcatori... Che ci fanno fuori dagli Stati Uniti, lontani migliaia di miglia dal Bureau of Engraving and Printing? Producono «supernotes». Le zecche americane non sono due bensì tre. La terza se ne sta nascosta a Pyongsong, la «città chiusa» a due passi da Pyongyang, batte moneta solleticando i desideri del dittatore nordcoreano di turno e fornisce cash in abbondanza ai servizi segreti Usa per le loro operazioni clandestine. Dollari falsi, ma verissimi, non esistono nei budget, esistono eccome sul mercato. Sono made in Corea anziché in Usa. E custoditi in bancali nei sotterranei dell’ambasciata nordcoreana a Phnom Penh. I nordcoreani stampano, i cambogiani a modo loro custodiscono, gli americani tirano i fili. I custodi della democrazia mondiale e lo Stato canaglia si minacciano ma combuttano e fanno affari.
L’intrigo internazionale è smascherato da un ficcanaso italiano che per aver visto troppo, chiesto troppo, parlato (forse) troppo, è andato all’inferno per tredici mesi prima di tornare a respirare l’aria di casa, colline della Toscana, una moglie e una bimba piccola. Ebbene chi è questo ficcanaso? Il suo nome è Agente Kasper, ma potremmo chiamarlo Hornet, Comandante Carlos e altro ancora, pilota Alitalia (e non solo) agente sotto copertura dell’intelligence italiana per 30 anni, prestato talvolta alla Cia, titolare di un bar a Phnom Penh da dove ha condotto l’indagine che lo ha portato ad annusare le supernotes e a firmare così la sua condanna all’inferno, le carceri cambogiane e soprattutto il lager di Prey Sar. Ci resta 373 giorni nelle carceri, marzo 2008-aprile 2009. «L’inferno esiste e io ci sono stato», scrive. Volevano farlo sparire, l’avidità di carcerieri che bramano i soldi di quell’occidentale nerboruto la cui famiglia da lontano può pagare per garantirgli che l’inferno sia meno inferno, lo tiene in vita. Scrive un diario, pagine fitte, divora quaderni e matite.
Sono questi appunti da Prey Sar che diventano un libro, ovviamente intitolato Supernotes scritto con il giornalista Luigi Carletti. Quasi 400 pagine di suspense, emozioni, imprevisti, poche pause, pudici indugi ai sentimenti. Il lager, pare di vederlo, coperto di fango, le piogge incessanti del Sud Est asiatico che anziché lavare, insozzano. La cella d’isolamento, buco interrato in mezzo al piazzale del carcere che quando diluvia Kasper deve aggrapparsi alla grata e guardar in su, il cielo, per non essere inghiottito dall’acqua. Vermi, larve non uomini in quei lager che Kasper racconta. Pugni, coltelli, morte, risse, affari e traffici, secondini talvolta compiacenti talvolta ansiosi di sangue. Kasper da qui ci racconta la sua vita, il suo essere (stato) 007, uomo d’intelligence sempre in bilico fra vita e morte, e fra vero e falso. Vecchi missioni e l’ultima, maledetta, a caccia di Supernotes. Non dà risposte, non anticipa conclusioni, vaga insieme al lettore fra le pagine in cerca della verità. Ci arriva vicino. Coglie il senso, ma Kasper non dà l’ultima zampata. Il perché è successo tutto ciò è una risposta abbozzata, biascicata. Nemmeno Kasper lo sa.
E’ egli stesso un mistero. Certo che esiste, che è vero, il suo nome compare in inchieste e nei registri di Regina Coeli dove finisce per 4 giorni nel 2009, gli amici sono in carne ed ossa, le persone citate note (come l’allora procuratore Pier Luigi Vigna che guidò due operazioni contro il narcotraffico, «Pilota» e «Sinai» e Kasper era della partita come affiliato ai Ros). E la sua storia? Possibile che per 13 mesi un cittadino italiano sia evaporato in un lager cambogiano e non vi sia uno straccio di azione del nostro governo su quello di Phnom Pehn? Solo un avvocato, una misteriosa pentita, qualche amico di Kasper nei Ros, una lettera dell’allora ministro Frattini ai famigliari («Seguiamo il caso....»), uno strano console faccendiere francese e Marco Lanna, console onorario italiano in Cambogia... Pochissimo. Eppure è anche questo intreccio fra verità e fiction che tormenta il lettore, «sarà tutto vero?».
Vera la storia, esagerati i dettagli? Il contrario? Chissà. Pistole, droga, agenti della Cia e dell’Fbi, inseguimenti, esecuzioni, il cinese colto, il contractor tedesco, il boss thailandese che naviga nell’oro, il senatore cambogiano buono per necessità (prende mazzette ma avverte Kasper del pericolo), il lager e l’italiano ficcanaso con l’amico americano Clancy, uomo Cia ovviamente. Atmosfera da Alias, il telefilm di spie con la bellissima Jennifer Garner (ora signora Affleck) che si sdoppia in centinaia di persone per combattere i nemici. Ma almeno lì, in tv, è finzione c’è il bene e c’è il male. Qui invece c’è Kasper con i suoi giochi di specchi. Vera o falsa?
Accontentiamoci della storia. Strepitosa.