Don Aldo Buonaiuto e il vicequestore Francesca Romana Capaldo sono in prima linea nella lotta contro le sette. «Le indagini sono sempre molto difficili, ma noi siamo sempre più preparati. Il contributo di chi sa qualcosa resta però fondamentale».
Sette sataniche:«Vittime e testimoni, non abbiate paura di denunciare»
Don Aldo Buonaiuto e il vicequestore Francesca Romana Capaldo sono in prima linea nella lotta contro le sette. «Le indagini sono sempre molto difficili, ma noi siamo sempre più preparati. Il contributo di chi sa qualcosa resta però fondamentale».
Il vicequestore Francesca Romana Capaldo, a capo della Squadra Antisette della Polizia. E' stata premiata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver guidato l'indagine che ha portato all'arresto dei responsabili degli stupri di Rimini dell'estate 2017
Don Aldo Buonaiuto lo ripete più volte nel corso dell’intervista: «Mi raccomando, citate il nostro numero verde. I minori sono sempre più esposti a finire nella rete delle sette. Per questo, chiunque abbia il minimo sospetto, è bene che sappia a chi rivolgersi».
Ecco allora il numero verde, 800228866, del Servizio antisette della Comunità Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi e coordinato da don Aldo. «Riceviamo in media 15 telefonate al giorno e parecchie sono di genitori preoccupati per i propri figli». Soprattutto adolescenti: «È la fascia d’età in cui è più facile subire il fascino dell’occultismo. E Internet e i social network sono diventati dei canali formidabili di reclutamento per le sette. Altre nascono intorno a giovani che si riuniscono per suonare o ascoltare un tipo di musica heavy metal chiamato brutal death».
In particolare, don Aldo segnala un fenomeno sempre più diffuso: «Il satanismo acido, ossia l’uso di droghe sintetiche da parte di giovani che, nella simbologia esoterica, equivalgono alla comunione con Satana. Per queste microsette, la morte psichica è più importante della morte fisica. E dietro questi ragazzi quasi sempre ci sono adulti che li manipolano. Per questo parliamo di psicosette».
Ma quando in un genitore, in un insegnante, in un educatore deve scattare un campanello d’allarme? «Se un ragazzo da un giorno all’altro cambia gli amici, il modo di vestirsi, di comportarsi, manifestando una predilezione per l’oscuro, il macabro, qualche domanda bisogna farsela e non invece banalizzare, come purtroppo spesso capita». Chi telefona al Servizio antisette, il più delle volte lo fa perché ha paura a rivolgersi alle forze dell’ordine o semplicemente si vergogna a farlo: «Si fa fatica a parlare di questo fenomeno perché non lo si conosce. Diciamo la verità: sono molto più numerosi i difensori delle sette, che cercano di ridicolizzare quelli che come noi le contrastano. Siamo a disposizione per raccogliere le richieste d’aiuto, a indirizzare le persone verso psichiatri qualificati, e se dai racconti ipotizziamo l’esistenza di reati, li segnaliamo alle forze dell’ordine e in particolare alla Squadra antisette della Polizia con cui collaboriamo da molti anni».
È una sezione del Servizio centrale operativo (Sco) diretta dal vicequestore aggiunto Francesca Romana Capaldo: «Ciò che accomuna le vittime è la loro fragilità. Nel caso dei minori, nella simbologia ritualistica c’è in più l’attrattiva della loro ”purezza”». Ma come si fa a finire dentro una setta? Il vicequestore racconta un caso recente seguito dalla Squadra mobile di Torino: «Una ragazza, quando era ancora minorenne, è stata introdotta dall’ex fidanzato e dalla madre di lui in una setta dove ha subìto abusi sessuali in un contesto di riti esoterici. Per convincerla a continuare, hanno realizzato dei video che usavano come strumento di ricatto, un elemento tipico di queste organizzazioni. Ma lei ha trovato il coraggio di parlare con un centro antiviolenza e da lì abbiamo attivato un’indagine che ha portato allo smantellamento della setta».
Le inchieste sono molto difficili perché i guru sono davvero abili a nascondere le prove della loro attività. «Per questo è necessaria un’alta specializzazione da parte di chi, noi per primi, contrasta questo fenomeno. A tal fine, abbiamo costituito una task force a livello nazionale: con i colleghi della mia sezione collaborano altri di grande esperienza delle Squadre mobili di varie città. Per questo voglio lanciare un messaggio di speranza ai genitori e ai ragazzi. Stiamo maturando una sensibilità e una competenza molto forti in questa materia: per cui non temete di venire a denunciare, non abbiate paura di essere giudicati o di non essere creduti».