Al centro del dibattito di questi giorni c’è il Global Compact, un accordo, giuridicamente non vincolante, voluto dalle Nazioni Unite e che contiene una controversa disciplina del fenomeno migratorio.
Il testo è stato supportato nel 2016 dagli Stati Uniti di Obama e appoggiato anche dall’allora governo Gentiloni. Nonostante questo però i cambiamenti sociopolitici di questi due anni hanno fatto sì che molti Paesi se ne smarcassero: in primis proprio gli Stati Uniti di Donald Trump, seguiti dai Paesi del gruppo Visegrad, Bulgaria, Svizzera, Israele e Australia.
Questi cambi di rotta sono dovuti alle preoccupazioni per quanto riguarda il contenuto dell’accordo che, in sostanza porrebbe sullo stesso piano, in fatto di tutela, i rifugiati ai migranti di ogni ordine e grado. Facile pensare dunque all’affermazione di un “diritto ad emigrare” che farebbe venir giù la distinzione sui motivi dell’espatrio e complicherebbe di fatto la vita ai Paesi e alle forze politiche che sostengono una linea dura sui confini.
Il governo italiano ha annunciato, tramite il ministro Salvini, che non intende firmare l’accordo nell’incontro di Marrakech dell’11 dicembre, ma i giochi sono tutt’altro che fatti. Il presidente Conte e il ministro Moavero infatti si erano mostrati, in precedenza, decisamente meno netti rispetto a Salvini. Il premier, il 26 settembre aveva addirittura annunciato all’ONU l’adesione dell’Italia mentre il ministro degli Esteri, il 21 novembre aveva parlato in aula di “orientamento favorevole”. Il tema, annuncia però oggi il governo, sarà oggetto di dibattito parlamentare. Il governo dunque, dice Conte, si riserverà “di aderire o meno al documento solo quando il Parlamento si sarà pronunciato”.
Pare insomma che ci si trovi di fronte ad un altro tema divisivo nella maggioranza e bisognerà aspettare per capire quanto Salvini sia capace di portare sulle sue posizioni l’alleato pentastellato, il cui supporto in aula sarà decisivo. Protestano intanto le opposizioni di centro-sinistra per il retrofront sulla sottoscrizione dell’accordo, mentre il gruppo di Fratelli d’Italia, che in parlamento più di tutti aveva portato il suo dissenso all’accordo parlando di “follia”, si dice preoccupato per la posizione poco chiara dell’esecutivo e continua a ribadire il suo forte no.
(di Simone De Rosa)
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