Di Roberto Gava / 9 Marzo 2021 / Medicina
Studi recenti hanno dimostrato che i componenti delle secrezioni umane (appartenenti all’immunità innata) sono elementi chiave delle difese contro le infezioni virali.1–3
Recentemente è stato evidenziato un crescente interesse sul possibile ruolo preventivo e curativo della lattoferrina una glicoproteina prodotta dalle ghiandole esocrine (sono quelle che versano il loro secreto all’esterno del corpo o in cavità comunicanti con l’esterno). Infatti, la lattoferrina è presente in diverse secrezioni umane come colostro e successivo latte materno, saliva, lacrime, secrezioni nasali e bronchiali, fluidi gastrointestinali, ma anche nei linfociti neutrofili coinvolti nelle risposte immunitarie dell’organismo (specialmente quelli presenti nei siti di infezione e di infiammazione).
La lattoferrina, pertanto, fa parte dell’immunità aspecifica svolgendo un ruolo cruciale contro le infezioni virali, esercitando inoltre degli effetti antinfiammatori su diverse superfici mucose del nostro organismo e regolando il metabolismo del ferro.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che la lattoferrina può essere utile in molte infezioni virali e in particolare nei confronti dei seguenti virus:
Adenoviridae (adenovirus),
Caliciviridae (norovirus o virus del vomito invernale),
Coronaviridae (virus della SARS-Cov-2),10
Flaviviridae (virus dell’epatite C, virus dell’encefalite giapponese),
Hepadnaviridae (virus dell’epatite B),
Herpersviridae (Citomegalovirus, Epstein Barr virus ed Herpes virus),
Orthomyxoviridae (virus dell’influenza A),
Papillomaviridae (papillomavirus umano),
Paramixoviridae (virus parainfluenzale),
Picornaviridae (poliovirus, enterovirus 71, echovirirus 6),
Pneumoviridae (virus respiratorio sinciziale),
Reoviridae (rotavirus),
Retroviridae (virus dell’immunodeficienza umana).
Attività antivirale della Lattoferrina
La lattoferrina svolge la sua attività antivirale attraverso 3 meccanismi specifici correlati tra loro:
si lega a molecole anioniche (cioè dotate di carica negativa: un esempio sono i proteoglicani) presenti sulle superfici cellulari e protegge l’ospite contro l’adesione e l’ingresso virale, ma anche batterico;
entra nelle cellule, viene trasportata nel nucleo, e in questo modo svolge un’attività genetica di tipo antinfiammatorio e immunomodulante;
attraverso l’effetto antinfiammatorio, modula l’omeostasi del ferro perturbata dalle infezioni virali e dai processi infiammatori3 chelando il ferro e sottraendolo ai virus9 (il ferro è necessario per al replicazione virale).
1- Impedisce ai virus di legarsi alle cellule
Per quanto riguarda il primo meccanismo antivirale dell’elenco suddetto, la lattoferrina ostacola l’ingresso dei virus nelle cellule ospiti attraverso il suo legame competitivo con i recettori della superficie cellulare, principalmente composti a carica negativa come i proteoglicani (HSPG).
Effettivamente, studiando il virus della SARS, Lang et al. hanno scoperto che la lattoferrina è in grado di bloccare il legame della proteina virale “spike” alle cellule ospiti, indicando che esercita la sua funzione inibitoria nella fase di attacco virale.
Infatti, per poter entrare nelle cellule, questi virus devono attaccarsi con la loro proteina “spike” ai recettori cellulari ACE2 ad alta affinità (viral surfing) che sono posti accanto ad un recettore costituito da proteoglicani di eparan-solfato (HSPG: sono macromolecole ampiamente distribuite sulle superfici cellulari che fungono da sito di attacco preliminare per i virus SARS-CoV-1, ma anche per il virus SARS-CoV-2). Dopo l’attacco ai recettori HSPG, questi trasferiscono le particelle virali ai recettori ACE2 permettendo l’ingresso del virus nelle cellule ospiti.
È interessante notare che il recettore ACE2 è presente sulla superficie delle nostre cellule nasali, polmonari, cardiache, renali, intestinali e dell’endotelio vascolare (questi sono proprio i siti dei tessuti dove il coronavirus produce più danni).24 Tra l’altro, le cellule epiteliali nasali mostrano la più alta espressione tra tutte le cellule studiate nell’albero respiratorio.
In questo attacco virale alle nostre cellule, la lattoferrina (così come sembra fare anche l’anticoagulante eparina, che per vari motivi viene usato nella terapia del CoVID-19), grazie alla sua capacità di legarsi agli HSPG, inibisce il contatto iniziale tra virus e cellule ospiti evitando così il successivo ingresso dei virus. La lattoferrina però esercita la sua attività antivirale anche attaccandosi direttamente alle particelle virali oppure oscurando i loro recettori cellulari.
Pertanto, l’effetto antivirale della lattoferrina si verifica specialmente (ma non solo) nella fase iniziale dell’infezione, impedendo l’ingresso di particelle virali nelle cellule ospiti, bloccando i recettori cellulari e/o legandosi direttamente alle particelle virali.
Per questo motivo dovrebbe essere somministrata a livello preventivo o comunque nelle primissime fasi della patologia virale.
2- Attività antinfiammatoria e immunostimolante
La lattoferrina, però, è anche in grado di esercitare un’attività antivirale quando viene aggiunta nella fase post-infezione, come dimostrato nell’infezione da Rotavirus e nell’infezione da HIV. L’efficacia nella fase post-infezione ci induce a ipotizzare che questa glicoproteina sia efficace anche nell’interferire con la fase intracellulare dell’infezione virale.
Qui entra in gioco il secondo meccanismo dell’azione antivirale della lattoferrina basato sulla sua attività antinfiammatoria, che dipende dalla capacità di entrare (per endocitosi) all’interno delle cellule ospiti e di passare nel nucleo, dove regola l’espressione dei geni pro-infiammatori, con il risultato finale di:
ridurre le citochine pro-infiammatorie (per esempio IL-6, IL-10 e TNF-α),
aumentare la risposta immunitaria aspecifica, grazie alle sue proprietà immunomodulatorie e antinfiammatorie.
In questo modo la lattoferrina può anche contrastare l’attivazione della “tempesta di citochine”, evitando così la pericolosa esacerbazione della patologia da coronavirus (Figura 1).
Sappiamo che alcune citochine (specie IL-6, IL-10 e TNF-α, che sono espressione della “tempesta di citochine”) e i livelli plasmatici di D-dimero sono stati descritti come biomarcatori correlati ad una prognosi negativa del CoVID-19, ma sappiamo anche che la lattoferrina è in grado di ridurre significativamente questi biomarcatori.
3- Modula l’omeostasi del ferro
Il terzo meccanismo antivirale della lattoferrina riguarda invece la sua capacità di regolare il metabolismo del ferro.
Appartenendo alla famiglia delle transferrine, la lattoferrina è in grado di legare e trasportare il ferro grazie alla sua elevata affinità per questo elemento (ogni molecola di lattoferrina chela reversibilmente due atomi di ione ferrico: Fe3+). La capacità di chelare due ioni ferrici per molecola è associata all’inibizione della formazione di specie reattive dell’ossigeno e al sequestro del ferro e spiega l’attività antibatterica e antivirale della lattoferrina.
Infatti, chelando il ferro, la lattoferrina limita la disponibilità di questo metallo, che è invece essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo di batteri e virus, acquisendo in questo modo una discreta attività antibatterica e antivirale. Va pure detto che, a differenza della transferrina che trattiene il ferro fino a un pH di circa 5,5, la lattoferrina lo trattiene fino a un pH di circa 3, favorendo il sequestro del ferro anche nei tessuti dove il pH è comunemente acido a causa del processo infiammatorio in corso.
Ulteriori attività
Sembra poi che la lattoferrina o un suo derivato svolgano anche una attività antitrombotica che è sicuramente utile nella prevenzione della complicazione del CoVID-19. Infatti, sappiamo che il CoVID-19 tende ad indurre trombocitopenia (riduzione delle piastrine plasmatiche) verosimilmente per intrappolamento dei megacariociti e ridotto rilascio in circolo delle piastrine. La lattoferrina invece riequilibra la conta piastrinica contrastando anche in questo modo il danno virale.
A tale proposito vorrei aggiungere che attualmente vengono trattati con anticoagulanti (eparina a basso peso molecolare) solo i pazienti gravi. L’esperienza clinica suggerisce invece un ruolo della lattoferrina nel prevenire l’evoluzione della malattia, migliorando la prognosi attraverso la sua azione sulla cascata coagulativa quando è utilizzata fin dalle prime fasi della malattia. Questo proprio per i suoi effetti antitrombotici di freno sulla migrazione cellulare che ottiene sia inibendo l’attivazione del plasminogeno sia regolando la fibrinolisi.
Tutti questi dati sulla lattoferrina hanno fatto dire a Valenti e Antonini dell’Università di Napoli che:
“La lattoferrina è un importante mattone delle nostre mucose, efficace nel difenderci sia dagli attacchi batterici sia da quelli virali”.
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