giovedì 12 agosto 2021

Il ‘Dragon Man’ potrebbe riconfigurare l’albero genealogico dell’uomo

Il cranio di un Homo Longi o Dragon Man potrebbe essere la prova dell'esistenza dei giganti sulla Terra millenni fa come riporta la Genesi? I giganti discendevano da una stirpe maledetta: la stirpe del serpente che discendeva dalla progenie degli angeli ribelli di Lucifero o altrimenti detti Nefilim o rettiloidi....

Rimasto nascosto in fondo a un pozzo per decenni, un cranio incredibilmente ben conservato accende il dibattito sul crescente numero di fossili che mettono in dubbio la narrazione classica sulle origini dell’uomo.

Il ritrovamento comparve poco dopo l’invasione giapponese del nord-est della Cina, nei primi anni ‘30.

Un gruppo di abitanti del posto stava costruendo un ponte vicino ad Harbin, una città della provincia cinese più settentrionale, quando uno degli operai inciampò su uno strano oggetto nel fango del fiume: un cranio umano quasi completo, dalla forma allungata e con un’arcata sopraccigliare pronunciata, che sovrastava due orbite oculari piuttosto squadrate.

E poi c’erano le dimensioni inusuali del cranio: “È enorme”, afferma il paleoantropologo Chris Stringer del Museo di storia naturale di Londra.


Forse consapevole dell’importanza di quel rinvenimento, l’uomo nascose il cranio in un pozzo abbandonato. Ora, quasi 90 anni dopo, uno studio pubblicato sulla rivista The Innovation riporta l’ipotesi secondo cui questo cranio rappresenterebbe una nuova specie umana: l’Homo longi, o Dragon Man.

Altri due studi rivelano che questo cranio, molto ben conservato, probabilmente apparteneva a un individuo maschio che morì almeno 146.000 anni fa. La sua mescolanza di caratteristiche anatomiche sia antiche che moderne lo posizionerebbe in un ramo a sé nell’albero genealogico umano.

“Ho visto molti altri crani e fossili umani, ma questo è diverso”, afferma il paleoantropologo Xijun Ni dell’Accademia cinese delle scienze, autore di tutti e tre gli studi.

Sulla base delle dimensioni e della forma del cranio di Harbin, come spesso viene chiamato, e su quelle di altri fossili conosciuti, i ricercatori ipotizzano che sia strettamente correlato a molti altri strani fossili umani appartenenti allo stesso periodo storico che sono stati ritrovati in Asia. L’analisi dei ricercatori indica che tutti questi fossili apparterrebbero a un gruppo di individui che sarebbero parenti stretti della nostra specie, forse ancor più stretti del Neanderthal.

“È un fossile straordinario”, afferma María Martinón-Torres, direttrice del Centro nazionale spagnolo di ricerca sull’evoluzione umana, non coinvolta negli studi.

Tuttavia l’appartenenza e la designazione di specie che sono state proposte stanno accendendo il dibattito all’interno della comunità scientifica. Alcuni esperti sostengono che alcuni segni indicherebbero un legame tra il Dragon man e il misterioso uomo di Denisova, un parente del Neanderthal sul quale esistono scarsi resti fossili (qualche dente, un pezzo di teschio fratturato, un osso di colore rosaceo e forse un pezzo di mandibola).

Martinón-Torres, seppure entusiasta del livello di conservazione del cranio di Harbin e del mosaico di caratteristiche che presenta, afferma che “al momento non vedo cosa lo differenzi da altri gruppi che conosciamo già”.

Eppure questo teschio evidenzia quanto siano intrecciati tra loro i rami dell’albero genealogico dell’uomo e come lo studio di tutti gli enigmatici antenati della nostra specie e la loro diversa distribuzione nel tempo ci possa aiutare a decifrare le nostre origini.

“Anche noi antropologi spesso dimentichiamo che è un assunto molto improbabile pensare che noi siamo gli unici hominini rimasti in vita”, afferma Laura Buck, antropologa e biologa presso la Liverpool John Moores University, che non ha fatto parte del team di studio.
La storia del teschio

Prima di morire, l’operaio che ha trovato il teschio ha svelato il suo segreto ai suoi nipoti che nel 2018 si sono recati al pozzo e hanno recuperato il ritrovamento. Qiang Ji, paleontologo presso la Hebei GEO University of China, che ha condotto la nuova ricerca, è venuto a sapere del reperto e ha voluto visionarlo. In dubbio sulla sua rilevanza, ne ha mandato una foto a Ni.

“Rimasi scioccato”, ricorda Ni. Non solo il fossile era incredibilmente ben conservato ma presentava anche una strana combinazione di caratteristiche. Il cranio di Harbin è largo e tozzo con un’arcata sopraccigliare prominente (un tratto comune tra gli antichi ominidi). Il teschio presenta un solo dente e non ha la mandibola ma quel dente ha tre radici, una caratteristica rara tra gli umani moderni. Altre caratteristiche invece, come ad esempio i delicati zigomi, piuttosto piatti e in posizione ribassata sul viso, ricordano di più la nostra specie.

“Si ha una sensazione molto strana guardando in quelle orbite”, afferma Ni, “sembra che vogliano dirci qualcosa”.

Ji ha convinto la famiglia a donare il reperto al Museo di geoscienze della Hebei GEO University e il team si è subito messo al lavoro. Hanno raccolto le informazioni di 95 crani, mandibole e denti fossili che rappresentano diversi gruppi di hominini per un insieme di oltre 600 caratteristiche. Poi, usando tecniche informatiche all’avanguardia, hanno costruito miliardi di alberi filogenetici, strumenti per illuminare le relazioni evolutive tra gli hominini usando il minor numero di passaggi di evoluzione – il metodo che la maggior parte degli scienziati ritiene come più efficace. L’albero che così è “nato” vede il cranio di Harbin su un nuovo ramo a sé, strettamente correlato alla nostra specie.

“Mi ha sorpreso molto questo risultato”, afferma Stringer, autore di due degli studi che definiscono la tipologia e l’età del fossile che si aspettava che il cranio di Harbin risultasse una derivazione del Neanderthal.


Il cranio di Harbin, con la sua combinazione di caratteristiche antiche e moderne, si aggiunge a un crescente numero di fossili rinvenuti in Asia che mettono in dubbio la struttura finora nota dell’albero genealogico dell’uomo.
FOTOGRAFIA DI XIJUN NI


Alcuni membri del team ritenevano che il cranio di Harbin fosse così differente dagli altri fossili di hominini da dover essere denominato come una specie separata. Ni, uno degli autori del terzo studio che definisce la nuova specie, spunta la lista delle caratteristiche che definiscono il Dragon man: orbite oculari particolarmente squadrate, una scatola cranica bassa e allungata, mancanza di cresta sulla linea mediana del cranio e altre.

“Le caratteristiche distintive di questo fossile sono molte”, spiega, “si tratta di una serie di aspetti peculiari”.
Il dibattito sul Dragon Man

Eppure non tutti gli scienziati e gli esperti sono concordi sul fatto che il Dragon man sia da considerarsi una specie a sé né c’è consenso sulla sua posizione nell’albero genealogico degli hominini.

Molte delle caratteristiche distintive del teschio sembrano essere questioni di proporzioni piuttosto che veri tratti specifici, afferma Buck della Liverpool John Moores University. Anche all’interno di una stessa specie – sostiene – sono possibili delle variazioni. Le differenze di sesso, età dell’individuo, adattamenti ambientali, età del fossile e altro possono contribuire a creare leggere modifiche nei singoli esemplari.

Ma se non è una specie vera e propria, cos’è il Dragon man? Stringer cita una simile compresenza di tratti moderni e antichi in un fossile chiamato il cranio di Dali che il nuovo studio ha classificato nello stesso gruppo del cranio di Harbin. Trovato nella provincia dello Shaanxi nel nord-ovest della Cina, questo cranio è considerato appartenere a una specie a sé, l’Homo daliensis.

“C’è già una sorta di inflazione nella nomenclatura delle specie in antropologia”, aggiunge Bence Viola, paleoantropologo dell’Università di Toronto che non ha fatto parte del team di studio. Viola ritiene che sia preferibile inserire il cranio nel gruppo dell’H. daliensis oppure lasciare la specie senza nome piuttosto che coniare un nuovo appellativo.

E poi ci sono i misteriosi Denisova. Anche se non formalmente riconosciuto come specie a sé, questo gruppo probabilmente ha abitato l’Asia per decine di migliaia di anni e molti fossili asiatici sono stati suggeriti come appartenenti al gruppo. Ma siccome gli scienziati hanno trovato solo poche tracce fossili della loro esistenza, è necessaria una conferma genetica, e la preservazione del DNA diventa sempre più improbabile nel caso di fossili di queste età.

Nel 2019 gli scienziati hanno annunciato la scoperta di un pezzo di mandibola sull’altopiano del Tibet che probabilmente apparteneva a un Homo di Denisova, il che lo renderebbe il primo fossile di umano antico trovato al di fuori della grotta che dà il nome al gruppo di individui.

Il nuovo albero filogenetico proposto suggerisce che il Dragon man sia strettamente correlato a questa mandibola chiamata mandibola di Xiahe.

“Probabilmente i due reperti appartengono alla stessa specie”, afferma Ni, pur essendo restio a classificare la mandibola (e quindi il Dragon man) come Denisova dato che l’identità della mandibola è stata stabilita mediante proteine estratte dalla mandibola stessa e DNA estratto da sedimenti non direttamente dal DNA della mandibola. E al cranio di Harbin manca la mandibola, quindi non è possibile un confronto fisico.

Viola, che ha fatto parte del team che per primo ha descritto i Denisova, è in disaccordo, e commenta che è più logico attribuire l’appartenenza ai Denisova alla mandibola di Xiahe ma specifica che anche se il Dragon man fosse un Denisova, la nuova analisi posiziona il ramo dell’albero che comprende sia il cranio di Harbin sia la mandibola di Xiahe come separati dal Neanderthal.

Sarebbe strano, dato che una tale classificazione sarebbe in contrasto con la storia dei Denisova delineata da studi precedenti sulla loro genetica. Queste analisi suggeriscono che l’antenato comune dei Neanderthal e dei Denisova si è separato dai predecessori dell’Homo sapiens circa 600.000 anni fa. Quell’antenato si è poi diviso in due gruppi: i Neanderthal che si sono sparpagliati in Europa e nel Medio Oriente e i Denisova che si sono spostati in Asia.

Le relazioni tra tutti questi gruppi sono “probabilmente strette e difficili da decifrare”, ha scritto per e-mail la paleoantropologa Katerina Harvati che non ha partecipato alla ricerca. “Penso che ci potrebbero essere aspetti da analizzare più nel dettaglio che forse forniranno maggiori prove”, afferma Harvati dell’Università Eberhard Karl di Tubinga.
Dragoni congelati

Ma nuove evidenze potrebbero già essere all’orizzonte. Il team coinvolto nei nuovi articoli sta vagliando la possibilità di eseguire analisi genetiche sul Dragon Man, afferma Ni, ma stanno procedendo con cautela perché queste attività implicano l’asportazione di piccoli campioni del fossile.

Che il Dragon man sia una nuova specie o meno, il sorprendente grado di conservazione delle sue caratteristiche ci ricorda che la natura non è facilmente categorizzabile e che la scoperta di nuovi reperti e dettagli renderà sempre più difficoltoso il nostro tentativo di definirla.

“I criteri che definiscono cosa sia da considerare una specie appartengono a una questione filosofica piuttosto che a una verità biologica”, afferma Buck. Le definizioni delle specie possono essere utili, afferma, ma “secondo me le domande più interessanti sono... come si sono adattati questi individui? E com’era la loro esistenza nel mondo?”

Anche a questo riguardo il Dragon man offre intriganti possibilità. La posizione esatta in cui l’operaio trovò il teschio nel fango rimane sconosciuta ma la regione è probabilmente quella dell’estremo nord, afferma Michael Petraglia, paleoantropologo dell’Istituto Max Planck per la scienza della storia umana che non ha preso parte alla ricerca. Anche nelle attuali condizioni relativamente miti, nella zona le temperature in inverno possono raggiungere numeri a due cifre sottozero; 146.000 anni fa circa, molto probabilmente non era molto più caldo.

Il team ipotizza che alcuni dei tratti più robusti del cranio riflettano l’adattamento al clima rigido. Sempre l’ambiente potrebbe aver isolato il Dragon man e i suoi simili dagli altri hominini, aggiunge Petraglia, e questo potrebbe aver determinato la peculiarità di alcuni tratti che notiamo oggi nel fossile.

Il database completo e le immagini dettagliate del Dragon man elaborate dal team ora sono pubblicamente disponibili, continua Stringer, in modo che altri esperti possano scavare ulteriormente nel passato degli hominini come molti sembrano desiderosi di fare.

Come ha scritto via e-mail Sarah Freidline dell’Università della Florida Centrale: “Rispondere ai quesiti che pone il cranio di Harbin è il sogno di ogni paleoantropologo”.

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