Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è forse un cambiamento epocale che investe uno degli elementi fondamentali dell’identità italiana: il cattolicesimo. Sbagliano le gerarchie clericali a pensare di poter orientare ciò che rimane del “popolo cattolico” verso le sponde di quell’umanitarismo progressista che rappresenta l’esito estremo del Concilio Vaticano II. In senso ancor più radicale, sbagliano a pensare che essi detengano ancora il “monopolio del Sacro”.
Che frequentino o non frequentino le funzioni religiose, gli italiani rimangono intrisi di cristianesimo nei suoi valori e anche nelle sue reazioni inconsce. Quello che ora sta venendo meno è la fedeltà al Papa e ai suoi diretti collaboratori.
“Gesù era un migrante” dicono certi preti dall’aria equivoca. La stragrande maggioranza dei cattolici italiani non crede a questa stravagante teologia e vota Salvini. “Non fate il presepe se non volete accogliere i migranti” … Così dicono riferendosi ai robusti clandestini che sbarcano con una dinamica para-militare sulle nostre coste.
Ma in realtà chi ha sempre fatto il presepe continuerà a farlo anche se è favorevole a rifare nell’intero canale di Sicilia quel benemerito blocco navale che il Ministro dell’interno Napolitano, con piglio napoleonico, impose ai tempi della crisi albanese.
In rete si stanno diffondendo i commenti che ricordano la sana e realistica dottrina sull’immigrazione di Tommaso d’Aquino, il principale dottore della Chiesa. I capisaldi di questa dottrina sono chiari e distinti: si accoglie nella misura in cui si può, senza turbare l’ordine sociale esistente; l’ospite con ogni premura e ogni cautela si adatta alle regole, agli usi e costumi di colui che generosamente ospita per tutto il tempo in cui perdura l’ospitalità.
Dalla distinzione posta da Cristo tra il politico e il religioso scaturisce la presa di posizione di Paolo che raccomandava ai cristiani di inserirsi nella società con un pieno rispetto delle regole e dell’autorità. La posizione espressa nella Lettera ai Romani è completamente diversa dalla caricatura del “cristianesimo sovversivo” che lo stesso Nietzsche aveva avvalorato.
Paolo esorta al rispetto delle leggi dell’Impero romano e ricorda anche l’importanza che una autorità civile eserciti la forza guidata dalla ragione per mantenere la pace: “Se fai il male allora temi, perché non invano [l’autorità civile, n.d.R] porta la spada”. Bisognerebbe ricordarlo ai preti come don Mazzi quando abbracciano i peggiori delinquenti e insinuano che sarebbe poco cristiano dare un bell’ergastolo a sanguinari assassini. In realtà è vero il contrario: non correggere “con spada” è anti-cristico, a meno che non si voglia correggere l’Apostolo delle Genti con il Chierico delle Televisioni.
Volendo approfondire la dottrina sociale del cristianesimo, quella che scaturisce dalle vive fonti del Nuovo Testamento, ci si accorge che questa dottrina è molto diversa da quella sorta di “sharia ideologica” che possiede le menti dei preti più infatuati.
Ricordiamo innanzitutto il “Date a Cesare quel che è di Cesare”, la frase pronunciata da Cristo che è il fondamento profondo della laicità occidentale e che fonda l’autonomia del “politico”. Ai nazionalisti religiosi il Cristo ricordava la necessità di rispettare le regole del Cesare: fondava così teologicamente l’autonomia del politico – ed è anche inutile sottolineare che una delle prime preoccupazioni di ogni Cesare, che non sia un folle, sia quella di controllare il territorio e i confini, di stabilire con rigore chi entra come amico e chi non entra, persino quando possa essere solo potenzialmente nocivo.
L’espressione di Cristo “Date a Cesare quel che è di Cesare” taglia alla radice ogni fondamentalismo. I chierici che vorrebbero trasformare in decreto legge l’accoglienza universale del clandestino (identificato in maniera molto dubbia con l’ospite di cui si parla nei Vangeli) in realtà non si accorgono di bestemmiare Dio nella sua specificità cristiana giacchè tramutano un precetto religioso in una legge civile: in pratica si inventano una Sharia cristiana.
Inutile stupirsi: in fondo sono gli stessi che senza alcun pudore vanno dicendo che il Dio Cristiano (incarnato nella storia e pertanto raffigurabile) è lo stesso Allah degli Islamici (padrone inesorabile degli eventi che mai potrebbeessere invocato come “Padre”).
Dal cristianesimo scaturisce una profonda coscienza civile e sociale: lo testimoniano gli ospedali, i monti di pietà, gli orfanatrofi, le case per anziani disseminate per l’ecumene cristiano in duemila anni. D’altra parte trasformare questa sollecitudine sociale in ideologia sinistrorsa rappresenta una problematica caricatura.
È Cristo stesso che pone un veto a ogni tentativo di trasformare il cristianesimo in ideologa sociale: “Il mio regno non è di questo mondo” (frase perfettamente complementare al “Date a Cesare quel che è di Cesare”) e soprattutto “Non di solo pane vive l’uomo”. In realtà l’Islam, religione eminentemente giuridica e politica, potrebbe prestarsi molto di più a questo appiattimento secolarizzato della religione.
È la nostra tesi storica: i chierici del III Millennio tendono ad appiattire il cristianesimo a un astratto monoteismo sociale, una sorta di Sharia buonista, che fatalmente è destinata a inginocchiarsi ai piedi della Sharia vera, quella di ferro e sangue del monoteismo islamico.
Di contro a questa prospettiva noi italiani siamo chiamati, oggi, ad animare un cristianesimo civile europeo che non dimentichi le vette trascendenti della nostra religione e nello stesso tempo sia ben consapevole di quella che è stata la vera conseguenza storico-sociale dell’insegnamento del Cristo.
Pensiamo a un cristianesimo non svilito dal clericalismo, che esalti l’Arte sacra da Giotto in poi: il Verbo si è fatto carne, dunque può essere raffigurato plasticamente a differenza di quanto sostiene l’Islam (ed anche l’ebraismo). Il cristianesimo di San Francesco che celebrava la magnificenza del Creato e predicava la Crociata in terra santa. Ma anche il cristianesimo fiero di Dante, che contestava come estrema forma di simonia l’intromissione del Papa nella politica.
Senza dimenticare il cristianesimo sociale dei monaci che riscattavano gli europei rapiti dagli schiavisti nordafricani, dei francescani medievali che fondavano i monti di pietà (e che oggi sarebbero in prima fila contro l’austerità avida e avara dell’Unione Europea).
Il Cristianesimo europeo sopravviverà alla crisi dei garruli chierici con sciarpa arcobaleno: esso è qualcosa di troppo importante ed essenziale. Spengler vedeva nelle cattedrali gotiche il simbolo della energia faustiana dell’uomo europeo proiettato verso l’infinito e celebrava nelle icone della Madre di Dio con Bambino la “sollecitudine verso il futuro”, incarnato da quel tenero e regale Fanciullo dai tratti solari.
Oggi forse una metamorfosi significativa è in atto e gli uomini di buona volontà sono chiamati a dare il loro contributo affinché si compia.