MILANO, 25 OTT – “L’orrore dello spaccio nell’ex scuola abbandonata”: così Silvia Sardone, consigliere regionale e comunale del Gruppo Misto, ha intitolato su Facebook il video del suo sopralluogo in via Zama, dove dice di essersi trovata di fronte una “scena simile al dramma di DESIREE a Roma: abbiamo trovato – racconta – una ragazza italiana giovanissima tra spacciatori e sbandati“.
Sardone era già stata in via Zama, in zona Mecenate, un paio di mesi fa e dice che da allora “nulla è cambiato, anzi la situazione è addirittura peggiorata. Gli immigrati nordafricani che occupano lo stabile sono sempre al loro posto, ma quello che fa più preoccupare è il viavai di giovani ragazze denunciato dai residenti della zona. Ho infatti incontrato – racconta – una ragazza italiana molto giovane al secondo piano in compagnia di un algerino e in evidente stato di alterazione dovuto probabilmente all’assunzione di droga. Una situazione che non vorrei diventasse esplosiva come quella di via dei Lucani”.
E' URGENTE CHE IL GOVERNO PORTI AVANTI UN PROGRAMMA E UN PIANO DI ABBATTIMENTO E RIQUALIFICAZIONE DI TUTTI GLI STABILI ABBANDONATI, CHE NEL FRATTEMPO VANNO PRESIDIATI E CONTROLLATI DALLE FORZE DELL'ORDINE
Dalle baracche immerse nella boscaglia a Modena Est ai casolari sconosciuti senza dimenticare i luoghi storici. Si moltiplicano in città gli edifici abbandonati che diventano residenze di fortuna per sbandati, spacciatori, mendicanti, senza tetto.
In questo video alcune delle situazioni esistenti in città, in centro e in periferia. Video di Gino Esposito
Non solo Roma quartiere san Lorenzo, praticamente accade in tutte le città.
Giuseppe Conte ha confermato l’impegno dell’Italia nella costruzione del Tap. Una scelta in controtendenza rispetto alle idee della base del Movimento Cinque Stelle e che conferma gli impegni presi dai precedenti governi italiani.
Come ha detto il premier, “gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita. Non abbiamo riscontrato elementi di illegittimità. Interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro. In ballo ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, non lasciando nulla di intentato. Ora però è arrivato il momento di operare le scelte necessarie e di metterci la faccia”.
L’opera si farà dunque. Ed è un segnale importante che, escludendo il dibattito politico intento, investe inevitabilmente la nostra politica estera. Il governo italiano conferma quanto fatto dalle amministrazioni precedenti, quindi si conforma a una linea dei partiti che oggi rappresentano l’opposizione. Ma si allinea, in ogni caso, a una strategia di più ampio respiro voluta dagli Stati Uniti e dall’Unione europea che consiste nella diversificazione delle fonti energetiche. In particolare, in questo caso, del gas.
La diversificazione delle fonti si traduce, in maniera abbastanza evidente, nella volontà di sganciare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo. È Mosca oggi ad essere la vera grande potenza esportatrice di gas all’interno del continente europeo. E per quantità estratta e vicinanza territoriale, resta sicuramente il produttore più conveniente e utile per tutti i Paesi europei. La Russia non si può certo considerare un monopolista del mercato gasiero del Vecchio Continente: ma p sicuramente un giocatore fondamentale.
Ed è proprio questa sua posizione di forza ad aver attivato da tempo sia Bruxelles che Washington per fare in modo di evitare che il Cremlino abbia in mano il controllo del gas per l’Europa. Per l’Unione europea, l’interesse prioritario è quello della diversificazione, della concorrenza, ma anche di evitare di dipendere da un attore considerato ostile dall’attuale amministrazione continentale.
Vladimir Putin non è considerato un partner affidabile dall’Unione europea e le sanzioni alla Russia ne sono la dimostrazione. Mentre le precedenti Commissioni europee hanno cercato di non dividere Mosca dall’Europa, l’attuale governo dell’Ue ha proposto un approccio molto più duro. E questo si ripercuote inevitabilmente anche nel gas, che è un’arma fondamentale per la geopolitica russa.
Per gli Stati Uniti, il discorso è diverso. È chiaro che Oltreoceano l’interesse non è identico a quello europeo, ma è identico lo scopo: evitare che sia la Russia ad avere il controllo di una larga fetta del mercato del gas continentale. Il motivo è strategico, perché avere il rubinetto dell’energia equivale ad avere un controllo effettivo sulla vita degli Stati. E la Casa Bianca non vuole che questo ruolo lo abbia il Cremlino.
Ma c’è un motivo anche prettamente economico: l’Europa è un mercato ricco e la domanda di gas è in forte ascesa. Le riserve europee si stanno lentamente esaurendo, i giacimenti russi garantiscono produzione continua, e gli Stati Uniti hanno deciso che non possono rimanere estranei a tutto questo. Donald Trump si è detto pronto a entrare prepotentemente nel mercato dell’oro blu d’Europa. E lo sta facendo sia attraverso accordi politici per l’esportazione diretta di Gnl americano, sia attraverso il sostegno a progetti di gasdotti che, come il Corridoio Sud, sostituiscano (almeno nelle intenzioni) l’export russo.
Il Tap, e quindi l’Italia, si inseriscono in questo difficile equilibrio fra potenze del gas. E il compito del governo italiano è complesso poiché si trova a dover confrontarsi con interessi del tutto divergenti fra loro e non facilmente amalgamabili. Escludendo i dati tecnici, e rimanendo sul piano politico, è evidente che la conferma di questo gasdotto si inserisce all’interno della politica di equilibrio che sta svolgendo il governo Conte con Russia e Stati Uniti.
Donald Trump ha dimostrato in questi mesi di essere un forte sostenitore del governo giallo-verde. L’incontro con Conte alla Casa Bianca è stata la manifestazione più evidente di un rapporto estremamente positivo fra Roma e Washington. Ma questo rapporto positivo è anche evidentemente un rapporto d’interesse. E gli Stati Uniti hanno messo da subito in chiaro quale fosse la loro volontà: vedere il Tap approvato. In questa fase di rapporti molto tesi fra Italia e Unione europea, gli Stati Uniti rappresentano una potenza essenziale per mantenere questa politica di confronto acceso con Bruxelles. Se con l’Ue non riusciamo ad avere rapporti positivi, è evidente che la sponda dall’altra parte dell’Atlantico risulta essenziale, sia politicamente che economicamente.
D’altro canto, non è un mistero che nelle diverse anime del governo composto da Lega e Movimento 5 Stelle vi sia un sentimento di apertura nei confronti della Russia. Conte sin dal suo discorso d’insediamento ha detto di volere a tutti i costi interrompere le sanzioni a Mosca che colpiscono, oltre alla loro economia, le aziende italiane. E i viaggi di Matteo Salvini e dello stesso capo di governo hanno confermato questo obiettivo italiano. Ora: è chiaro che il Tap non possa far piacere a Mosca, perché da un punto di vista strategico, a lungo termine, indica un obiettivo di progressivo sganciamento dal gas proveniente dalla Russia.
Ma se la scelta del Tap è apparsa obbligata per i nostri impegni con l’Occidente, è altrettanto evidente che questo possa essere il preludio per una graduale apertura economica nei confronti della Russia. Trump si è dimostrato un presidente negoziatore: è un businessman a cui piace trattare per raggiungere un compromesso che soddisfi tutti. Il gasdotto che arriverà a Meledeugno, soddisfa gli interessi americani. E forse questo potrebbe a un allentamento della pressione su Mosca. Un do ut des? Possibile. Ma del resto è questo il difficile gioco italiano, che oscilla fra l’aquila e l’orso. Non possiamo essere una superpotenza: ma possiamo fare in modo che la sfida per il nostro Paese si trasformi in concorrenza.
Il potere rivendicato dalla BCE, inteso a soverchiare le leve fiscali degli Stati e la loro politica economica, a partire dall’Italia. [Pino Cabras]
Un'attivista spaventa Draghi
di Pino Cabras.
Riporto qui di seguito due articoli, rispettivamente di Giuseppe Masala e Simone Santini, che commentano le dichiarazioni del presidente della BCE Mario Draghi in merito al potere rivendicato dalla Banca Centrale Europea, un potere inteso a soverchiare le leve fiscali degli Stati e la loro politica economica, a partire dall’Italia. Mi riservo alcune annotazioni in coda agli articoli.
1) Viviamo in un regime di ‘Monetary Dominance’?
di Giuseppe Masala.
Mentre tutti si stracciano le vesti per le accuse di Luigi Di Maio a Mario Draghi ("Avvelena i pozzi") generando panico, nessuno si interroga sulle gravissime parole del professore Draghi espresse ieri a Francoforte. Secondo il Presidente della BCE, osannato da tutte le testate di giornale e da tutte le tv, vivremmo in un regime di “dominanza monetaria”.
A me risulterebbe altro: la Banca Centrale Europea (così come all'epoca la Banca d'Italia) agisce in indipendenza e autonomia. Ma un "regime di monetary dominance" è un'altra cosa: è la subordinazione delle politiche fiscali poste in essere dalle Istituzioni democraticamente elette alle autorità monetarie e dunque ai tecnocrati delle banche centrali. Inutile sottolineare che per qualunque scelta politica del governo democraticamente eletto sono necessarie le risorse poste a disposizione dalla leva fiscale per diventare realtà pratica e concreta. Dire dunque che siamo in un regime di monetary dominance significa dire chiaro e tondo che viviamo sotto la dittatura dei banchieri centrali. Dittatura ormai peraltro pubblicamente e platealmente rivendicata.
Inutile sottolineare che siamo di fronte ad una rivendicazione di qualcosa che già è stato ostentatamente e pubblicamente rivendicato dalla BCE nel 2011: le lettere con filma in calce del Presidente Trichet per quanto riguarda la Spagna e a doppia firma del Presidente Trichet e di quello entrante Draghi per quanto riguarda l'Italia. Missive dove si elencavano i provvedimenti che i Governi dovevano porre in essere se volevano evitare la crisi fiscale grazie all'intervento della BCE. Incidentalmente, quell’intervento sarebbe stato peraltro dovuto e non condizionato, visto che i Draghi stanno lì a fare quello: evitare le crisi di liquidità dei sistemi bancari dei paesi aderenti all'eurosistema.
Ma il punto non è manco quello: il punto è che almeno in Italia (in Spagna non mi pronuncio non avendo la più pallida idea) la Costituzione non dà alcun predominio (alcunamonetary dominance) alla banca centrale sulle istituzioni democraticamente elette. Anzi, per il vero, le mie umili resipiscenze della Costituzione Italiana mi suggeriscono che la Banca Centrale non è manco nominata.
Qui invece siamo alla smaccata rivendicazione della Sovversione dell'Ordine Democratico e Costituzionale. Non mi risulta manco che i trattati europei ai quali l'Italia ha aderito conferiscano una "monetary dominance" alla BCE.
Insomma siamo di fronte ad una cosa che se fossero stati vivi Togliatti, Pertini, Saragat e Lussu a Draghi queste parole sarebbe costate carissime. Ma non mi viene manco difficile ipotizzare che questo principio della "monetary dominance" avrebbe spinto anche Aldo Moro - persona notoriamente pacifica - a perdere le staffe.
Mario Draghi è un pericolo reale e concreto per la democrazia e va fermato (democraticamente). Chi non lo capisce è complice.
Nella polemica tra Di Maio e Draghi ha ovviamente ragione Di Maio. O, meglio, ha ragione Paolo Savona.
Draghi avrebbe dovuto distinguere i rischi del sistema Italia e distinguere quali sono le possibilità di intervento della BCE. Avrebbe dovuto correttamente dire che l'aumento del pagamento degli interessi sul debito (semplificato ormai urbi et orbi nello "spread") è un problema di medio-lungo periodo che riguarda lo Stato italiano e su cui la BCE non interverrà.
Ma dallo stesso problema deriva un rischio per la tenuta del sistema bancario italiano e quello È PIENAMENTE un rischio di competenza della BCE.
Invece che gettare dubbi allarmistici ("avvelenare il clima", locuzione perfetta) Draghi avrebbe dovuto dire che è compito della BCE evitare che il sistema bancario italiano entri in crisi.
Alla obiezione che gli sarebbe stata posta, ovvero che per evitare ciò, gli strumenti a disposizione della BCE sono gli stessi che impedirebbero allo spread di aumentare, ab origine, (e quindi avrebbe finito per aiutare lo Stato italiano, ciò che non è suo compito) Draghi avrebbe dovuto e potuto correttamente dire: "La BCE farà solo quanto sarà necessario. E sarà sufficiente". Fine della storia. Lo spread sarebbe tornato a 200 nel giro di pochi giorni e lì sarebbe rimasto fino alle elezioni europee.
Perché Draghi non l'ha fatto? La risposta è semplice. Draghi non è lì su quella poltrona a Francoforte come italiano o finto italiano. Non deve dare giudizi tecnico-economici (che il presidente della BCE debba essere un economista è, in fondo, un incidente di percorso). Draghi compie azioni POLITICHE e presidia un POTERE POLITICO che è quello eminentemente oligofinanziario. Ragiona come un politico che detiene un potere. Ma in questo scontro di potere in atto è, al momento, dalla parte del clan perdente (i poteri oligofinanziari non sono un monolite, anzi, si scontrano spesso - continuamente - al loro interno) o forse sarebbe più corretto dire, deve tenere in equilibrio più piatti sull'asticella come un bravo funambolo.
Per cui, all'Italia va data libertà di manovra ma al tempo stesso la si deve tenere al guinzaglio, un guinzaglio né troppo stretto, né troppo lungo. Hai visto mai, infatti, che al cagnolino Italia cominci a piacere un po' troppo la libertà?
I due articoli sopra esposti, in modi diversi, sottolineano un elemento decisivo del ruolo della BCE e di chi la incarna: la Banca Centrale Europea non funziona secondo astratte regole ispirate da oggettiva razionalità economica, né come una tipica banca centrale. È semmai un organo che piega i rapporti di forza rispetto agli Stati usando criteri di dominio squisitamente politico.
Per interpretare questa situazione mi aiuta un libro che ho appena letto, un saggio del 2000 intitolato Alla ricerca della sovranità monetaria”, scritto dall’economista e attuale ministro Paolo Savona.
Savona evidenzia innanzitutto che «è sovrano chi decide e impone la sua volontà, con la forza, con la legge o con la creazione di uno stato di fatto». Mi viene da ricordare che fu Carl Schmitt a dire che «la sovranità significa capacità di dichiarare uno stato d’eccezione» (Ausnahmezustand). L’organo in grado di emanarlo è l’organo sovrano per eccellenza. Nell’epoca delle crisi finanziarie che possono portare a strangolare governi e Stati da parte di pochi soggetti inflessibili che stabiliscono inesorabilmente cosa sia emergenza, quei soggetti assumono una preponderanza che non si fa scrupolo di ignorare e capovolgere le decisioni che provengano invece da soggetti di emanazione democratica. Tutti ricordano il referendum greco del 2015, che rigettava le condizioni capestro della trojka, e tutti ricordano come Draghi fu spietato nel chiudere i rubinetti alle banche elleniche fino alla totale capitolazione del governo Tsipras.
Savona, già nel 2000, ripercorrendo la storia della moneta nella penisola italiana nei secoli spiegava le varie forme di sovranità. Possiamo vedere la sovranità monetaria in un senso stretto, molto tecnico, ma anche in senso lato, di tipo storico politico. «Con il primo s’intende il potere e la capacità dei governanti di fissare il prezzo (cioè il tasso d’interesse) o, alternativamente, la quantità di moneta. Con il secondo, la capacità degli stati di fare scelte di governo, indipendentemente dall’influenza estera, sia di tipo politico generale, sia di tipo strettamente monetario e finanziario».
Ecco, le scelte di governo tengono conto di una «influenza estera». Savona sottolinea la questione in modo ancora più preciso: «il tema della sovranità monetaria si lega ormai strettamente a quello della foreign dominance(cioè del dominio esterno, ndr), e non a quello della fiscal dominance (cioè del dominio fiscale, ndr)». Anche se un paese dispone di una Banca centrale indipendente dal governo e dai suoi obiettivi di politica fiscale non è detto che riesca a essere pienamente “sovrano” sul piano monetario: sono tanti i fattori che stanno fuori dai confini nazionali e sono in grado di alterare le sue condizioni economiche.
Draghi, nelle sue ultime dichiarazioni, non ha fatto altro che ribadire che la cessione della sovranità economica a quella particolare forma di foreign dominance rappresentata dalla BCE implica un vincolo strettissimo, un condizionamento che va a detrimento di ogni pretesa di politica economica progressiva contenuta in decine di articoli della Costituzione repubblicana. Perciò male fa Marco Travaglio a leggere in queste dichiarazioni del presidente BCE qualche ciambella di salvataggio. Lui che è sempre attento ai precedenti, dovrebbe essersi accorto che quando Draghi tira un salvagente, alla fine si rivela un cappio.
Dunque lo scontro fra Roma e Bruxelles (e Roma e Francoforte) non potrebbe essere più politico di così. Non è un caso che accada ora. Il contratto di governo fra M5S e Lega mette insieme due formazioni assai diverse fra di loro. Eppure, prima del giorno in cui le strade si divideranno di nuovo, un punto di accordo è chiarissimo, come sempre accade in casi di alleanze fra soggetti molto diversi: e questo punto è che le due forze politiche vogliono restituire alla Repubblica italiana i mezzi, i metodi, gli istituti occorrenti a fare autonomamente politica economica, ossia tutti gli strumenti per i quali la Repubblica è stata invece da molti anni esautorata dall’attuale struttura istituzionale europea, che ha favorito un impoverimento sempre più grave dei cittadini e della cosa pubblica, con un progressivo svuotamento della sovranità popolare.
Altre sponde forti sembrano non essercene, fra le forze politiche italiane. Sarà un passaggio difficile che richiederà molti sforzi paragonabili a quello di Paolo Savona, nel momento in cui – con il documento “Una politeia per un’Europa diversa” - delinea un modo nuovo di avere il «perseguimento del bene comune europeo». Un ordine delle cose contro cui Draghi e i suoi amici lotteranno con ogni energia in nome della monetary dominance.
La pressione sismica si trasferisce continuamente fra le placche tettoniche del pianeta. Le energie galattiche e l’evoluzione planetaria che stiamo attraversando provoca un movimento anche a livello sismico, Dutchsinse ci aiuta, con le sue previsioni che, come dice lui stesso, riescono a raggiungere una precisione sopra l’80%.
Aggiornamento 28 Ottobre – PREVISIONE ITALIA – Le forze continuano a generarsi in Oriente, nel pacifico Occidentale, attraversano Indonesia e Asia e arrivano in Turchia Occidentale e Mar Egeo, uno dei punti critici sismicamente in Europa è l’Italia dove subiamo il passaggio della pressione sismica e dove spesso questa viene rilasciata generando anche forti scosse. Dobbiamo essere pronti!
In Europa si è verificata una scossa di M5.5 nella Romania Centrale, originariamente riportato a M6.0. Questa è la forza che avevamo previsto in trasferimento dalla scossa di M6.8 in Grecia.
Dopo le scosse di ieri sulla M3 media nel Nord Africa e a Gibilterra in Europa si sono verificate scosse simili in Francia nella zona della Normandia, in Polonia al confine con la Germania e sui Pirenei.
Ci aspettiamo quindi altre scosse di M5 in particolare in Italia, nel punto di fulcro che si trova in Molise nella zona di Campobasso, questa zona si trova a metà strada lungo il confine delle placche tra i due gruppi di scosse che si sono verificate in Italia nelle ultime ore. La seconda zona possibile è in prossimità delle Alpi Marittime fulcro tra le scosse in Normandia e quelle del centro Italia. La magnitudo sarà probabilmente superiore mentre quella al nord nettamente inferiore.
Anche in Bosnia – Croazia è possibile che si verifichi lungo la costa Adriatica una scossa sulla M5. La tempistica per questo movimenti è una circa 7-10 giorni dalla scossa in Grecia quindi fino alla fine della settimana entrante, se non si verificheranno durante questo periodo è probabile che non si verificheranno affatto.
Nota DNI: Una scossa di M4.8 si è verificata a ovest di Creta pochi minuti fa mentre nella zona delle Isole Ionie continuano incessanti le scosse prossime alla M5. E’ possibile anche che tra Belgio e Olanda si verifichi una scossa sulla M3.
Il partito islamico sfida l’Europa: “Vogliamo imporre la sharia”
“Noi abbiamo tutto il diritto di imporre la sharia qui in Belgio, nel modo che vogliamo”. In un cafè della città cuore pulsante dell’Europa, Abdelhay Bakkali Tahiri – presidente del partito Islam e candidato alle elezioni comunali- racconta a Gli Occhi della Guerra le sue proposte per un “Paese più giusto”. Insieme a lui, c’è anche il vice-presidente del movimento, Talal Magri. Quando entro nel locale si alzano e accennano a venirmi incontro ma, una volta face-à-face, non mi allungano la mano per stringermela. Un non-gesto che mi lascia alquanto interdetta. Ma proseguiamo. Tahiri è candidato sindaco, Magri, invece, si presenterà alle Europee di maggio. “Non abbiamo paura a dire che vogliamo imporre la sharia, perché la sharia è compatibile all’80% con la Costituzione”, spiega il presidente. “E tutto questo non ha nulla a che fare con lo Stato islamico o con il fatto di tagliare teste ecc…Sharia significa unità e solidarietà”, afferma. Tutto e niente, quindi.
Il partito è nato nel 2012 e ad oggi ha tre eletti in diversi Consigli comunali della capitale europea. Nel volantino di presentazione si legge che a spingere alcuni cittadini a riunirsi e a fondare il movimento è stata “l’inumanità” che si respira nel Paese: “La mentalità dei nostri dirigenti deve evolvere affinché accettino che si possa essere belgi e musulmani allo stesso tempo”. Vogliono che il Belgio diventi “il cuore del mondo” e non solo dell’Europa. Un Paese in cui anche i musulmani possono dettare regole. Le loro regole. Come ad esempio il fatto di proporre la segregazione della donne sui mezzi pubblici. “Tantissime donne ogni giorno denunciano molestie all’interno di autobus e metro. Per questo riteniamo che per venire incontro alle donne più fragili ci debba essere questa divisione”.
Le loro proposte ruotano tutte intorno alla parola sharia. “Sharia non è solo l’unità di Dio. È l’unità di tutti. Per questo penso sia assurdo che una città come Bruxelles sia divisa in 19 comuni”, afferma Tahiri. E sempre sul volantino-manifesto si legge: “Perché le feste musulmane sono soggette a delle polemiche? Non potrebbero anche loro attirare turisti e investitori nelle nostre grandi città, proprio come per le feste cristiane?”.
Solo qualche giorno fa, il fondatore del partito, Redouane Ahrouch, ha fatto una previsione: “Bruxelles nel 2030 sarà a maggioranza musulmana”, ha affermato all’agenzia Adnkronos. “Il 33% della popolazione – aggiunge – è di religione islamica. Su 1,2 milioni di abitanti, ci sono circa 400mila musulmani. Nel giro di 12 anni, nel 2030 saremo in tutto 1,3-1,4 milioni e noi saremo la maggioranza”.
Non si sa se questa previsione sia esatta. Ad ogni modo, nonostante il malcontento bipartisan nei confronti del movimento, il loro obiettivo resta chiaro: affermare una nazione islamica a tutti gli effetti nel Paese capitale dell’Unione europea.
PREOCCUPANTE EROSIONE DELLA FEDE CATTOLICA E CALO DI VOCAZIONI NON SOLO IN GERMANIA, MA IN EUROPA
Bisogna “superare la rassegnazione che paralizza” e lasciare che il “raggio della carità divina” filtri attraverso i “vetri oscurati” del nostro cuore. E’ un invito carico di fiducia quello che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi della Conferenza episcopale tedesca, a Roma in occasione della loro visita “Ad Limina Apostolorum”. Nel discorso consegnato, il Pontefice non ha potuto non notare una certa “erosione della fede cattolica” in Germania, con una tiepida partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa e un netto calo di vocazioni.
In Francia e in Germania è ormai prassi da anni. Vengono chiuse o abbattute chiese cattoliche per farne moschee. L'andazzo è preoccupante...
Il caso della chiesa di Bergamo acquistata da un’associazione musulmana per farne una moschea riapre il dibattito sui luoghi di culto per i residenti di fede islamica. Da una parte ci sono resistenze nei confronti di edifici che muterebbero la geografia delle città, dall’altra la mancanza di spazi adeguati costringe le comunità in capannoni e sottoscala, luoghi, per la loro natura semiclandestina, meno trasparenti e più permeabili a influenze estremiste. Un complesso dibattito nel quale era intervenuto lo scorso 1 luglio, in un colloquio con il Corriere della Sera, il segretario della Lega Musulmana Mondiale, Mohammad Al Issa, che, prima di assumere l’incarico due anni fa, era stato giurista del consiglio degli ulema e ministro della Giustizia saudita.
“Al Issa è adesso la voce che il giovane principe Bin Salmanha deciso di fare ascoltare a noi occidentali per convincerci delle sue modernizzazioni e divulgare un messaggio di tolleranza religiosa e lotta al terrorismo (lo scorso settembre ha ripetuto questi concetti nell’incontro con papa Francesco) – spiegava il Corriere – la Lega musulmana, col suo controllo su moschee e centri islamici del mondo sunnita, è vista spesso con sospetto, come guardiana contro il secolarismo, braccio operativo del wahabismo di Riad. Così Al Issa ripete che «molte cose sono mutate» da quando lui è segretario generale”.
“Siamo pronti a mettere molti soldi”
“Shelter, rifugi… e aiuti, quello che volete. Soldi. Siamo pronti a mettere molti soldi, un supporto diretto al governo italiano sull’immigrazione. Ma non siamo riusciti a dirlo al vostro ministro degli Esteri. Capisce?“, dice Al Issa intervistato durante una sua visita a Roma. Dati gli impegni del ministro, gli era stato proposto un incontro con un vice ma “il protocollo della Lega musulmana non mi permette di incontrare un livello più basso in via ufficiale”, spiegò.
“Noi abbiamo una proposta per l’Italia, sull’integrazione; bisogna capire il background di queste persone, abbiamo studi, informazioni. E possiamo lavorare insieme. L’Italia soffre più degli altri Paesi. Noi vogliamo supportare a 360 gradi il vostro governo, abbiamo un’organizzazione mondiale per farlo e soldi da offrirvi. Danaro che esce direttamente dai fondi della Lega musulmana mondiale“, prosegue.
Ma non c’è il rischio di infiltrazione di terroristi, che si abbeverano alle versioni salafita e wahabita dell’Islam?“No. Il salafismo ha un principio: il rispetto per le decisioni dei capi del loro Stato anche se sono in disaccordo. L’ho detto anche a Bruxelles: i musulmani devono obbedire alle leggi dello Stato dove vivono, ricordando che quello Stato ha aperto loro le braccia”. Ma Osama Bin Laden, Al Zawahiri, gli shabaab somali e Boko Haram sono wahabiti, gli si fa notare. “Osama non era wahabita”, è la replica, “se fosse stato wahabita sarebbe andato contro i nostri studiosi. Lo stesso vale per Al Baghdadi: un wahabita non può trasgredire le leggi”.
In Italia ci sono solo sei moschee regolari e moltissime irregolari. “Bisognerebbe costruirne di più, sì, con sermoni in arabo e italiano”, risponde Al Issa che, interpellato sulla diffidenza del nuovo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, afferma: “questo può spingere al radicalismo, creare un gap nell’armonia nazionale. Noi vogliamo la piena integrazione dei musulmani in Italia. Vogliamo che i bambini musulmani vadano alla vostra scuola pubblica, se uno vuole formarsi una cultura religiosa può farlo poi privatamente. Siamo contro l’isolamento delle nostre comunità. Voi non dovete rischiare di trasformarvi in una società chiusa e senza diversità“. Curioso pulpito, chiosa l’intervistatore. AGI
Un blitz antidroga, compiuto due giorni fa dai carabinieri di Venezia in una scuola media superiore di Portogruaro, si è concluso con una scoperta singolare. Accompagnati da un cane antidroga, i militari sono entrati nel liceo per uno dei due controlli settimanali organizzati dalla prefettura con l’operazione “Scuole sicure”.
Come riportato da affaritaliani.it, i carabinieri sono entrati in tutte le classi, e il cane ha cominciato ad annusare. L’operazione ha individuato un giovane come detentore di droga a fini di spaccio, mentre altri due avevano addosso piccoli quantitativi di hashish e di marijuana. Ai tre studenti sono state controllate anche le rispettive abitazioni, e grazie al rinvenimento di altre sostanze stupefacenti sono stati tutti segnalati alla prefettura.
Ma il colpo di teatro è venuto alla fine del controllo, quando il cane ha “puntato” insistentemente anche una docente. I carabinieri l’hanno interrogata, e la donna alla fine ha ammesso di fare uso di hashish.
L’insegnante non ne aveva con sé, a scuola, ma il cane ne aveva evidentemente percepito l’odore sugli abiti. Anche per la professoressa è scattata la perquisizione domiciliare, che ha portato alla scoperta di meno di un grammo di hashish. Anche lei è stata segnalata alla prefettura di Venezia, come “assuntore di sostanze stupefacenti”.