Conclusa la Conferenza di Palermo, ora si attendono le prossime mosse del governo italiano per quanto riguarda il dossier-Libia. Il vertice siciliano ha fatto compiere dei passi in avanti all’Italia in termini di rapporti con tutte le fazioni presenti nel complesso scacchiere libico. Ma ha anche mostrato che la strategia italiana ha dovuto, per forza di cose, cambiare passo. E se un tempo supportavamo soltanto Fayez al-Sarraj, adesso ci troviamo (forse più travolti dal destino che per convinzione) a dover intrecciare rapporti molto più profondi anche con Khalifa Haftar.
In questo gioco di rapporti fra Tripoli, Bengasi, Tobruk e Misurata, un ruolo centrale lo hanno avuto due pilastri della nostra strategia: Eni e servizi segreti. Ed è soprattutto per quanto riguarda questo secondo pilastro che si sta muovendo il governo di Giuseppe Conte che, dopo mesi di stallo, sembra aver deciso di rimettere mano al cambio di vertici dell’intelligence. Le difficoltà italiane in Cirenaica sono state progressivamente ridotte. Ma non sono finite. E la Libia non è secondaria per capire soprattutto chi sarà l’uomo che sostituirà Alberto Manenti alla guida dell’Aise, il servizio segreto esterno.
L’obiettivo dell’esecutivo giallo-verde è ambizioso. Rispetto ai governi precedenti, da Roma è arrivato l’input di tessere una rete di relazioni con Haftar che possa permettere a Eni di entrare in Cirenaica. Programma assolutamente complesso. In quest’area il nostro colosso energetico deve scontrarsi con le bizze del maresciallo ma anche con i terminali Total. E sotto questo profilo, l’importanza di avere alle spalle alleati come British Petroleum e la russa Rosneft aiuta e non poco a convincere il difficile generale libico. Tutto, ovviamente, coinvolgendo la National Oil Corporation (Noc), il gigante del petrolio libico che rappresenta, ad oggi, forse l’unica istituzione che unisce quasi tutto il territorio della Libia.
In questa difficilissima partita, giocano un ruolo fondamentale i servizi. Ed è stato soprattutto Manenti ad aver assunto una posizione centrale. Secondo quanto appreso da La Verità, il prossimo lunedì il Consiglio dei ministri dovrebbe sostituire il numero uno dell’Aise. E non sarà una scelta priva di conseguenze. Nato a Tarhuna, in Libia, ottima conoscenza dell’arabo. dal 1980 all’interno del Sismi e con ottimi contatti a Tripoli (e non solo), Manenti è stata una vera e propria arma dell’Italia in Libia. E vanta un credito importante con molte parti politiche, nonostante sia stato nominato a Forte Braschi, nel 2014, da Marco Minniti.
Sui nomi dei possibili sostituti di Manenti, ci sono ancora ampie discussioni. Secondo La Verità, i papabili sono tre. “Il primo, è Enrico Savio, attuale numero due del Dis, che vanta l’appoggio del presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro. Poi c’è Luciano Carta, il severo e marziale generale della Guardia di finanza, che in molti avrebbero voluto al vertice della stessa Gdf. Quindi c’è Gianni Caravelli, il secondo vice dell’Aise, spinto dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta”. Anche se su quest’ultimo, come ricordato già su questa testata, gravano alcuni dubbi. Se molti pensavano che fosse naturale la sua successione alla guida dell’Aise, oggi non appare più così creta. Nominato da Minniti e delegato da Manenti a seguire proprio la Libia, questi due elementi non sembrano essere dei punti di vantaggio, oggi, per essere il prescelto alla guida dei servizi esterni.
L’idea è che il governo voglia dare un cambio di direzione generale alla nostra strategia in Libia. E dovendo, a questo punto necessariamente, rapportarsi con Haftar e non solo Serraj, l’Italia si trova a dover ricreare le alte sfere dell’intelligence per tentare di non essere esclusivamente legate a un determinato leader o una determinata fazione. Una ricostruzione che però non deve essere l’anticamera di una “damnatio” di Manenti, che invece è stato fondamentale per la buona riuscita della conferenza di Palermo. Prova ne è stata il viaggio a Mosca per convincere Haftar a raggiungere il capoluogo siciliano.
Ma molte cose del duo Manenti-Minniti non piacciono all’attuale esecutivo. Secondo l’attuale esecutivo, aver puntato tutto su Tripoli ha fatto perdere terreno in Cirenaica a favore della Francia. E dopo la caduta di Muhammar Gheddafi, c’è stato quello che viene definito un “disinvestimento” nell’intelligence sul fronte nordafricano. E infatti, dopo alcuni anni dallo scoppio della guerra in Libia, l’Italia si è trovata a dover gestire ondata di migranti e minaccia terroristica a cose già fatte. Problemi che sono stati ampiamente sottovalutati.
Come ricorda La Verità, “dal 2011 al 2017, quasi sei anni, nei dossier inviati a Camera e Senato non si fa minimo cenno agli sbarchi sulle nostre coste. Se ne inizia a parlare l’anno scorso, quando, si fa cenno a ‘sbarchi occulti’, effettuati sotto costa per eludere la sorveglianza marittima aumentando con ciò, di fatto, la possibilità di infiltrazione di elementi criminali e terroristici”. Questioni cruciali per chi ora governa in Italia, che, unite al fatto di aver ricucito con Haftar (via Mosca), hanno dato il via libera al ricambio degli 007.