Sebirblu, 20 dicembre 2018
Riporto alcuni passi, a mio avviso importanti (mentre consiglio i lettori di leggere l'esauriente testo intero
QUI), di un'intervista che monsignor Nicola Bux ‒ teologo consultore della Congregazione per le cause dei santi (dopo esserlo stato in quella della dottrina della fede, del culto divino e dell'ufficio delle celebrazioni pontificie) ‒ ha concesso al vaticanista Aldo Maria Valli.
Ho ritenuto di doverla abbreviare affinché tutti coloro che non sono inclini ad interessarsi di vicende ecclesiali e forse attirati soltanto dai vergognosi scandali che purtroppo continuano ad infangare la gerarchia romana, possano rendersi conto che, seppur terribile, non è questo il problema centrale e più grave che la Chiesa vive oggi.
Essa infatti è in piena caduta libera, in quanto «coloro che vogliono "migliorare" la dottrina, falsificandola, non sono per nulla disciplinati, mentre altri, che restano chiaramente fedeli alla Parola di Cristo, sono accusati di essere "rigidi" e "farisei".»
La morsa intorno all'argentino "Vescovo di Roma" si fa sempre più stretta e in molti, soprattutto nel clero, si stanno accorgendo delle sue eresie e dei suoi modi a dir poco dittatoriali lontani dal vero insegnamento cristico. (Ved.
QUI don Elia e
QUI don Minutella).
Questo è il motivo per cui l'ex braccio destro per la dottrina della fede di Benedetto XVI, mons. Bux, ha esposto ad "alta voce" ciò che sta accadendo ora tra le mura leonine.
Bisogna dire, inoltre, che tale intervista è rimasta negletta per via del Sinodo dei Giovani organizzato a Roma, che ha distolto l'attenzione dalle critiche sempre più decise di prelati, vescovi e cardinali dissenzienti dal magistero eretico ed apostata (e a volte addirittura blasfemo) di Bergoglio.
Mons. Bux ha anche sottolineato la tendenza del "papa" a rimanere in silenzio di fronte alle accuse sempre più aspre, citando l'avvertimento di San Pio X nella sua enciclica "Pascendi Dominici Gregis": «Non confessare mai la propria eresia» è «il comportamento tipico dei modernisti, che possono così nascondersi in seno alla Chiesa».
Mons. Nicola Bux e il dott. Aldo Maria Valli
Ecco dunque le parti più salienti dell'incontro fra il dottor Valli e monsignor Bux:
Dr. Valli: Don Nicola, eresia e scisma, parole che sembravano sparite dal vocabolario dei cattolici, stanno tornando al centro di numerose analisi e osservazioni sulla situazione attuale della Chiesa... [...]
Mons. Bux: «Il fatto che il pontefice stesso, mediante il suo magistero, sia incorso in affermazioni eretiche è ormai al centro di un vasto dibattito, che di giorno in giorno si fa sempre più appassionato.» [...]
Dr. Valli: ...È realistico immaginare che dal papa possa arrivare una risposta e che si possa giungere ad una sua professione di fede per dissipare dubbi e ombre?
Mons. Bux: «L'unità autentica della Chiesa si fa nella verità. La Chiesa è stata posta dal Fondatore – Colui che ha detto: "Io sono la Verità"... Senza la verità non sussiste l'unità, e la carità sarebbe una finzione.
L'idea che la Chiesa sia una federazione di comunità ecclesiali, un po' come quelle protestanti, renderebbe difficile al papa fare una professione di fede cattolica. [...]
Non pochi vescovi e parroci pertanto si trovano in grande imbarazzo, a causa di una situazione pastorale instabile e confusa. Stando così le cose, mi sembra realistico pensare ad un "tavolo" all'interno della Chiesa, per capire che cosa sia cattolico e cosa non lo sia.» [...]
Dr. Valli: "E se il confronto non ci sarà?"
Mons. Bux: «Temo che si approfondirà l'apostasia e si allargherà lo scisma di fatto.Proprio il confronto razionale e caritatevole dentro la Chiesa renderebbe necessaria la professione di fede del papa, con abiura, di conseguenza, degli eventuali errori ed opinioni erronee dichiarate sino a quel momento per riaffermare la fede cattolica quale termine di paragone, regola di ogni cattolico.» [...]
Dr. Valli: "Molti si chiedono: se il papa si sente libero di cambiare un articolo del Catechismo secondo le mutate esigenze del popolo di Dio o la diversa sensibilità dell'uomo d'oggi, potrà farlo anche in altri punti, ancora più rilevanti?"
Mons. Bux: «È un interrogativo davvero inquietante e, del pari, una preoccupazione legittima quella di tenere indenne il "depositum fidei" dalle sensibilità contingenti della società di oggi o di domani.» [...]
Dr. Valli: "Ma perché secondo lei sarebbe auspicabile una professione di fede? E se Bergoglio, come tutto lascia pensare, non la farà, che cosa potrebbe succedere?"
Mons. Bux: «L'allontanamento e la deviazione dalla fede si chiama eresia, parola che viene dal greco "airesis" e vuol significare scelta e assolutizzazione di una verità, minimizzando o negando le altre che sono nel novero della dottrina cattolica (ricordo a questo proposito che il card. Von Balthasar scrisse un saggio intitolato "La verità è sinfonica").
Ovviamente, però, la deviazione deve essere manifesta e pubblica. E in caso di eresia palese, secondo san Roberto Bellarmino, il papa può essere giudicato. [...]
Il pontefice è chiamato dal Signore a diffondere la fede cattolica, ma per farlo deve dimostrarsi capace di difenderla... altrimenti la Chiesa cessa di essere colonna e fondamento della verità. Perciò, chi non difende la vera fede decade da ogni incaricoecclesiastico, patriarcale, eparchiale, eccetera.»
Dr. Valli: "Scusi don Nicola, sta dicendo che in caso di eresia, proprio come un cristiano eretico cessa di essere membro della Chiesa, anche il pontefice cessa di essere papa e capo del corpo ecclesiale, e perde ogni giurisdizione?
Mons. Bux: «Sì, l'eresia intacca la fede e la condizione di membro della Chiesa, che sono la radice e il fondamento della giurisdizione. Questo è il pensiero dei padri della Chiesa, in specie di Cipriano, che ebbe a che fare con Novaziano, antipapa durante il pontificato di papa Cornelio (cfr. Lib. 4, ep. 2). Ogni fedele, compreso il pontefice, con l'eresia si separa dall'unità della Chiesa...
Di fronte a questa eventualità, così grave per la fede, alcuni cardinali, o anche il clero romano o il sinodo di Roma, potrebbero ammonire il papa con la correzione fraterna, potrebbero "resistergli in faccia" come fece Paolo con Pietro ad Antiochia; potrebbero confutarlo e, se necessario, interpellarlo al fine di spingerlo a ravvedersi.
In caso di pertinacia del papa nell'errore, bisogna prendere le distanze da lui, in conformità con ciò che dice l'Apostolo (cfr. Tito 3,10-11). Inoltre la sua eresia e la sua contumacia andrebbero dichiarate pubblicamente, perché egli non provochi danno agli altri e tutti possano premunirsi. Nel momento in cui l'eresia fosse notoria e resa pubblica, il papa perderebbe ipso facto il pontificato...
Se il papa non si comporta da papa e capo della Chiesa, né la Chiesa è in lui né lui è nella Chiesa. Disobbedendo alla legge di Cristo, oppure ordinando ciò che è contrario al diritto naturale o divino, ciò che è stato sancito universalmente dai concili o dalla Sede apostolica, il papa si separa da Cristo, che è il capo principale della Chiesa e in rapporto al quale si costituisce l'unità ecclesiale...
Non nascondo, però, che quanto indicato, sebbene sia limpido e liscio nella teoria, nella pratica incontra molte difficoltà; inconvenienti anche di carattere canonistico.»
Dr. Valli: "Ammettiamo, comunque, che si possa arrivare a un tal punto. Quali le conseguenze per la fede e per la Chiesa?"
Mons. Bux: «Chi vuol essere papa non può rinnegare la verità cattolica, anzi, deve aderirvi in toto se vuole rivendicare l'autorità magisteriale.
Vale infatti ciò che Ratzinger scriveva anni fa, sottolineando che il pontefice non può "imporre una propria opinione", ma deve "richiamare proprio il fatto che la Chiesa non può fare ciò che vuole e che anch'egli, anzi proprio lui, non ha facoltà di farlo", perché "in materia di fede e di sacramenti, come circa i problemi fondamentali della morale", la Chiesa può solo "acconsentire alla volontà di Cristo". [...]
In breve, se il papa non custodisce la dottrina, non può esigere la disciplina; se poi perdesse la fede cattolica, decadrebbe dal soglio petrino.
"Il potere delle chiavi di Pietro non si estende fino al punto che il Sommo Pontefice possa dichiarare 'non peccato' quello che è peccato, oppure 'peccato' quello che non è peccato. Ciò sarebbe, infatti, chiamare male il bene, e bene il male, la qualcosa è, sempre è stata e sarà lontanissima da colui che è il Capo della Chiesa, colonna e fondamento della verità" (cfr. Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, lib. IV cap. VI, p. 214, e anche Lumen gentium, n. 25).
Di conseguenza il papa che, quale persona privata, si identificasse con l'eresia, non sarebbe più Sommo Pontefice o Vicario di Cristo sulla terra.» (Cfr.
QUI e
QUI; ndr).
Dr. Valli: "Lei stesso, però, ha detto che ci sono difficoltà pratiche non di poco conto…
Mons. Bux: «Per un papa, in effetti, vige una sorta di immunità da giurisdizione. Per cui, sebbene in teoria si affermi che i cardinali possono accertare la sua eresia, certamente nella pratica la cosa diventerebbe difficile, a causa del fondamentale principio "Prima sedes a nemine iudicatur", ripreso dal can. 1404 c.i.c. Nessuna chiesa, in quanto figlia, può giudicare la madre, cioè la Sede apostolica.
Ancor meno alcuna pecora del gregge può ergersi a giudicare il proprio pastore. Se guardiamo come è stato applicato questo principio nella storia della Chiesa, e del papato in particolare, notiamo che anche in caso di accusa di eresia, o addirittura vera e propria apostasia del papa, tutto si è concluso con un nulla di fatto. [...]
Dr. Valli: "Insomma, tante difficoltà pratiche..."
Mons. Bux: «Un ulteriore problema è, poi, nell'individuazione degli esatti contorni di un'eresia. Guardi, a differenza del passato, la teologia non è più affidabile, ma è diventata una sorta di arena nella quale converge tutto ed il suo contrario. Per cui, affermata una verità, vi sarà sempre qualcuno disposto a difendere l'esatto contrario.
Come vede, esistono diverse complicazioni pratiche, teologiche e giuridiche sulla questione del giudizio riguardante il papa eretico.
Forse, e lo dico proprio da un punto di vista pratico, sarebbe più agevole esaminare e studiare più accuratamente la questione relativa alla validità giuridica della rinuncia di papa Benedetto XVI, se cioè essa sia piena o parziale ‒ "a metà", come qualcuno ha detto ‒ (ossia Mons. Georg Gänswein, ved.
QUI; ndr) o dubbia, giacché il concetto di una sorta di papato collegiale mi sembra decisamente contro il dettato evangelico.
La fulminante risposta del Cielo per il destino della Chiesa di Roma e del papato, proprio lo stesso giorno delle dimissioni di Benedetto XVI, avvenute l'11 febbraio 2013.
Gesù non disse, infatti, "tibi dabo claves..." (regni cælorum = Ti darò le chiavi del regno dei cieli ‒ Mt 16, 15-19; ndr). rivolgendosi a Pietro e ad Andrea, ma lo disse solo a Pietro!
Ecco perché dico che, forse, uno studio approfondito sulla rinuncia potrebbe essere più utile e proficuo, nonché aiutare a superare problemi che oggi ci sembrano insormontabili.
È stato scritto: "Giungerà anche un tempo delle prove più difficili per la Chiesa. Cardinali si opporranno a cardinali e vescovi a vescovi. Satana si metterà in mezzo a loro. Anche a Roma ci saranno grandi cambiamenti" (Saverio Gaeta, Fatima, tutta la verità, 2017, p. 129).
E questo grande cambiamento, con papa Bergoglio, lo possiamo vedere in maniera palpabile, stante la chiara intenzione di segnare una linea di discontinuità o rottura con i precedenti pontificati. Questa discontinuità – una rivoluzione – genera eresie, scismi e controversie di varia natura.» [...]
Dr. Valli: "Anche la liturgia ha risentito di tutto ciò, e lei lo ha scritto più volte nei suoi libri..."
Mons. Bux: «Esatto. Si celebra come se Dio non fosse presente... una animazione mondana.
Ma qui ci confortano le parole che sant'Atanasio di Alessandria rivolgeva ai cristiani che soffrivano sotto gli ariani (i quali non credevano nella divinità del Cristo, come spesso ribadito da don Minutella sul neo-arianesimo d'oggi; ved.
QUI e il video che segue; ndr).
(Ecco, dunque, ciò che diceva Sant'Atanasio in piena eresia ariana):
"Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la fede? La vera fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta, chi mantiene la sede o chi osserva la fede? (Cfr.
QUI e
QUI e
QUI; ndr). È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo...
Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra fede,che la mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo.
Loro sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese.
Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che la rappresentano, ma in realtà sono quelli che a loro volta sono espulsi da essa e vanno fuori strada" (Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum. Caillu e Guillou, vol. 32, pp 411-412).
Dr. Valli: "In conclusione, possiamo dire che l'eresia non consiste solo nel diffondere dottrine false, ma anche nel tacere la verità sulla dottrina e sulla morale?"
Mons. Bux: «Certamente sì. Se a qualcuno desse fastidio il termine dottrina, usi il termine insegnamento, perché entrambi sono la traduzione del greco 'didachè'. Dove manca la dottrina, vi sono problemi morali, come stiamo vedendo!
Quando il papa e i vescovi fanno questo, utilizzano il loro ufficio per distruggerlo.Dice sant'Agostino: pascono se stessi, cercano i propri interessi, non già gli interessi di Gesù Cristo, proclamano la sua parola ma per diffondere le loro idee.
Il nome di Gesù Cristo, diceva il cardinale Biffi, è diventato una scusa per parlare d'altro: migrazioni, ecologia, eccetera. Così non siamo più unanimi nel parlare (1 Cor 1,10) e la Chiesa è divisa.»