___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Affidiamo a Cristo e alla Vergine le vittime dell’attacco terrorista perpetrato questa domenica nella Cattedrale di Jolo nelle Filippine mentre si celebrava l’Eucaristia. Ribadisco la mia più ferma riprovazione per questo episodio di violenza, che porta nuovi lutti in questa comunità cristiana ed elevo le mie preghiere per i morti e per i feriti. Possa il Signore, principe della pace, convertire i cuori dei violenti e garantire agli abitanti delle Filippine una convivenza serena». E’ la perentoria condanna unita ad un’impetrazione di concordia pronunciata da Papa Francesco dopo l’Angelus di ieri, domenica 27 gennaio, durante la Messa per la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, nella Casa Hogar del Buen Samaritano. Una dichiarazione giunta in Italia a distanza di parecchie ore dall’attentato esplosivo a causa della differenza di fuso orario con il paese centroamericano che è indietro di 6 ore rispetto all’Europa e pertanto l’Angelus delle 12 si è tenuto solo alle 18 ora italiana. Nella chiesa devastata restano intatti solo l’altare e la grande statua di Gesù Cristo che non è crocifisso ma risorto e dona l’unica speranza e consolazione possibile ai parenti della vittime. Il bilancio definitivo della strage è di 20 persone uccise e altre 77 rimaste ferite, alcune molto gravemente, dopo che due bombe sono esplose durante la Messa domenicale nei pressi della piccola e spartana chiesa nell’isola di Mindanao, nelle Filippine. L’attentato, successivamente rivendicato dalle milizie filippine del terrorismo islamico Isis, avviene a pochi giorni dal referendum che ha sancito la creazione di una provincia autonoma a maggioranza musulmana nel sud. E soltanto un mese dopo il pesante attacco del presidente filippino Rodrigo Duterte, anticristiano dichiarato, che prese duramente posizione contro le critiche dei Vescovi cattolici invitando ad “ucciderli tutti”.
DUE ESPLOSIONI A POCHI MINUTI DI DISTANZA
La prima esplosione è avvenuta fuori dalla cattedrale di Jolo intitolata a Nostra Signora del Monte Carmelo ed è stata seguita da una seconda esplosione appena dopo che i servizi di emergenza sono arrivati sulla scena per curare i feriti, hanno detto ai funzionari di sicurezza l’AP. «Almeno 19 persone sono state uccise e 48 altre ferite nella duplice deflagrazione» ha detto il capo della polizia nazionale, Oscar Albayalde, come riportava subito il network Russia Today. Ma le comunicazioni delle forze dell’ordine hanno poi fissato il tragico bilancio in 20 deceduti (15 fedeli cristiani e 5 soldati) e 77 feriti tra cui 61 credenti intervenuti alla Messa e 14 i soldati. Alcuni di loro sono gravi e pertanto il conteggio finale delle vittime potrebbe ulteriormente aggravarsi nelle prossime ore. Dopo che i sospetti si sono indirizzati sul gruppo terrorista Abu Sayyaf, la milizia musulmana tragicamente nota sull’isola di Mindanao per molteplici stragi, è giunta anche la rivendicazione formale. Noto come al-Harakat al-Islamiyya, è uno dei diversi sodalizi paramilitari di separatisti islamici, con base attorno alle isole a sud delle Filippine, ed è il più sanguinario e spietato perchè dichiaratamente sostenitore del Daesh (Isis) fondato da Al Baghdadi. «Le esplosioni della domenica mattina sembrano assomigliare alle tattiche utilizzate in precedenza dal gruppo militante dello Stato Islamico per infliggere perdite di massa – aggiunge il sito di RT – Temendo ulteriori attacchi nell’isola turbolenta, il ministro della Difesa Delfin Lorenzana ha indirizzato le truppe per assicurare “tutti i luoghi di culto e luoghi pubblici”». «Foto diffuse sui social media mostrano i corpi delle vittime tra le macerie in una strada affollata, fuori dalla cattedrale di Nostra signora del Monte Carmelo, già bersaglio di bombe in passato – riferisce invece l’Ansa – Truppe in assetto da guerra hanno transennato la strada principale che porta alla chiesa. I feriti più gravi sono stati trasportati in elicottero nella vicina città di Zamboanga».
La strage nelle Filippine del Natale 2015: i soldati portavo via una delle 14 vittime
L’ennesima strage in questo territorio martoriato da attentati riporta alla mente quella del Natale 2015 quando 14 persone morirono in un attacco condotto da ribelli musulmani contro comunità cristiane nelle Filippine. Nove fedeli cristiane furono uccise a colpi d’arma da fuoco dai ribelli del, mentre almeno 5 insorti caddero sotto il fuoco dalle forze governative nelle province di Sultan Kudarat, Maguindanao e Nord Cotabato. Il capitano Joan Petinglay dichiarò che le vittime comprendono nove residenti di villaggi cristiani uccisi a colpi di arma da fuoco dai ribelli dei Combattenti per la Libertà del Bangsamoro Islamico (Bangsamoro Islamic Freedom Fighter) e almeno cinque ribelli uccisi dalla forze governative. Petinglay ha aggiunto che circa 200 ribelli hanno preso parte all’attacco. I ribelli sarebbero ‘fuoriusciti’ del Fronte di Liberazione Islamico Moro, contrari ai negoziati di pace intavolati con il governo.
NON BASTA L’AUTONOMIA AI MUSULMANI
Un momento del voto per il referendum sull’autonomia dei musulmani a Bangsamoro
E proprio come allora l’attentato sembra una risposta al referendum che ha proclamato l’autonomia religiosa nell’isola meridionale di Mindanao, a maggioranza musulmana. Va rammentato che nelle Filippine, nazione asiatica con il maggior numero di cattolici, i cristiani rappresentano circa il 90% della popolazione; su quasi 105 milioni di cittadini, 83,6 sono seguaci della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Ad essi si aggiungono 10 milioni di protestanti e circa 820 mila fedeli di “altre denominazioni cristiane”. Questo è stato causa di aspre e cruente conflittualità soprattutto nell’isola dove prevale la comunità musulmana. Proprio per questo il percorso di pace avviato dal governo è culminato nei giorni scorsi con una consultazione popolare che ha conferito maggiore indipendenza all’area. «Si apre un nuovo capitolo per la storia delle Filippine: con 1.540.017 voti a 198.750, la vittoria del ‘si’ nel referendum sulla Bangsamoro Organic Law (Bol) sancisce la nascita di una regione autonoma, a maggioranza islamica – ha scritto AsiaNews soltanto ieri, sabato 26 gennaio, dando riscontro degli esiti delle urne – La ratifica della storica legge, annunciata ieri sera (venerdì 25 gennaio – ndr) dalla Commissione elettorale (Comelec) comporta la creazione della Regione autonoma di Bangsamoro nel Mindanao musulmano (Barmm). La nuova entità territoriale sostituirà l’attuale Regione autonoma nel Mindanao musulmano (Armm), definita da molti un “esperimento fallito” a causa della sua dipendenza dal governo di Manila e dalle accuse di corruzione o cattiva gestione. Della Barmm farà parte anche Cotabato City, mentre i cittadini di Isabela City si sono opposti all’inclusione». Per il referendum si erano registrati 2,8 milioni di cittadini. Tra questi, sono 2,17 milioni quelli che hanno votato lo scorso 21 gennaio nelle province dell’Armm. La seconda votazione avrà invece luogo a Lanao del Norte ed a North Cotabato, dove si recheranno alle urne oltre 600mila elettori. L’Armm si compone di cinque province: Basilan (esclusa Isabela City), Lanao del Sur, Maguindanao (esclusa Cotabato City), Sulu e Tawi-Tawi. Rispetto ad essa, la Barmm avrà più poteri e riceverà dal governo nazionale investimenti che la renderanno più indipendente e ridurrà la necessità per i funzionari regionali di chiedere finanziamenti a Manila. La Barmm avrà anche un parlamento, composto dai delegati delle attuali province dell’Armm e di quelli delle unità governative che il prossimo 6 febbraio voteranno l’inclusione volontaria. Nell’assemblea troveranno rappresentanza anche donne, cristiani e popoli indigeni. Proprio per questo i musulmani di Mindanao sono arrivati al voto divisi. «La Bol deriva da un accordo di pace del 2014, firmato da governo e gli insorti del Moro Islamic Liberation Front (Milf) – precisa ancora AsiaNews – Espressione del gruppo etnico dei Maguindanao, i militanti del Milf sono chiamati a gestire la triennale fase di transizione politica. Questo ha alimentato il malcontento delle altre etnie islamiche, come i Tausug, che hanno dichiarato di preferire l’assetto federale, ed i Maranao». I timori in materia di futura libertà religiosa hanno alimentato l’iniziale diffidenza dei cristiani verso la legge. Molti di questi sono giunti nell’isola dal Nord del Paese, prendendo possesso di terreni che ora sono oggetto di contenziosi con la comunita islamica. Ma a quattro giorni dal voto, i leader cattolici di Mindanao avevano però espresso sostegno al progetto autonomista, definendo la Bol “ultima occasione concreta per una pace giusta e durevole a Mindanao”.
L’INVITO DEL PRESIDENTE AD UCCIDERE I VESCOVI
Il Presidente filippino Rodrigo Duterte
A gettare benzina sul fuoco delle conflittualità etnico-religiose ardente nell’isola ci aveva pensato nel mese di dicembre proprio il presidente filippin Rodrigo Duterte che non perde occasione per manifestare il proprio ateismo e scagliarsi contro i vertici della Chiesa cattolica, definiti “inutili” per aver criticato la sua amministrazione. Cosa che ovviamente non fa con i musulmani, vista la presenza di organizzazioni terroristiche e guerrigliere islamiche che potrebbero reagire con attentati alla sua persona. Duterte, senza mezzi termini, con un’esternazione che fece il giro del mondo, invitò i fedeli ad ucciderli. «I vostri vescovi ammazzateli. Questi non servono a nulla. L’unica cosa che sanno fare è criticare» , ha detto il presidente-dittatore in un discorso tenuto a margine della cerimonia di premiazione dei migliori lavoratori filippini all’estero come riporta La Repubblica. L’attacco è stato accompagnato da toni violenti e volgari. «Duterte – scrive Asianews – ha dichiarato che la Chiesa cattolica è l’istituzione più ipocrita e che la maggioranza dei sacerdoti è omosessuale. “La maggior parte dei preti è gay, quasi il 90% di loro, quindi non insistano a chiedermi moralità”». La Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp) aveva deciso di non rispondere alle provocazioni auspicando che i rapporti tra Chiesa e Stato fossero caratterizzati “dalla collaborazione per lo sviluppo sociale e per il bene del Paese” come dichiarò padre Jerome Seciliano, segretario esecutivo del Comitato permanente per gli Affari pubblici della Cbcp .Duterte è stato più volte criticato da vescovi e sacerdoti che ne hanno censurato le politiche ed in particolare la sanguinosa guerra alla droga, causa di circa 5 mila morti ufficiali, e l’imposizione della legge marziale a Mindanao, nel sud del Paese. Le esternazioni del presidente hanno suscitato l’indignazione di gran parte della popolazione filippina essendo cattolica tanto da accusare il presidente di blasfemia. Non solo i cattolici, ma anche i protestanti hanno manifestato irritazione per le parole del presidente contro Dio e la Chiesa.
In questo clima è maturato questo ennesimo efferato attentato esplosivo nei confronti dei Cristiani che nel 2018 hanno contato più di 4mila martiri nel mondo. E’ stato giustamente riportato con ampio risalto da tutte le agenzie, le tv ed i quotidiani internazionali: a differenza dei 21 morti causati dai cosiddetti “danni collaterali” dei bombardamenti Usa in Siria di inizio anno (vedi link sotto) per distruggere quell’Isis da loro stessi finanziato ed armato nell’intento di rovesciare Bashar Al Assad. E delle 11 vittime fatte pochi giorni fa dai raid aerei di Israele nello stesso paese per la sua guerra religiosa contro i musulmani sciiti. Si sa che quando c’è un conflitto bellico in atto fa notizia solo quello che fa comodo ai media occidentali…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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