martedì 22 gennaio 2019

Minori allontanati dalle famiglie e affido dei bambini: come difendere i propri figli

Minori allontanati dalle famiglie e affido dei bambini

Vademecum: Come difendere i propri bambini dagli allontanamenti dovuti a errori o valutazioni errate di certi psicologi, psichiatri e assistenti sociali della giustizia minorile

Nota: dalla colonna di destra (alla fine della guida per chi legge da smartphone) è possibile scaricare buona parte dei documenti citati a partire dalla legge del 28 marzo 2001, n. 149 "Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori».
Per quanto riguarda i codici deontologici, questi a volte vengono aggiornati e quindi con il passare del tempo potrebbero esserci nuove versioni rispetto a quelle pubblicate nel sito.
Se hai bisogno di assistenza su questo argomento, puoi segnalare il tuo caso per mezzo del: "Modulo di segnalazione per sottrazione minori".

Il fenomeno degli allontanamenti facili o superficiali

Il fenomeno di cui parliamo è conosciuto come “falsi abusi e allontanamento coatto dei bambini dalla famiglia e loro collocamento in comunità alloggio, affido o adozione”.
Le statistiche rivelano che circa il 20% degli allontanamenti coatte, e il successivo affidamento a strutture di accoglienza o famiglie affidatarie, sono motivati da assenza dei genitori (provvedimenti carcerari, morte di entrambi i genitori), maltrattamenti o abusi. Il rimanente 80% circa avviene con la motivazione di “inidoneità genitoriale“ (spesso riconducibile a sottostanti motivazioni di natura economica o abitativa). Questa motivazione ha aperto le porte a innumerevoli abusi.
Tramite valutazioni – per loro stessa natura soggettive e opinabili – alcuni psichiatri, psicologi e assistenti sociali, con una formazione inadeguata o scarsa competenza in campo minorile o famigliare, possono indurre il Tribunale dei minori a prendere provvedimenti drastici e drammatici, allontanando i figli alla famiglia, collocandoli in comunità tutelari per minori, mettendoli poi sotto indagine, analisi e quant’altro. La famiglia, nella maggioranza dei casi, è totalmente impotente di fronte a questo sistema che opera con l’ausilio, se i genitori si rifiutano, della forza pubblica.

Allontanamenti errati dei minori, come difendersi

La materia è alquanto complessa ma riportiamo qui alcune informazioni (tratte dall’esperienza diretta con i casi) che i genitori dovrebbero conoscere per evitare esiti drammatici o per tentare di sanare gli eventuali errori commessi dal sistema della giustizia minorile. Le informazioni sono fornite in ordine di importanza e priorità.

1. Attivarsi subito

Questo passo è importantissimo. Meglio spendere 1.000 euro subito per un legale o per un professionista che 10.000 euro dopo per riportare a casa il minore allontanato ed affidato ad una comunità (senza pensare ai danni insanabili causati al minore dall’allontanamento coatto). In anni di esperienza abbiamo potuto osservare che i pregiudizi e le false o errate valutazioni iniziali (di natura soggettiva e psicologica) di psichiatri, psicologi e assistenti sociali, con una formazione errata e inadeguata o una scarsa competenza in ambito minorile o famigliare, tendono ad accumularsi e a divenire sempre più solide con il passare del tempo. La reazione, spesso disperata e confusa, delle famiglie di fronte alle false accuse e all’allontanamento tende a rinsaldare la convinzione dei servizi e dei professionisti della validità delle accuse iniziali. È un cane che si morde la coda.
Prima ci si attiva per ristabilire verità e giustizia, maggiori sono le possibilità di proteggere i propri figli da errori e ingiustizie.
Una mamma era venuta a un convegno dove avevamo messo in guardia le famiglie su questi pericoli, ma lei era convinta che essendo laureanda in pedagogia non le sarebbe mai potuto succedere. Purtroppo un anno dopo le hanno tolto il figlio.
Possiamo contare numerosissimi casi in cui la famiglia si è attivata subito, ed è stato possibile chiarire le cose e impedire l’allontanamento dei minori ed il conseguente affidamento ad una comunità. In un caso i servizi sociali avevano addirittura individuato la famiglia affidataria per il bambino, ma grazie all’immediato interessamento della famiglia si è scoperto che quella soluzione era sbagliata e la bambina è rimasta in famiglia. In un altro caso, una mamma ha fatto mandare una lettera dall’avvocato per chiarire le cose e nell’incontro successivo l’assistente sociale l’ha informata che non c’era più alcun rischio di allontanamento.
Purtroppo molte famiglie si sentono tranquille perché non hanno fatto nulla di male e si muovono quando ormai è troppo tardi e il danno è stato fatto. A quel punto è molto più difficile correggere l’errore.
E dopo l’allontanamento a volte si attiva un meccanismo “perverso”. Il provvedimento, la sottrazione del minore, è talmente grave che successivamente il Tribunale, seppur di fronte all’emergere di una realtà diversa o in ogni caso non così allarmante quanto la denuncia iniziale aveva fatto credere, spesso non ammette di essere stato tratto in inganno e si intestardisce a dare la parola e il potere di gestire il caso agli stessi professionisti o assistenti sociali che hanno commesso l’errore o la valutazione errata. Anche se spesso sono in buona fede, ora sarà molto più difficile cercare di chiarire la situazione.
Approfondimenti: vedere a destra: "Tribunale per i minorenni: una giustizia priva di confini".

2. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia

L'articolo 1 della legge 149/2001 dice: ”Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.” Facciamo notare che il diritto è del minore e non dei genitori.
Si tratta, com'è evidente, del principio ispiratore della legge: la sottrazione dovrebbe essere l'eccezione, non la regola. Tutte le persone coinvolte: psicologi, psichiatri, assistenti sociali, avvocati e giudici minorili dovrebbero fare di tutto per garantire questo fondamentale diritto del minore e rispettare il principio ispiratore della legge.
È importantissimo che ci sia l’accordo su questo principio ed più essenziale continuare a ricercare l’accordo di tutti su questo principio. Potrebbe apparire scontato in teoria, ma a volte non lo è nella pratica.
Ogni sforzo dovrebbe essere volto a mantenere i figli in famiglia o con i parenti fino al quarto grado, o a far rientrare i figli in famiglia.
Se non si percepisce questa tensione in direzione del garantire questo diritto del minore da parte di tutte le persone coinvolte, si dovrebbe cercare di ottenere l’accordo della persona (o persone) coinvolta chiarendolo direttamente con lui/lei, rivolgendosi al suo superiore, e così via. Questa intenzione dovrebbe manifestarsi in atti e azioni concrete. Insistendo su questo punto si chiede solamente l’applicazione della legge.
Approfondimenti: vedere la Legge 149/2001 nella colonna di destra.

3. Progetto SCRITTO e PARTECIPATO

Questo è un punto molto dolente. Finora non ci è mai capitato di vedere un progetto scritto e partecipato (controfirmato da tutti) per mantenere i figli in famiglia o con i parenti fino al quarto grado, o per far rientrare i figli in famiglia. Spesso si naviga a vista a tutto discapito dei minori.
Non sono necessari riferimenti: se chiedete a qualsiasi operatore o assistente sociale vi dirà che questa è la pratica standard.
Il progetto consentirebbe alla famiglia di sapere in maniera certa cosa sia necessario fare per mantenere (o riportare) il minore a casa. Eppure non viene fatto. Nessuno fa firmare questo progetto alla famiglia per accettazione. Insistete per avere questo progetto scritto e controfirmato da voi e dall’assistente sociale con delle azioni, misure e tempistiche chiare e precise per mantenere o riportare i figli in famiglia.
Approfondimenti: vedere notiziario assistenti sociali 2010 nella colonna di destra.

4. Programma di rafforzamento della genitorialità

Anche questo è un punto dolente. Purtroppo questo progetto di rafforzamento o recupero della genitorialità spesso non viene fatto neppure per i casi di cui al punto 3 in cui, con un aiuto adeguato alla famiglia, forse l’allontanamento dei figli non avrebbe dovuto neppure essere attivato. Abbiamo riscontrato moltissimi casi eclatanti in cui non è stato fatto un progetto per anni.
Il nostro comitato si occupa di errori e violazioni dei diritti e spesso, nella nostra esperienza pluriennale, abbiamo dovuto constatare la mancanza di un progetto di questo tipo, eppure dovrebbe essere la prassi. Nell’articolo 4 della legge 28 marzo 2001, n. 149 si prescrive: “Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine.”
Indipendentemente dal tipo o motivazione dell’allontanamento, insistete per avere un progetto scritto e controfirmato da voi e dall’assistente sociale con le azioni, misure e tempistiche chiare e precise per riportare i figli in famiglia. È un vostro diritto!.

5. Siate cittadini, non sudditi

Purtroppo molti assistenti sociali, psicologi e psichiatri non si rendono conto (ma a volte ci viene il dubbio che lo sappiano benissimo) del potere smisurato che hanno sulla vita delle famiglie.
Spesso nel decreto di allontanamento viene assegnato loro il potere di decidere il regime di visite dei minori.
La sospensione o riduzione delle visite è la minaccia più ricorrente che ci è stata riferita dai genitori. È comprensibile quindi che si crei un rapporto malato di sudditanza. Una protesta o contestazione potrebbe essere vista da alcuni come “mancanza di collaborazione” o “comportamento oppositivo”.
Ma insistere educatamente per far valere i propri diritti alla fine paga.

6. Procuratevi i documenti e leggeteli

A volte la famiglia non conosce neppure il motivo per cui i figli sono stati allontanati. I servizi sociali dovrebbero avere una cartella sociale a cui potete accedere. Lo stesso vale per la cartella processuale e per le eventuali cartelle cliniche.
Non serve l’avvocato, andate direttamente negli uffici preposti e fate una richiesta scritta.
Certamente fa male leggere le accuse (a volte persino falsità e pettegolezzi) e le valutazioni psichiatriche e psicologiche (spesso soggettive e a volte dense di pregiudizi) che sono state scritte su di voi, ma come potete difendervi se non sapete di cosa siete accusati esattamente?
Studiatevi anche le leggi e regolamenti fondamentali in materia:
  • Legge 149/2001 articoli da 1 a 5, articoli 29 e 30 della Costituzione Italiana, articoli del Codice Civile dal 315 in poi, in particolare l’articolo 330.
  • Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.
  • Codici deontologici di assistenti sociali, psicologi, medici, avvocati (forense).
  • Linee guida locali sull’affidamento minorile.

7. Attenzione ai conflitti di interesse

I conflitti di interesse nella giustizia minorile sembrano essere talmente radicati che le persone non ne sono più nemmeno consapevoli. Se qualcuno ha un conflitto di interessi non sarà abbastanza equilibrato da poter aiutare la famiglia in modo disinteressato.
Una breve ricerca su Internet potrebbe chiarire molti comportamenti apparentemente inspiegabili di alcuni operatori e professionisti (si veda ad esempio: http://youtu.be/MfM35K7pscg).
La mancata adesione sincera al principio di cui al punto due di cui sopra (diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia) è il primo indicatore di un possibile conflitto di interesse.

8. Altre indicazioni

  • Procurarsi un registratore per gli incontri con servizi e operatori, soprattutto quelli più importanti, per ricordarsi quello che è stato concordato a voce. Se pensate che registrare di nascosto sia illegale, leggete: Registrare di nascosto quello che dice una persona è reato?
  • Soprattutto in caso di servizi, operatori o professionisti incompetenti, prevenuti o addirittura maldisposti, mettere qualsiasi richiesta o comunicazione per iscritto al fine di poter accertare la loro mala fede e ottenere la loro sostituzione e anche una sanzione adeguata per il loro comportamento
  • La stampa e la protesta pubblica dovrebbero essere l’ultima risorsa nel caso in cui nessuno ascolti. Se possibile farsi aiutare sempre da un’associazione perché una protesta fatta male o con argomenti o messaggi errati potrebbe essere controproducente
  • Denunciate formalmente le violazioni dei diritti umani, della legge e dei regolamenti e protocolli e gli eventuali conflitti di interesse. Le denunce andrebbero fatte anche e soprattutto dopo che le cose si sono risolte, al fine di correggere e sanzionare gli operatori che hanno sbagliato e impedire che questi drammi si ripetano. Spesso le famiglie vorrebbero solo godersi i figli in pace e dimenticare tutto, ma pensate al dolore che avete provato voi e pensate che la vostra denuncia potrebbe impedire che altre famiglie soffrano come voi. Se possibile farsi aiutare sempre da un’associazione o da un professionista onesto e senza conflitti di interesse perché una denuncia fatta male o con argomenti errati potrebbe essere controproducente
  • Partecipate alle manifestazioni di protesta su questi temi. Alcuni genitori ci hanno riferito di essere stati minacciati o di essersi trovati dei commenti nelle relazioni per la loro partecipazione a manifestazioni di protesta sul sistema dell’assistenza minorile. Non ci risulta che questo sia mai stato preso in considerazione dai giudici o che tali intimidazioni siano mai state attuate. Anzi in realtà, in base alla nostra esperienza, dopo una protesta pubblica, all’atto pratico i servizi e gli operatori si sono dimostrati più attenti e rigorosi e la situazione è migliorata. In ogni caso siamo ancora in uno stato democratico e i cittadini hanno ancora il diritto di manifestare. Abbiamo provveduto a denunciare e continueremo a denunciare questi abusi d’ufficio e tentativi di ingerenza antidemocratica nella vita delle famiglie.

Sottratti 5 figli a 2 genitori: il responsabile dei servizi sociali era un pedofilo

figli
Lo scandalo nello Stato che ruba i figli alle famiglie – di Benedetta Frigerio
A ricordare la vicenda dei coniugi Bodnariu a cui furono sottratti i bambini dai servizi sociali norvegesi si rimane esterrefatti: lo psichiatra responsabile per la revisione di casi simili era un pedofilo.
La Bbc ha raccontato il dramma di altre famiglie e l’omertà del sistema, ma l’impostazione degli esperti che si sostituiscono ai genitori, dello Stato che impone il pensiero unico e della famiglia rappresentata come la sede di ogni violenza dice che nemmeno l’Italia è lontana da una deriva simile.
A ricordare la lunga battaglia che attraversò mezzo globo per riportare a casa i cinque figli di Ruth e Marius Bodnariu, i coniugi rumeni, trasferiti in Norvegia, a cui furono sottratti i bambini dai servizi sociali del paese (Barnevernet) e per cui la comunità evangelica organizzò proteste di fronte alle ambasciate norvegesi, veglie di preghiera e di digiuni, si rimane esterrefatti dall’ammissione di colpa indiretta dello Stato imposta da una sentenza giudiziaria che lo inchioda.
Lo psichiatra, che ha lavorato per anni presso la Child Expert Commission, responsabile di esaminare i casi di allontanamento dalla famiglia, è stato condannato per detenzione di materiale pedopornografico violento con bimbi anche piccolissimi e disabili (raccolto in circa 20 anni), per cui ha perso la licenza per esercitare la sua professione sebbene in aula avesse affermato che per lui guardare immagini di violenza sui bambini non fosse pedofilia.
È impressionante se si pensa che il Norwegian Directorate for Children Youth and Family Affairs ha dichiarato che solo nel 2015 i bambini (spesso di famiglie immigrate) sottoposti ad un ordine di assistenza sono stati 1.545, con casi frequentemente fondati o su episodi inesistenti come semplici sculacciate o sull’incapacità di gestire i figli in certi ambiti (come quello di far dimagrire figli troppo grassi) o su comportamenti assolutamente correggibili o, come nel caso dei Bodnariu, su questioni religiose.
A sollevare il polverone durante l’inchiesta preceduta alla condanna dell’uomo è stata la Bbc con il documentario “Lo scandalo silenzioso della Norvegia”, dove alcune mamme intervistate hanno raccontato la sofferenza per i figli allontanati per anni dopo accuse di abusi poi rivelatesi inesistenti, come nel caso di Arnesen, una mamma di otto figli, i cui quattro più piccoli furono sottratti alla famiglia nel settembre 2013.
Il motivo? A destare sospetti il fatto che Arnesen avesse otto figli: «Qui non è una cosa consona». Per errore «arrestarono mio marito poi vennero a casa», spiega la donna piangendo.
L’uomo fu poi rilasciato, ma lei venne punita con l’allontanamento dei bimbi: aveva ammesso di aver sculacciato un figlio perché ne mordeva un altro. «Ad un certo punto – continua – arrivai a chiedermi se ero davvero una persona cattiva», ma sebbene una psicologa valutò bene la famiglia «lo psichiatra (condannato, ndr) scrisse nel suo rapporto che c’erano troppi bias a favore della famiglia».
Gli ultimi due bambini sono ritornati a casa solo ora, dopo cinque anni, secondo la Bbc proprio a causa della condanna dello psicologo.
Ma la donna è quantomeno stranita dal fatto che ora dovrà aiutare gli stessi servizi sociali contro cui ha combattuto e «che hanno colpito gravemente la mia famiglia».
Cecilie ha invece raccontato di quando anni fa una commissione di “esperti” piombò in casa sua ritenendo che la figlia non fosse sufficientemente seguita né accudita come necessario: «Mia figlia disse che aveva fame e siccome avrei cucinato dopo la visita dei servizi sociali offrii delle palle di cereali al cioccolato. Scrissero che probabilmente li davo a mia figlia per ogni pranzo e cena».
Oppure c’era un po’ di polvere in un angolo e «scrissero che la casa non era pulita. Quell’esperto (lo psichiatra, ndr) è il responsabile dell’allontanamento di mia figlia e ora si scopre che lui stesso ha commesso crimini contro i bambini».
Il ministro dell’Infanzia e dell’Uguaglianza dopo lo scandalo ha spiegato che rivedrà tutti i casi dei bambini allontanati in questi anni e vagliati dallo psichiatra.
Anche Borge Tomter, capo della Commissione per la supervisione della salute del welfare dell’infanzia ha dichiarato che «valuteremo ogni caso possibile».
Ma a luglio Katrin Koch, capo della Commissione di esperti per la supervisione dell’infanzia, aveva affermato che i casi già analizzati non destavano preoccupazioni.
Facendo presagire che la revisione sarà solo un atto formale per calmare le proteste in uno Stato che pretende di sostituirsi ai genitori nell’educazione dei figli.
Per questo Arnesen ha dichiarato che per fare le cose sul serio la revisione dovrebbe essere portata avanti da «qualcuno al di fuori del sistema». Mentre Cecilie ha chiarito che «non sono molto fiduciosa. Vogliono che le persone vedano che stanno facendo qualcosa, ma non sono propensi a farlo».
Basti pensare che il nome dello psichiatra, condannato a due anni di carcere, è stato secretato perché padre di bambini minori che potranno tornare con lui una volta scontata la pena.
Come a dire che per il sistema sociale norvegese un uomo che passa vent’anni a visionare pornografia interrogando (chissà come) bambini sulla loro vita famigliare e intima per allontanarli da casa, ha più diritti sui suoi figli di un padre che dia loro qualche sculacciata, lasci la casa impolverata o insegni loro l’Ave Maria.
Anche in Italia crescono i casi di sottrazione dei minori, di insegnanti che pensano di essere più “esperte dei genitori” e perciò di avere più diritti sui bambini e di curriculum scolastici a senso unico che portano nella direzione di uno Stato padrone.
Perciò le parole di Arnesen riguardano anche noi: «È più facile spazzare le cose sotto il tappeto quando sono scomode, ma io credo che debbano emergere perché devono essere sanate…altrimenti permetteremo che accadano ancora e ancora e ancora…bisogna agire, perché certo puoi dire “non è successo a me”…ma se un giorno ti accadesse?». 

IL BUSINESS DEI BAMBINI SOTTRATTI. CHE FINE FANNO QUESTI BAMBINI?....

Sarà con noi Antonella Betti che sta per pubblicare "Vite strappate in Italia dal 1970 ad oggi", libro inchiesta sugli allontanamenti coatti dei bambini dalle loro famiglie di origine, edito da Editrice Italia Semplice. «Sono circa 40 mila, i bambini, tolti a livello “coatto dalle loro famiglie”. Nessuno è immune da questo olocausto, da questo scempio che necessariamente deve cessare». La legge, si legge su Paese Roma, nel tempo è cambiata. In teoria non esisterebbero più questi istituti, ma di fatto, si stanno moltiplicando a dismisura, avendone trasformato solo la denominazione in ”case-famiglia”. Sono oltre 500 i milioni di euro che vengono dati alle cosiddette case famiglia protette per tenere i bambini che lo Stato ha troppo spesso ingiustamente sottratto, strappato e rapito ai genitori. Sono appena 50 i milioni di euro che si danno alle famiglie in difficoltà per mantenere con sé i propri figli. Vengono dati molti più soldi per sottrarli che per aiutarli. Nessuno segnala i conflitti d’interessi dei giudici onorari che affiancano i Presidenti dei Tribunali dei Minorenni. È uno scandalo vero e proprio. Giudici onorari e contemporaneamente anche titolari di case-famiglia dove i minori vengono ‘ospitati’. I servizi sociali insieme a troppi Tribunali dei Minorenni stanno creando un tacito traffico di bambini, tramite decreti che impongono allontanamenti coatti dalle case d’origine.




Una sintesi sulla dimensione storica ma soprattutto tattice politica dell'utilizzo strumentale della pedofilia ed efebofilia ... in un ambito strategico e segreto impensato





Italia in svendita: ecco come hanno distrutto l’economia nazionale

In data 22 ottobre 2018, la multinazionale italiana Magneti Marelli, storica industria del Bel Paese, quasi centenaria, con sede a Corbetta (Milano) – oggi tra i leader mondiali nella produzione di sistemi ad alta tecnologia per l’industria delle automobili, quali sospensioni, sistemi di illuminazione, quadri di bordo e via discorrendo -, è stata venduta da FCA per il 100% delle proprie quote alla giapponese Calsonic Kansei, a sua volta controllata dal fondo statunitense KKR, per una cifra che si aggira attorno ai 6,2 miliardi di euro.
Un’operazione che ha l’obiettivo di rendere il neo-nato colosso uno dei principali fornitori globali di queste componentistiche tecnologiche, puntando ad un fatturato superiore ai 15 miliardi. Il CEO di FCA, Mike Minley, successore del recentemente decesso Sergio Marchionne, si dice entusiasta dell’operazione: “Dopo aver esaminato attentamente una serie di opzioni per consentire a Magneti Marelli di esprimere tutto il suo potenziale nella prossima fase del suo sviluppo, la combinazione con Calsonic Kansei, si è rivelata un’opportunità ideale per accelerare la crescita futura di Magneti Marelli a beneficio dei suoi clienti e delle sue persone eccezionali. Le attività così combinate continueranno ad essere uno dei partner commerciali più importanti di FCA e vorremmo vedere questo rapporto crescere ulteriormente in futuro”.
Fondata nel 1919 grazie ad una joint venture tutta italiana, Magneti Marelli è un’azienda da 7,9 miliardi di fatturato, con 43.000 dipendenti (di cui poco meno di 10.000 in Italia), 85 unità produttive, 15 centri di Ricerca e Sviluppo e sedi in tutto il mondo, dal Sud America (Argentina e Brasile) all’Estremo Oriente (Cina e Giappone), dall’Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Polonia, Russia, ecc…) al sud-est asiatico (India e Malesia), dalla Turchia agli Stati Uniti.
L’operazione, che era già stata programmata dalla precedente amministrazione, aveva destato preoccupazioni tra i sindacati metalmeccanici, soprattutto FIOM-CGIL; UILM e FIM-CISL, per bocca dei propri rispettivi responsabili, Rocco Palombella e Marco Bentivogli, si dicono sommariamente soddisfatti, ma pur sempre guardinghi.
L’analisi – in un’intervista rilasciata ad Industria Italiana – compiuta dagli economisti Fulvio Coltorti e Patrizio Bianchi lascia invece spazio a meno sorrisi: il primo enuclea come la fusione italo-americana della FIAT con la Chrysler non abbia condotto ad aumentare, come sperato, l’efficienza dell’azienda, che si è ritrovata quindi costretta a cedere la propria azienda di componentistica interna.
Il secondo sottolinea come ciò non sia un buon segnale per il sistema-Paese italiano, in quanto da questa scelta trapela la progressiva volontà di spostare l’asse portante delle attività dall’altra parte dell’oceano, con conseguente mancanza di garanzie effettive in merito alla possibilità di mantenere la produzione e la ricerca-sviluppo in Italia.
FCA – che pure a lungo, come evidenzia Lisa Stanton (che lavora alla FAO delle Nazioni Unite), ha ricevuto sovvenzioni statali, ma altro non ha fatto che vendere marchio dopo marchio, da Autobianchi a Maserati, da Bugatti a Lamborghini, da Zagato a Ducati – ha pattuito che per i primi cinque anni il fulcro aziendale rimarrà in Italia, ma sul più lungo periodo questa certezza immediata è tutt’altro che garantita.
La globalizzazione è per pochi, pochissimi
Questa recente perdita di un marchio italiano prestigioso, efficiente e conosciuto in tutto il mondo merita una riflessione, la quale non può che partire da due considerazioni fondamentali e centrali:
1) L’attuale sistema economico globale sta, sempre più prepotentemente, spingendo verso un progressivo inglobamento dei piccoli da parte dei grandi, che fagocitano i concorrenti, ne mantengono i marchi ma ne colgono i profitti, pervertendo il concetto di diversificazione attraverso l’obbligo ad una concorrenza spietata, non regolata da chi pure avrebbe il potere di farlo (gli Stati), con il risultato inevitabile dell’oligopolio, tramite un efficace sistema di matrioske russe, o di scatole cinesi, che dir si preferisca.
2) L’Italia viene spesso addebitata come incapace di fare industria, di produrre a livello di settore secondario, eppure i grandi colossi non la pensano esattamente alla medesima maniera, poiché negli ultimi decenni hanno fatto a gara per accaparrarsi delle fette cospicue di Italia, sia nel settore privato sia soprattutto in quello pubblico [le cui aziende, per inciso, sono ancora leader a livello mondiale: si pensi alla commessa da 4 miliardi a Fincantieri per costruire navi MSC, od al mandato esplorativo assegnato all’ENI in Mozambico, N.d.A.].
In merito al primo punto, le concrete manifestazioni della sua veridicità sono auto-evidenti: la libera circolazione di merci, capitali e lavoro ha abbattuto, anche in molti Paesi occidentali, i diritti sociali dei lavoratori; ha prodotto una deflazione salariale resa obbligatoria dalla concorrenza senza freni di aziende e multinazionali, capaci di produrre in enormi quantità a basso costo e con bassi prezzi di vendita, in grado di produrre grandi introiti; ha contribuito a finanziarizzare l’economia; ha arricchito i ricchi ed impoverito i poveri.
Italia in svendita: ecco come hanno distrutto l'economia nazionale
Inoltre, essa ha, cosa di non poco conto, indotto molti elementi della classe dirigente (politica, manageriale e così via) a ritenere che esso sia il miglior modello possibile, ideologicamente inattaccabile, nonostante i nefasti esiti, risultanti nella forma più estrema ed a-morale di capitalismo conosciuta, quella che Slavoj Zizek e Paul Mason chiamerebbero post-capitalismo.
Adoperando la ficcante argomentazione del professor Valerio Malvezzi – l’ordine naturale delle cose è stato ribaltato, cosicché la finanza non è più uno strumento dell’economia, a sua volta governata dalla politica e dalla filosofia morale, ma è il fine ultimo dell’economia stessa, che a sua volta ha subissato la politica, divenuto mero gregario, incapace di comprendere i propri reali poteri e la reale natura della dominazione che essa è costretta a subire.
Le nostre industrie: preda dei gruppi stranieri
L’Italia è, da questo punto di vista, l’esempio più eclatante. Nel suo documento “Outlet Italia. Cronaca di un Paese in (s)vendita” (6), l’Eurispes ha mostrato un lungo elenco di “caduti”, di eccellenze tutte italiane date al miglior offerente:
• la Zanussi alla svedese Electrolux;
• la F.I.V. Edoardo Bianchi alla svedese Cycleurope AB;
• la Saeco alla francese Pai Partners e poi all’olandese Philips;
• Gruppo Ferretti alla cinese Shandong Heavy Industry Group;
• Atala alla olandese Group Accell;
• la Ducati alla tedesca Volkswagen;
• la Lamborghini alla tedesca Audi;
• l’Algida alla anglo-olandese Unilever;
• la Riso Flora alla francese Marbour;
• Fattorie Osella e Splendid alla statunitense Mondelez;
• la Casearia Invernizzi alla francese Lactalis;
• Buitoni e Perugina alla svizzera Nestlè;
• Conbipel alla statunitense Oaktree Capital Management;
• Del Verde all’argentina Molinos Rio de la Plata;
• la Sergio Tacchini alla cinese H4T.
E si potrebbe proseguire con Telecom, Star, San Pellegrino, Ferretti, Galbani, Eridania, Bottega Veneta, Bulgari, Edison, Scotti, Valentino, Fastweb, Agnesi, Sperali, Cinzano, Vecchia Romagna, Parmalat, Sasso, Carapelli, Italgel, Levissima, iGuzzini, Panini, Ferrarini.
L’elenco sarebbe ancora lungo ma, per non tediare ulteriormente, sia sufficiente riportare questi ultimi dati: in soli quattro anni, dal 2008 al 2012, ben 437 aziende italiane sono passate nelle mani di acquirenti stranieri. “Nel 2015 le acquisizioni straniere di marchi italiani ammontavano a 65,5 miliardi di euro contro i 9,4 miliardi di acquisizioni all’estero operate dall’Italia. Cioè sette volte di meno.
La Francia da sola ha speso in Italia quanto tutta l’Italia fuori: oltre 9 miliardi per comprare fette del Made in Italy. Nel 2016 è andata anche peggio con 74 miliardi di euro di acquisizioni straniere contro i 3,6 dell’Italia“, riporta la Banca Dati Zephyr di Bureau Van Dijk.
Il tutto, senza considerare le delocalizzazioni e le cessazioni di attività, purtroppo frequenti per un tessuto socio-economico dove i grandi marchi, pur funzionanti, vengono venduti a stranieri, e dove le piccole e micro imprese (il 99% in Italia) faticano ad ottenere credito dalle banche, se non da quelle legate al territorio (BCC, Casse Rurali, Popolari, Casse di Risparmio), che presto potrebbero venire estinte, nelle loro funzioni fondanti, da un Decreto Legge del 2016, sempre nell’ottica neoliberista del “too big to fail”.
Una classe dirigente incompetente
Come non condividere, quindi, le amare parole del presidente dell’Eurispes: “Sembra che il nostro Paese faccia di tutto per negare il proprio valore e che a noi manchino il gusto e il piacere di sentirci italiani, sottovalutando quelle prerogative che ci distinguono. Si è esaurita la spinta che aveva consentito alle generazioniprecedenti di trasformare un Paese arretrato, agricolo, in una moderna democrazia industriale, sia pure segnata da ritardi e contraddizioni“.
Nel 1453, dopo quasi due mesi di assedio, Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, cadde sotto i colpi dell’esercito turco-ottomano del Sultano Maometto II: nel frattempo che le mura venivano abbattute via terra e via mare, durante il saccheggio della città, la razzia delle sue bellezze e le violenze nei confronti dei suoi abitanti, i teologi – rinchiusi nel dorato isolamento di una torre d’avorio – stavano disquisendo del sesso degli angeli.
Nel 2018, dopo trent’anni di politiche economiche neoliberiste (privatizzazioni selvagge, esclusione dello Stato dall’imprenditoria, deregolamentazione, ecc…), la perdita della sovranità monetaria a favore di un organismo indipendente dalla politica (la BCE) ed anni di austerità anti-sociale, l’Italia, un tempo esempio fulgido di miracolo economico, sta progressivamente perdendo tutti i suoi pezzi più pregiati, sotto i colpi della globalizzazione imperante.
Nel frattempo che l’Euro – accordo di cambi fissi – spinge unicamente al monetarismo e ad un’economia di surplus commerciale e di distruzione della domanda interna, con il saccheggio degli asset strategici, la razzia dei vanti industriali italiani e le sofferenze dei cittadini (strozzati dall’avanzo primario, perpetrato per pagare gli interessi su un debito che non è fatto per essere ripagato), la classe dirigente – assorta nelle visioni ideologiche nella propria sfera di cristallo (internazionalismo non socialista ma beceramente inteso, europeismo non dei popoli ma delle èlite, tra gli altri) – ha disquisito e disquisisce di decimi percentuali di debito pubblico, di punti di spread, di rating delle agenzie [possedute dai medesimi che investono nel mercato finanziario che queste stesse agenzie giudicano, N.d.A.].
Pensando che l’UE e l’ottica neoliberista (da essa incarnata) siano i migliori mondi possibili, ci si dimentica di guardare al proprio popolo, e persino al proprio vicino di casa, spoliato illecitamente della sua sovranità costituzionale e tartassato da politiche economiche pro-cicliche in piena recessione, con un mercato senza vincoli né leggi e con un modello predatorio dalle conseguenze aberranti.
Italia in svendita: ecco come hanno distrutto l'economia nazionale
Senza politiche industriali efficaci ed a lungo termine, senza interventi statali che valorizzino la produzione nostrana e consentano investimenti per la domanda interna, senza la comprensione dell’origine della progressiva povertà dell’Italia, senza il rigetto di politiche monetariste e senza un’operazione di consapevolizzazione culturale della popolazione – terrorizzata colpevolmente dai media e dai “tecnici” -, i casi Magneti Marelli non cesseranno di moltiplicarsi.
Come nella Costantinopoli espugnata dagli Ottomani, così nell’Italia contemporanea a farne le spese saranno i cittadini, e con essi il loro sistema-Paese.

Papa Francesco attacca i gilet gialli

Papa Francesco usa La Civiltà Cattolica per fare politica

La vera natura di Papa Bergoglio emerge da un puzzle che dal 2012 si va completando in ogni suo aspetto.
Nell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica, che di fatto è l’organo ufficiale del Vaticano ancor più dell’Osservatore Romano, c’è un articolo a firma di Marc Rastoin, biblista e professore, che svela molte cose che finora si erano solo intuite, ma che ora sono nero su bianco.
Sebbene l’articolo mantenga un tono formale e compassato si inserisce il movimento francese dei gilet gialli nel quadro del populismo internazionale, e qui niente di male perché, sebbene con alcuni necessari distinguo, la supposizione è giusta.

Ma poi, da questo fatto, si estrapola un’analisi del fenomeno populista mondiale:
“Non è dunque inutile fare dei paragoni tra l’elettorato della Brexit nel Regno Unito, l’elettorato della Lega e del Movimento 5 Stelle in Italia, quello dell’AfD in Germania e, soprattutto, quello che ha portato al potere il presidente Trump negli Stati Uniti”, scrive Rastoin/Bergoglio.
Da quando Papa F è Pontefice, la critica anti-populista è stata continua e mirata e questo sorprende perché Papa Francesco, in realtà, è stato (è?) in Argentina un “peronista di centro” e quindi un convinto populista.
Tuttavia, per motivi di politica vaticana, il Papa ha sempre contestato i movimenti populisti e sovranisti mondiali, specialmente negli Usa e in Italia, dove è stato sempre molto critico con il Presidente Trump e con l’attuale governo giallo - verde.
Certamente c’è un obiettivo pratico ben definito che è quello di contrastare la politica sugli sbarchi e questo rientra nella legittimità della politica sociale della Chiesa Cattolica. Ma da questo fatto, spesso la critica si allarga, appunto alla politica tout court e qui il discorso invece si fa complicato perché la Chiesa non dovrebbe fare politica, non essendo un partito ma avendo a disposizione un enorme potere di moral suasion, per così dire, che riguarda miliardi di persone, senza però passare per lo strumento democratico delle elezioni.
Dietro a questa strategia c’è un nome ben preciso: si tratta del Direttore de La Civiltà Cattolica Monsignor Antonio Spadaro, che da sempre è esplicitamente (e poco diplomaticamente) contro i movimenti sovranisti e populisti mondiali e italiani in particolare.
Dice infatti Spadaro: “Non basta più formare i giardini delle élite e discutere al caldo dei "caminetti" degli illuminati. Non bastano più le accolte di anime belle. Facciamo discorsi ragionevoli e illuminati, ma la gente è altrove”.
Esplicita ammissione del “culto delle élite”, neanche velata dal solito velo di ipocrisia gesuitica.
La gente è altrove”, scrive preoccupato Spadaro all’inizio del nuovo anno. Appunto. E la Chiesa invece di “normalizzarla” dovrebbe capire perché le è sfuggita.

La Nuova Strategia Di Difesa Degli Stati Uniti Fa Rivivere La Corsa Agli Armamenti Della Guerra Fredda Tra Mosca E Washington


MOSCA, Russia - Il ministero degli Esteri russo ha reagito alla nuova strategia di difesa missilistica degli Stati Uniti presentata da Donald Trump giovedì.

Il ministero degli Esteri russo ha detto  che la nuova strategia di difesa antimissile di Washington porterebbe a una pericolosa corsa agli armamenti nello spazio ed equivale a un rilancio del programma Star Wars dell'epoca della Guerra Fredda.


"Contrariamente alle affermazioni degli autori dello studio, la realizzazione dei piani e degli approcci in essa contenuti non rafforzerà la sicurezza degli Stati Uniti o dei suoi alleati e partner", ha affermato il ministero degli Esteri russo.



In una dichiarazione, il ministero ha descritto il piano americano come una prova di forza e ha affermato che ciò rappresenterebbe un duro colpo per la già fragile stabilità internazionale.

Mosca ha esortato Washington a ripensarci e impegnarsi con la Russia in colloqui costruttivi sull'equilibrio delle armi nucleari "prima che sia troppo tardi".

Il nuovo documento sulla strategia di difesa degli Stati Uniti presentato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump giovedì scorso afferma che la Corea del Nord, l'Iran, la Russia e la Cina "rappresentano una minaccia" per Washington. Inoltre, lo studio riconosce lo spazio come "nuovo regno della guerra".

L'amministrazione Trump ha sottolineato la necessità di controllare i missili nemici prima che vengano lanciati o nei primi minuti di volo. Il Congresso aveva già ordinato al Pentagono di accelerare questo piano, che includeva l'uso di droni armati di laser.

Tuttavia, qualsiasi espansione dello scudo missilistico inciderà su altre priorità della Difesa, come i miliardi di dollari che il governo si è impegnato a investire in una nuova generazione di armi nucleari.

Inoltre, l'espansione del sistema di difesa missilistica avrebbe importanti implicazioni per la diplomazia statunitense nelle relazioni con la Russia e la Cina.

Il Pentagono non ha pubblicato quel documento l'anno scorso a causa dei tentativi di Trump di persuadere la Corea del Nord a rinunciare alle sue armi nucleari. La pubblicazione di questo rapporto avrebbe compromesso i negoziati con Pyongyang.