Save the Children e Oxfam lanciano nuovamente l’allarme: la devastante guerra civile in Yemen sta causando centinaia di migliaia di morti, ma in seguito all’attacco al porto di Hodeidah – canale di accesso fondamentale per gli aiuti umanitari – la situazione è ulteriormente peggiorata, e oltre 5 milioni di bambini rischiano ora di morire per la carestia e le epidemie in agguato.
“Le vedevo le ossa, e non potevo fare niente per lei. Non avevo soldi per il trasporto: ho dovuto farmi prestare dei soldi per portare mia figlia in ospedale, è lontanissimo dal nostro villaggio. Non abbiamo cibo: la mattina un po’ di pane col tè, e a pranzo patate e pomodori. Di solito, io non mangio: cerco di tenere tutto per i miei bambini”. È la drammatica testimonianza di una madre yemenita vittima della dilagante carestia in un Paese sempre più devastato dalla guerra: dopo una decina di anni di lotte e instabilità politica, a partire dal 19 marzo 2015 il conflitto è esploso in tutta la sua violenza, con la brutale aggressione militare da parte della cosiddetta coalizione guidata dall’Arabia Saudita, provocando morte, carestia e distruzione in tutto lo Stato, soprattutto tra i civili.
Yemen, Resistenza contro Oppressione
Le due maggiori formazioni politiche in campo – ognuna delle quali dichiara di costituire il governo legittimo del paese – sono la coalizione a guida saudita (comprendente Emirati Arabi, Bahrain, Egitto, Marocco, Giordania, Sudan e Kuwait) che sostiene il governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi con sede ad Aden, e quella delle forze Houthi Ansarullah che controlla la capitale Sana’a ed ha cacciato l’ex presidente Hadi, fantoccio del regime saudita. Attualmente il Paese si trova quindi spaccato in due, mentre i militari di entrambe le parti tentano di assumere il controllo dei punti nevralgici per assicurarsi la supremazia su tutto il paese. A questo si aggiungono le rivendicazioni di diversi gruppi terroristici, quali Aqap (al-Qāʿida nella Penisola Arabica) e Isis.
Tale è lo scenario politico in cui migliaia di civili vengono ogni giorno impietosamente uccisi, e tra questi si contano centinaia e centinaia di bambini. Basti ricordare il raid saudita dell’agosto scorso contro uno scuolabus, in cui hanno trovato la morte 43 piccole vittime innocenti: secondo il Direttore Generale dell’Unicef Henrietta Fore, in tre anni sono stati feriti o uccisi 6.500 bambini.
Ma oltre alle vittime dirette, il conflitto sta provocando una emergenza umanitaria senza pari: aeroporti distrutti, collegamenti stradali spezzati, ponti bombardati rendono le comunicazioni estremamente difficoltose, e la distribuzione degli aiuti umanitari quasi impossibile. Con il conseguente dilagare di carestia ed epidemie.
La fornitura di acqua potabile è interrotta in diverse parti del Paese, i generi alimentari scarseggiano e sono saliti a prezzi esorbitanti: il grano è aumentato del 50%, l’olio del 40%, il riso del 350%. A questo si aggiunga che moltissime famiglie si trovano ora senza alcun reddito a causa della chiusura o distruzione della maggior parte delle fabbriche e aziende del paese. Un bambino su quattro è colpito da malnutrizione.
Ma secondo le maggiori organizzazioni umanitarie, i recentissimi attacchi sauditi al porto di Hodeidah possono rendere questa situazione ancora più disperata: l’80% degli abitanti del Paese dipende per gli approvvigionamenti da questo porto. L’offensiva a Hodeidah è iniziata a giugno, come azione per bloccare i rifornimenti alla Resistenza yemenita, ma grazie a negoziati guidati dalle Nazioni Unite si era finora mantenuto una sorta di stallo per evitare catastrofiche ripercussioni sulla popolazione. Martedì scorso però la coalizione di Hadi ha dato il via al proseguimento alle operazioni militari.
Hodeidah è il principale porto dello Yemen, e vi transita oltre il 70% degli aiuti umanitari per la popolazione. L’attacco a questa infrastruttura fondamentale, quindi, oltre a causare migliaia di morti nell’immediato – le Nazioni Unite stimano che l’assalto possa causare fino a 250mila vittime – provoca conseguenze inimmaginabili a tutto il paese, con impatto diretto su centinaia di migliaia di famiglie, e di bambini.
Secondo la denuncia di Save the Children, sono oltre 5 milioni i bambini a rischio carestia: perché con la chiusura di questo porto sul Mar Rosso verrebbero bloccati sia l’accesso di cibo, che l’accesso di medicinali, che l’accesso di carburante.
Per la popolazione già provata dalla fame e dal conflitto, la fame è solo uno degli aspetti della tragedia umanitaria in corso: la maggior parte degli yemeniti vive in ambito rurale, in villaggi lontani decine e decine di chilometri dalle strutture sanitarie, e il trasporto in ospedale dei bambini affetti da malnutrizione o feriti è pressoché impossibile. Mancano i mezzi e il carburante, e con il blocco di Hodeidah sarà ancora più difficile procurarseli, così come rifornire di farmaci le strutture mediche: moltissimi bambini muoiono anche per questioni logistiche.
E infine, come denuncia l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), la carestia e la mancanza di acqua potabile stanno causando una nuova epidemia di colera: dopo le due ondate degli anni recenti, se ne sta verificando una terza di proporzioni gigantesche, con oltre 1 milione di casi registrati, che hanno causato finora oltre 2.500 morti. Il portavoce dell’Onu ha dichiarato che “si rischia la catastrofe umanitaria”.
Yemen, lo strazio delle madri
Le madri guardano i propri figli malnutriti, esausti, scheletrici, troppo deboli persino per piangere. Non hanno di che nutrirli, non sanno come reperire le medicine per curarli, non hanno i mezzi per trasportarli in ospedale per salvare le loro fragili vite.
Milioni di bambini non sanno quando e se potranno fare il prossimo pasto; vengono colpiti indiscriminatamente in questa guerra senza senso che non sa più dove sia l’umanità; si ammalano con una facilità estrema per il fisico ormai debilitato e la poca acqua putrida che hanno a disposizione, e per l’epidemia di colera che avanza inesorabile. Le madri guardano i propri figli morire, e non possono fare niente per salvarli, mentre il mondo resta colpevolmente a guardare.
di Silvia Privitera