Fonte: Accademia nuova Italia
di Francesco Lamendola - 09/01/2019
La questione migranti è all’ordine del giorno; lo è da venticinque anni, ma da altrettanti ci viene presentata come un fenomeno emergenziale. Inoltre, ci viene presentata come il l’effetto di un fenomeno spontaneo, naturale, addirittura tipico di certe epoche storiche, evidentemente come la nostra, sia come qualcosa che, pur essendo imponente, talmente imponente che è irrealistico, per non dire folle, pensare di fermarlo, è nondimeno pacifico, utile, quasi amichevole, e infatti immette forze fresche nella nostra stanca società e ci consente perfino, parola di Tito Boeri, di pagare le pensioni ai nostri pensionati, cosa che senza i cosiddetti flussi migratori, a suo parere, lo Stato italiano non sarebbe in grado di fare. È tutto, quindi, come dire?, molto strano: un fenomeno che ci viene presentato come naturale, ma anche come legato alle condizioni di povertà e desertificazione del continente africano e di quello asiatico, anche se sappiamo che la povertà non è il caso della Cina, da cui pure provengono molti immigrati, e la desertificazione non lo è del Marocco, l’altro grande bacino di partenza. La guerra, allora? Ma non ci sono guerre nel Bangla Desh, e neppure nella Costa d’Avorio, che si sappia. Inoltre, un fenomeno che ci viene presentato come grandioso e umanamente inarrestabile, ma di cui non c’è motivo di aver paura (è quasi un ossimoro), anzi, che bisogna considerare come un’opportunità, e quasi, quasi come una benedizione. Un’opportunità di che cosa, per fare che cosa, e soprattutto per chi?Queste domande non trovano spiegazioni chiarissime; il ritornello che viene somministrato agli italiani dai loro stessi media (ma sono veramente loro? forse no, visto quel che dicono e considerato chi li finanzia) è che gli immigrati ringiovaniscono la società, che portano forze fresche, che contribuiscono a pagare stipendi e pensioni. Inoltre, viene detto e ripetuto che il loro arrivo serve ad allargare gli orizzonti, ad arricchire la nostra cultura, a introdurre il nostro Paese nelle meraviglie della società multietnica e multiculturale, cominciando dalle squadre sportive e dai complessi musicali e arrivando fino al livello della vita quotidiana delle persone comuni. Ai cattolici, infine, in modo particolare, viene detto dal clero e dal papa in persona che accogliere gli stranieri consente loro l’esercizio della carità cristiana: come dire che, se non ci fossero, bisognerebbe inventarseli (strano, perché i poveri ce li abbiamo in casa nostra, eccome, sono almeno cinque milioni e hanno il solo torto di avere la pelle chiara e di non reclamare diritti, di non pretendere assistenza e di vivere con dignità e pudore la loro condizione di difficoltà). Bisogna poi aggiungere che l’idea di multiculturalità che hanno i nostri cari progressisti e migrazionisti, a cominciare proprio dal clero bergogliano, è l’auto-mortificazione della propria identità per un senso di rispetto verso quella altrui: per esempio, il nascondimento dei propri simboli religiosi, l’astenersi perfino dal celebrare la Messa di Natale e dall’impartire ai fedeli la benedizione (lo ha fatto anche il papa in persona…), a ragione del fatto che ciò potrebbe apparire irriguardoso verso gli islamici e tutti gli altri non cristiani; e, in qualche caso, l’espellere dalle chiese i cattolici non persuasi della bontà di tutto questo, bollandoli come razzisti indegni di varcare le porte per incontrare il Signore.
La parola stessa che viene adoperata dai media, migranti, è un po’ sospetta: in passato li si chiamava semplicemente emigranti, quando partivano, e immigrati, quando arrivavano. Lo sappiamo bene, perché i nostri nonni appartenevano a queste due categorie: emigravano dall’Italia, per guadagnare qualcosa da mandare alle famiglie; e quando entravano in Svizzera, o in Belgio, o negli Stati Uniti, divenivano immigrati in quelle nazioni. Era tutto piuttosto semplice, sia giuridicamente, sia geograficamente: anche perché erano chiari i due aspetti principali del fenomeno: perché emigravano e qual era il loro status giuridico. Emigravano a causa della mancanza di lavoro, quindi cercavano un lavoro che consentisse loro di guadagnare; e lo facevano con tutti i documenti in regola, altrimenti, venivano rimandati indietro o, se già accolti, venivano espulsi. Ma questa marea umana che si riversa dai confini dell’Europa e dalle coste del Mediterraneo, da che cosa è spinta? Si tratta di persone che chiedono di entrare nel nostro Paese in due maniere: regolare e irregolare. Le prime fanno apposita domanda, hanno i documenti in ordine, si sa chi sono e a cosa mirano, ad esempio a ricongiungersi a dei parenti già presenti sul nostro territorio; si sa dove abitano, perciò pagano le tasse, pagano l’affitto (in linea di massima) e rispettano le leggi, perché non chiedono, né ricevono, un trattamento privilegiato. La seconda maniera è quella dei clandestini che si presentano davanti alle coste (non solo dell’Italia, ma, come si sa, anche della Libia: nel senso che appena partiti, già chiedono, e spesso ricevono, “soccorso”, o piuttosto il trasporto agevolato fino ai nostri porti): il che significa che non sono, tecnicamente, dei naufraghi, anche se sfruttano le leggi internazionali per essere trattati, giuridicamente, come tali. Altri arrivano via terra, dal confine nordorientale e persino dall’Austria, che pure di migranti non ne ha, per la semplice ragione che non li vuole; ma a lei nessuno rimprovera di essere brutta e cattiva, di fare una politica disumana e vomitevole, eccetera, come accade all’Italia da quando si è formato un nivee che ha deciso di arginare il fenomeno. Una volta giunti in Italia, i clandestini chiedono tutti, infallibilmente, di vedersi riconosciuto lo status di rifugiati: nessuno si presenta come migrante economico, perché ciò non darebbe loro il diritto all’accoglienza; anche se poi, dopo aver fatto perdere un paio d’anni alla giustizia per accertare la verità delle loro motivazioni, salta fuori che oltre il 90% non fuggono da un bel nulla, che non sono perseguitati da nessuno, che non sono minacciati da niente (anzi sono benestanti, visto che sborsano migliaia di dollari per far e il “viaggio della speranza”, come recita la formula d’obbligo dei mass-media politicamente corretti, cioè di tutti i mass-medianostrani). Naturalmente ci sono anche altre maniere per ottenere il permesso di rimanere, per esempio finti matrimoni; ed è ormai chiaro a tutti che esiste un fittissimo sottobosco di amministratori pubblici e di associazioni di volontariati che favorisce in ogni modo l’accoglienza dei migranti clandestini che non ne avrebbero diritto, per le ragioni più varie, comunque ben diverse da quelle nobilmente dichiarate di tipo umanitario; si va dalla domanda di manodopera servile, a due ore il giorno nelle campagne del Sud, alla possibilità di lucrare sui finanziamento pubblici erogati dallo Stato o dagli enti locali per l’assistenza ai “rifugiati”.
Il vantaggio di arrivare in Italia come clandestini è che si gode di ogni possibile diritto, dal vitto, l’alloggio e il telefonino, alla sanità pubblica, senza alcun dovere da osservare, neanche quello di rimanere nei centri di accoglienza e tanto meno quello di lavorare, in attesa di sapere l’esito della domanda di asilo. Insomma quelle persone possono muoversi liberamente, andare dove vogliono, come si è visto nel caso di coloro che, in teoria, erano potuti sbarcare dietro promessa di essere presi in carico dalla Chiesa cattolica, ma che poi sono partiti subito per ignota destinazione, perché chi doveva ospitarli ha detto che erano liberi di fare quel che volevano, pare anzi che abbiano ricevuto l’assistenza necessaria ad andarsene: una vera beffa per lo Stato italiano. Possono anche contare sulla benevolenza della magistratura, perché, se sorpresi a spacciare droga o commettere altri reati, praticamente qualsiasi reato tranne l’omicidio e, forse, lo stupro, i clandestini vengono prontamente rimessi in libertà da qualche magistrato progressista e buonista; ammesso che le forze dell’ordine, sempre più demoralizzate da questo stato di cose, abbiano voglia di rischiare la vita per controllare i documenti di queste quasi settecentomila persone (cifra ufficiale, ma sicuramente sottostimata) che risiedono illegalmente in Italia. Per la stessa ragione, viaggiano gratis sui mezzi pubblici, certi che nessuno chiederà loro il biglietto e che, se anche glielo chiedessero, ciò non avrebbe alcuna conseguenza (un capotreno è stato condannato dal giudice di Belluno per aver fatto scendere un africano sprovvisto di biglietto), anche per la semplice ragione che, non avendo soldi né alcuna proprietà, non pagherebbero la multa. Va da sé che hanno comunque diritto all’assistenza sanitaria: anche i mafiosi nigeriani del cartello della droga, dopo aver ucciso, tagliato a pezzi e messo in valigia i resti della povera Pamela Mastropietro, se avessero lamentato qualche disturbo, qualche malore, se avessero fatto un incidente stradale, sarebbero stati accompagnati al pronto soccorso dall’ambulanza, a sirene spiegate, con diritto di precedenza su tutti gli altri: son cose che gli italiani sanno benissimo, basta frequentare un qualsiasi ospedale per vedere quel che vi succede. E siccome gli immigrati regolari pagano le tasse, si pagano anche l’assistenza sanitaria: da ciò la logica, ma stranissima conseguenza, che è meglio arrivare in Italia da clandestini che da regolari; e che, alla fine dei conti, è relativamente più conveniente non rispettare le leggi e commettere reati, piuttosto che rispettarle e vivere da persone oneste.
Le migrazioni, dunque. Ecco come le definiva l’insigne geografo Antonio Renato Toniolo (Pisa, 1881-Bologna, 1955), allievo di Olinto Marinelli e Luigi De Marchi, una vera autorità in materia (da: A. R. Toniolo, La moderna geografia, Milano, Principato, 1951, pp. 225-226):
Le migrazioni possono essere di massa e d’infiltrazione.
LE MIGRAZIONI DI MASSA sono quelle che sradicano più o meno rapidamente, ma definitivamente, notevoli gruppi di popolazione dai loro territori di origine per fissarli altrove. Queste grandi migrazioni, pacifiche per lo più, danno spesso origine a nuovi popoli o nazioni, diffondono nel mondo lingue e civiltà, e sono ormai difficili, perché mentre accrescono le possibilità di sfruttamento dei territori del paese di arrivo (America meridionale), costituiscono un serio pericolo per l’unità del popolo che le riceve, e sono quindi più o meno apertamente ostacolate dagli Stati ormai costituiti (es. Stati Uniti d’America). (…)
2) LE MIGRAZIONI D’INFILTRAZIONE sono quelle che avvengono in piccolo numero, rispetto alla popolazione che le assorbe, e sono o militari, quale l’infiltrazione di elementi barbarici nell’Impero Romano (sec. III-V d. C.), o pacifiche, quale l’attuale emigrazione per motivi di lavoro. Esse non portano un cambiamento nel carattere della popolazione, anzi per lo più l’emigrazione viene assorbita dal popolo che la ospita.
Questo è lo schema storico delle migrazioni; non ce ne sono altri. O meglio, non ce n’erano fino a quelle attuali. Confrontando i due fenomeni, ci si accorge facilmente che le cosiddette migrazioni odierne sono una via di mezzo fra le migrazioni d’infiltrazione e quelle di massa. Per stabilire un precedente storico: somigliano in parte alle migrazioni d’infiltrazione nell’Impero Romano, fra il III e il V secolo, e in parte a quelle di massa, che vi si soprapposero fra il IV e il VI. Con le prime, un numero consistente, ma comunque limitato, di gruppi barbarici ottenne di stabilirsi al di qua del limes, col compito di difenderlo a loro volta, fornire truppe ausiliarie e ripopolare zone periferiche semi-abbandonate; non causarono una sensibile alterazione della composizione etnica dell’Impero, già molto variegata, e non vennero percepite dai romani come potenzialmente pericolose, anzi come un elemento di stabilità e di rafforzamento. Con le seconde, invece, si verificò un trasferimento di interi popoli e non più di singoli gruppi, i quali, nel corso di alcune generazioni, passarono dalla condizione giuridica di hospites e di foederati a quella di nazioni pressoché indipendenti, molte delle quali sopravvissero alla fine dell’Impero d’Occidente, cui avevano comunque contribuito. Si direbbe, pertanto, che vi sia una regia la quale sta facendo in modo che il fenomeno attuale, ancora nella fase di migrazione d’infiltrazione, non susciti particolare allarme, anzi venga percepito come positivo, e provochi semmai aspre critiche verso quanti vorrebbero opporsi. Ma poiché vi sono tutte le condizioni perché si trasformi in migrazione di massa, che diverrà incontenibile e che del resto, le forze politiche e finanziarie favorevoli non hanno alcuna intenzione di limitare (quando mai esse parlano di un tetto massimoall’accoglienza?), dobbiamo aspettarci che assumano questa ulteriore evoluzione, trasformando l‘Europa in un continente post-europeo, la cui civiltà è destinata a sparire, insieme alla sua popolazione originaria. Fanno riflettere queste parole del Toniolo: Le migrazioni di massa costituiscono un serio pericolo per l’unità del popolo che le riceve, talché proprio per questo sono più o meno apertamente ostacolate dagli Stati ormai costituiti. E se venivano ostacolate dagli Stati Uniti della prima metà del 1900, che erano, sì, uno Stato ormai costituito, ma pur sempre uno Stato assai giovane, con immense superfici quasi spopolate e immense ricchezze naturali ancora da valorizzare adeguatamente, a maggior ragione dovrebbe suonare un campanello d’allarme nella mente dei governanti europei, visto che i loro Stati sono tutt’altro che giovani, sono in pieno declino demografico, non hanno vasti spazi a disposizione, né ricchezze naturali ancora da valorizzare, semmai sono essi bisognosi di acquisire spazi e materie prime per i bisogni delle loro economie. Invece i governanti politici (e religiosi!) dell’Europa sono impegnatissimi a spiegare ai loro popoli che questo flusso illimitato di migranti è utile, benefico, necessario, indispensabile. È strano, vero?