mercoledì 10 ottobre 2018

Il Reichstag è pronto a bruciare di nuovo

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DI DMITRY ORLOV

cluborlov.blogspot.com
Esattamente tre anni fa ho pubblicato un articolo inviato da Alex S. dalla Germania, riprodotto nella sua interezza, assieme a diverse traduzioni. Si è rivelato straordinariamente preveggente; negli ultimi tre anni, gli eventi in Germania si sono svolti proprio come aveva scritto. Il sistema politico tedesco si sta disgregando. In risposta, Merkel e coloro che stanno dietro di lei sembrano voler riattivare la sceneggiatura seguìta dai nazionalsocialisti dopo l’evento del 23 febbraio 1933: un incendio al Reichstag usato come scusa per una repressione politica dell’opposizione. Allo stesso modo, sùbito dopo le manifestazioni di Chemnitz, la stampa tedesca si è affrettata ad etichettare i manifestanti come fascisti ed estremisti.
Sia mai che possano essere rappresentativi di un numero abbastanza grande di tedeschi che ora hanno pienamente compreso dove Merkel, con la sua decisione di far entrare un milione e mezzo di migranti musulmani, sta portando il proprio paese: all’Inferno. La loro opinione non è un segreto: recentemente, l’AfD (Alternative for Germany) ha raccolto il 17-18% alle urne, diventando la seconda forza politica più popolare nel paese. Ha raggiunto questo successo elettorale senza far nulla e nonostante abbia contro una stampa implacabilmente ostile. Nel panico, la coalizione di governo, che detiene il monopolio del potere da 14 anni e che ora corre il rischio di essere detronizzata dall’AfD (che è stato formato solo nel 2013, come partito euroscettico ed un’idea di professori di economia) ha lanciato l’allarme: c’è una cospirazione in atto per rovesciare la democrazia tedesca! Una manciata di “cospiratori” è stata arrestata e falsamente accusata di pogrom contro i rifugiati siriani, e funzionari che hanno osato mettere in dubbio la storia sono stati licenziati. Non vogliono estradare gli imam radicali del Nord Reno-Westfalia, con le loro scatole di AK-47, ma qui ci hanno visto un’intera cospirazione rivoluzionaria!
È davvero singolare quanto orrenda sia diventata la qualità della leadership in tutte le principali nazioni occidentali. Che si tratti di Theresa May, con la sua Brexit non Brexit, le sue mosse di danza robotica e il suo “molto probabile” stratagemma di Novichok, o che si tratti di Macron e Trump… Aggiungete alla lista la Merkel, decisa a servire il proprio quarto mandato, anche se questo comportasse incendiare il paese. Nel caso degli Stati Uniti, la cosa fa parte di una tendenza a lungo termine: ci sono stati due mandati di un donnaiolo che ha poi cercato di spingere alla presidenza la moglie, in stile Eva Peron; poi due mandati di un imbecille figlio di papà; poi due di un impostore che ha abilmente usato il colore della propria pelle. Tutto ciò ha reso quasi inevitabile il patetico epilogo che è Trump. La Germania aveva però una reputazione di luogo ben gestito, con poca criminalità, con un’alta efficacia e risultati. Bene, non più!
Quel che sta accadendo ora in Germania è piuttosto disgustoso, ma non avete visto ancora nulla! L’ondata di repressione politica farà il proprio corso. Poi però, se si verificherà una vittoria schiacciante dell’AfD, i detronizzati correranno a leccare gli stivali della dirigenza del partito vincitore, chiedendo loro di servirli, fingendo di aver avuto un’improvvisa conversione sulla strada per Damasco e di esser felici di essere finalmente dalla parte giusta della storia.
Tre anni fa, quando Alex mi ha inviato questo articolo, la mia reazione è stata: “Caspita, hai ragione!”. E così l’ho tradotto in un mucchio di lingue e l’ho diffuso il più ampiamente possibile, per avvertire la gente che stavolta stava arrivando. Ed ora sto pubblicando di nuovo questo articolo, per avvertire la gente che stavolta è arrivato.
An Exit Strategy for Traitors

[Ein Fluchtplan für Verräter] [Une strategie de sortie pour les traîtres] [Предательская стратегия ухода] [Una strategia di uscita per traditori] [La Germania, il paese al centro dell’Unione Europea e sua principale potenza economica, è una specie di buco nero. 70 anni dopo la caduta del nazismo, è ancora un paese occupato, sotto il dominio militare e politico degli Stati Uniti. La stampa nazionale, popolarmente chiamata Lügenpresse (stampa menzognera) riecheggia fedelmente le linee di Washington. I politici tedeschi senza spina dorsale, ribattezzati popolarmente da Volksvertreter (rappresentanti del popolo) a Volksverräter (traditori della gente) non sono migliori. E così non siamo in grado di vedere cosa sta realmente accadendo, come l’Unione Europea stia, nelle parole del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, “commettendo un suicidio” lasciando entrare orde di invasori dal Medio Oriente. E quindi questo breve report di Alex, che ci dice quel che vede, è il benvenuto].

Quand’è stata l’ultima volta che avete visto un uomo con occhi spalancati, strani vestiti ed un enorme cartello al collo che diceva “La Fine È Vicina”? “Che ridicolo!”, avreste potuto pensare. Ora, immaginate che la realtà del vostro paese cambi nel giro di qualche settimana fino al punto in cui arriverete alla sua stessa conclusione.
È esattamente quel che sta accadendo a me, così come alla maggior parte delle persone che conosco, proprio ora, proprio qui nella nostra Germania, campionessa dell’esportazione e democrazia modello. La gente sana si trova isolata ed impotente, in mezzo a politici pazzi, stampa antagonista, comunità paralizzate ed una grande popolazione inerte incapace persino di capire cosa sta succedendo. Sto ovviamente parlando della cosiddetta “crisi dei rifugiati”. Dato che però anche questo nome sta funzionando contro di noi, la chiamerò per quel che è veramente: una guerra contro l’Europa per mezzo dell’invasione. Ora è di vitale importanza chiamare le cose col proprio giusto nome.
È ancor più importante capire che questa è una guerra, piuttosto che una crisi causata dai rifugiati. Tutto porta i segni distintivi di un’operazione militare/di intelligence.
Prima di tutto, analizzate i tempi e la portata. La cosa è decollata davvero a settembre, ed in meno di due mesi sta già minacciando la stabilità dell’Europa intera, fino al punto in cui persino i “leader” europei parlano della fine dell’Unione. Numeri credibili non sono disponibili, ma il governo tedesco stima il numero di “rifugiati” tra uno e due milioni; il numero reale è quindi probabilmente molto più grande. In quasi tutti i campi sono stipate molte più persone di quanto si affermi. Alcune città sono costrette ad affrontare più “rifugiati” di quanti abbiano cittadini, alcuni il doppio. Le stime per il prossimo anno ammontano a qualcosa tra due e cinque milioni di “rifugiati” in più.
Chiedetevi, perché milioni di uomini (la stragrande maggioranza giovani) improvvisamente e collettivamente decidono di lasciare le proprie famiglie alle spalle, lasciare il proprio paese, viaggiare per migliaia di chilometri e dirigersi verso Austria, Germania, o Svezia, ignorando tutti gli altri paesi sicuri sulla strada? Chi ha detto loro che ne sarebbe valsa la pena? Dove hanno preso tutti i soldi per pagare il viaggio? Perché non c’è stato assolutamente nessuno sforzo in nessun confine per fermarli? Perché il fenomeno non è iniziato prima? Dopotutto, il Medio Oriente è zona di guerra da anni, da quando gli USA hanno sfruttato l’11 settembre per iniziare a “diffondere la democrazia”. Com’è potuto accadere in pochi giorni, al massimo settimane? Le prime centinaia di migliaia hanno inviato un messaggio al resto che era giusto che anche loro venissero? Se è cosi, come?
In secondo luogo, guardate al “rifugiato” medio. Perché, tutti giovani ben nutriti, ben vestiti e sicuri di sé, non mostrano segni di stress o di privazioni? Perché lasciano le famiglie? Sanno che mogli e figli li seguiranno poi? Se è cosi, come? Perché questi uomini non vogliono restare nei propri paesi e cercare di salvarli? Perché tutti possiedono gli ultimi modelli di cellulari, carichi di minuti apparentemente illimitati? È chiaro che i “rifugiati” sono stati informati su quali tipi di benefici sociali possono richiedere e su come procedere; sono quindi spavaldi e diventano violenti se incontrano resistenza. Esigono persino costosi trattamenti medici, che sono scontati e dati per scontati. Perché? Non ci sono controlli per nessuna di queste persone, naturalmente, perché non c’è tempo per fare più di diecimila controlli al giorno. Per quel che ne sappiamo, queste persone potrebbero essere criminali, mercenari e terroristi. Un numero sconosciuto ha gravi malattie, come epatite, tubercolosi e persino la peste. Nessuno ne tiene traccia, nessuno li ha registrati, nessuno limita la loro libertà di movimento. Quelli che si registrano lo fanno per lo più con falsi passaporti siriani, che la Turchia distribuisce come caramelle, anche ai neri africani che non somigliano per niente ai siriani. Decine di migliaia di “rifugiati” sono “scomparsi” dai propri campi, alcuni addirittura hanno fermato i treni speciali a metà strada verso le loro destinazioni, tirando il freno di emergenza e scappando nel deserto. Dove e perché – nessuno lo sa. Nessuno fa domande, ma ciò che è chiaro è che abbiamo completamente perso il controllo del territorio europeo.
In terzo luogo, c’è una piccola questione di collaborazione e tradimento. Anche se fosse una vera crisi dei rifugiati, perché nessuna delle politiche del governo tedesco/europeo ha senso? E perché la stampa agisce continuamente ed in modo uniforme a favore di queste politiche ed è apertamente ostile nei confronti della popolazione europea? Se milioni di persone devono fuggire dal pericolo, ci sono molti modi diversi per prendersi cura di loro senza mettere a repentaglio l’integrità dell’Europa e rovinare diversi bilanci nazionali. Invece però di discutere su cosa fare, come farlo e come pagarlo, il piano sembrava essere predeterminato, deciso molto tempo fa.
La “soluzione” politica è di impregnare ogni città in Austria, Germania e Svezia di persone di origine ed intenzioni sconosciute. Fiancheggiata da una stampa che ben accoglie il processo, sottovaluta il loro numero e sopprime i rapporti sui crimini commessi dai “rifugiati”, danneggiando e demonizzando ogni forma di opposizione. Censura, propaganda, incitamento all’odio, diffamazione ed aperto rifiuto dei diritti democratici di base contro ogni opposizione, stanno semplicemente esplodendo. Un primo esempio di ciò è il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, che ha chiamato “pack” (carogna) una parte indefinita ma grande della popolazione tedesca che osa opporsi a questa pazzia.
Tutti coloro che prendono posizione in Germania, opponendosi a qualsiasi politica relativa ai rifugiati da parte del governo, sono soggetti ad insulti ed etichettati come estremisti di destra, criminali odiosi e pericolosi per la società. Alcuni vengono individuati e perseguitati in pubblico usando ampie campagne di diffamazione. Lo scrittore Akif Pirinçci è diventato l’ultima vittima, dopo aver tenuto un discorso alla dimostrazione di PEGIDA, l’accusa contro di lui basata su una spudorata falsa dichiarazione dei fatti.
Anche la più pacifica protesta è immediatamente minacciata di divieto. Ogni discorso o pubblicazione che menziona tradimento od accuse simili è immediatamente soggetto ad indagini, con l’accusa di demagogia o minaccia di violenza. Gli esempi attuali possono essere trovati ogni giorno nei principali giornali mainstream, come Der Spiegel, Die Welt, Bild e simili. Se questa situazione fosse avvenuta per caso, un tale consenso spontaneo sarebbe stato estremamente improbabile. Ma fin dal primo giorno questa è stata un’evidente campagna di propaganda/diffamazione contro la verità e contro gli interessi della popolazione europea.
La stampa tedesca si è persino guadagnata un nuovo nome, “lügenpresse”, parola che può essere ascoltata ad ogni angolo. In privato, i politici vengono continuamente chiamati traditori.
La compagnia ferroviaria nazionale ha l’ordine di offrire treni speciali gratuiti per i “rifugiati”, portandoli in ogni angolo del paese nel modo più veloce possibile, ritardando nel contempo i treni regolari.

Le case e gli appartamenti liberi sono confiscati con la forza e consegnati gratuitamente ai “rifugiati”. Ogni “rifugiato” a cui viene dato affitto è pagato dalle comunità, fino a 500 euro a persona al mese. Questa è una grande opportunità per gente senza scrupolo di far soldi velocemente, rendendo senzatetto malati ed anziani tedeschi.

Alla polizia ed alla stampa è stato ordinato di sopprimere le segnalazioni di qualsiasi crimine commesso dai “rifugiati”, quindi non ne troverà alcuno né sulla stampa né nei rapporti di polizia. Se però chiedete in giro, sentirete molte storie di assalti e stupri sfrenati in ogni città della Germania. Alcuni campi “rifugiati” sono stati bruciati, la maggior parte dei quali però dai loro stessi abitanti, per lo più per protesta o per piccoli disaccordi. Le sirene della polizia si sentono in ogni città ogni ora.
Quando i “rifugiati” hanno iniziato prima a taccheggiare, e poi a saccheggiare, supermercati, il governo ha detto ai negozianti di non farlo sapere, ed ha pagato per tutto ciò che da allora è stato danneggiato o rubato. Le uniche eccezioni sono alcol e sigarette: tutti gli altri prodotti al dettaglio sono gratuiti, senza fare domande.
Il settore delle piccole imprese ha dichiarato che i “rifugiati” non sono impiegabili, a causa di zero qualifiche e mancanza di volontà di lavorare e di competenze linguistiche. Gli esperti della stampa tuttavia vedono in loro in qualche modo una “grande opportunità” per far crescere l’economia. Non c’è una discussione critica e nessun piano per il futuro. L’unico consiglio che il cancelliere Merkel ha dato alla Germania è stato “Wir schaffen das” (lo faremo), non elaborando esattamente né cosa né come. Chiunque abbia però un cervello può facilmente indovinare.
Per farla breve, ogni buon senso politico ed istinto umano proibirebbero un comportamento così imprudente, potenzialmente irreversibile, per non dire illegale. Il risultato finale è chiaramente visibile: o rovina dell’Europa, soprattutto dei paesi presi di mira dai “rifugiati”, che sono Austria. Germania e Svezia, o guerra. Dal momento che non credo che né coincidenze né una stupidità di questa portata siano possibili, questo è alto tradimento. Almeno due accuse sono state presentate contro l’attuale governo, uno per reati di immigrazione organizzata e, recentemente, per alto tradimento. Circa 400 persone sono diventate parte di questa azione. È improbabile che abbiano successo, perché la magistratura è complice. Se però non è evidentemente alto tradimento ora, lo diventerà entro poche settimane, richiesto da tutti, perché non c’è fine in vista.
Il resto della società organizzata è altrettanto sovversiva. La stampa si è apertamente dichiarata nemica della democrazia e del popolo, e nella migliore delle ipotesi una collaboratrice. La Chiesa, ancorché immediatamente minacciata dall’Islam violento, prega per più immigrati. L’intellighenzia tace o applaude il nostro altruismo. Il tradimento è completo. L’esercito e la polizia sono completamente sopraffatti. Il primo è stato ridotto di dimensioni molto tempo fa, fino all’estrema inefficacia, è comunque è stao fiaccato da missioni internazionali. La seconda non è semplicemente in grado di gestire milioni di potenziali nemici fomentati in tutta Europa, in attesa dell’ordine di attacco.
Per gli osservatori stranieri, tutto ciò potrebbe sembrare inverosimile ed esagerato. Considerate però questo: in alcune zone della Germania, quando chiami la polizia ora, nessuno risponde al telefono. Se rispondono, non sono in grado di fare alcunché. Un mio amico ha chiamato la linea di assistenza della polizia (non il normale numero di emergenza locale) e gli hanno consigliato di formare una specie di milizia per risolvere il problema. Una città di 600 persone ha al massimo una dozzina di poliziotti, ma spesso circa un migliaio di “rifugiati” da gestire. Nessuno verrà in loro aiuto se questi “rifugiati” decidono di prendere ciò che sembrano credere sia già loro – perché qualcuno glielo ha detto, immagino. Siamo alla deriva, in un mare di nemici.
Mi trovo in un incubo incapace di svegliarmi. Molte persone si sentono impotenti e riluttanti ad accettare la triste verità: siamo stati traditi da tutti coloro (tranne forse la polizia e l’esercito) di cui ci fidavamo per la nostra sicurezza e le nostre speranze per il futuro. Anche se la fine dell’economia globale nella sua forma attuale era una certezza, questo tipo di tradimento mi ha colto di sorpresa. Di una ventina di persone con cui ne ho parlato in confidenza, tutti sono assolutamente convinti che si andrà verso la guerra civile, ed in fretta! L’unica domanda che rimane è se ad avviarla saranno i tedeschi, i “rifugiati” o qualche altra fazione. Basta un attacco terroristico per scatenare il caos puro. Ho sentito da diverse persone collegate ai circoli europei della sicurezza che il mercato illegale delle armi è completamente esaurito, con molti spacciatori che si aggrappano alle proprie armi per uso personale. È una voce, ma tendo a crederci.
C’è un piccolo movimento di protesta che sta facendo notizia in Germania e persino a livello internazionale. Il movimento PEGIDA si riunisce ogni lunedì a Dresda, oramai da un anno, per protestare contro la politica europea sull’immigrazione. Ha avuto molto sostegno da quando una cattiva politica di immigrazione ha dato origine a questa posticcia “Völkerwanderung” (migrazione di massa). Il 19 ottobre – al raduno annuale – circa 35-40 mila persone sono venute per protestare pacificamente, solo per essere attaccate da diverse migliaia di violenti “manifestanti” del movimento Antifa. Un gruppo presumibilmente antifascista, così violento e fascista nel proprio comportamento, sarebbe un eccellente materiale di reclutamento per i veri fascisti delle SA o del NSDAP. Uno dei seguaci di PEGIDA è stato picchiato e gravemente ferito con un’asta di metallo ancor prima dell’inizio del raduno. Diverse centinaia di poliziotti hanno dovuto combattere per le proprie vite per ore. Gli Antifa, noti a molti come il secondo esecutivo del governo, non sono altro che un’efficace forza mobile per sedare la resistenza; esattamente come le SA, solo senza le belle uniformi. Ovunque vengano annunciate delle dimostrazioni, i membri di Antifa si recano lì per esprimere la propria opinione con “duri” argomenti.
Non sorprende che in questo momento PEGIDA sia un obiettivo primario di diffamazione ed odio. Per quanto piccolo, l’establishment sembra considerarlo un vero pericolo, dal momento che il loro ordine alla stampa di reprimerlo completamente durante l’ultimo anno non l’ha soffocato. Per quanto però possano essere importanti localmente, il risultato sembra irreversibile. L’invasione è già riuscita. Ogni giorno che passa i numeri diventano sempre più contro di noi. Il miglior risultato oramai è una guerra civile in pochi mesi, per cercare di invertire questa progessione. Il peggior risultato è una completa disintegrazione delle nazioni europee nei prossimi anni, con vaste aree del continente rese ingovernabili. Il divorzio tra il governo ed il popolo è quasi completo. Nessuna persona sana di mente crede alla stampa od ai politici. Mai prima d’ora mi è stato più chiaro che questa società è completamente infranta, con ogni elemento chiave che agisce contro interessi sia individuali che collettivi, apparentemente seguendo ordini altrui.
Ancora una volta, l’obbedienza incondizionata ha conquistato la società tedesca; questa volta però senza il consenso delle masse, perché stavolta la soluzione finale riguarda loro. Il caos che seguirà non sarà affatto un incidente: è progettato e ordinato.
Ancora una volta, un’altra generazione dovrà rispondere alla domanda dei propri nipoti: come avete potuto permettere che accadesse questo?
Dmitry Orlov

I britannici si sentono “minacciati” dalla Russia nel Mar Artico

Soldati NATO sull'Artico



La Gran Bretagna, che a differenza della Russia non è un paese affacciato sull’Artico, dichiara che Mosca la sta minacciando nell’Artico.

l 30 settembre il ministro degli esteri del Regno Unito, Jeremy Hunt, aveva pronunciato una tirata sorprendente , dichiarando “L’UE è stata istituita per proteggere la libertà. Era l’Unione Sovietica che impediva alle persone di andarsene.

La lezione dalla storia è chiara: se trasformi il club dell’UE in una prigione, il desiderio di uscire non diminuirà, crescerà – e non saremo l’unico prigioniero che vorrà fuggire. “Il suo raffronto della Unione Europea con i gulag degli anni passati ha avuto effetto con molte persone in Gran Bretagna, ma è stato considerato del tutto inappropriato dall’UE, la cui osservazione educata del portavoce è stata “Direi rispettosamente che tutti noi beneficeremmo – e in particolare i ministri degli affari esteri – da aprire un libro di storia una volta ogni tanto. ”

La follia non si è fermata qui. Non contento di insultare i 27 paesi dell’UE, il governo di Londra ha deciso di aumentare il fervore ancora più patriottico, tentando ancora una volta di rappresentare la Russia come una minaccia per il Regno Unito.

Nel giugno del 2018 il giornale britannico Sun ha pubblicato il titolo “La Gran Bretagna invierà aerei da caccia RAF Typhoon in Islanda per contrastare l’aggressione russa” e da allora il signor Williamson non ha modificato la sua affermazione che “il Cremlino continua a sfidarci in ogni settore. “(Williamson è l’uomo che ha dichiarato nel marzo 2018 che” Francamente la Russia dovrebbe andare via – dovrebbe tacere “, che è stata una delle espressioni più giovanili degli ultimi anni).

Il 29 settembre è stato riferito che Williamson era preoccupato per “una crescente aggressione russa” nel nostro cortile di casa “, e che il governo stava elaborando una” strategia di difesa dell’Artico “con 800 commando schierati in una nuova base in Norvegia. In un’intervista “Williamson ha evidenziato la riapertura della Russia delle basi dell’era sovietica nell’Artico e il” tempo maggiore “dell’attività dei sottomarini russi come prova che la Gran Bretagna aveva bisogno di” dimostrare che siamo lì nell’Artico “ed anche per ” proteggere i nostri interessi ”

Il signor Williamson non ha chiarito quali “interessi” dovrebbe avere il Regno Unito nella regione artica, dove non ha alcun territorio.Soldati NATO sull’Artico

Gli otto paesi che dispongono di territorio a nord del circolo polare artico sono Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Tutti hanno interessi legittimi nella regione che è il doppio della superficie di Stati Uniti e Canada messi insieme. Al contrario la Gran Bretagna non ha territorio e neppure una sola rivendicazione d apoter sollevare per l’Artico.

Tanto meno una tenue rivendicazione come l’Islanda, che si basa sul fatto che, sebbene la sua terraferma non si trovi all’interno del Circolo Polare Artico, il Cerchio Polare attraversa l’isola di Grimsey, a circa 25 chilometri a nord della costa settentrionale dell’Islanda. Le isole Shetland della Gran Bretagna, la sua terra più settentrionale, sono 713 km (443 miglia) a sud del Circolo Polare Artico.

Quindi, perché il Regno Unito dichiara di avere “interessi” nell’Artico e che la regione dell’Artico si trova “nel nostro cortile”? Come può sentirsi minacciato dalla Russia nell’Artico? Questo rimane un vero mistero.

L’ Arctic Institute ha osservato, nel febbraio 2018, che i “nuovi documenti di strategia artica” della Russia si concentrano sulla prevenzione del contrabbando, del terrorismo e dell’immigrazione clandestina piuttosto che bilanciare il potere militare con la NATO. Queste priorità suggeriscono che gli obiettivi di sicurezza della Russia nell’Artico hanno a che fare con la salvaguardia dell’Artico come base di risorse strategiche … In generale, i documenti approvati dal governo sembrano essere passati da un tono deciso che evidenzia la rivalità della Russia con la NATO a un livello di inferiore tono abrasivo basato sulla sicurezza dello sviluppo economico “.

E lo sviluppo economico è tutto qui. Il 28 settembre ” è stato riferito che ” una nave da carico con bandiera danese ha attraversato con successo l’Artico russo in un viaggio di prova dimostrando che lo scioglimento dei ghiacci potrebbe potenzialmente aprire una nuova rotta commerciale dall’Europa all’Asia orientale. “Ovviamente è nel migliore dei modi interessi economici dell’Unione europea e della Russia che la rotta sia sviluppata per il transito commerciale. Per fare questo è necessario evitare conflitti nella regione.

Allora, quale sarà il problema del ministro della Difesa Williamson?

In agosto il Comitato parlamentare per la difesa del Regno Unito ha pubblicato “On Thin Ice”: La Difesa del Regno Unito nell’Artico dove ha concluso che “Non c’è dubbio che l’Artico e l’Alto Nord vedono un livello crescente di attività militare. C’è molta più divergenza nelle prove che abbiamo assunto su quali siano le ragioni alla base di questo, in particolare in relazione alla Russia. Un punto di vista è che non vi è alcun intento offensivo dietro l’accumulo militare della Russia e che sta semplicemente cercando di rigenerare la capacità militare al fine di riaffermare la sovranità. L’opposto punto di vista è che questa è solo uno degli aspetti della riaffermazione aggressiva della Russia nell’ambito di una grande competizione di potere “.

Il governo danese ha dichiarato alla commissione che “al momento, la Danimarca non vede la necessità di un maggiore impegno militare o un ruolo operativo rafforzato per la NATO nell’Artico”, e l’ambasciatore svedese ha affermato che “l’Artico svedese è una parte limitata del territorio svedese. Siamo più una nazione del Mar Baltico che una nazione artica … Ovviamente, l’intera area intorno all’Artico, in particolare la penisola di Kola, è di importanza strategica per la Russia e loro, i russi, hanno una presenza militare seria laggiù. Vediamo tutto questo. Sarà questa la ragione per chiamarla militarizzazione dell’Artico? ”

A gennaio la Reuters ha riferito che la Cina aveva notificato la sua strategia artica, “impegnandosi a lavorare più a stretto contatto con Mosca in particolare per creare una controparte marittima artica – una” Polar Silk Road “- verso la sua” unica via “. . Sia il Cremlino che Pechino hanno ripetutamente affermato che le loro ambizioni sono principalmente commerciali e ambientali, non militari. “Non potrebbe essere più chiaro che Russia e Cina vogliono che l’Artico sia una rotta commerciale mercantile redditizia, mentre la Russia vuole continuare le esplorazioni per il petrolio , gas e giacimenti minerari, che sono importanti per la sua economia.

Sviluppare l’Artico richiede pace e stabilità. Sarebbe impossibile cogliere i benefici della nuova rotta marittima e potenzialmente di enormi risorse energetiche e minerali se dovesse verificarsi un conflitto nel Nord. È ovviamente nel miglior interesse della Russia e della Cina che ci sia tranquillità piuttosto che confronto militare.

Ma il Ministro della Difesa britannico insiste sul fatto che ci deve essere un accumulo militare da parte del Regno Unito nell’Artico “Se vogliamo proteggere i nostri interessi in quello che è effettivamente il nostro cortile”, insiste l’ineffabile ministro. La sua tesi è sostenuta dalla Commissione Difesa del Parlamento che afferma che ” La rinnovata attenzione della NATO sul Nord Atlantico è benvenuta e il governo si deve congratulare con la leadership che il Regno Unito ha dimostrato su questo tema “.

La NATO è sempre alla ricerca di scuse per indulgere in azioni militari (come il suo blitz di nove mesi che ha distrutto la Libia ), e ha annunciato che condurrà l’Esercitazione “Trident Juncture” focalizzata sull’Artico a novembre, che Naval Today ha notato sarà “uno dei il più grande di sempre con 40.000 persone, circa 120 aerei e ben 70 navi convergenti dalla Norvegia. ”

L’alleanza militare della NATO si sta preparando per la guerra nell’Artico e cerca deliberatamente di affrontare la Russia conducendo manovre sempre più vicine ai suoi confini. Meglio stare molto attenti, dicono a Mosca.

PRODI: «LE REGOLE UE VANNO RISPETTATE ANCHE QUANDO NON SONO INTELLIGENTI»

E' UN GENIO...





«Rules are rules: le regole sono le regole». Parlando davanti a migliaia di avvocati riuniti a Roma da tutto il mondo per la conferenza internazionale Iba 2018 (International bar association), Romano Prodi non ha dubbi: «Le regole di bilancio europee vanno rispettate anche quando non sono intelligenti». Così l’ex primo ministro italiano e presidente della Commissione europea in risposta a chi dalla platea gli chiedeva un commento sulla decisione del governo italiano di portare al 2,4 % il deficit 2019. «Alcune clausole dei trattati europei possono anche essere sbagliate perché basate su meri principi aritmetici – ha chiarito – ma se un Paese le ha sottoscritte le deve rispettare». Il discorso di Prodi – scrive ilsole24ore.com – ha aperto a Roma la 71esima Conferenza internazionale degli avvocati dell’Iba, la federazione mondiale delle varie associazioni nazionali dei legali. Prodi ha tratteggiato un’ Europa estramente indebolita «dalla Brexit e dai nazionalismi dominanti», ma ha anche ricordato alcune recenti iniziative forti dell’Unione europea , «come quelle sul copyright». In vista dellee lezioni europee il professore ha posto l’accento sulla necessità che l’Europa ritrovi la propria coesione «per occuparsi di politica e non delle gabbie dei polli».


via ImolaOggi

Deficit pubblico: ‘L’Europa ha ben poche possibilità di mettere l’Italia in ginocchio’


Mentre il governo italiano ha annunciato che il deficit pubblico sarebbe pari al 2,4% del PIL anziché l’1,6 richiesto dall’Europa, Steve Ohana analizza i rischi che corrono sia l’Unione europea sia l'Italia.
 
di Steve Ohana*.
*professore di finanza presso ESCP Europe.
 
Venerdì scorso è stato un giorno di verità per l’Italia e l’Europa. Mentre per diverse settimane, investitori e commentatori sembravano rassicurati in merito alla situazione italiana e accoglievano con favore la presenza nel governo dell’economista Giovanni Tria come guardiano delle finanze italiane, i due leader della maggioranza, il leader della Lega Matteo Salvini e quello del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio hanno annunciato che il deficit pubblico per il 2019 non sarebbe stato pari all’1,6% del PIL, come previsto dai mercati, ma attorno al 2,4%.
Non c’è voluto di più per far preoccupare i mercati: i tassi italiani a 10 anni sono aumentati dello 0,25% nella giornata di venerdì, raggiungendo il 3,15%. Il mercato azionario italiano ha ceduto quasi il 4%, appesantito dalle banche italiane, tra cui il gigante Unicredit che ha perso quasi il 7% e la Banca Popolare di Milano oltre il 9%. L’intero settore bancario europeo era in rosso, con perdite tra il 3 e il 4% per tutte le mega-banche francesi e tedesche.
Quali sono le intenzioni del governo italiano in questo nuovo gioco di poker che è ha appena iniziato con le istituzioni europee?
La marea “giallo-verde” del marzo 2018 è nata dalla crisi di sfiducia del pubblico italiano nei confronti delle istituzioni europee. L’Italia, con una crescita zero del PIL pro capite dall’avvio dell’euro e una disoccupazione che rimane ostinatamente superiore alla media europea, si percepisce giustamente come la principale sconfitta dell’euro. E questo, nonostante tutti i suoi sforzi per conformarsi all’ortodossia economica e fiscale europea (torneremo su questo). La mancanza di solidarietà dei paesi europei nei confronti di paesi che, come l’Italia e la Grecia, sono stati in prima linea nell’accogliere i migranti dal 2015, ha inoltre alimentato fortemente questa ondata euroscettica.
È in questo contesto che Salvini e Di Maio hanno cercato dal maggio 2018 di iniziare un tiro alla fune con l’UE sulle questioni migratorie, economiche e di bilancio. Mostrando spettacolari gesti di disobbedienza alle regole della governance europea, i due leader italiani stanno minando progressivamente la credibilità delle istituzioni che fanno la guardia a queste regole. Istituzioni internazionali come l’FMI e la Commissione europea sostengono un deficit pubblico dello 0,8% del PIL per ridurre lo stock di debito pubblico italiano dal 132% di oggi al 110% nel 2025? La coalizione annuncia il triplo di questo deficit per il 2019. I precedenti governi hanno deindiccizzato le pensioni sull’inflazione e hanno prolungato l’età legale della pensione per accontentare Bruxelles? Questa riforma sarà rivista. Il Jobs Act del leader democratico Matteo Renzi mirava a rispettare la doxa europea sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro? La maggioranza annuncia la sua intenzione di tornare sulle possibilità di rinnovare i contratti a tempo determinato e le facilitazioni di licenziamento offerte alle società. E così via con tutte le regole della governance europea, dal patto fiscale alla privatizzazione delle autostrade, passando per le regole di accoglienza dei migranti.
Questa strategia di sfiducia frontale ai trattati europei lascia solo cattive soluzioni ai leader europei. Se chiudono un occhio sulle trasgressioni italiane, tolgono la poca credibilità che rimane alle regole comuni. Se entrano in conflitto, anche verbalmente, con il governo italiano, permettono a Di Maio e Salvini di rappresentare i garanti della sovranità popolare contro l’establishment. Inoltre, Emmanuel Macron o Bruno Le Maire hanno davvero il diritto di impartire una lezione all’ Italia, loro che hanno appena annunciato un deficit del 2,8% del PIL per il 2019 (con del resto, a differenza dell’Italia , un saldo primario ancora in deficit)? Come potrebbe la Commissione europea far la predica all’Italia senza dire nulla per la Francia?
La strategia di Salvini e Di Maio non è quindi destinata a causare a breve termine una “grande notte”, per non dire un’uscita dall’UE o dalla zona euro, azione per la quale attualmente non dispongono di una maggioranza di consenso. Per il momento, l’obiettivo del capo della Lega sembra quello di polarizzare l’opinione pubblica italiana ed europea per le elezioni europee del maggio 2019, dove spera di portare al Parlamento europeo la maggioranza dei membri che condividono la sua linea su sovranità e anti-immigrazione . È in questo senso che ha lanciato con Steve Bannon una coalizione di partiti politici simili alla Lega, che i suoi due fondatori chiamerebbero “Il movimento”.
È improbabile che le istituzioni europee siano in grado di battere questa guerriglia mettendo in ginocchio il governo italiano, come hanno fatto con il leader greco Alexis Tsipras nel 2015.
Certo, l’UE può contare sui mercati e sul famoso “spread” – il divario tra i tassi di indebitamento tedesco e italiano – per “disciplinare” la coalizione sovranista. Questa pressione del mercato è diventata ancora più importante in quanto la BCE ha annunciato la fine del suo programma di acquisto dei titoli di Stato sul mercato (“Quantitative Easing”) nel dicembre 2018 e l’agenzia di rating Moody ha detto di voler declassare il debito italiano nel mese di ottobre 2018. Ma non bisogna esagerare l’importanza di questa pressione dei mercati perché, anche se l’aumento dello spread si è dimostrato dannoso per la solvibilità dei soggetti privati e delle banche, quindi per il credito e in definitiva per la crescita e l’occupazione, l’elettorato della coalizione non incolperà Salvini e Di Maio. Alcuni economisti molto popolari in Italia criticano la BCE per non aver fatto tutto quanto è in suo potere per garantire la convergenza dei tassi italiani nei confronti dei tassi francesi e tedeschi, nonostante una situazione fiscale abbastanza invidiabile (l’Italia è l’unico principale paese dell’OCSE a mantenere un saldo primario – il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito – in attivo rispetto ai primi anni ’90). D’altro canto, finché l’Italia riesce a finanziarsi abbastanza bene sui mercati, non deve preoccuparsi troppo delle variazioni giornaliere dei tassi di indebitamento. Il debito pubblico ha infatti una scadenza media di sette anni, le fluttuazioni a breve termine dei suoi tassi debitori hanno poco impatto sui suoi interessi passivi complessivi. Questi carichi molto elevati (poco meno del 4% del PIL, quasi il doppio della Francia) derivano dal peso del suo debito pubblico ereditato dagli anni ’70 e ‘80 e dalla crisi finanziaria del 2008 e dal livello elevato dei suoi tassi d’interesse dal 2010. Un retaggio di cui l’attuale coalizione al potere non è responsabile.
Se, a seguito din panico dei creditori, seguiti da un rifiuto della BCE di venire in suo aiuto, l’Italia non potesse più rifinanziare a costi ragionevoli il proprio debito sui mercati, quindi, come ha ben dimostrato la giornata di venerdì, il problema italiano diventerebbe quello di tutta l’Europa e anche ben oltre: l’Italia rappresenta infatti il primo mercato obbligazionario europeo e il terzo più grande mercato obbligazionario dopo Stati Uniti e Giappone. La sua banca Unicredit è una banca sistemica la cui caduta potrebbe portare a una crisi bancaria globale. Mentre il debito pubblico italiano è detenuto a maggioranza (e sempre più) dai residenti, le mega-banche francesi rimangono fortemente esposte al rischio sovrano e bancario italiano (si stima questa esposizione intorno a 320 miliardi di euro).
E se la BCE dovesse decidere non solo di far volare i tassi di prestito del governo italiano, ma anche privare di liquidità le banche italiane, in una ripetizione della crisi greca durante l’estate del 2015, Salvini e Di Maio potrebbero cogliere l’opportunità di emettere una nuova valuta. Questo scenario è stato già menzionato implicitamente nel programma elettorale della Lega mediante l’eventuale uso di “Mini-Bots” tale imposta moneta parallela all’euro che il governo è disposto a rilasciare, se necessario. Si può pensare che la maggioranza stia attivamente preparando per tali scenari ove si conoscano gli scritti di economisti scettici che sono ora in posizioni chiave in seno al governo e al Parlamento italiano (Paolo Savona, Claudio Borghi e Alberto Bagnai). Dato il peso politico, economico e finanziario della penisola nel dell’Unione monetaria, il suo ritiro della zona euro potrebbe portare l’Italia a creare a sua volta la fine disordinata dell’euro, un Armageddon politico e finanziario che gli altri paesi europei sono probabilmente meno preparati dell’Italia ad affrontare …
Se mettere in ginocchio il governo italiano è probabilmente impossibile per l’UE, sostenere questa guerriglia permanente della terza economia della zona euro può parimenti risultare in una sfida esistenziale per l’edificio comunitario. Da parte italiana, se la guerra di attrito con l’UE si trascina, è probabile che l’elettorato della Lega e del M5S si spazientisca e che il governo italiano finisca per perdere il forte capitale di fiducia di cui gode oggi (i due partiti nella coalizione sono accreditati con il 62% nei sondaggi, con la Lega che è avanzata di 12 punti rispetto alle elezioni dello scorso marzo).
Questo è probabilmente il motivo per cui sia Salvini che i leader europei attaccati ai risultati acquisiti del mercato unico e dell’euro, Emmanuel Macron in testa, ripongono così tante aspettative nelle elezioni europee del maggio 2019. Il risultato di tali elezioni sarà abbastanza chiaro per determinare l’esito della guerriglia italiana contro l’UE?

Fonti: 


 

Israele sta pianificando un attacco contro la Siria e la Russia



di Mikhail Osherov
Negli ultimi giorni sono comparsi segnali politici e militari di preparazione per un prossimo attacco dello Stato di Israele contro Siria e Russia.
Dopo la decisione politica che la leadership russa ha preso di recente per fornire sistemi di difesa aerea S-300 e altri ulteriori sistemi alla Siria, oltre a rafforzare le contromisure elettroniche, il tono delle dichiarazioni e delle interviste dei rappresentanti della leadership militare-militare israeliana è cambiato significativamente.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ha rilasciato dichiarazioni politiche ad alta voce dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti e i suoi colloqui con Donald Trump. Ha fatto dichiarazioni politiche negli Stati Uniti, ma poi, probabilmente, non aveva ancora un quadro completo e informazioni complete sulle azioni future della Russia.temporaneamente messi a tacere. 

Avigdor Lieberman ha rilasciato due interviste nei giorni scorsi: una il 27 settembre al posto di blocco di Kuneitra sulle alture del Golan occupate da Israele e l’altra recentemente per il giornale Yediot Ahronot.

Nelle alture del Golan, Lieberman ha aggirato la questione della politica di Israele nelle nuove condizioni, affermando che la politica dello stato di Israele non cambierebbe e ha suggerito che i giornalisti si rivolgano al segretario stampa dell’esercito israeliano. In un’intervista al giornale Yediot Ahronot, non è stato pubblicato nulla riguardo alla Siria. Forse questo è dovuto alla proibizione della pubblicazione di informazioni su questo da parte della censura dello stato israeliano.

Forze russe in Siria

Israele è uno dei pochi paesi al mondo in cui è in vigore la censura preliminare e dove, per la prima volta nella storia dopo la Germania nazista, c’è un ministero di propaganda di stato. Ma in un’intervista pubblicata con il giornale Yediot Ahronot, la frase del ministro della Difesa israeliano secondo cui “la prontezza al combattimento dell’esercito israeliano è ora la stessa della guerra del 1967” è stata mantenuta.
Il 6 ottobre è stata rilasciata un’intervista al giornale Ha’aretz da un altro ministro del governo israeliano, Tzhahi Anegbi, in cui questi ha anche annunciato la determinazione e le intenzioni del governo israeliano di continuare l’aggressione contro la Siria.
Tale comportamento pubblico di Netanyahu, Lieberman e di altri ministri israeliani può significare solo una cosa: la leadership israeliana non ha rifiutato di continuare l’aggressione contro la Siria e ora c’è una preparazione segreta di nuovi attacchi.
Secondo il rapporto del 5 ottobre sul sito web israeliano Debka, che è considerato un sito web che pubblica informazioni nell’interesse dei servizi segreti israeliani, il presidente degli Stati Uniti ha ordinato di trasferire urgentemente in Israele diversi squadroni degli ultimi aerei americani F-35 da unità combattenti, comprese quelle già presenti in Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti.
La ragione dell’aggressione israeliana contro la Siria è la presenza di ufficiali iraniani sul territorio della Siria e la possibilità di trasferire alcuni tipi di armi al movimento libanese di Hezbollah.
Da un punto di vista legale, la presenza di ufficiali iraniani in Siria e la presenza di armi iraniane, così come l’assistenza della Siria al movimento libanese di Hezbollah, sono assolutamente legittimi. Ufficiali e volontari iraniani sono sul territorio della Siria su base legale su richiesta del governo siriano e danno un contributo significativo al ripristino della sovranità siriana, insidiata dai gruppi terroristi appoggiati dall’estero.
Negli ultimi anni, dall’inizio degli eventi in Siria (dal 2011), Israele ha commesso oltre 200 atti di aggressione contro la Siria. Abitazioni civili sono state distrutte, ufficiali e soldati siriani e civili inermi sono stati uccisi e feriti.
Allo stesso tempo, non c’era un solo atto di aggressione contro Israele dal territorio della Siria; una sola volta, un aereo israeliano è stato abbattuto con un fuoco di risposta della difesa aerea siriana.
Continuando fino a poco tempo fa, i continui attacchi dell’aviazione israeliana per tutto questo tempo non hanno incontrato l’opposizione dalla Russia. Invece di proteggere il cielo siriano da tutti gli aggressori, la Russia ha permesso ad Israele di attaccare qualsiasi obiettivo in Siria, e consentito agli Stati Uniti di occupare territori nel sud e nell’est della Siria.
Il tragico incidente con l’aereo russo Il-20 avrebbe potuto accadere prima in qualsiasi momento, ed è abbastanza probabile che tali incidenti siano accaduti prima, proprio su di loro, probabilmente, ma non sono stati segnalati.

Aviazione israeliana

Così, nel 2013, dopo un altro attacco di aviazione israeliana alla Siria nella regione di Latakia nelle immediate vicinanze dell’ubicazione delle strutture militari russe, lo stesso presidente russo Vladimir Putin in serata ha dovuto chiamare il primo ministro israeliano, che era in visita settimanale in Cina .
A quel tempo, nel 2013, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non era stato in grado di parlare al telefono con il presidente russo Vladimir Putin per mezzo anno a causa del rifiuto della parte russa di dialogare. Vladimir Putin ha chiamato lui il primo ministro israeliano .
La conversazione tenutasi alle 10 pm ora di Pechino (che indica l’urgenza della chiamata) è stata così importante per Netanyahu che è tornato in Israele dopo una lunga visita e un lungo volo, alle cinque del mattino in un giorno importante di festa. La festa religiosa, senza lasciare l’aeroporto, venne trasferita su un altro aereo e lui volò a Sochi per incontrare Vladimir Putin. E solo dopo questo incontro, che era in parte a quattrocchi, Netanyahu tornò in Israele e l’aggressione israeliana contro la Siria, con il tacito consenso della Russia, era continuata.
In questa intera storia dell’aggressione israeliana contro la Siria, c’è un aspetto morale e politico cruciale. In parole povere, non lo fanno in forma totale per gli alleati: li proteggono in un posto e non in un altro. Il resto dei paesi alleati della Russia ora saprà che, nel caso, la Russia non li difenderà, procedendo da interessi incomprensibili della leadership del paese, contrariamente agli interessi nazionali della Russia. È successo nel Donbass del 2014, è successo in Siria, a partire dal 2011, nonostante l’esistenza di un trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca tra Russia e Siria.

E nel 2014 in Ucraina e, a partire dal 2011 in Siria, le azioni della Russia sono state parziali, insufficienti e non pienamente in linea con gli interessi nazionali della Russia.

La catastrofe dell’aereo da ricognizione elettronica IL-20, è avvenuta principalmente a causa della non resistenza della Russia all’aggressione israeliana, questa non ha ancora ricevuto un’adeguata risposta politica. La fornitura da parte della Siria di vari sistemi e complessi di difesa aerea è una soluzione tecnica e semipolitica a metà tempo del problema.
La Russia non può e non sarà in grado di difendere la Siria e i suoi stessi interessi in Siria senza un’opposizione diretta all’aggressione israeliana e americano-turca, e ciò richiede una decisione politica, che non è stata ancora presa.
Fonte: Rusvesna

ASHOKA MODY – PERCHÉ L’EURO HA FALLITO



Perché l’euro è stato un fallimento? Perché una unione monetaria senza unità politica né fiscale non può che fallire, dato che lascia gli stati membri privi degli strumenti normalmente necessari a guidare l’economia nazionale, senza darne loro di nuovi. L’economista Ashoka Mody riassume sinteticamente ed efficacemente in un capitolo del suo ultimo libro sulla “eurotragedia” i motivi – noti da tempo ai nostri lettori – per cui l’euro è stato un autentico disastro per l’Europa, mostrando come è quasi incredibile che qualcuno oggi sia ancora convinto che l’unione monetaria possa in qualche modo funzionare. I leader europei, guide cieche, hanno condotto i popoli a una meta molto diversa da quella a cui aspiravano – o dicevano di aspirare. 


di Ashoka Mody, 3 settembre 2018

L’euro – la moneta unica condivisa da diciannove nazioni europee – è un fenomeno unico nella storia umana.

Mai prima d’ora un gruppo di Paesi aveva creato una valuta totalmente nuova, che avrebbero condiviso. Alcuni idealisti hanno visto questa singolarità come una virtù, come l’araldo di un futuro mondo migliore dove le nazioni cooperano su una gamma più ampia di decisioni politiche ed economiche. A tempo debito sarebbe emersa un’unione politica; i parlamenti nazionali avrebbero dato maggiore autorità a un parlamento europeo, che avrebbe deciso per tutti. Con questa visione, quasi mezzo secolo fa, le nazioni europee hanno iniziato a esplorare l’idea di una moneta unica. Una simile moneta unica, affermavano i loro leader, avrebbe portato maggiore prosperità e una più grande unità politica.

A quei tempi l’Europa aveva molte qualità. Le ferite della Seconda guerra mondiale stavano svanendo nel passato. Gli europei avevano reso inconcepibile un’altra guerra. Avevano imparato a “combattere sui tavoli delle conferenze” piuttosto che sui campi di battaglia. Avevano aperto i loro confini per consentire maggiori scambi reciproci. Niente di tutto ciò era stato facile. Avevano saggiamente fatto piccoli balzi nel vuoto per lasciarsi lentamente alle spalle le ombre delle due grandi guerre combattute all’inizio del 20° secolo, e avevano imparato a fare affidamento sulla reciproca buona volontà. Erano giustamente orgogliosi del loro successo.

A quel punto, lo scopo storico essenziale – costruire la migliore difesa umana contro un’altra guerra europea – era stato ampiamente soddisfatto. La domanda era come utilizzare al meglio lo spazio aperto da questa parentesi di pace. Il compito che aspettava gli europei era di costruire sui valori liberali che i cittadini europei avevano imparato ad amare. Per creare una società aperta. Per consentire la competizione delle idee. Per promuovere la creatività e la prosperità.

A L’Aia, nel dicembre 1969, i leader europei, forse all’inizio inconsapevolmente, fecero un altro salto nel vuoto: decisero di creare una moneta unica. L’idea era che le imprese e i viaggiatori avrebbero risparmiato i costi di cambio della valuta, e quindi avrebbero commerciato e viaggiato di più all’interno dell’Europa. Inoltre, con una Banca centrale europea, la zona euro avrebbe avuto una politica monetaria uniforme, che i governi dei paesi membri non avrebbero potuto piegare ai loro scopi. Quindi, per prevenire l’inflazione interna e promuovere la crescita nazionale, i governi di tutti i paesi sarebbero stati obbligati a essere fiscalmente responsabili. I paesi della moneta unica avrebbero anche dovuto coordinare le loro politiche economiche. E mentre imparavano a cooperare, la pace avrebbe avuto fondamenta ancora più solide.

Nonostante la crisi economica e politica della zona euro negli ultimi dieci anni, c’è chi continua a credere in questa visione.

In effetti, i decisori chiave sono arrivati a comprendere molto rapidamente i pericoli del salto che stavano facendo. Capirono che i benefici di transazioni più facili all’interno dell’Europa erano piccoli. Quello su cui probabilmente non avevano riflettuto chiaramente è una affermazione economica che si avvicina a un teorema per quanto l’economia lo permette. In un famoso articolo del 1968, Milton Friedman, uno dei più importanti economisti del 20° secolo, ha spiegato che la principale funzione della politica monetaria è aiutare a minimizzare la dislocazione macroeconomica – ovvero prevenire che un boom economico diventi eccessivamente grande e ridurre il tempo che un’economia passa in recessione.

La politica monetaria, ha insistito Friedman, non può aiutare un’economia ad aumentare le sue prospettive di crescita a lungo termine. Ed ecco il pezzo forte: se la politica monetaria viene attuata male, può causare danni permanenti e quindi ridurre le prospettive di crescita a lungo termine. Come una “chiave inglese” gettata in una macchina, una politica monetaria sbagliata e inopportuna ostacola il normale funzionamento economico. Avviandosi lungo la rotta dell’unione monetaria, i leader europei rendevano più probabile che la politica monetaria europea gettasse chiavi inglesi nelle loro economie.

I leader europei potrebbero non essere stati consapevoli del “quasi teorema” di Friedman sul ruolo e sui limiti della politica monetaria. Avrebbero dovuto essere consapevoli del fatto che una moneta unica non poteva portare prosperità economica. E sicuramente sapevano che l’Italia e la Grecia avevano sempre contraddetto le direttive economiche delle autorità europee, e che quindi era improbabile che questi Paesi rispettassero gli standard di gestione economica necessari per accompagnare una moneta unica, un’unica politica monetaria.

I leader europei sapevano anche che i promessi vantaggi politici erano illusori. Sebbene ripetessero spesso il mantra dell’”unione politica”, sapevano che non avrebbero rinunciato alle proprie entrate fiscali per fornire un aiuto significativo ad altre nazioni in difficoltà. Sapevano che il rischio di conflitti tra interessi economici era reale. E i conflitti economici avrebbero creato conflitti politici. Dal momento in cui la moneta unica è stata proposta nel 1969 alla sua introduzione nel 1999, le conferme di questi avvertimenti si sono ripetute. Ancora e ancora. Ma i rischi sono stati minimizzati e i punti di vista alternativi sono stati sviati.


Il difetto essenziale della moneta unica era elementare. Rinunciando alle loro valute nazionali, i membri della zona euro hanno perso alcuni strumenti importanti. Se un paese membro entra in recessione, non ha una valuta da svalutare in modo che le sue imprese possano vendere all’estero a prezzi inferiori al dollaro USA per incrementare le esportazioni e l’occupazione. Il paese membro inoltre non ha una banca centrale che potrebbe ridurre i suoi tassi di interesse per incoraggiare la spesa interna e stimolare la crescita.

Questo difetto di base crea acute difficoltà non appena le economie dei paesi che condividono la valuta divergono le une dalle altre. Se l’economia italiana è nei guai e l’economia tedesca ha il vento in poppa, il tasso di interesse comune fissato dalla Banca centrale europea (BCE) sarà troppo alto per l’Italia e troppo basso per la Germania. In questo modo, i problemi economici dell’Italia continueranno e l’economia tedesca crescerà ancora di più. È insito nella natura della moneta unica che, una volta che le economie dei paesi membri iniziano a divergere l’una dall’altra, il tasso di interesse comune faccia aumentare la divergenza.

Considerati questi problemi basilari, gli economisti alla fine degli anni ’60 conclusero che se la moneta unica poteva avere una possibilità – una sola possibilità – ci sarebbe stato bisogno bisogno di trasferimenti fiscali significativi dai paesi col vento in poppa a quelli depressi. In un’unione che forma uno stato unico con una moneta unica, come gli Stati Uniti, gli stati ricevono più fondi dal bilancio federale; inoltre, i residenti degli stati colpiti duramente dalla recessione pagano tasse federali inferiori rispetto ai residenti degli stati che sono colpiti meno gravemente. Quando questi benefici vengono forniti, nessuno protesta, perché nell’attuale struttura politica (gli Stati Uniti) sono leciti. Di fatto, alcuni stati degli Stati Uniti, come il Connecticut e il Delaware, effettuano consistenti trasferimenti permanenti verso stati come il Mississippi e il West Virginia. Gli economisti hanno quindi concluso che per far fare all’euro un balzo in avanti fosse necessario un bilancio comune sotto un’unica autorità fiscale.

Se l’Europa avesse voluto percorrere questa strada, i parlamenti nazionali avrebbero avuto bisogno di cancellare dei seggi; avrebbero principalmente trasferito risorse a un budget comune. Un ministro delle Finanze europeo che riferisce a un parlamento europeo avrebbe utilizzato fondi tratti da un bilancio europeo comune per stimolare l’economia del paese in difficoltà e quindi abbreviare la sua recessione. I trasferimenti fiscali non avrebbero comunque garantito il successo, ma senza di loro il rischio sarebbe stato pericoloso.

Dal primo giorno, tuttavia, risultò chiaro che gli europei non sarebbero mai stati disposti a mettersi d’accordo su un bilancio comune. I tedeschi erano comprensibilmente preoccupati che, se avessero accettato di condividere le loro entrate fiscali, sarebbero diventati il finanziatore di tutti i tipi di problemi nel resto d’Europa. Pertanto, un bilancio comune per facilitare il percorso verso gli Stati Uniti d’Europa con l’euro come moneta comune era politicamente escluso.

Anche se hanno descritto il progetto in termini grandiosi, gli europei hanno iniziato a creare una “unione monetaria incompleta”, che aveva una politica monetaria comune, ma che mancava di salvaguardie fiscali per smorzare i boom e le recessioni. All’interno di questa struttura incompleta, era destino che sorgessero conflitti sulla conduzione della politica monetaria e fiscale.

Per essere chiari, conflitti simili sorgono anche all’interno degli stati-nazione. Ma all’interno di una nazione, in genere sono previste procedure politiche per raggiungere una soluzione. Nel progetto europeo della moneta unica invece non esisteva alcun contratto politico sul modo in cui i conflitti sarebbero stati risolti. Al verificarsi di crisi finanziarie, non ci sarebbe stato un modo reciprocamente accettabile per risolverle. Alcuni paesi avrebbero “perso” e altri “vinto”; i “vincitori” sarebbero diventati “più uguali” degli altri. Le divergenze tra i paesi sarebbero aumentate e l’unione monetaria sarebbe diventata ancora più ingestibile. L’unione monetaria incompleta conteneva già i semi della propria rottura.

A peggiorare le cose, la rottura dell’unione monetaria incompleta sarebbe stata estremamente costosa. Se un paese uscisse durante una crisi, la sua valuta nazionale si svaluterebbe rapidamente e il governo, le imprese e le famiglie del paese pagherebbero i loro debiti in euro (o in dollari) nella loro valuta deprezzata. Molti farebbero default. Soprattutto se il paese è grande, le insolvenze potrebbero scatenare il panico, portando ad altre uscite dall’euro e ad un crescente circolo di disordini finanziari.

Perché gli europei hanno tentato una simile impresa senza benefici evidenti, ma con enormi rischi? Come hanno conciliato le sue ovvie contraddizioni? Come si sono manifestate queste contraddizioni una volta lanciato l’euro? Dove è finita l’Europa?

C’è una risposta generale a tutte queste domande. I leader europei non avevano idea nédel perché né di dove stessero andando. E come è stato detto, se non sai dove stai andando, finisci da qualche altra parte. Nonostante la loro visione idealistica, gli europei sono finiti altrove. Come ci si poteva aspettare, questo altrove non è un bel posto. L’euro ha azzoppato molti dei suoi paesi membri. Ha creato aspre divisioni tra gli europei. Se Aristotele fosse vivo oggi, vedrebbe come uomini e donne “eminentemente buoni e giusti” hanno messo in scena la tragedia dell’euro, “non con il vizio o la depravazione”, ma con “l’errore o la fragilità”.

Tratto da EuroTragedy: A Drama in Nine Acts (Oxford University Press). Copyright 2018.

IL GOVERNO FRANCESE SI PREPARA ALLE DIMISSIONI IN BLOCCO PER RILANCIARE MACRON

MA IN FRANCIA NON FANNO PRIMA A DIRE: "OK, CI SIAMO SBAGLIATI" E AD INDIRE NUOVE ELEZIONI?



PARIGI – Il premier francese Édouard Philippe è arrivato stamani poco dopo le 8.00 all’Eliseo, nell’immimenza di un grande rimpasto di governo che dovrebbe rilanciare la presidenza di Emmanual Macron dopo un rientro dalle vacanze estive disastroso e i sondaggi che lo danno a un livello di gradimento simile a quello di Hollande.


Il premier attuale dovrebbe consegnare le dimissioni in blocco del suo governo ed essere incaricato un’altra volta dal presidente di formare un nuovo esecutivo, dopo lo spettacolare abbandono, una settimana fa, del ministro degli Interni Gérard Collomb, che ha ignorato lo stop alle sue dimissioni avanzato da Macron, che ha accusato di incapacità di un’azione politica rivolta unicamente alle fasce più ricche della popolazione.