NOME DELL’EX PREMIER USATO IN GERGO MALAVITOSO PER INDICARE I BOSS DEI TRAFFICI FINANZIARI LUCROSI GRAZIE AI BARCONI DI CLANDESTINI NEL CULT ESOTERICO MAPHITE DI ‘AURA’ MASSONICA
DOSSIER DIA: I REATI DELLE CONFRATERNITE AGLI SQUADRISTI PUNITIVI CHIAMATI “MACELLAI” AL VOODOO PER SCHIAVIZZARE PROSTITUTE MINORENNI
__di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Centinaia di pagine (568) che nel dossier semestrale della Dia (Direzione Investigativa Antimafia) naascondono anche rivelazioni inquietanti ed imbarazzanti in riferimento ai “cult” come vengono chiamate le consorterie mafiose nate in Nigeria ed oramai largamente diffuse e radicate in Italia anche grazie i patti di reciproca tolleranza con Cosa Nostra in Sicilia e la Camorra in Campania.
Una baby-prostituta in una zona di periferia di una metropoli italiana
Nel Bel Paese si sono anche assai arricchite grazie al traffico di esseri umani, alla riduzione in schiavitù delle prostitute, un terzo delle quali minorenni per l’ennesimo allarme pedofilia, al traffico di ovuli di droga con gruppi di corrieri incensurati persino occidentali ed asiatici, ed ovviamente con tutti i racket di estorsione e rapina che gli ultimi delinquenti della filiera criminale compiono nei quartieri di loro predominio: con una violenza tale da spaventare persino i più spietati mafiosi italiani. Le informazioni sono tali e tante che dovremo dividere il reportage in 2 puntate: la prima sul fenomeno in generale, la seconda sui quattro principali gruppi nel dettaglio e le inchieste più rilevanti su di loro.
In mezzo a questa ridda di feroci bestie africane, mi quereli il primo giudice che ritiene umani individui che violentano e gettano sulla strada fanciulle di 12 anni o vendono gli organi di ragazzini come si è scoperto avvenire a Castel Volturno (Caserta), ci sono malavitosi nigeriani che si distinguono per un’impronta più raffinata che sembra palesare un’espressione esoterica intellettuale altamente selettiva analoga a quello della massoneria occidentale deviata e sovente alleata della mafia.
Non si sa se in omaggio ai sionisti-massonici del gruppo Bilderberg, che potrebbero anche aver incentivato la nascita di queste mafie nere scaturite dai college universitari e non dalla strada, oppure se per gratitudine ad un ex premier assai favorevole ai barconi dei migranti, ricchezza quotidiana di queste organizzazioni criminali nere, o se per farsi beffa dell’Italia giudiziaria, severissima col contribuente italiano sprovvisto di paletta per la deiezione canina ma pietosa con il clandestino armato di machete violento persino contro la polizia, fatto sta che “Mario Monti” è il nome che qualifica il boss responsabile della sezione “trasferimento denaro” all’interno del Maximo Academyc Performance Highly Intelectual Empire.
Il simbolo esoterico dei Maphipe con le mani giunte ed una fiamma accesa evoca il rito d’iniziazione della mafia siciliana del santino bruciato tra le mani
Si tratta del cult nigeriano più noto con l’acronimo Maphite, che ha come simbolo due mani giunte e come “cupola” italiana principale la sezione denominata Famiglia Vaticana… Tutte queste informazioni sconcertanti emergono da un’attenta lettura del Focus inserito nella relazione al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia riferita al II semestre 2018.
Ecco quindi affiorare una marcatura intellettuale originale e capziosa che irride anche quello stesso Stato Pontificio così prodigo di prediche di accoglienza indiscriminata verso i migranti, destinati in buona parte a restare disoccupati, essere sottopagati o diventare complici o schiavi dei Vikings, degli Eye o dei famigerati Black Axe che hanno come simbolo l’ascia e designano con gli inequivocabili nomi di Butchers (macellai) i picchiatori inviati dai Lord per le punizioni punitive contro i militanti inottemperanti alle rigorose regole o le prostitute ribelli.
Malavitosi nigeriani arrestati dalla Polizia a Palermo lo scorso anno
Mentre la sinistra rossa si straccia le vesti per accogliere tutti i clandestini e segnala il rischio di una rinascita dei Fasci di combattimento tra gli estremisti di destra, ecco la DIA che lancia l’allarme su quelli che possiamo ben definire squadristi neri, non per connotazione politica ma di pelle: perché appartenenti alla mafia nigeriana che si è consolidata a tal punto, nel Bel Paese delle toghe rosse buoniste, da assumere i delinquentelli italiani per i lavori più umili come quello di tagliare la cocaina…
In Nigeria, invece, per arginare il fenomeno delle schiave sessuali destinate al meretricio assoggetate col rito esoterico juju, la massima autorità religiosa nazionale del culto Voodoo ha ufficialmente proibito i riti di “maledizioni” ed il Governo da tempo ha recepito l’allarme vietando ogni consorteria universitaria alla stregua di come le società segrete massoniche furono messe al bando insieme alla mafia dal Duce, tanto da costargli non solo la morte senza processo ma pure la gogna pubblica di Loreto. Chiarisco subto, a scanso di equivoci, che non sono affatto xenofobo e non ho pregiudizio alcuno nè contro i buoni africani nè contro i neri onesti, essendo un appassionato lettore delle poesie di Sedar Senghor sulla Negritude ed avendo stimati conoscenti ed amici immigrati di colore. Ma la criminalità è un’altra cosa…
LA DIA IMPEGNATA DAL 2001 COL PROGETTO JUJU
E’ davvero un incubo quello che emerge dal dossier DIA focalizzato sulla criminalità nigeriana. Una tregenda di ramificazioni consolidate da sembrare quasi figlia di un progetto geopolitico più che di un semplice fenomeno di degenerazione malavitosa: ovvero il disegno criminoso internazionale di rendere l’Italia fulcro di una mafia strapotente che sta nascendo grazie alle sempre più frequenti connessioni tra i Cult nigeriani e le famiglie di ‘Ndrangheta calabrese (la più diffusa e forte nel mondo come vedremo in un prossimo reportage), Cosa Nostra siciliana, Camorra campana e consortiere lucane pugliesi. Ma ecco origini, storie, riti sanguinari e voodoo delle nuove mafie nere all’ombra del tricolore…
«Nel 2001, alla luce delle analisi emergenti, il I Reparto della DIA aveva già realizzato il progetto investigativo e di prevenzione denominato “Ju-Ju”, un monitoraggio specifico sulla criminalità nigeriana che produsse utili spunti, poi partecipati agli Uffici investigativi centrali delle Forze di Polizia ed alla Direzione Nazionale Antimafia. Tuttavia, le difficoltà incontrate in tali investigazioni si sono rivelate tendenzialmente superiori se si considera, ad esempio, quanto possa incidere, in termini di speditezza nelle indagini, la traduzione di una lingua straniera che si declina attraverso una miriade di dialetti diversi tra loro, non di rado reciprocamente incomprensibili». Scrivono i funzionari dell’organismo investigativo interforze DIA composto da personale di Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanzia e Polizia Penitenziaria, attualmente diretto dal generale di Divisione dei Carabinieri Giuseppe Governale.
La cover del rapporto semestrale della DIA – Direzione INvestigativa Antimafia
Esattamente come capitò al generale Carlo Aberto Dalla Chiesa e ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella lotta alla Mafia siciliana il primo nodo «di grande rilievo è l’attenta e precomprensione di una delittuosità, come quella nigeriana, che, se letta per casi singoli, è destinata ad incidere unicamente sulla percezione della sicurezza di una delimitata area territoriale. È necessario, invece, saper leggere il fenomeno nel suo insieme (…) Saperlo comprendere, quindi, come un vero e proprio macrofenomeno, la cui analisi non può prescindere dalla conoscenza delle sue origini e delle sue proiezioni internazionali: esattamente nello stesso modo in cui abbiamo imparato a comprendere e ad affrontare la ‘ndrangheta e le altre mafie storiche autoctone, forti di un know how investigativo consolidato nel tempo e particolarmente competitivo a livello internazionale» rimarca la Direzione Investigativa Antimafia.
L’arrivo di cittadini nigeriani in Italia risale agli anni ’80, perlopiù attraverso flussi migratori irregolari che si diressero, in prima battuta, nel Nord Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna). A fianco ad una comunità nigeriana operosa e desiderosa di integrarsi, iniziarono progressivamente a manifestarsi sacche di illegalità. Espressioni criminali qualificate si verificarono quando vennero intercettati i primi “corrieri” di droga: in Italia, il primo arresto di un narcotrafficante nigeriano risale al 1987. «L’operatività dei primi gruppi “organizzati” venne ad evidenziarsi nei primi anni ’90 anche nel centro-sud, in particolar modo in Campania, nella provincia di Caserta e sul litorale domitio. Spesso irregolari, i cittadini nigeriani sono oggi stanziati su tutto il territorio nazionale dal nord fino al sud, con una presenza importante anche nelle isole maggiori, in particolare a Palermo e Cagliari» nota la Dia.
Il rapporto 2018 elaborato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali riferisce di 103.985 nigerinai regolarmente soggiornanti dei quali 21.422 in asilo da rifugiati. Tra le principali nazionalità non comunitarie, quella nigeriana rileva il più basso tasso di occupazione (il 45,1% a fronte del 59,1% dei non comunitari) ed il più alto tasso di disoccupazione, (il 34,2%, a fronte di una media del 14,9% dei non comunitari). Brutale la sentenza del resoconto: “…Gli indicatori analizzati restituiscono il quadro di un’integrazione dei cittadini nigeriani nel mercato del lavoro italiano non del tutto compiuta. Tali dati sono probabilmente da collegare alle caratteristiche socio-demografiche della comunità ed alla sua storia migratoria…si tratta infatti di una delle nazionalità con una maggiore incidenza di titolari di protezione internazionale…”.
A questo numero va aggiunta quota signifcativa, ma indefinibile, dei circa 90mila irregolari presenti in Italia secondo le ultime statistiche diffuse dal Ministro degli Interni Matteo Salvini. Un dato ritenuto comunque assai parziale, per difetto, rispetto ai conteggi dell’Ismu che indicano la componente di migranti irregolari in Italia in 533mila (cui vanno comunque sottratti almeno i circa 270mila gia emigrati in altri paesi Ue).
MALEDIZIONE COL VOODOO CONTRO LE SCHIAVE SESSUALI
L’analisi degli investigatori antimafia comincia rimarcando l’importanza dei collaboratori di giustizia «che hanno deciso di rompere il muro di omertà, fornendo importanti indicazioni sulla struttura e sul modus operandi dei sodalizi, dal reclutamento degli affiliati fino alla realizzazione delle attività illecite» rendendo possibile la conclusione delle indagini con ecine e decine di arresti. Peccato che il “focus” dell’Antimafia manchi di dati statistici come quelli esposti sulle mafie nostrane. Gli investigatori rammentano il rilievo dell’art. 18 del Decreto Legislativo n. 286/1998 che consente alle donne vittime di tratta di poter ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto, come già detto, i settori più reddizi delle mafie nere sono quello dell’immigrazione clandestina, del traffico di esseri umani e della prostituzione.
Una giovanissima prostituta nigeriana in Italia
«A tal riguardo assume sicuramente rilievo un’importante iniziativa, presa il 9 marzo 2018, a Benin City (Stato di Edo) dall’Oba (re in lingua yoruba) Eware II, massima autorità religiosa in Nigeria (un re spirituale secondo la popolazione devota al culto animista Voodooo – ndr), il quale, per arginare il fenomeno delle donne sfruttate sessualmente in Europa ed assoggettate ai riti voodoo e juju, ha emesso un editto in cui vieta tutti i riti di giuramento che vincolano con maledizioni terribili le ragazze che accettano o cadono nella rete dei trafficanti di esseri umani. L’editto ha imposto ai native doctors dello Stato di Edo di annullare tutte le maledizioni e i giuramenti posti sulle vittime di tratta, lanciando, nel contempo una maledizione su coloro che costringessero ancora le vittime a prestare giuramento» riferisce la Dia.
A ciò ha fatto seguito un provvedimento politico: «Il 23 maggio successivo, come conseguenza, il governatore dello Stato di Edo, Godwin Obaseki ha firmato una legge per il divieto, la prevenzione e la punizione del traffico di esseri umani. È un’iniziativa che assume una rilevanza ancora maggiore se si tiene anche conto dei dati raccolti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (O.I.M.)1403 nel recente Rapporto realizzato presso i luoghi di sbarco in Italia, nell’ambito dei progetti Assistance e Aditus, finanziati dal Ministero dell’Interno tramite il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI)».
Nel 2016 l’OIM ha fornito nei Paesi dell’Unione Europea, in Svizzera e in Norvegia assistenza diretta a 768 casi di vittime di tratta, di cui 390 donne, 116 uomini e 262 minori. Si tratta di un dato molto significativo, in quanto evidenzia come la maggior parte delle vittime assistite siano proprio di nazionalità nigeriana (pari al 59%), seguite da Bulgaria (11%), Romania (8%), Ungheria (3%) e Thailandia (2%). Ma rivela pure che quasi un terzo sono minorenni…
I CULTS: CONFRATERNITE FIORITE NELLE UNIVERSITA’
«Le organizzazioni criminali nigeriane traggono la loro origine da una vera e propria degenerazione delle confraternite (cults), fondate, sul modello americano, nelle Università della regione del Delta del Niger, fin dagli anni ’50 dello scorso secolo, con lo scopo di diffondere messaggi di pace e di rispetto, condannando qualsiasi azione e forma di razzismo e di apartheid. In tempi molto brevi, tuttavia, le confraternite si evolvevano in organizzazioni criminali espandendosi anche fuori i confini delle stesse Università». Evidenziano gli investigatori in riferimento a movimenti culturali che per la loro connotazione esoterica ed occulta ricordano molto anche le società segrete massoniche, dagli Illuminati di Baviera fino alla alla Loggia Madre di Charleston ed al Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico Accettato, di cui divenne gran maestro negli Usa Albert Pike, tra i fondatori del Ku Klux Klan.
La prima confraternita censita fu quella che prese il nome di Pyrates, che a seguito di una scissione diede vita, negli anni ’70, a due gruppi distinti i Sea Dogs e i Buccaneers. Poi tali gruppi diedero vita al Neo Black Moviment Of Africa trasformatosi poi in un altro che, ben presto, divenne egemone all’interno dell’Università di Benin City (Stato di Edo), dal nome di Black Axe Confraternity. Anche questi ultimi, poi, vennero interessati da una scissione interna, da cui prese origine la Eiye Confraternity.
«Negli anni ‘80 le confraternite si diffusero nelle Università nigeriane e, nel 1984, un ex-membro della confraternita dei Buccaneers fondò la Supreme Vikings Confraternity (conosciuta come Adventurers o Denorsemen Club Of Nigeria) – rimarca il dossier Dia – Nel 1999, con l’avvento della democrazia, la Nigeria fu colpita da lotte interne tra i vari partiti politici, ognuno dei quali, pur di affermarsi in occasione delle tornate elettorali coinvolse anche le confraternite universitarie, non solo per ottenere consensi ma utilizzandone i componenti come guardie del corpo, spesso integrate nelle Forze di polizia locali».
Il simbolo dell’organizzazione malavitosa Black Axe, l’ascia nera che rompe le catene
Con il passare del tempo le confraternite uscirono dal mondo universitario acquisendo sempre potere infiltrandosi nel mondo economico, politico e sociale nazionale. I metodi violenti usati indussero il legislatore nigeriano a vietarne la costituzione. Grazie anche alle pressioni internazionali, nel 2001 il Governo Federale della Nigeria ha emanato il “Secret cult and Secret Society Prohibition Bill che ha introdotto il “reato costituzionale” di creazione o partecipazione a qualsiasi attività dei secret cults. Ma era ormai troppo tardi: «Ancora oggi in Nigeria i cult e le confraternite sono molto presenti e ben radicate» stigmatizzano gli investigatori. Acquisita ormai una vera e propria connotazione criminale, i cults hanno dimostrato sin da subito la capacità di fare affari con altre consorterie al di fuori della Nigeria, espandendosi all’estero, in quasi tutti i Paesi europei, soprattutto in Italia, nel Nord e nel Sud America, in Giappone e in Sud Africa.
«Permeata da uno spiccato associazionismo, in cui interagiscono diversificati centri di interesse, la criminalità nigeriana si è sviluppata al di fuori della madrepatria, sfruttando i flussi migratori – aggiunge la Dia – La documentazione giudiziaria ed informativa degli ultimi anni evidenzia gli ampi margini di operatività dei sodalizi nigeriani attivi in Italia, dal traffico internazionale e lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti alle estorsioni soprattutto in danno di cittadini africani gestori di attività commerciali, all’induzione ed allo sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla falsificazione di documenti, alla contraffazione monetaria, alla tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, alle truffe e frodi informatiche, ai reati contro la persona e contro il patrimonio. Le modalità di azione criminale, i collegamenti transnazionali, il vincolo omertoso che caratterizza gli associati e il timore infuso nelle vittime, hanno peraltro fatto luce, nel tempo, su un agire sotto molti versi simile alle metodiche mafiose. Tutti questi gruppi sono, infatti, organizzati in maniera verticistica al cui interno ognuno riveste il proprio ruolo».
L’accesso prevede un vero e proprio rito di affiliazione e l’obbligo al pagamento di una sorta di “tassa di iscrizione”, al finanziamento della confraternita chiamata a provvedere, come tutte le organizzazioni criminali di spessore, al sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti, secondo un vincolo di assistenza previdenziale. «Costituiscono un fattore di coesione molto elevato le ritualità magiche e fideistiche, che, unite al vincolo etnico e alla forte influenza nella gestione da parte delle lobby in madrepatria, produce una forma di assoggettamento psicologico molto forte» rimarcano i funzionari dell’Antimafia ma è l’impronta punitiva a caratterizzare queste consorterie africane.
«L’uso della violenza fisica è la principale forma di punizione per le violazioni delle regole interne: non a caso un ruolo importante viene rivestito, nel cult Eiye, dalle figure dell’Eagle (“aquila”, capo dei picchiatori), nei Black Axe, dai Butchers (macellai) o Sluggers (picchiatori). La violenza è generalmente indirizzata verso connazionali – di solito donne costrette all’esercizio della prostituzione e uomini restii a farsi affiliare o adepti inottemperanti – che difficilmente ricorrono alla giustizia, anche perché quasi mai riescono a percepirsi come vittime di reato».
TUTTA COLPA DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Un barcone carico di migranti che arrivano in gran parte dalla Nigeria
«Ovviamente esiste un legame tra il fenomeno migratorio irregolare, la tratta di persone e lo sfruttamento sessuale. In tale ambito l’organizzazione criminale controlla l’attività delittuosa in tutte le sue fasi, dal reclutamento fino all’invio delle donne nei Paesi al di fuori del territorio africano e alla messa su strada. Un processo criminale attuato attraverso modalità e fasi ben precise. L’immigrazione irregolare si è rivelata, pertanto, un’occasione propizia per il compimento di gravissimi reati come la tratta di persone prevalentemente a scopo di sfruttamento sessuale, commessa nella maggior parte dei casi in danno di ragazze in giovanissima età». Si legge nel dossier dove si ricorda come la tratta di esseri umani costituisce un crimine transnazionale, in tal senso definito dall’art. 3 del “Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini”.
«Stando a quanto emerso nel corso di recenti inchieste, coordinate da diverse Procure Distrettuali nazionali, il “trafficante” delle vittime di tratta è parte di una “rete” criminale transnazionale radicata nei Paesi di origine dei flussi migratori, ove realtà caratterizzate da estrema povertà o da contesti socio-politici instabili diventano fattori di attrazione per le organizzazioni criminali dedite a tali attività illecite – scrive la Dia – Si tratta di sodalizi strutturati in “cellule” operanti nei singoli Paesi interessati dalla “filiera” criminale, ognuna delle quali interviene all’occorrenza, occupandosi di una determinata “fase” che caratterizza la tratta. Il reclutamento avviene normalmente nel Paese di origine. Le giovani donne – reclutate in buona parte nello Stato di Edo, intorno alla capitale Benin City, ove sarebbero presenti articolate strutture operative e logistiche – risentono della situazione di assoluta precarietà economica unita alla speranza di trovare all’estero migliori condizioni di vita, inducendo spesso le proprie famiglie a rivolgersi a persone collegate con le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico».
L’avvicinamento e l’opera di convincimento avvengono attraverso una donna, madame o maman in gergo, che ha la funzione di reclutatrice nel convincere le ragazze interessate all’espatrio con false promesse di lavoro, per poi consegnarle a chi materialmente le porterà in Europa e, quindi anche in Italia. La madame assume così un ruolo centrale, stabilendo un legame molto stretto con le giovani donne, basato su riti di iniziazione chiamati “juju”, simili al voodoo, propri della cultura yoruba con vero e proprio giuramento di fedeltà all’organizzazione e alla mamam stessa pena la morte anche dei propri cari. La durata del viaggio via terra risulta essersi allungata a causa delle lunghe rotte africane che si concludono nei Paesi rivieraschi.
«Da lì le vittime sono poi introdotte clandestinamente in Italia e costrette, con minacce e violenze fisiche e psicologiche, ad esercitare il meretricio lungo le strade delle nostre città, sotto lo stretto controllo dei membri delle organizzazioni. Il sistema criminale nigeriano si fonda sulla schiavitù da debito (debt bondage) che obbliga le vittime a sottostare a gravi forme di sfruttamento per poter saldare cifre molto alte di denaro in cambio della loro libertà – rimarca la Dia – Nella maggior parte dei casi, poi, il debito continua ad aumentare a causa dell’obbligo di sostenere costi inizialmente non pattuiti (per l’affitto del posto letto, per le bollette, per il cibo, per i vestiti). Le malcapitate sono costrette a pagare il prezzo, alla madame di riferimento, anche per l’utilizzo del luogo pubblico di meretricio, in gergo chiamato joint. Il ricavato consente alla madame di ricevere velocemente il plusvalore dell’investimento effettuato con l’acquisto delle donne e di reinvestire nuovamente il capitale, attraverso anche un ricambio continuo di ragazze ampliando cosi il proprio raggio di azione». Un giro d’affari turbinoso e senza fine sui corpi di ragazze povere ed illuse da allettanti campagne di emigrazione.
LE MINACCE DI MORTE AI FAMILIARI DELLE SCHIAVE
A differenza di altri gruppi le nigeriane continuano ad essere le principali vittime della tratta anche per le fondate minacce di morte ai parenti in patria che le dissuade dalla denuncia. Nonostante ciò questo è accaduto ed ha consentito alle forze di polizia di smantellare varie cellule in tutta Italia. Dal 2014 al 2019 sono stati rilasciati, complessivamente, 580 titoli di soggiorno per motivi umanitari di protezione sociale per le vittime di reati. Pochi in relazione ai
Tra le principali operazioni messe a segno contro la mafia nigeriana la Direzione Investigativa richiama «l’operazione “Trafficking”, eseguita dalla Polizia di Stato, a Palermo, nel marzo 2018» con l’arresto di 4 nigeriani e 2 maman per sfruttamento della prostituzione di giovani donne. Quella denominata “Mommy”, conclusa nel mese di maggio 2018 dalla Questura di Napoli: arrestati 5 nigeriani e un napoletano «per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, al favoreggiamento all’ingresso clandestino di cittadini stranieri, nonché alla riduzione in schiavitù, con l’aggravante della transnazionalità».
«Le indagini, coordinate dalla DDA di Napoli, sono state avviate nell’aprile del 2016 in seguito a una denuncia sporta da una minorenne nigeriana, la quale aveva raccontato, agli inquirenti, di essere arrivata in Italia con un barcone, insieme ad altri 140 connazionali, transitando per la Libia. Sbarcata sulle coste siciliane, era stata prelevata e accompagnata, con una sua amica, a Giugliano (NA), dove entrambe erano state consegnate a una madame e costrette a prostituirsi per pagare un debito di 30 mila euro, per riscattare la propria libertà. Anche in questo caso, la vittima ha raccontato come, prima di lasciare il suo villaggio a Benin City, fosse stata sottoposta al rito ju-ju» riporta il dossier Dia.
Tali forme rituali continuano ad essere riscontrate anche nel nord del Paese come emerso dall’operazione “Voodoo Girls”, conclusa nel mese di aprile del 2018 dalla Polizia di Stato di Cuneo con l’arresto di sei nigeriani (4 donne e 2 uomini), di un sodalizio perlopiù femminile, stanziato a Torino, impegnato nel reclutamento di giovani connazionali direttamente nei villaggi rurali della Nigeria.
Più recente l’operazione “Maman”, conclusa il 13 giugno 2019 tra Palermo, Napoli, Dervio (LC) e Bergamo, dalla Guardia di Finanza palermitana con il fermo 4 soggetti di nazionalità nigeriana, liberiana ed italiana, tra i quali 35enne maman del capoluogo siciliano.
LA DROGA A GRAPPOLO E GLI AFFARI CON LA CAMORRA
Il settore del trafficking risulta strettamente connesso con quello degli stupefacenti: la criminalità nigeriana sembra utilizzare opportunisticamente gli stessi canali e le medesime strutture per i diversi “servizi” criminali, operando, ormai da tempo, come fornitrice, mediatrice ed organizzatrice dei traffici di droga anche in molti Paesi europei ed extraeuropei.
«La criminalità nigeriana adotta una particolare tecnica di trasporto “a grappolo” o “a pioggia”, che coinvolge un gran numero di corrieri incaricati di trasportare quantità relativamente piccole di stupefacenti – spiegano gli investigatori nel dossier – Questi, spesso ingoiatori di ovuli contenenti la droga o occidentali incensurati (meno soggetti a controlli), utilizzano differenziate rotte d’ingresso, aeree, marittime e terrestri, anche attraverso autobus privati di linea diretti verso il nord Europa (in tal ultimo caso l’occultamento avviene all’interno di bagagli privi di ogni elementi identificativo). In questo modo l’eventuale arresto di un corriere consente comunque all’organizzazione criminale di limitare al massimo le perdite, pur mantenendo alto il livello complessivo dei quantitativi di droga trafficata».
Nel nostro Paese le aree maggiormente interessate dai flussi di stupefacente gestiti dai gruppi nigeriani sono la provincia di Caserta e Palermo, mentre, nel nord, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. Per la gestione dei traffici di stupefacenti, la criminalità nigeriana si è ritagliata, nel nostro Paese, un proprio “microcosmo”, tendenzialmente avulso da contrapposizioni con la criminalità organizzata autoctona, instaurando una sorta di “convivenza” reciprocamente accettata.
L’area di Castel Volturno, nel casertano, fortemente inquinata dalla presenza del clan dei Casalesi, può essere sicuramente considerata, da almeno tre decenni, proprio l’espressione della coesistenza tra gruppi camorristici e criminalità nigeriana, Quest’ultima è riuscita ad imprimere a quel territorio – già di per sé connotato da forti criticità – l’immagine, anche a livello mediatico, di una sorta di free zone – quale punto nevralgico dei traffici internazionali di droga e della massiva gestione della prostituzione su strada – favorita, nel tempo, anche dalla disponibilità alloggiativa, talvolta abusiva, da parte di proprietari del posto senza scrupoli.
La coesistenza tra i clan della camorra casertana e i nigeriani (o comunque i cittadini africani stanziati sul litorale domitio) non è stata mai, tuttavia, indolore. Già nel 1986 erano stati registrati ferimenti di cittadini centro africani sulla via Domitiana. Le conflittualità culminarono nella “Strage di Pescopagano”, frazione del Comune di Castel Volturno (CE), avvenuta il 24 aprile 1990, quando, sotto i colpi del clan mondragonese dei La Torre, rimasero uccise 5 persone (un italiano e 4 cittadini extracomunitari), vicino e dentro ad un bar; altre 7 persone rimasero gravemente ferite. Le indagini evidenziarono che gli esecutori agirono per conto dei Bardellino, al fine di eliminare la presenza di extracomunitari dediti allo spaccio di stupefacenti sul litorale domitio.
LA MAFIA NIGERIANA CON UN FATTURATO MILIONARIO
In tale contesto, l’operazione “Restore freedom” (aprile 2003), coordinata dalla DDA di Napoli, costituisce un caposaldo dell’azione di contrasto, atteso che per la prima volta è stata giudiziariamente individuata l’esistenza di un’organizzazione di matrice mafiosa nigeriana sul territorio nazionale. Nell’occasione vennero arrestati 32 soggetti (nigeriani e ghanesi), appartenenti ad una struttura criminale che, con metodi di tipo mafioso, provvedeva all’ingresso clandestino in Italia ed in altri Paesi europei di giovani nigeriane, anche minorenni, da avviare al mercato della prostituzione, su tutto il litorale domitio sino a Giugliano in Campania (NA). Tra gli arrestati, ben 19 erano le cosiddette madame, riunite in associazioni (Sweet Mother A., Supreme Ladies A., Great Binis A.), mentre gli uomini spesso erno solo autisti.
E’ stato il Gip del Tribunale di Napoli, in un’ordinanza, a rilevare il colossale giro d’affari: “…a testimonianza della rilevanza economica del fenomeno in esame, si sottolinea che l’analisi condotta attraverso il monitoraggio di una sola delle agenzie della Western Union di Castel Volturno, tramite la quale vengono effettuate le rimesse di denaro verso la Nigeria ed il Ghana, per i pagamenti delle ragazze, nonché per il trasporto delle stesse in Europae, anche, per il finanziamento delle famiglie originarie in Nigeria, ha consentito di accertare, nell’arco di due anni, il 2000 ed il 2001, un flusso economico pari a 250 milioni di lire per l’anno 2000 e di lire 750 milioni per l’anno 2001, che, ovviamente, costituisce solo uno spaccato del complessivo volume d’affari della citata organizzazione mafiosa”.-
«Venendo ai nostri giorni si può affermare, per l’area domitiana, che il ridimensionamento del clan Bidognetti su quel territorio ha lasciato spazi di manovra alle organizzazioni mafiose di matrice nigeriana che non solo gestiscono il traffico di stupefacenti, ma anche la tratta di esseri umani, da avviare alla prostituzione, mediante gravissime forme di intimidazione, esercitate con l’agire tipicamente mafioso, peraltro sancito da condanne definitive» recita il dossier dell’organismo antimafia interforze. Un recente esempio di (almeno apparente) coesistenza tra matrici mafiose autoctone e nigeriane si rinviene anche nell’area palermitana, dove le storiche famiglie mafiose manterrebbero il controllo delle attività nelle zone di rispettiva competenza, tollerando la presenza di gruppi stranieri organizzati per lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti. Cosa nostra, pressata da esigenze contingenti, e da sempre caratterizzata da un’opportunistica flessibilità, potrebbe essersi adattata alla nuova realtà evitando conflitti.
È importante sottolineare come non di rado la criminalità nigeriana si sia avvalsa di quella comune italiana, sfruttata come manovalanza con il compito di tagliare e spacciare al minuto la droga importata dall’estero oppure come corrieri nell’ambito dei territori cittadini.
Negli anni, è emersa anche una sostanziale non belligeranza – a volte con tratti di sinergia – da parte delle organizzazioni criminali nigeriane ed albanesi nel campo dello sfruttamento della prostituzione, particolarmente nel Triveneto ed in Campania, ove si è rilevata, sullo stesso territorio, la presenza di giovani donne appartenenti ad entrambe le nazionalità.
I 4 PRINCIPALI CULTS CON I MAPHITE “FANS” DI MONTI
Il paragrafo di pagina 537 del dossier Dia dove si parla dei soprannomi dei collaboratori del boss facendo riferimento all’ex premier Monti
Terminata l’introduzione generale la relazione si focalizza sulle caratteristiche e sulle indagini sui singoli cults a connotazione mafiosa attivi in Italia che sono principalmente quattro: – The Supreme Eiye Confraternity; Black Axe; Maphite; Vikings. Ad essi si affianca una serie di gruppi cultisti minori (Buccaneers, Aye ed altri), la cui presenza è stata delineata nel nostro Paese, oltre che dalle indagini, anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Vedremo nel prossimo reportage i curiosi nomi scelti da MAPHITE che ha chiamato Famiglia Vaticana la sezione che controlla l’Emilia Romagna ed il centroitalia, è dotata di una struttura d’intelligence chiamata DIC ed utilizza il nome “Mario Monti” per indicare uno dei sette collaboratori del Don, il boss ogni famigli di evidente reminescenza mafiosa siciliana, suddivisi per i settori di attività illecita. Il Mario Monti di ogni Famiglia è ovviamente quello addetto al trasferimento di denaro.
L’ex premier Mario Monti, presidente del Consiglio incaricato dal presiente del Consiglio dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013
«Ci si trova così di fronte ad una mafia, tribale e spietata, difficile da decifrare nelle dinamiche interne, che dal Nord Italia si è progressivamente diffusa su tutto il territorio nazionale, fino in Sicilia, dove ha trovato un proprio spazio, anche con il sostanziale placet di Cosa Nostra» rimarcano gli investigatori.
«L’analisi proposta restituisce l’immagine di una criminalità nigeriana che nonostante la pluralità dei gruppi (cults) che la compongono, si presenta compatta e con una fisionomia del tutto peculiare – conclude la Dia nel dossier – Si tratta di cults che nel tempo sono stati in grado non solo di avviare importanti sinergie criminali con le organizzazioni mafiose autoctone, ma di diventare essi stessi associazioni di stampo mafioso perseguibili ai sensi dell’art.416 bis c.p..
E la Corte di Cassazione non ha mancato di sottolineare, in più occasioni, i tratti tipici di quella che giudiziariamente è stata qualificata come “mafia nigeriana”: il vincolo associativo, la forza di intimidazione, il controllo di parti del territorio e la realizzazione di profitti illeciti. Il tutto, sommato ad una componente mistico-religiosa, a codici di comportamento ancestrali e ad un uso indiscriminato della violenza, che in molti casi ha addirittura impressionato gli stessi mafiosi italiani». Alla faccia dei fans dell’immigrazione indiscriminata… (continua)
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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