venerdì 29 maggio 2020

Fermiamo il progetto contro l’omofobia


IL PD RITORNA ALLA CARICA A LUGLIO CON LA LEGGE SULL'OMOFOBIA. IL PD SI RIVELA SEMPRE PIU' UN PARTITO POLITICO PROBLEMATICO PER LA STABILITA' ETICA E MORALE DELL'ITALIA.... 

Guai a coloro che chiamano
bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro.
(Isaia 5:20)

È stata fissata a luglio la ripresa alla Camera della discussione del Progetto di legge dal titolo «Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere», di cui il primo firmatario è l’on. Alessandro Zan (Pd). Trattasi del famigerato progetto di legge sull’ “omofobia”.

Se la legge vedesse la luce – eventualità probabile – colui il quale affermasse, ad esempio, che l’omosessualità è una condizione contro natura oppure citasse i giudizi più che negativi sull’omosessualità e sulle condotte omosessuali contenuti nella Bibbia e nel Catechismo della Chiesa cattolica potrebbe finirebbe in carcere (fino ad un anno e sei mesi) o sborsare sino a 6mila euro.

Per contrastare questa proposta di legge spesso, anche in casa cattolica, si articola un ragionamento che potremmo così sintetizzare: come esiste la libertà di sostenere pubblicamente l’omosessualità, parimenti deve essere riconosciuta la libertà di critica verso questa condizione. Questa analogia ha una sua efficacia sul piano retorico e dialettico, però in sé è fallace. Infatti la libertà è predicabile solo in connessione al bene e al vero. In altri termini non esiste la libertà di diffondere il male e l’errore. Dunque non esiste alcuna autentica libertà nel difendere l’omosessualità. Esiste solo la libertà di muovere critiche – ovviamente ragionevoli e mai volutamente offensive verso le persone omosessuali – all’omosessualità e alle condotte omosessuali, astenendosi, se non chiamati in causa direttamente, dal pronunciarsi sul profilo della responsabilità soggettiva (su tale aspetto l’ultimo giudizio spetta solo a Dio).

Questa riflessione, a rovescio e in prima battuta, è stata fatta propria anche dai militanti gay. Se l’omosessualità come la transessualità sono condizioni e scelte considerate dalla maggioranza delle persone eticamente buone e se entrambe sono ritenute beni giuridici (la legge Cirinnà ha elevato l’omosessualità a condizione giuridica), l’atteggiamento di rifiuto verso le stesse non può che cadere o sotto la mannaia di un divieto oppure tollerato.

Però c’è un inciampo. Nella società iperliberista in cui viviamo dove tutto è sindacabile e tutto opinabile, le lobby gay si sono rese conto che l’obiezione che fa riferimento alla libertà di espressione – se c’è la libertà di promuovere l’omosessualità deve essere garantita anche la libertà di segno opposto – è difficilmente superabile e allora ecco la strategia che appare sempre più vincente: spostare la discussione dal piano della libertà di pensiero a quello della discriminazione. Bene esprimere la propria opinione a patto che non si discrimini. Ma – sta qui il problema – la critica, ogni critica, comporta sempre operare un discrimen, ossia un discernimento, un distinguo. Se affermo che l’omosessualità è contro natura, va da sé che implicitamente distinguo tra omosessualità e orientamento naturale, considerandoli incompatibili e giudicando la prima come condizione non conforme al bene della persona.

Detto tutto ciò, domandiamoci quale potrebbe essere la strategia per tentare di fermare il progetto di legge Zan. Molte potrebbero essere le soluzioni, ma qui vogliamo accennare solo a due tipologie di interventi possibili. La prima si articola su un piano dialettico e proprio del diritto positivo. Dunque sarebbe lecito argomentare per assurdo come segue: ammesso e non concesso che si è liberi di esprimersi a favore dell’omosessualità, lo Stato non può tappare la bocca a chi disapprova tale condizione. La libertà di espressione non può essere riconosciuta a corrente alternata. Questo sì che sarebbe discriminatorio.

Su un secondo livello, assai più fondamentale, occorrerebbe invece sottolineare che solo la critica all’omosessualità è ragionevole e la possibilità di esprimersi a favore di quest’ultima dovrebbe essere derubricata come mera facoltà di fatto tollerata dall’ordinamento giuridico. Siamo ovviamente in uno scenario in cui il cane si morde la coda: infatti questo secondo piano di azione è praticabile solo a patto che venga riconosciuta la libertà di esprimersi in modo critico verso l’omosessualità, obiettivo che realisticamente oggi si potrebbe ottenere solo ricorrendo, tra le altre, alla prima strategia, quella di carattere giuridico-dialettico.

Ciò detto, questo secondo piano di azione risulta essere ovviamente e attualmente meno efficace dal punto di vista politico (sarebbe incomprensibile ai più), ma più efficace sotto l’angolatura culturale e, proprio per questo motivo, nel tempo anche più efficace sul piano politico. Ciò a dire che se non operiamo anche e soprattutto sul piano culturale per affermare che la condizione omosessuale è in antitesi con l’autentico bene della persona, ogni battaglia giuridica e politica avrà le armi spuntate. In parole povere, affermare: “Come io rispetto la tua libertà di parlar bene dell’omosessualità, tu devi rispettare la mia libertà di parlarne male”, già qualifica come un bene morale esprimersi a favore dell’omosessualità e quindi si concede un vantaggio all’avversario irrecuperabile. Occorre invece puntare sulla formazione delle coscienze.

In sintesi il confronto fondamentale su questa tematica non deve avvenire sul terreno delle libertà, ma su quello del giudizio morale sulla condizione omosessuale e le condotte omosessuali, giudizio che interessa il bene comune e quindi anche l’ambito giuridico.

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