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Socrate
martedì 29 gennaio 2019
I PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION E IL DIABOLICO PIANO CONTRO LA CHIESA E L'UMANITA'
LEGGETE IL PDF DEI PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION E CONFRONTATELO CON IL PIANO DIABOLICO CONTRO LA CHIESA E L'UMANITA' CHE IL DIAVOLO E' STATO COSTRETTO A SVELARE IN QUESTO VIDEO:
QUI TROVATE IL PDF DEI PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION:
QUI IL VIDEO INTERESSANTE DEL PROF. CLAUDIO MUTTI NEL QUALE SI EVINCE CHE I PROTOCOLLI SONO VERI!
LEGGI ATTENTAMENTE!! A tutt'oggi non esiste un solo documento storico ufficiale, una sola prova autentica, che dimostri che i Protocolli dei Savi di Sion siano un "falso" come si dice. Sono tutte e solo SUPPOSIZIONI. Il famoso Processo di Berna del 1933/35, fu PERSO dagli Ebrei in seconda instanza nel 1937. La Comunità Israeleitica Svizzera fu condannata a pagare tutte le spese processuali di 4 anni pari a quasi 25.000 franchi e i Protocolli NON FURONO RICONOSCIUTI FALSI. Pyotr Ivanovic Rachkowsky, capo della Okhrana di Parigi era semi ebreo, Arkady Harting (Abraham Hackellman), suo braccio destro, era ebreo, Matvei Golovinski era ebreo, tutta l'Okhrana era composta da agenti provocatori ed infiltrati ebrei. Maurice Joly, autore di Dialogue aux Enfers Entre Macchiavelli et Montesquieu era figlio di una donna ebrea sefardita: Florentine Courtois, Inoltre era un massone e rivoluzionario durante la Comune di Parigi nel 1871. Non morì suicidato come si dice ma fu tolto di mezzo dalla Massoneria di Isaac Moises Cremieux con "due colpi" in testa. Nuovi documenti venuti alla luce dimostrano che i Protocolli sono antecedenti all'opera di Maurice Joly. I "Dialoghi agli Inferi tra Macchiavelli e Montesquieu" non sono altro che i dialoghi Tra Isaac Moises Cremieux (uno dei veri Savi di Sion) e Maurice Joly. E' ora di svegliarsi e comprendere che in tutta la storia che è stata scritta fino ad oggi sui Protocolli (vedi: Norman Cohn, Henri Rollin, Umberto Eco, Sergio Romano..,) l'unica cosa di VERO sono i Protocolli stessi!!
Tra non molto uscirà un libro che demolirà, una per una, tutte queste tesi.
Visita protocollisavision.wordpress.com per leggere i veri documenti e scoprire la verità.
Il piano diabolico che Satana ha rivelato durante un esorcismo dopo le dimissioni di Benedetto XVI!
PURTROPPO, UN PIANO CHE SI STA DIPANANDO GIORNO PER GIORNO, E C'E' ANCHE LA CRISI ECONOMICA CHE E' OPERA DEL MALIGNO....
LA PERLA DI OGGI
«Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura».
(Levitico 25,35-37)
MADURO: IL GHEDDAFI LATINO FA PAURA COL PETROCOIN
TEMPESTA PERFETTA AI CARAIBI COL PAPA A PANAMA:
I CONTRO-OPINIONISTI «COMPLOTTO USA COME IN SIRIA»
PER LA CRIPTOVALUTA MONETARIA SUL PETROLIO.
BOMBARDIERI RUSSI PRONTI A DIFENDERE L’ALLEATO
L’ONU PREMIA IL VENEZUELA: “PAESE AD ALTO SVILUPPO”
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura». (SACRA BIBBIA – Levitico 25,35-37)
Se questo passo della Bibbia fosse applicato da tutti i paesi del mondo oggi George Soros sarebbe un vecchietto che va a giocare a carte nel caffè sotto casa, la strozzina Bce e la terribile Federal Reserve americana due organizzazioni filantropiche, il Fondo Monetario Internazionale un dispensatore di aiuti umanitari ai bisognosi della terra, e Nicolas Maduro, il Gheddafi sudamericano che gli Usa hanno disconosiuto a favore del leader dell’opposizione, potrebbe essere uno degli statisti più acclamati al mondo. A sostenere quest’ultima ipotesi non è un delirio fantapolitico ma l’Indicatore di Sviluppo Umano, lo Human Development Index dell’Onu che, come vedremo, smentisce le teorie apocalittiche degli statunitensi e dei loro manipolati rivoltosi golpisti di Caracas, e attesta il Venezuela all'8° posto in Sud America e al 78° del mondo, davanti a Brasile, Cina, Thailandia, Ucraina e Tunisia, sebbene sotto il terribile dittatore! Ma quando nel medioevo la Chiesa Cattolica Cristiana condannò severamente l’usura i mercanti ebrei si attaccarono con le avide unghie solo alla locuzione “se uno dei vostri” sentendosi autorizzati ad esigere interessi usurai (per la Bibbia qualsiasi prestito lo è), divenendo pian piano padroni finanziari del mondo e strozzinando i non-sionisti prima, con la stessa logica con cui i jihadisti musulmani ammazzano gli infedeli, e chiunque poi. Non solo. L’Illuminato di Baviera che fu il capostipite della dinastia di banchieri Rothschild sfruttò le massonerie internazionali per costruire il progetto del Nuovo Ordine Mondialein modo da influenzare la politica eliminando gli ostacoli principali al loro piano plutocratico, le monarchie aristocratiche ereditarie, attraverso la scusa delle rivoluzioni sociali. Ma siccome il diavolo, si sa, fa la pentola ma non il coperchio la reazione del popolo bue partorì mostri peggiori a quelli immaginati con la nascita del comunismo, capace di fare 90milioni di morti mai abbastanza pianti sulla faccia della terra (vedi link articolo L’Olocausto dei massoni comunisti a fondo pagina): un numero in continuo aumento a causa delle pene capitali sommarie tuttoggi perpetrate nei paesi dove ancora vige.
DALL’URUGUAY AL VENEZUELA: UNA RAFFICA DI GOLPE MILITARIIl presidente venezuelano Nicolas Maduro a dicembre a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin
A ciò non fece eccezione l’America Latina ove purtroppo si ricordano le gesta di quel disertore italiano e guerrigliero mercenario mazziniano che combattè in Uruguay in uno dei tanti golpe militari sudamericani contro un presidente conservatore, democratico e cristiano legittimamente eletto (Manuel Oribe): ovvero Giuseppe Garibaldi, massone iniziato nel 1944 prima alla loggia irregolare Asilo de Vertud di Montevideo e poi a quella regolare Les amis de la Patriedella Gran Loggia di Francia, fondatore della milizia Legione Italiana. Da allora il Sud America, ritenuto dagli yankees a stelle e strisce il giardino della propria casa, è stato vituperato e martoriato da innumerevoli golpe per motivi di geopolitica militare o di sfruttamento delle ricchezze naturali: il Venezuela, con la più grande riserva petrolifera internazionale che da sola rappresenta la metà di quella globale, è il bersaglio prediletto da più di 16 anni, da quel lontano 2002 in cui gli Usa con un colpo di stato in piena regola arrestarono il presidente Hugo Chavez, il socialista bolivariano democraticamente eletto, e misero al suo posto l’affarista Pedro Carmona, durato pochi giorni per l’insurrezione del popolo che rivolle il leader destituito. Ora Caracas è diventato l’obiettivo più urgente anche in virtù dell’ultima geniale trovata dell’erede chavista Maduro per difendersi dalle asfissianti sanzioni americane: il Petro o Petrocoin, la prima criptovaluta di Stato del mondo. Una moneta virtuale collegata al nuovo Bolivar Soberano garantita però dallo Stato al 50 % proprio grazie alle immense riserve petrolifere. Un progetto simile a quello del greenback del presidente americano Abramo Lincoln per affrancare gli Usa dalle banche e a quello di Muhammar Gheddafi per creare una valuta africana unitaria, garantita dalle sue imponenti riserve auree libiche, alternativa Cfa: il Franco delle Colonie Francesi d’Africa, inventato da Parigi nel 1945 ed al centro delle attuali polemiche sullo sfruttamento economico di 14 paesi paesi grazie alla gestione di questa moneta da parte della Banca Nazionale di Francia. Sappiamo benissimo che fine hanno fatto Lincoln, ucciso proprio da un massone (vedi link articolo a fondo pagina Massoneria e grandi crimini a fondo pagina), e Gheddafi che, secondo un dettagliato articolo dell’inviato di guerra Gian Micalessin, fu preso di mira dai bombardamenti occidentali ed eliminato proprio per l’idea di quella nuova moneta.
LA TEMPESTA PERFETTA IN VENEZUELA IN ONORE DEL SANTO PADRE
Juan Guaido, il presidente dell’Assemblea Nazionale di Caracas e leader dell’opposizione si è autoproclamato presidente ad interim ottenendo il riconoscimento degli Usa e di altri stati EPA/Cristian Hernandez
«E’ bene che la gente non sappia come funziona il nostro sistema monetario perché, se lo sapesse, farebbe una rivoluzione entro domani mattina». Questa celebre frase non è di un politico sovranista dell’Unione Europea in riferimento alla Bce ma dell’ex presidente degli Usa, Henry Ford, perfettamente consapevole che il sistema economico americano, e di conseguenza mondiale attraverso le correlazioni tra Fed e Fmi, è sempre stato una giostra di banche che a loro piacimento decidono chi può indebitarsi e chi no: usando parametri flessibili per gli amici, rigorosi per gli sconosciuti ed esiziali per i nemici. Ma quando un paese ostile è troppo ricco di risorse naturali scatta la guerra se è in un’area geopolitca scottante come Medioriente o Asia, come contro Gheddafi nel 2011, oppure una cospirazione più lenta, ma spesso più efficace, attraverso il finanziamento di un leader delle opposizioni che sostenga le accuse di mancato rispetto dei diritti democratici e la contestuale applicazione di sanzioni internazionali che si traducano in gravi crisi economiche fomentando così l’ovvio malcontento popolare a sostegno del politico compiacente. «Quando gli Stati Uniti volevano rovesciare un governo, lo facevano fare segretamente alla Central Intelligence Agency (CIA), particolarmente quando questi governi erano stati democraticamente eletti, come Iran (1953), Guatemala (1954), Cile (1973), Nicaragua (1980), Haiti (2006), Honduras(2009), Ucraina (2013) e Siria (2011) – scrive l’opinionista internazionale britannico Davide William Pear – Nel corso degli ultimi decenni, gli Stati Uniti sono diventati più sfrontati nei loro progetti di regime change. Quel che di solito si faceva in segreto, attualmente viene praticato senza complessi sotto gli occhi di tutti. Il progetto di regime change in Venezuela del 2017 è oramai diventato di pubblico dominio». «Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog – scrive nella sua rubrica Il Ghibellino su Il Giornale il giornalista italiano Cristiano Puglisi – Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”. Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2012 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad». Ora che abbiamo già chiarito chi, dove, perché, cosa e come soffermiamoci sull’ultimo dei “topos” indispensabile per analizzare la situazione: quando. Ciò che sta accadendo oggi in Venezuela in quella che potrebbe sembrare una tempesta perfetta nel Mar dei Caraibi pare organizzato apposta in concomitanza della Giornata Mondiale della Gioventù che vede il Santo Padre a Panama. Papa Francesco, si sa, non è solo buonista ma è proprio buono davvero: si commuove e piange per i migranti come per i morti venezuelani di questi giorni (tra i quali ci sono i militari insorti per tentare il golpe contro Maduro), ma la sua anima candida gli impedisce di ponderare che dietro questi drammi esistano dei complotti internazionali politico-finanziari-mediatici. Ed ovviamente alcuni suoi collaboratori infidi fanno di tutto per nasconderglieli. «Gli Stati Uniti hanno perfezionato le loro tecniche di regime-change, camuffandole in promozione della democrazia, che finanzia la sovversione attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale (USAID), il Servizio di Informazioni degli Stati Uniti (USIS) e il National Endowment for Democracy (NED)finanziato dal Congresso, l’International Republican Institute (IRI) e altre organizzazioni non governative selezionate» aggiunge ancora Pear scordandosi di citare l’Unicef: secondo i documenti pubblicati da Edawrd Snowden, l’ex agente di Cia e Nsa che svelò le intercettazioni dei presidenti europei da parte dei servizi segreti americani, il Fondo Onu per l’infanzia era tra gli obiettivi di sorveglianza dell’intelligence britannica (Gchq – Government Communications Headquarters) e americana (Nsa – National Security America).
LA RIVOLTA PILOTATA A CARACAS CON MILITARI INSORTI E MORTI
Alcuni militari che nell’agosto 2017 tentarono un golpe armato che provocò morti e feriti come quello dei giorni a Caracas iniziato con l’occupazione di una caserma e sventato dall’esercito governativo
«Ho trascorso 33 anni e quattro mesi in servizio militare attivo e durante quel periodo ho passato la maggior parte del mio tempo come uomo altolocato per il grande business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racket, un gangster per il capitalismo – Questa frase è contentuta nel libro War is Racket scritto dal generale statunitense Smedley Butler che aggiunge – Ho aiutato a rendere il Messico e soprattutto Tampico sicuri per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a rendere Haiti e Cuba un posto decente per i ragazzi della National City Bank per raccogliere entrate. Ho aiutato a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane per il beneficio di Wall Street». Riporto queste righe mentre in Venezuela si contano 26 morti negli scontri tra le forze di polizia e l’esercito governativo da una parte e dall’altra i militari insorti e i manifestanti dell’opposizione, scesi in piazza a migliaia. Come scrivono i colleghi in Venezuela si sta cercando di riproporre il medesimo criminale format già utilizzato con successo in Ucraina da Barack Obama con la rivolta di piazza Euromaidan, fomentata per presunte velleità europeiste e miso-russe, in realtà finalizzata non solo al controllo dei confini della rivale Mosca ma anche allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e petrolio del Donbass (vedi articolo Donbass: strage per il gas a fondo pagina): non fu certo per caso che Hunt Biden, figlio dell’ex vicepresidente Usa, entrò nel Cda della società energetica nazionale ucraina Burisma. E proprio il già citato Micalessin intervistò dei militari georgiani che confermarono di essere stati tra i cecchini mercenari pagati per sparare sulla folla e giustificare con quasi cento morti l’indignazione mondiale.
I BOMBARDIERI RUSSI GIA’ PRONTI IN VENEZUELA
Gli aerei bombardieri russi Tu-160 inviati dall’alleato Vladimir Putin a dicembre in Venezuela
«Attualmente è più difficile controllare un milione di persone, che ucciderle» avrebbe apertamente dichiarato Zbigniew Brzezinski, già consigliere di quel presidente americano Jimmy Carter che, in qualità di osservatore internazionale, nel 2012 certificò la bontà del sistema elettorale chavista. Esattamente lo scenario costruito in Siria grazie al finanziamento dei ribelli (vedi articolo I cospiratori contro Assad a fondo pagina) e persino dei terroristi dell’Isis, i quali, una volta armati dagli Usa, decisero di conquistare l’intero medioriente in nome della Jihad costringendo la stessa Usaf (Us Air Force) a bombardarli causando 1.160 morti civili. Se in Venezuela non ci sono ancora state eco di guerra è soltanto per due motivi: Trump, per quanto soggiogato da consiglieri fraudolenti nel proseguire le strategie imperialiste americane, non è malvagio e sanguinario come il suo predecessore Obama, il più inverecondo Nobel per la Pace mai assegnato; inoltre, a metà dicembre, all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” sono atterrati due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 della Russia, alleata di Maduro, che ha nel paese molteplici relazioni commerciali attraverso la società petrolifera a maggioranza statale Rosneft. Il Cremlino, oltre ad inviare gli aerei da guerra, ha già condannato la pantomima dell’autoproclamazione del nuovo presidente ad interim Guaidò ed il sostegno giunto da varie nazioni del mondo come «inquietanti» per bocca del ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso al governo venezuelano le «armi necessarie per difendersi». Il presidente russo Vladimir Putin, che pare attento alle sorti delle sovranità nazionali e dell’umanità intera, ha già fatto capire che Caracas non sarà una nuova Damasco con intorno mezzo milione di morti. A ciò si aggiunge il fatto che Maduro ha ottenuto dalla Cina prestiti per 40 miliardi di dollari che sta restituendo in natura, con l’invio di quantità crescenti di petrolio a prezzi bloccati e facendosi carico dei costi di trasporto. E’ pertanto ovvio che Pechino non correrebbe mai il rischio di un cambio di scenario politico, che se va bene potrebbe congelare la restituzione del finanziamento, se va male cancellarla. Ecco perché la strategia americana potrebbe avere successo solo in due modi: l’attentato omicida del presidente chavista, con inevitabile caos simile a quello della Libia, o la Terza Guerra Mondiale. E Trump sta tanto bene alla Casa Bianca quanto nel suo grattacielo di Manhattanper correre simili rischi…
Una parte della tabella dell’Indice di Sviluppo Umano (Hdi) dell’Onu 2018 dove il Venezuela risulta al 78° posto nel mondo – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL DOSSIER COMPLETO
Tralasciando le fumose e in gran parte fittizie contestazioni sull’esercizio autoritario del potere politico in Venezuela da parte di Maduro, rieletto presidente a maggio 2018 con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne comunque intorno al 50 %, vediamo quali sono le cause della crisi economica che sta attanagliando il paese da qualche anno. Per farlo facciamo riferimento alle tabelle Onu sull’Indice di Sviluppo Umano. Lo Human Development Index è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq con il collega indiano Amartya Sen. Viene utilizzato dal 1993 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei Paesi membri in sostituzione del precedente indicatore basato solo sul Pil (Prodotto interno lordo). L’Hdi è calcolato in millesimi e definito come la media geometrica di tre indici di base, legati rispettivamente alla speranza di vita, al livello di istruzione e al reddito. Prevede una tabella in cui le nazioni sono suddivise con quattro criteri di sviluppo umano: molto alto, alto, medio e basso. Ebbene sosprenderà tanti detrattori del bolivarismo chavista leggere che il Venezuela nel 2017 è attestato al 78° con un indice dello 0,761 che lo include tra i paesi con Alto Sviluppo Umano: appena prima del Brasile e sopra a Thailandia, Algeria, Cina, Equador, Ucraina, Peru, Colombia, Giordania, Tunisia, Giamaica, Maldive, Paraguay, Moldavia, Filippine, SudAfrica, Egitto, Indonesia e Vietnam. Un analista pignolo noterà certamente nella tabella che riportiamo un’enorme criticità: il paese ha perso ben 16 posizioni in cinque anni tra il 2012 e il 2017, ma il coefficiente è rimasto pressochè invariato rispetto al 2014 ed al 2015 confermando che le sanzioni americane imposte in quegli anni dal Governo Obama e i conseguenti declassamenti delle agenzie di rating hanno bloccato una crescita che altrimenti si stava rivelando esponenziale. Analizzando infatti la tabella dei coefficienti si può notare che il dato è balzato dal 0,759 del 2010 al 0,774 del 2012 per poi crescere fino al picco dello 0,778 del 2014, declinare allo 0,775 del 2015 e cadere bruscamente allo 0,766 del 2016 per perdere ancora 5 millesimi l’anno dopo. Ciò indica che il paese ha retto sostanzialmente alla crisi del petrolio del 2014 che ha fatto precipitare il costo del barile ma meno alle conseguenze dei declassamenti di rating e delle repressive sanzioni iniziate nel 2015.
LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA PER “DIOS Y FEDERACION”
La folla assiste al discorso del leader di opposizione Juan Guadio a Caracas
«La Rivoluzione bolivariana, oltre a portare una cospicua fetta della popolazione fuori dalla povertà, persegue da sempre un processo di riforme verso la creazione di un’inedita democrazia economica. Dal 1999 ad oggi sono nate decine di migliaia di cooperative e un’apposita legge del 2010 ha creato centinaia di comuni autogestite. È evidente il trasferimento di poteri in atto: dall’élite capitalistica al popolo». Lo sostiene Samuel Boscarello in un blog politico di sinistra citando anche dati precisi: «Fino ad oggi i profitti derivanti dall’industria petrolifera hanno permesso lo sviluppo dei vasti programmi di assistenza sociale da cui è derivato un drastico calo della povertà (dal 42% del 1999 al 27% del 2011 in termini relativi, mentre quella assoluta è scesa dal 17% al 7%)». Una circostanza confermata anche dall’economista Sissi Bellomo sull’Atlante Geopolitico 2015 nel sitoweb dell’enciclopedia Treccani: «La compagnia petrolifera di Stato, Petroleos de Venezuela (Pdvsa), dalla fine degli anni Novanta è stata usata come strumento per finanziare le politiche populiste del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi, senza alcun riguardo per i più banali criteri di redditività ed efficienza gestionale. Basti pensare che il Venezuela, costretto a importare benzina – e recentemente persino petrolio, per diluire il greggio extra pesado – praticamente regala il pieno di carburante ai suoi cittadini e attraverso l’alleanza Petrocaribe invia greggio a prezzi stracciati a Cuba e ad altri 16 paesi dell’area». Due pareri abbastanza tecnici che se da una parte evidenziano i noti motivi della crisi dall’altra dipingono una cultura socialista chavista che sembra porre al centro della sua politica l’essere umano e non il vil denaro o il profitto sulle risorse. Non va inoltre dimenticato che la Repubblica Bolivariana del Venezuela, dipinta da molti opinion-maker occidentali come dittatura comunistoide, è uno dei rarissimi paesi socialisti in cui la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. La gran maggioranza dei venezuelani sono di fede cristiana e in particolare cattolica (oltre il 90%): il motto popolare è proprio Dios y Federación a conferma. Quindi perché la crisi si sta facendo così sentire? Per colpa della tipologia di petrolio e delle sanzioni. Ma anche, secondo alcuni opinionisti, per la manipolazione di grossisti venezuelani sostenuti dagli americani che volutamente centellinano la distribuzione dei beni di prima necessità. Un’ipotesi tutt’altro che da sottovalutare in un paese dove la corruzione è una delle piaghe sociali ancora gravi.
IL PETROLEO EXTRA PESADO E LE DISTRUTTIVE SANZIONI
Uno dei depositi di petrolio dell’azienda statale Pdvsa – Petroleos de Venezuela
«È la più grande riserva di petrolio al mondo ed è tuttora sfruttata solo in minima parte: la fascia dell’Orinoco, un’area di 54mila chilometri quadrati lungo il corso del fiume omonimo in Venezuela, potrebbe contenerne fino a 1300 miliardi di barili secondo le stime più ottimiste, una quantità quasi pari a quella di tutte le risorse di petrolio convenzionale del globo. Già, perché quello dell’Orinoco convenzionale non è, ma rientra nella categoria – più difficile e costosa da estrarre – dei greggi non convenzionali. Stessa categoria dello shale oil statunitense, dunque. Ma il petroleo extra pesado venezuelano non gli assomiglia affatto, mentre ha molto in comune con le sabbie bituminose del Canada: come le oil sands, il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks negli Usa». Ecco il problema cruciale ben illustrato ancora dall’analista Bellomo: un petrolio “non convenzionale” si rivela prezioso quando il prezzo del greggio è alto, critico quando è basso per i costi di estrazione. « Ci sono buone ragioni per credere che il crollo del prezzo del petrolio sia stato una cospirazione USA-saudita, dal momento che le vittime economiche erano la Russia e il Venezuela – rileva sempre Pearazzardando una gigantesca cospirazione – Il petrolio è il 95% delle entrate del Venezuela dalle esportazioni e il 25% del suo PIL». A complicare la situazione politica economica giunsero le reiterate sanzioni varate nel dicembre del 2014 dagli Usa per presunte violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa e della democrazia. «La legge votata dal Senato Usa nel dicembre del 2014 era in coincidenza con il fatto che il Venezuela aveva sconfitto le barricate dell’operativo golpista “La Salida” – scrive il sito di geopolitica Contropiano – Leopoldo López, di Voluntad Popular e della MUD, era stato giudicato e condannato a 14 anni di carcere per diversi reati che quell’anno avevano provocato 43 morti e 3.000 feriti». Le sanzioni colpirono una ventina di funzionari ma anche imprese venezuelane complicandone le operatività commerciali. A ciò si aggiunse, praticamente contestuale, il declassamanto delle agenzie di rating che trasformò così il paese da appetibile area di investimento e interessante partner di sviluppi commerciali in appestato finanziario. «L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito sovrano del Venezuela di due gradini a “Caa3”, il livello più basso assegnato ai paesi non in default, al pari di quello dell’Ucraina, sconquassata dalla guerra con la Russia e lo smembramento della Crimea, e la Giamaica, che ha dichiarato default due volte dal 2010. Fitch aveva declassato i bond di Caracas a “CCC” il mese scorso, mentre a settembre S&P li aveva retrocessi a “CCC+”» scriveva nel gennaio 2015 il quotidiano InvestireOggi. Obama, un anno più tardi e successivamente una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, riconfermò le sanzioni, sfidando le proteste della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) che sostenevano il Venezuela. Nell’agosto 2017 Trump ha vibrato la mazzata finale con le sanzioni economiche vietando alle istituzioni Usa di comprare e vendere nuovi bond emessi dal governo venezuelano e da Petroleos de Venezuela, la compagnia petrolifera di Stato. Ma il presidente Maduro ha reagito forte della solidarietà e del credito internazionale in svariate forme da parte di Cina, Russia e Turchia, con cui è in vigore un accordo per la costosa raffinazione del petrolio extra pesado che Ankara utilizza come merce di scambio per aggirare a sua volta le misure Usa contro l’Iran. In questo contesto il leader venezuelano, seguendo la Cina che ha iniziato a gestire il mercato del petrolio in yuan e non più in dollari, ha inventato una nuova originalissima forma di difesa: il Petrocoin, la prima valuta monetaria di Stato in formato digitale.
IL PETRO-COIN: LA GRANDE SCOMMESSA PER IL 2019
il Petros o petrocoin, la prima criptovaluta di Stato al mondo emessa dal Venezuela
Messo in commercio nel febbraio 2018, ancorato alla nuova valuta anti-inflazione del “Bolivar Soberano” nel luglio scorso, l’annunciato Petro o Petrocoin è divenuto realtà il primo ottobre scorso in Venezuela tra interesse, curiosità e diffidenza. Sui siti specialistici prevalgono tre orientamenti: quello di boicotaggio politico che evidenzia le carenze strutturali determinate innanzitutto dalla catena di distribuzione che si appoggia a 6 agenzie di cambio della criptovaluta e non 16 come inizialmente dichiarato; quelle di cautela per il rischio che questa nuovissima valuta internazionale si riveli un flop; infine quello realista che si limita ad analizzare che esiste, che ha registrato volumi di scambio e dettaglia le variazioni delle garanzie a suo supporto articolate in petrolio (al 50 %) ma anche in oro, gas naturale e diamanti. Una moneta che di primo acchito si presenta quindi più garantita dell’euro! Il Petro è stato lanciato in anteprima a febbraio con una vendita di 100 milioni di coin, equivalenti a 6 miliardi di dollari. Può essere utilizzato per transazioni internazionali ma nelle ambizioni di Maduro si candida a divenire il primo strumento digitale nel mercato del petrolio segnando così una rivoluzione epocale in una delle materie prime più commerciate al mondo. «In un discorso a reti unificate – riportò Il Fatto Quotidiano – l’erede di Hugo Chàvez ha annunciato l’attivazione del blockchain venezuelano, la tecnologia decentralizzata e trasparente che – come avviene per ogni criptomoneta – permetterà di certificare le transazioni svolte in Petro. Inoltre, è stata inaugurata la piattaforma web petro.gob.ve, dove ogni venezuelano potrà acquistare Petros pagandoli in bolìvares sovrani o in altre criptovalute, come Bitcoin, Ripple o Ethereum, e accumularli su un apposito portafoglio digitale».
La quotazione in tempo reale della criptovaluta Petro e del Bolivar Soberano sul sito del Banco Central de Venezuela
Nello stesso giorno, il primo ottobre, è stata inaugurata a Caracas la sede della Sovrintendenza nazionale per i criptoattivi (Sunacrip), l’ente statale che vigilerà sulla nuova moneta, ed il Governo bolivariano ha già comunicato alle compagnie aeree internazionali che faranno scalo in Venezuela l’obbligo di pagare i rifornimenti di carburante in Petro. Il coin caraibico è stato quotato 36mila Bolivar Soberano per unità, pari a circa 60 dollari, ma ha già pagato le successive svalutazioni della valuta venezuelana tanto da valere oggi circa 23 dollari. Il presidente ha però nel cassetto un piano finanziario di sei anni per utilizzare la criptovaluta negli scambi con altre monete per scongiurare l’impatto paralizzante delle sanzioni guidate dagli Stati Uniti sull’economia venezuelana. «Nel 2019, abbiamo un programma per il petrolio da vendere in Petro e in questo modo continueremo a liberarci da una valuta che l’élite di Washington e degli Usa» ha dichiarato Maduro agli inizi di dicembre proprio al rientro del suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca. Gli ha fatto eco Manuel Quevedo, ministro del Petrolio del Venezuela e presidente della compagnia petrolifera statale PDVSA, anticipando il Petro sarà presentato all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel 2019, come «la principale valuta digitale sostenuta dal petrolio». Una scommessa che dovrà farsi strada tra diffidenze, invidie celate ed aperte ostilità dei paesi produttori come della finanza internazionale ma che potrebbe davvero essere rivoluzionaria e diventare apripista per iniziative analoghe di altri paesi di Sud America, Asia ed Africa in ristrettezze economiche a causa del debito pubblico ma ricchi di risorse naturali. «Il Petro – si legge sul sito web dedicato petro.gob.ve – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato». Per l’alta finanza, le lobbies bancarie e i padroni del dollaro un motivo ben più allarmante delle presunte violazioni democratiche per volere l’eliminazione immediata di Maduro come accadde per Lincoln e Gheddafi. Per chi crede in un mondo meno schiavo del signoraggio bancario e più umano un sogno in cui credere.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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L’ESISTENZA DEI COMITATI D’AFFARI UE E BCE
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Nello stesso giorno in cui tutti i quotidiani, alcuni giubilanti altri obtorto collo, narrano la mistica metamorfosi di un ex disoccupato napoletano diventato valente ministro capace di istituire il reddito di cittadinanza (ieri il Decretone) adeguando la povera Italia alle leggi civili di altri 26 paesi dell’Unione Europea; nel giorno in cui san Gennaro dimostra di essere così potente da consentire ad un guappo a lui devoto di riuscire a trasformare l’allofono lemma Welfare da maledetta parolaccia in sacra benedizione, con l’aiuto della Lega di Matteo Salvini per l’abolizione della Fornero e la “quota 100” sulle pensioni (link video della conferenza stampa a fondo pagina), ecco che il canuto vegliardo del Colle più autorevole – ma ormai detestato d’Italia – propina la solita lezioncina di Europeismo spicciolo credendo che gli italiani siano un’orda d’inveterati fessi rincitrulliti dai media del mainstream e non conoscano ormai a menadito le solenni porcate finanziarie ed etiche che ogni giorno si perpetrano a Bruxelles, sacrificando il benessere degli occidentali sull’ara di Pluto, avida divinità della ricchezza a cui la stessa Ue si è congenitamente e strutturalmente votata fin dalla fondazione sua e della Bce.
IL REDDITO DI CITTADINANZA E IL VEGLIARDO IRRIVERENTE
Il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella
Soffro nell’ammetterlo, perché li aborro assai nelle derive sinistre sui temi etici, ma a Luigi Di Maio ed ai Cinquestelle va il merito di aver fatto rivoltare ancora una volta Pietro Nenni nella tomba del Socialismo italiano, eretta in soli 7 anni dal Partito Democratico. Ma non c’è nemmeno il tempo per festeggiare la conquista del reddito di “dignità europea” che proprio quell’ex deputato e ministro del Pd salito al Quirinale solo per essere paggio servente del suo predecessore e compagno di partito Giorgio Napolitano, il presidente Sergio Mattarella si mostra un oratore visionario e senescente sul palcoscenico internazionale. «L’Unione Europea non è un comitato d’affari ma una comunità di valori sulla quale si costruisce la convivenza dei popoli europei e la coesione sociale è importante nella vita comunitaria – ha detto il presidente Mattarella, a Berlino al termine di un incontro con il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, come riporta l’Ansa – Bisogna quindi dialogare con le persone che la pensano diversamente, questa è la chiave dell’Unione Europea. Bisogna confrontarsi, dialogare e trovare insieme soluzioni condivise». Mentre i politici europei dialogano, con parsimonia e cauta flemma, Jean Claude Juncker forte dei suoi 27mila euro al mese che gli garantisce la Presidenza di quella oligarchia non-elettiva che è la Commissione Europea, il Capo di Stato della Repubblica Italiana sereno in virtù del suo stipendio mensile di 20mila (e dei circa 2,8 milioni di euro messi in saccoccia solo dal 2008 al 2015 per il cumulo di compensi e vitalizi di varie cariche politiche e universitarie), ecco che circa 18milioni di italiani sulla soglia della povertà assoluta devono invece benedire i 780 euro che arriveranno con il reddito di cittadinanza grazie al pischellino decongiuntivato del populismo. Costoro però, mentre anelano l’agognato reddito di sopravvivenza che arriverà soltanto a primavera inoltrata, si devono pure sorbire le saccenti prolusioni del Capo dello Stato che ci ammaestrano su quanto brava e bella sia l’Unione Europea; quella che ha messo sul lastrico il Bel Paese con l’infausto euro e dalla quale gli avveduti britannici, scaltri nel tenersi stretta la loro sterlina, stanno cercando in ogni modo di fuggire aprendo la stalla a tanti irrequieti buoi… A questo punto l’intero popolo della penisola è legittimato a rivolgersi cogitabondo il fatidico quesito: “Il vegliardo del Colle è consapevolmente o inconsapevolmente irriverente verso gli italiani che per tanti anni hanno tirato la cinghia sotto il Governo tecnico da lui benedetto e da tutti stramaladetto?” E’ più che legittimo chiederselo nel momento in cui anche i sassi e le capre, tanto amate da Vittorio Sgarbi, sanno che la politica economica europea è condizionata e soffocata dalle rigide e asfittiche strategie finanziarie della Bce (Banca Centrale Europea). Persino Juncker è diventato barcollante più del solito facendo “mea culpa” sull’«austerità avventata» imposta da lui stesso…
IL COMITATO D’AFFARI CHIAMATO BCE
Il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker incontra il plutarca George Soros a Bruxelles il 27 aprile 2017
La Bce, esattamente come la Fed americana di cui è massonico specimen (link a fondo pagina), è una Società per Azioni partecipata da banche private che non si accontentano di spacciare ai creduloni golosi di guadagni facili i bond malefici di turno (Argentina, Cirio, Parmalat, Lehman Brothers, Etruria, etc.) ma attraverso un inverecondo signoraggio costringono stati sovrani a pagare gli interessi per poter avere diritto ad utilizzare una cartamoneta non garantita da alcuna copertura aurea che reca persino il marchio del Copyright aziendale come i soldi del Monopoli o le fiches di un Casinò; alla stregua di questi strumenti convenzionali di scambio di valori economici oggi c’è e domani potrebbe sparire all’improvviso. Proprio come sparì nel luglio 2015 dai bancomat della Grecia quando Alexīs Tsipras cercò di fare la voce grossa contro l’Unione Europea: la Bce chiuse i rubinetti della liquidità monetaria esattamente come gli Usa hanno tolto gli acconti finanziari anticipati sul petrolio al famigerato Nicolas Maduro: non perché sia uno scellerato dittatore comunista come in parte sicuramente è; bensì perché voleva rinegoziare il prezzo di acquisto del petrolio di cui il Venezuela detiene nel sottosuolo il 50 % delle riserve mondiali. Sappiamo bene la fine che ha fatto la Grecia, costretta a cedere la gestione di 10 aeroporti ad una società tedesca, guardacaso già pronta con le zanne affilate per addentare hangar e concessioni di volo, e ridotta allo stremo nel sistema sanitario e socioassistenziale, dopo l’intervento della spettrale Troika (la commissione per le rinegoziazioni dei debiti pubblici nazionali, costituita da rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale) capace di causare agli ateniesi danni più gravi della guerra di Troia ai loro avi Achei. Se mi fa d’uopo citare il dossier che vede 226 eurodeputati nella lista del plutarca mondialista e speculatore finanziario George Soros non aggiungo però altro per non rovinare a me ed ai lettori una giornata di festa. Mi limito a ri-chiedermi se l’attuale Presidente della Repubblica Italiana non sia deficiente o mancante che dir si voglia: ovvero non manchi di senso critico o non sia sufficiente al bisogno di realismo che ha in questo momento il nostro paese. Così, quantomeno, non pare. L’onorevole Sergio Mattarella, probabilmente anche a causa del suo tenore di vita da supermegagalattico amministratore di fantozziana memoria al Palazzo del Quirinale (costato nel 2017 ben 241milioni di euro, di cui 22 di spese varie, 91 di pensionati d’oro e ben 131 milioni di personale attivo contro i miseri 2,5 milioni di quello della Casa Bianca), non sembra il politico sufficientemente dotato dell’umiltà e dell’obiettività richiesta ad un Capo dello Stato per traghettare un paese del G8 fuori dalla crisi aggravata dall’austerità del Governo Monti e da quelli successivi sostenuti dal Pd europeista (debito pubblico dai 1.988 miliardi di euro 2018 ai 2.256 del 2017) di cui lo stesso presidente è massima espressione autoritaria. A meno che non sussista un paradosso della fantapolitica: ovvero che l’inquilino del Colle possa essere segretamente uno sfegatato fan dei populisti e stia callidamente adoperando i suoi interventi istituzionali per portare la biga gialloverde tirata dai vicepremier Di Maio e Salvini al 75 % dei consensi. Sarebbe uno stratega geniale, se così fosse, ma purtroppo ci pare improbabile crederlo…
LODE AL GUAPPO MIRACOLATO DI MAIO
I vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini
Che Matteo Salvini sia un illuminato politico di grande calibro lo si sapeva e lo capirono anche i più scettici il giorno dopo le lezioni del 4 marzo 2018 quando guidò la Lega ad un successo strepitoso. Mi soffermo invece ancora a tessere le lodi ed a cantare il peana del guappo miracolato Luigi Di Maio. Una bella rivincita contro i dileggiatori che lo irridevano con la sarcastica celia secondo cui baciare l’ampolla col sangue di san Gennaro avrebbe fatto il miracolo di farlo passare da disoccupato a Ministro del Lavoro. Premesso che è notorio che le persone devote ai santi martiri cristiani, al loro ispiratore Gesù Cristo ed alla Madonna sono state sovente beneficiate di grazie prodigiose (quelle di Lourdes sono certificate da un’apposita commissione medico scientifica), viene da chiedersi se non sia altrimenti proprio la circostanza di aver patito il disagio della disoccupazione a poter rendere Di Maio un ministro migliore dei suoi predecessori. Mi urta fino ai conati emetici il livore di coloro che in un paese con il tasso disoccupazione che oscilla intorno all’11 % si accaniscono contro il Governo per lo stanziamento di 9miliardi di euro a favore del reddito di cittadinanza. Come ho scritto nell’incipit solo l’Italia e la Grecia erano sprovviste di una simile politica sociale: ecco perché Cinquestelle e Lega ben potrebbero ribattezzarlo “reddito di dignità europea”. Dai circa 330 euro per persona singola dell’Inghilterra, dove tale misura assistenzialistica è “a vita” per gli indigenti, si sale ai 382 della Germania ed ai 460 della Francia, per giungere ai 617 dell’Olanda ed ai 725 del Belgio e oltre ancora fin dove svetta la Danimarca con ben 1.325: tutta l’Europa sostiene i cittadini in difficoltà e da aprile-maggio questo aiuto sarà realtà anche per quelli italiani. E chi borbotta o insulta i presunti scansafatiche del meridione provi ad immaginare cosa significa vivere per decenni dove impera la mafia, dove le cosche sono sanguisughe degli investimenti pubblici per il rilancio locale. Prima di sbertucciarsi come babbuini in calore, i contestatori del reddito di civiltà dovrebbero rileggersi la storia del nostro paese. Dovrebbero rimembrare la devastazione portata dall’unità d’Italia nel Sud dopo lo sterminio del Regno delle Due Sicilie: momento in cui, secondo due magistrati martiri come Rocco Chinnici e Giovanni Falcone, nacque la mafia. E la mafia, dopo la bonifica perentoria voluta da un certo Benito Mussolini, fu riportata in Sicilia nel 1943 dagli alleati dell’Amgot. Quell’Amgot che a Palermo conferì il primo incarico politico proprio a un Mattarella…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FILIPPINE: STRAGE DI CRISTIANI. L’ISIS RIVENDICA, IL PAPA CONDANNA
AGLI ESTREMISTI ISLAMICI NON BASTA L’AUTONOMIA: TRAPPOLA INFERNALE DEI JIHADISTI ABU SAYYAF DURANTE LA MESSA NELLA CATTEDRALE DI JOLO AMMAZZA 20 PERSONE FERENDONE 77 CON DUE BOMBE CENSURA DI FRANCESCO GIUNGE TARDI PER IL FUSO ORARIO IL PRESIDENTE DUTERTE INVITO’ AD UCCIDERE I VESCOVI
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Affidiamo a Cristo e alla Vergine le vittime dell’attacco terrorista perpetrato questa domenica nella Cattedrale di Jolo nelle Filippine mentre si celebrava l’Eucaristia. Ribadisco la mia più ferma riprovazione per questo episodio di violenza, che porta nuovi lutti in questa comunità cristiana ed elevo le mie preghiere per i morti e per i feriti. Possa il Signore, principe della pace, convertire i cuori dei violenti e garantire agli abitanti delle Filippine una convivenza serena». E’ la perentoria condanna unita ad un’impetrazione di concordia pronunciata da Papa Francesco dopo l’Angelus di ieri, domenica 27 gennaio, durante la Messa per la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, nella Casa Hogar del Buen Samaritano. Una dichiarazione giunta in Italia a distanza di parecchie ore dall’attentato esplosivo a causa della differenza di fuso orario con il paese centroamericano che è indietro di 6 ore rispetto all’Europa e pertanto l’Angelus delle 12 si è tenuto solo alle 18 ora italiana. Nella chiesa devastata restano intatti solo l’altare e la grande statua di Gesù Cristo che non è crocifisso ma risorto e dona l’unica speranza e consolazione possibile ai parenti della vittime. Il bilancio definitivo della strage è di 20 persone uccise e altre 77 rimaste ferite, alcune molto gravemente, dopo che due bombe sono esplose durante la Messa domenicale nei pressi della piccola e spartana chiesa nell’isola di Mindanao, nelle Filippine. L’attentato, successivamente rivendicato dalle milizie filippine del terrorismo islamico Isis, avviene a pochi giorni dal referendum che ha sancito la creazione di una provincia autonoma a maggioranza musulmana nel sud. E soltanto un mese dopo il pesante attacco del presidente filippino Rodrigo Duterte, anticristiano dichiarato, che prese duramente posizione contro le critiche dei Vescovi cattolici invitando ad “ucciderli tutti”.
DUE ESPLOSIONI A POCHI MINUTI DI DISTANZA
La prima esplosione è avvenuta fuori dalla cattedrale di Jolo intitolata a Nostra Signora del Monte Carmelo ed è stata seguita da una seconda esplosione appena dopo che i servizi di emergenza sono arrivati sulla scena per curare i feriti, hanno detto ai funzionari di sicurezza l’AP. «Almeno 19 persone sono state uccise e 48 altre ferite nella duplice deflagrazione» ha detto il capo della polizia nazionale, Oscar Albayalde, come riportava subito il network Russia Today. Ma le comunicazioni delle forze dell’ordine hanno poi fissato il tragico bilancio in 20 deceduti (15 fedeli cristiani e 5 soldati) e 77 feriti tra cui 61 credenti intervenuti alla Messa e 14 i soldati. Alcuni di loro sono gravi e pertanto il conteggio finale delle vittime potrebbe ulteriormente aggravarsi nelle prossime ore. Dopo che i sospetti si sono indirizzati sul gruppo terrorista Abu Sayyaf, la milizia musulmana tragicamente nota sull’isola di Mindanao per molteplici stragi, è giunta anche la rivendicazione formale. Noto come al-Harakat al-Islamiyya, è uno dei diversi sodalizi paramilitari di separatisti islamici, con base attorno alle isole a sud delle Filippine, ed è il più sanguinario e spietato perchè dichiaratamente sostenitore del Daesh (Isis) fondato da Al Baghdadi. «Le esplosioni della domenica mattina sembrano assomigliare alle tattiche utilizzate in precedenza dal gruppo militante dello Stato Islamico per infliggere perdite di massa – aggiunge il sito di RT – Temendo ulteriori attacchi nell’isola turbolenta, il ministro della Difesa Delfin Lorenzana ha indirizzato le truppe per assicurare “tutti i luoghi di culto e luoghi pubblici”». «Foto diffuse sui social media mostrano i corpi delle vittime tra le macerie in una strada affollata, fuori dalla cattedrale di Nostra signora del Monte Carmelo, già bersaglio di bombe in passato – riferisce invece l’Ansa – Truppe in assetto da guerra hanno transennato la strada principale che porta alla chiesa. I feriti più gravi sono stati trasportati in elicottero nella vicina città di Zamboanga».
La strage nelle Filippine del Natale 2015: i soldati portavo via una delle 14 vittime
L’ennesima strage in questo territorio martoriato da attentati riporta alla mente quella del Natale 2015 quando 14 persone morirono in un attacco condotto da ribelli musulmani contro comunità cristiane nelle Filippine. Nove fedeli cristiane furono uccise a colpi d’arma da fuoco dai ribelli del, mentre almeno 5 insorti caddero sotto il fuoco dalle forze governative nelle province di Sultan Kudarat, Maguindanao e Nord Cotabato. Il capitano Joan Petinglay dichiarò che le vittime comprendono nove residenti di villaggi cristiani uccisi a colpi di arma da fuoco dai ribelli dei Combattenti per la Libertà del Bangsamoro Islamico (Bangsamoro Islamic Freedom Fighter) e almeno cinque ribelli uccisi dalla forze governative. Petinglay ha aggiunto che circa 200 ribelli hanno preso parte all’attacco. I ribelli sarebbero ‘fuoriusciti’ del Fronte di Liberazione Islamico Moro, contrari ai negoziati di pace intavolati con il governo.
NON BASTA L’AUTONOMIA AI MUSULMANI
Un momento del voto per il referendum sull’autonomia dei musulmani a Bangsamoro
E proprio come allora l’attentato sembra una risposta al referendum che ha proclamato l’autonomia religiosa nell’isola meridionale di Mindanao, a maggioranza musulmana. Va rammentato che nelle Filippine, nazione asiatica con il maggior numero di cattolici, i cristiani rappresentano circa il 90% della popolazione; su quasi 105 milioni di cittadini, 83,6 sono seguaci della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Ad essi si aggiungono 10 milioni di protestanti e circa 820 mila fedeli di “altre denominazioni cristiane”. Questo è stato causa di aspre e cruente conflittualità soprattutto nell’isola dove prevale la comunità musulmana. Proprio per questo il percorso di pace avviato dal governo è culminato nei giorni scorsi con una consultazione popolare che ha conferito maggiore indipendenza all’area. «Si apre un nuovo capitolo per la storia delle Filippine: con 1.540.017 voti a 198.750, la vittoria del ‘si’ nel referendum sulla Bangsamoro Organic Law (Bol) sancisce la nascita di una regione autonoma, a maggioranza islamica – ha scritto AsiaNews soltanto ieri, sabato 26 gennaio, dando riscontro degli esiti delle urne – La ratifica della storica legge, annunciata ieri sera (venerdì 25 gennaio – ndr) dalla Commissione elettorale (Comelec) comporta la creazione della Regione autonoma di Bangsamoro nel Mindanao musulmano (Barmm). La nuova entità territoriale sostituirà l’attuale Regione autonoma nel Mindanao musulmano (Armm), definita da molti un “esperimento fallito” a causa della sua dipendenza dal governo di Manila e dalle accuse di corruzione o cattiva gestione. Della Barmm farà parte anche Cotabato City, mentre i cittadini di Isabela City si sono opposti all’inclusione». Per il referendum si erano registrati 2,8 milioni di cittadini. Tra questi, sono 2,17 milioni quelli che hanno votato lo scorso 21 gennaio nelle province dell’Armm. La seconda votazione avrà invece luogo a Lanao del Norte ed a North Cotabato, dove si recheranno alle urne oltre 600mila elettori. L’Armm si compone di cinque province: Basilan (esclusa Isabela City), Lanao del Sur, Maguindanao (esclusa Cotabato City), Sulu e Tawi-Tawi. Rispetto ad essa, la Barmm avrà più poteri e riceverà dal governo nazionale investimenti che la renderanno più indipendente e ridurrà la necessità per i funzionari regionali di chiedere finanziamenti a Manila. La Barmm avrà anche un parlamento, composto dai delegati delle attuali province dell’Armm e di quelli delle unità governative che il prossimo 6 febbraio voteranno l’inclusione volontaria. Nell’assemblea troveranno rappresentanza anche donne, cristiani e popoli indigeni. Proprio per questo i musulmani di Mindanao sono arrivati al voto divisi. «La Bol deriva da un accordo di pace del 2014, firmato da governo e gli insorti del Moro Islamic Liberation Front (Milf) – precisa ancora AsiaNews – Espressione del gruppo etnico dei Maguindanao, i militanti del Milf sono chiamati a gestire la triennale fase di transizione politica. Questo ha alimentato il malcontento delle altre etnie islamiche, come i Tausug, che hanno dichiarato di preferire l’assetto federale, ed i Maranao». I timori in materia di futura libertà religiosa hanno alimentato l’iniziale diffidenza dei cristiani verso la legge. Molti di questi sono giunti nell’isola dal Nord del Paese, prendendo possesso di terreni che ora sono oggetto di contenziosi con la comunita islamica. Ma a quattro giorni dal voto, i leader cattolici di Mindanao avevano però espresso sostegno al progetto autonomista, definendo la Bol “ultima occasione concreta per una pace giusta e durevole a Mindanao”.
L’INVITO DEL PRESIDENTE AD UCCIDERE I VESCOVI
Il Presidente filippino Rodrigo Duterte
A gettare benzina sul fuoco delle conflittualità etnico-religiose ardente nell’isola ci aveva pensato nel mese di dicembre proprio il presidente filippin Rodrigo Duterte che non perde occasione per manifestare il proprio ateismo e scagliarsi contro i vertici della Chiesa cattolica, definiti “inutili” per aver criticato la sua amministrazione. Cosa che ovviamente non fa con i musulmani, vista la presenza di organizzazioni terroristiche e guerrigliere islamiche che potrebbero reagire con attentati alla sua persona. Duterte, senza mezzi termini, con un’esternazione che fece il giro del mondo, invitò i fedeli ad ucciderli. «I vostri vescovi ammazzateli. Questi non servono a nulla. L’unica cosa che sanno fare è criticare» , ha detto il presidente-dittatore in un discorso tenuto a margine della cerimonia di premiazione dei migliori lavoratori filippini all’estero come riporta La Repubblica. L’attacco è stato accompagnato da toni violenti e volgari. «Duterte – scrive Asianews – ha dichiarato che la Chiesa cattolica è l’istituzione più ipocrita e che la maggioranza dei sacerdoti è omosessuale. “La maggior parte dei preti è gay, quasi il 90% di loro, quindi non insistano a chiedermi moralità”». La Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp) aveva deciso di non rispondere alle provocazioni auspicando che i rapporti tra Chiesa e Stato fossero caratterizzati “dalla collaborazione per lo sviluppo sociale e per il bene del Paese” come dichiarò padre Jerome Seciliano, segretario esecutivo del Comitato permanente per gli Affari pubblici della Cbcp .Duterte è stato più volte criticato da vescovi e sacerdoti che ne hanno censurato le politiche ed in particolare la sanguinosa guerra alla droga, causa di circa 5 mila morti ufficiali, e l’imposizione della legge marziale a Mindanao, nel sud del Paese. Le esternazioni del presidente hanno suscitato l’indignazione di gran parte della popolazione filippina essendo cattolica tanto da accusare il presidente di blasfemia. Non solo i cattolici, ma anche i protestanti hanno manifestato irritazione per le parole del presidente contro Dio e la Chiesa.
In questo clima è maturato questo ennesimo efferato attentato esplosivo nei confronti dei Cristiani che nel 2018 hanno contato più di 4mila martiri nel mondo. E’ stato giustamente riportato con ampio risalto da tutte le agenzie, le tv ed i quotidiani internazionali: a differenza dei 21 morti causati dai cosiddetti “danni collaterali” dei bombardamenti Usa in Siria di inizio anno (vedi link sotto) per distruggere quell’Isis da loro stessi finanziato ed armato nell’intento di rovesciare Bashar Al Assad. E delle 11 vittime fatte pochi giorni fa dai raid aerei di Israele nello stesso paese per la sua guerra religiosa contro i musulmani sciiti. Si sa che quando c’è un conflitto bellico in atto fa notizia solo quello che fa comodo ai media occidentali…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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http://www.gospanews.net/2019/01/28/agli-islamici-non-basta-lautonomia-strage-di-cristiani-nelle-filippine/
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