Secondo le rivelazioni del Journal du dimanche del 2 dicembre, tra marzo 2016 e maggio 2017 la metà dei finanziamenti di En Marche è arrivata da appena 913 donazioni. Il contributo del Regno Unito alla campagna presidenziale di Emmanuel Macron sarebbe superiore a quello delle dieci maggiori città francesi della provincia.

Si tratta di un gruppo di sostenitori che,  quando si tratta di aiutarsi tra amici, non fa economie. Il Journal du dimanche, che ha indagato sui conti de La République en Marche (LREM), il 2 dicembre ha rivelato  che l’epopea presidenziale di Emmanuel Macron è stata finanziata per metà da… al massimo 913 persone. Questo “club dei mille” ha donato non meno di 6,3 milioni di euro a En Marche nel periodo tra la sua formazione nel marzo 2016 e maggio 2017, il che rappresenta il 48% delle donazioni totali. Questa cifra impressionante è ad esempio superiore alla somma di tutte le donazioni fatte a candidati “minori”, come Nicolas Dupont-Aignan, Jean Lassalle, Philippe Poutou, François Asselineau, Nathalie Arthaud, Jacques Cheminade. Una cifra in grado di pilotare apertamente una candidatura per le elezioni presidenziali.

In un sondaggio pubblicato lo scorso aprile, Marianne ha mostrato come, per lanciare la nomina dell’enarca, i collaboratori di Emmanuel Macron si siano finanziati principalmente tramite delle cene di raccolta fondi organizzate con esponenti dell’alta finanza. Alla fine del 2016, il 69% delle donazioni risultavano pervenute con questa modalità. En Marche poteva persino contare su un prezioso club di “400 contributori di oltre 5.000 €”. L’inchiesta del JdD conferma che questo circolo si è leggermente allargato nei primi sei mesi del 2017…ma non troppo. La cifra riportata, 913, corrisponde infatti al numero di donazioni superiori a 5.000 euro, ma non al numero di donatori, dato che il massimo ammontare è di 7.500 euro a persona all’anno. È infatti abbastanza probabile che molti dei ricchi mecenati dell’ex-Ispettore delle Finanze abbiano scelto di fare due donazioni, una nel 2016 e una nel 2017. Il famoso “club dei mille” è più probabilmente una più ristretta cerchia di circa 450 donatori.

PIU’ DONAZIONI DAL REGNO UNITO CHE DALLA PROVINCIA

La geografia di queste donazioni rivela un altro squilibrio. Ne emerge il ritratto di un candidato ampiamente sostenuto nella regione parigina (il 56% del totale) e…nelle roccaforti della finanza all’estero, molto più che in provincia.

Preoccupante, dal momento che in buona parte della “Francia periferica” si sta sollevando la protesta del movimento dei “gilet gialli”.

Si viene in tal modo a sapere che le donazioni dalla Svizzera (95.000 euro) hanno portato più soldi a En Marche rispetto a quelle provenienti da…Marsiglia (78.364 euro), la seconda città più grande della Francia! Con solo 18 benefattori ma con donazioni per 105.000 euro, i libanesi hanno fortemente contribuito all’emergere del macronismo, più dei 250.000 abitanti di Bordeaux e dei 230.000 abitanti di Lille insieme!

Dopo Parigi, la seconda città più “macronizzata” non è altro che…Londra. Con 800.000 euro di donazioni, il Regno Unito ha contribuito più di…tutte le dieci maggiori città francesi della provincia. Questa informazione dà un altro significato alla parziale rimozione della “exit tax” [imposta sugli utili in conto capitale per chi delocalizza, N.d.T.], annunciata in gran pompa da Emmanuel Macron alla rivista americana Forbes lo scorso maggio.

Nel tentativo di liberarsi della sua etichetta di “candidato dei ricchi”, l’ex banchiere avrebbe peraltro costretto i suoi collaboratori a mentire. Nel maggio 2017, il team di En Marcheassicurava a Libération che la proporzione di donazioni di oltre 5.000 euro sulla raccolta totale fosse di “un terzo”. In realtà è la metà, come documenta oggi l’inchiesta del JdD. Ciò diviene particolarmente interessante se raffrontato allo studio dell’Istituto delle politiche pubbliche pubblicato lo scorso ottobre, dal quale si evince che i grandi vincitori della politica fiscale di Emmanuel Macron sono…gli ultra-ricchi. L’1% più ricco ha visto i propri redditi aumentare del 6%, laddove le famiglie meno abbienti hanno perso l’1% del loro potere d’acquisto