Premessa. Il danno alla salute nell’ambito del danno alla persona
Il danno alla salute è il danno all'integrità psichica e fisica di una persona in sé e per sé considerata, a prescindere da qualsiasi effetto economico negativo (si pensi alla lesione di un arto o ad una malattia fisica o psichica).
Il danno alla persona, invece, è un concetto più ampio, in quanto comprende anche i danni morali (ad esempio, la sofferenza patita a causa di una lesione) e i danni patrimoniali da lucro cessante (ad esempio, la perdita della capacità lavorativa).
Tra danno alla persona e danno alla salute sussiste, dunque, un rapporto di genere a specie: il danno alla persona è il genere e il danno alla salute è la specie.
In alcuni casi il danno alla salute viene accomunato al cosiddetto danno biologico; in realtà le due figure devono essere tenute distinte perché il danno biologico consiste nella lesione in sé e per sé considerata, ed è danno evento, il danno alla salute consiste nelle conseguenze pregiudizievoli per la salute che sono conseguenza della lesione, ed è danno conseguenza.
Ad esempio se Tizio perde una gamba, il danno biologico – dunque l’evento - è rappresentato dalla perdita dell’arto; il danno alla salute consiste invece nelle conseguenze pregiudizievoli sulla salute del soggetto, che sono una conseguenza indiretta della perdita dell’arto: ad es. l’alterazione dei valori del sangue, l’impossibilità di svolgere una vita sana a causa dell’impossibilità di praticare sport, con tutte le complicazioni del caso (aumento del colesterolo, aumentata possibilità di infarto, ecc.).
Le due figure vengono confuse perché, in alcuni casi, non è facile distinguere il danno alla salute dal danno biologico, quando addirittura è impossibile: ad esempio nella persona vittima di uno stupro, che subisce il cosiddetto danno psichico, oltre a quello alla salute ed esistenziale, il danno biologico è costituito dal trauma in se e per sé, il danno esistenziale e alla salute saranno costituiti dalle conseguenze (difficoltà di relazione, paure, insonnia, depressione, ecc.) ma, se in teoria tali momenti sono distinguibili, nella prassi non lo sono, perché l’accertamento di un aspetto delle vicenda presuppone gli accertamenti contemporanei anche degli altri aspetti.
Secondo un orientamento che fino a pochi decenni fa era prevalente (e che risaliva al diritto romano) il danno alla salute non poteva essere risarcito perché la persona umana non ha prezzo.
L'irrisarcibilità del danno alla salute discendeva direttamente dall'interpretazione data all'articolo 2059 cod. civ., in base alla quale i danni non patrimoniali possono essere risarciti solo nei casi previsti dalla legge; e i “casi previsti dalla legge” erano letti da dottrina e giurisprudenza in senso restrittivo, limitato unicamente ai casi in cui il fatto costituisse reato.
Ai sensi dell'articolo 2043 cod. civ., quindi, era ammesso solo il risarcimento del danno patrimoniale, inteso come danno effettivo al patrimonio.
Nessun ostacolo, quindi, sussisteva al risarcimento del danno da lucro cessante che eventualmente fosse conseguenza del danno alla salute. Ad esempio, se una persona si rompeva la gamba in un incidente, tale danno non veniva risarcito di per sé; veniva risarcito, invece, se la rottura della gamba produceva conseguenze patrimoniali (cioè se produceva un danno da lucro cessante).
Tuttavia, si sentiva l'esigenza di risarcire ugualmente coloro che avessero subito lesioni psico-fisiche, anche quando non esistevano conseguenze patrimoniali. Per ovviare al limite posto dall'articolo 2059, allora, se si doveva calcolare il danno ad una persona anziana e inabile al lavoro, ad un bambino, ad un lavoratore che continuasse a percepire lo stipendio, a un pensionato, si ricorreva ad espedienti disparati.
La situazione, quindi, era questa:
a) quando la persona percepiva un reddito il danno a lei arrecato veniva quantificato a seconda del suo guadagno; era ancorato a rigidi parametri, e più precisamente a tabelle che calcolavano le percentuali di inabilità per ogni tipo di lesione e a coefficienti relativi all'età della persona (tabelle INAIL) ed al reddito percepito. Il danno alla salute - ha per lungo tempo stabilito la giurisprudenza - si identifica con la perdita economica che deriva dalla diminuzione della capacità lavorativa;
b) quando la persona non percepiva alcun reddito si utilizzavano escamotage vari; ecco quindi che proliferavano le più disparate figure di danni "patrimoniali":
- la riduzione della capacità lavorativa generica, nel caso in cui il lavoratore infortunato continuasse a percepire il reddito;
- il presumibile guadagno futuro, quando il danneggiato era un ragazzo o un bambino che non percepiva reddito; Al riguardo si registravano sentenze che potrebbero definirsi addirittura "assurde"; tali sentenze erano motivate da un nobile intento (risarcire ad un soggetto un danno che altrimenti non sarebbe stato risarcibile) ma vi giungevano con motivazioni difficilmente sostenibili, come quando si liquidava il danno che era stato cagionato al figlio di un manovale, prendendo come base di calcolo il reddito del padre, sostenendo che presumibilmente il figlio avrebbe fatto lo stesso lavoro (è il famoso caso "Gennarino", deciso da Trib. Milano, 18-1-1971);
- il danno alla vita di relazione, categoria molto contestata in dottrina;
- il danno estetico, considerato patrimoniale perché influiva negativamente sull'inserimento sociale (e quindi lavorativo) del soggetto (ora, dal momento che tale danno veniva risarcito anche quando dopo l'incidente il soggetto continuava a lavorare, si possono immaginare le contorsioni verbali cui si giungeva per poter configurare una perdita economica).
In definitiva, il danno alla salute di per sé non sarebbe stato teoricamente risarcibile (salvo quando produttivo di danni patrimoniali), ma di fatto veniva risarcito ugualmente. In tal modo si erano evitate le forche caudine dell'articolo 2059 (mutuando un'espressione usata da Di Majo).
Da più parti, però, si lamentava l'incostituzionalità del criterio di liquidazione del danno come veniva adottato dalla giurisprudenza, in quanto si venivano ad operare differenze di risarcimento tra i vari soggetti in base al reddito percepito, quando invece il tipo di lesione procurato era identico e non incideva affatto sulla capacità lavorativa.
Successivamente l'orientamento della giurisprudenza muta. Si cominciò a notare che la salute è un valore primario della persona, tutelato espressamente dall'articolo 32 della Costituzione; in quell'ottica di depatrimonializzazione del diritto civile che permeava la cultura civilistica negli anni '80 sembrò del tutto fuori tempo riconoscere la risarcibilità dei danni arrecati al patrimonio e non risarcire il danno arrecato all'integrità fisica di un soggetto, che invece è un valore ben più importante.
Nel momento stesso in cui la dottrina ha cominciato a considerare le norme costituzionali come norme precettive, si è riconosciuta l'immediata operatività all'articolo 32 della Costituzione e nessun ostacolo si è più profilato all'orizzonte per il riconoscimento del danno alla salute.
In definitiva, si fissò definitivamente il principio che leggere il sistema della responsabilità nel senso della irrisarcibilità dei danni alla persona (salvo che portino conseguenze di tipo economico) equivarrebbe a considerare incostituzionale tutto il sistema.
A partire dal 1981 la Cassazione cominciò a sostenere che il danno biologico, o danno alla salute, sia risarcibile sempre e comunque, indipendentemente da considerazioni di ordine economico. Da quel momento la giurisprudenza ha definitivamente spostato l'attenzione dal danno rapportato unicamente al guadagno al danno rapportato al valore della persona umana in sé e per sé.
Il danno alla salute, quindi, oggi è il danno arrecato alla psiche o al corpo di un individuo, indipendentemente dal suo guadagno effettivo. Tale danno è considerato su di una base unitaria per tutte le persone, di qualsiasi ceto e lavoro, e viene liquidato in via equitativa.
Non è più necessario inventare astratte e improbabili figure di danno patrimoniale, come il danno alla capacità lavorativa generica, il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno all'attività sessuale ecc. Tali espressioni sono tuttora mantenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ma devono essere intese come voci da ricomprendere nella categoria più ampia e onnicomprensiva del danno alla persona.
In conclusione: il danno alla salute è risarcibile ed è uguale per ogni individuo, differenziandosi solo in base al tipo di menomazione. A questa base comune, poi, si aggiungerà il danno da lucro cessante, e cioè tutte le altre eventuali voci di danno, diverse da persona a persona, con le quali si adegua l'effettiva lesione subita al guadagno che percepiva il soggetto e a tutte le altre perdite economiche che il danno ha comportato.
Per esemplificare ulteriormente, potremmo dire che il danno alla salute è il danno a tutte le attività extralavorative del soggetto che permettono la realizzazione e l'esplicazione della personalità dell'individuo; il danno da lucro cessante è il danno alle attività lavorative.
Quando si valuta il danno alla persona, dunque, occorre tenere conto di entrambe le voci di danno (oltre che dell'eventuale danno morale).
Un esempio chiarirà il tutto. Se una persona perde una gamba a seguito di un incidente, subisce un danno alla salute; questo danno viene liquidato in via equitativa ed è uguale per chiunque (ad esempio è liquidato in 200 mila euro). In seguito alla perdita della gamba, il soggetto potrebbe perdere il lavoro; in tal caso verrà risarcito anche del lucro cessante e tale tipo di danno non è liquidato in via equitativa, ma varia a seconda del reddito del soggetto, nonché del tipo di lavoro che costui svolgeva. Così, ad esempio, se il danneggiato è un corridore che guadagna 1 milione di euro l'anno, il danno economico sarà elevatissimo; costui riceverà 200 mila euro per il danno alla salute, nonché il ristoro per l'ulteriore danno economico subito, che potrebbe ammontare a vari milioni in quanto il soggetto non potrà più correre. Se, però, il danneggiato è uno scrittore - che guadagna sempre 1 milione di euro all'anno - il danno patrimoniale sarà certamente minore; di conseguenza, costui riceverà 200 mila euro per il danno alla salute, nonché una somma a titolo di risarcimento per il lucro cessante più bassa rispetto a quella del corridore, in quanto non perde del tutto la capacità di lavorare.
Dal momento in cui si è cominciato a parlare di danno biologico si è molto discusso sulla sua natura, patrimoniale o non patrimoniale. Il problema di fondo, infatti, è che il danno alla salute spesso non incide sul patrimonio di un individuo (anzi, a seguito dell'incidente il soggetto potrebbe realizzare un incremento patrimoniale: si pensi al caso Bobbit, cioè al caso di un marito evirato dalla moglie, che proprio a seguito dell'evirazione è diventato famoso in tutto il mondo).
Alcuni autori (De Cupis) sostenevano già in passato che saremmo in presenza di un danno non patrimoniale. Secondo questa tesi il danno sarebbe patrimoniale solo quando l'interesse leso è patrimoniale e coincide con una diminuzione effettiva del patrimonio del soggetto.
La tesi ora esposta portava a due possibili conseguenze:
- o si ammetteva che il danno alla salute non era risarcibile (salvo in caso di reato, così come concludeva De Cupis);
- oppure se ne ammetteva il risarcimento, ma in questo caso si doveva giustificare giuridicamente ed alla luce dell'articolo 2043 tale risarcimento. Così, si faceva ricorso all'applicazione analogica dell'art. 32 della Costituzione, ovvero si affermava che l'articolo 2043, applicato analogicamente e letto in connessione con il predetto articolo 32, consentiva di considerare risarcibile ogni danno ingiusto, indipendentemente dalla patrimonialità o non patrimonialità del danno stesso.
Secondo altri autori il danno alla salute aveva carattere patrimoniale; tale teoria muove da una diversa concezione del danno patrimoniale, secondo cui sarebbe tale il danno suscettibile di valutazione economica. Patrimoniale, cioè, non è il danno che lede un interesse patrimoniale, ma il danno che può comunque essere risarcito in denaro, perché suscettibile di una qualsiasi valutazione, anche se tale valutazione non è ancorata a valori di mercato. Del resto la tesi contraria non si avvede che lo stesso articolo 1174 dice che affinché sussista una valida obbligazione l'interesse del soggetto creditore può anche essere non patrimoniale, purché suscettibile di valutazione economica.
L'articolo 2059, quindi, va letto nel senso che può essere risarcito solo in caso di reato unicamente il danno morale puro(cioè la sofferenza). Gli altri tipi di danno, invece (l'invalidità, la malattia, il danno psichico ecc.) sono sempre risarcibili ai sensi dell'articolo 2043, in quanto rientrano pur sempre nella nozione di danno al patrimonio (intesa l'espressione in senso lato) del soggetto. In tale ottica non si ha né una violazione dell'articolo 2059, né uno straripamento dell'articolo 2043 dai suoi confini naturali.
La tesi della patrimonialità in dottrina è stata sostenuta con particolare convinzione da Mastropaolo, secondo il quale il danno sarebbe patrimoniale anche quando si concreta nell'impossibilità di svolgere attività nel tempo libero; il tempo libero, infatti, è un'utilità (o un bene) che ha un valore d'uso e che può essere calcolato. E una menomazione fisica, o psichica, anche quando non ha riflessi sull'attività lavorativa, in tal senso assume sempre un valore patrimoniale.
La lesione alla salute, così, può ben essere ricompresa nella categoria dei danni patrimoniali, "perché colpisce un valore essenziale che fa parte integrante del patrimonio del soggetto, cioè di quel complesso di beni di sua esclusiva e diretta pertinenza".
Di recente sono intervenute le SS.UU, con le note sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008 a dirimere la questione e a risolvere in modo definitivo tutti i problemi teorici che erano stati sollevati dalla dottrina in passato. Il danno alla salute sarebbe un danno non patrimoniale, risarcibile non in virtù della prevalenza dell’articolo 32 della Costituzione sull’articolo 2059, bensì di una diversa lettura dell’articolo 2059. Tra i casi previsti dalla legge, infatti, vi rientrerebbero non solo le norme penali, ma anche i diritti tutelati da una norma dell’ordinamento (costituzionale, ordinaria o comunitaria); la salute, rientrando tra i diritti tutelati, sarebbe un diritto non patrimoniale, risarcibile perché ciò sarebbe consentito dall’articolo 2059.
Nel risarcimento del danno alla persona il giudice deve quindi tenere conto di queste voci, che sono diverse ed indipendenti tra di loro:
- il risarcimento del danno biologico, che è da stabilirsi con criteri uniformi per ogni persona danneggiata;
- il risarcimento del danno alla salute, che varia da persona a persona a seconda delle conseguenze pregiudizievoli che questa risente;
- il risarcimento del lucro cessante, cioè del danno patrimoniale (consistente nella perdita della capacità di lavoro e in altre conseguenze patrimoniali, variabili da soggetto a soggetto); tale risarcimento sussiste solo se esiste un preventivo danno alla salute.
- Il risarcimento dei pregiudizi esistenziali, che derivano dalla lesione della salute; ad es. se una persona perde una gamba dovrà anche essere risarcito di tutti quei pregiudizi che subisce alla sua vita quotidiana, che influiscono sulla qualità complessiva della sua esistenza.
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