lunedì 18 febbraio 2019

SIRIA ED EGITTO CONTRO ISRAELE - PER L'ULTIMA VOLTA. La Distruzione di Damasco

di Glenn Allen

Nell'ottobre del 1996 il Signore ha focalizzato la mia attenzione su un verso del profeta Amos, dandomi la netta sensazione che la guerra fra Siria ed Israele sarà l'evento più significante fra gli eventi del Medio Oriente riguardanti la profezia biblica. Riporto il verso:

Così parla l'Eterno: "Per tre misfatti di Damasco, anzi per quattro, io non revocherò la sua punizione, perché hanno tritato Galaad con trebbie di ferro. Perciò manderò fuoco nella casa di Hazael, che divorerà i palazzi di Benhadad. Spezzerò anche le sbarre di Damasco…" 
(Amos 1:3-5)
L'interpretazione è la seguente: la Siria ha già attaccato o provocato guerre con lo stato di Israele tre volte (1948, 1967, 1973) ma la quarta volta seguirà il giudizio di Dio sulla sua capitale, Damasco. Questo sarà un segno profetico di un evento ancor più importante che dovrà seguire: l'invasione diretta di Israele da parte della Russia, con il sostegno dell'Iran (l'ex Persia) e degli altri alleati russi descritti nel libro del profeta Ezechiele, capitoli 38 e 39. Inoltre ho trovato il seguente versetto:

"Ecco, Damasco cesserà di essere una città e diventerà un cumulo di rovine." 
(Isaia 17:1)

Risalente a 5000 anni fa, Damasco si distingue per essere una delle città ancora esistenti più antiche del mondo, ma secondo Isaia "cesserà di essere una città e diventerà un cumulo di rovine". Questo non è ancora successo storicamente.
Nel dicembre del 1996 e nel luglio del 1997, in seguito ad una controversa guerra chimica con il gas VX che la Siria aveva montato sui suoi missili Scud-C a lunga gittata, il ministro della difesa israeliano, Y. Mordecai avvertì che se la Siria avesse usato queste armi di fabbricazione russa contro Israele, allora Israele avrebbe avuto "il potere di colpire coloro che ci attaccano e questo metterebbe a rischio ovviamente il regime siriano". Era una considerazione ovvia per la stampa israeliana e per gli ufficiali governativi che Mordecai stava riferendosi alla distruzione di Damasco, forse per mezzo delle capacità nucleari israeliane. Inoltre la situazione è decisamente peggiorata a partire dal settembre 2000, ossia da quando l'Intifada palestinese ha ripreso a colpire con violenza all'interno di Israele.
Nel novembre del 2000 il comandante delle Forze della Galilea, il Brig. Generale Moshe Kaplinksy dichiarò che Israele potrebbe essere forzato ad attaccare Damasco a seguito del crescente numero di attacchi terroristici compiuti dagli Hezbollah (sostenuti da Damasco dai regimi siriani e iraniani) nella parte meridionale del Libano al confine con Israele. L'aeroporto di Damasco è da sempre il principale sbocco utilizzato dagli iraniani per il rifornimento delle armi agli Hezbollah e gli ufficiali israeliani hanno più volte ammonito la Siria a proseguire questo traffico.
Nel 1973, verso la fine della "Guerra dello Yom Kippur", i carri armati israeliani arrivarono a 20 chilometri da Damasco, ma si fermarono grazie all'intervento degli Stati Uniti perché l'Unione Sovietica (Russia) era pronta a muoversi in difesa della Siria. La Siria era lo stato cliente più importante in cui i sovietici avevano investito militarmente e politicamente. Le truppe russe erano pronte e l'esercito statunitense era in allerta mondiale (DefCon 3) per quella che sarebbe potuta diventare la Terza Guerra Mondiale.
Come in tutti i conflitti arabo-israeliani degli ultimi tempi, la Russia aveva addestrato ed equipaggiate persone per aiutare le nazioni arabe a realizzare il loro desiderio islamico di "buttare Israele in mare". Ma il Signore non permetterà mai di realizzare - né alla stessa Russia, né all'Iran e agli altri - questi tentativi neanche dopo l'imminente conflitto siriano.
Un'altra conferma della prossima sfida Siriana ci viene dal profeta Michea in un verso messianico che predice un'invasione "assira" di Israele negli ultimi tempi della storia, dopo che la fama di Gesù Cristo si sarà estesa fino "all'estremità della terra":

Essi devasteranno il paese d'Assiria con la spada e la terra di Nimrod alle sue porte; così egli ci libererà dall'Assiro se verrà nel nostro paese e metterà piede nei nostri confini." 
(Michea 5:6)

Poiché l'Iraq moderno in passato era accerchiato dall'antico impero assiro e alla luce delle recenti alleanze tra Iraq e Siria è presumibilie che anche l'Iraq verrà coinvolto in questa guerra e subirà lo stesso destino. Nell'ottobre 2000, Saddam Hussein inviò diverse divisioni lungo i confini con il Giordano in vista di una guerra futura contro Israele. Con il consenso del presidente siriano, l'Iraq ha pure inviato molte truppe al confine con la Siria allo scopo di combattere in favore della "guerra di liberazione della Palestina". Inoltre ha ricollocato 70'000 soldati al confine con il Kuwait, in previsione di un un'ulteriore invasione del Kuwait da effettuarsi approfittando del tumulto generato dalla guerra regionale contro Israele.
Michea 5:6 ci mostra che la risposta di Israele sarà durissima: "Essi devasteranno il paese d'Assiria con la spada". Ovviamente, fino ad ora da quando vi è stata la rinascita dello stato d'Israele non sono state registrate distruzioni contro "il paese d'Assiria" e tantomeno Damasco. L'unica volta che la Siria è stata toccata fu quando perse le alture del Golan nella Guerra dei Sei Giorni avvenuta nel 1967. Tuttavia, secondo le parole profetica della Bibbia vi sarà la devastazione della Siria e in particolar modo di Damasco:

"Come ho deciso, così accadrà. Frantumerò l'Assiro nel mio paese e lo calpesterò sui miei monti; allora il suo giogo sarà rimosso da essi, e il suo carico sarà rimosso dalle loro spalle." 
(Isaia 14: 24-25)


Anche l'Egitto? 
Per il suo desiderio di rimanere leader del mondo arabo, l'Egitto romperà le sue trattative di pace con Israele e si unirà nuovamente alla Siria -- ma soffrirà anch'esso grandi calamità:


"Ecco l'Eterno che cavalca su una nuvola leggera ed entra in Egitto. Gli idoli d'Egitto barcollano davanti a lui, e il cuore degli Egiziani viene meno dentro di loro." 
(Isaia 19:1)

Una "nuvola leggera" che scioglierà il cuore dell'Egitto sembra descrivere un missile nucleare. Qualunque sia il significato, sembra che i giudizi divini sulla Siria e sull'Egitto siano collegati profeticamente fra di loro (vedi Isaia capitolo 31), e che le due nazioni verranno restaurate in "quel giorno" (Isaia 19:23-25), cioè durante la rigenerazione del millennio, dopo che il Messia Gesù Cristo è ritornato per governare il mondo.
Nel 1996 l'Egitto ha condotto le manovre militari più imponenti nella sua storia per "contrastare la minaccia nucleare israeliana", ha spiegato. Il 18 novembre il Presidente Mubarak ha dichiarato che l'Egitto non "sarebbe rimasto con le mani in mano" se fosse scoppiata una guerra fra la Siria ed Israele. Un articolo pubblicato nel "Jerusalem Post" del 14/12/1996 dal titolo "La Sfinge Arrabbiata" annunciava la tensione crescente fra Egitto ed Israele. Come rivela la relazione del Congresso Statunitense già menzionata in precedenza, cresce la pressione in tutti i governi arabi, compresa la filo-occidentale Arabia Saudita, affinché il movimento popolare islamico affronti Israele. (Ezechiele rivela che l'Arabia Saudita - "Sheba e Dedan" - sarà alleata con l'Occidente quando avverrà l'invasione guidata dalla Russia -- ulteriore suggerimento che questi conflitti non sono molto lontani).
Sebbene Israele sopravviverà alla guerra con la Siria e con l'Egitto, molti ebrei perderanno la vita e l'attuale forza militare israeliana verrà distrutta - e probabilmente i suoi altri nemici, principalmente la Russia e l'Iran ("Persia") sfrutteranno la situazione. Una simile condizione potrebbero addirittura essere "gli uncini nelle mascelle" (Ezechiele 38:4) che li trascineranno alla distruzione prevista da Ezechiele.

La Guerra di Ezechiele 
La prossima battaglia siriana/egizia contro Israele, che comprenderà la distruzione di Damasco, sarà il principale gradino che porterà ad un conflitto ancora più esplosivo con "Gog e Magog, principale sovrano di Mesec e Tubal" (Russia). I capitoli 38 e 39 del profeta Ezechiele descrivano a grandi linee l'invasione da parte della Russia nella quale saranno coinvolti anche l'Iran (Persia), la Libia, la Turchia (Togarmah), l'Etiopia ed altri. Un'alleanza delle nazioni occidentali definita simbolicamente come "i mercanti di Tarsis con i suoi giovani leoni" si opporrà verbalmente al tentativo russo di dominare il Medio Oriente con la conquista di Israele, ma non è ancora chiaro se i nemici occidentali della Russia faranno in tempo ad intervenire, visto che Ezechiele scrive che l'intervento di Dio in difesa di Israele sarà improvviso e repentino.

Ezechiele 38 e 39 sembra descrivere eventi di proporzione mondiale, con la possibilità di avere addirittura una guerra nucleare limitata. E' da rimarcare comunque che Dio stessa entrerà in battaglia per soccorrere Israele, la quale senza l'aiuto del Signore verrebbe certamente distrutta dalle forze nemiche. Ad ogni modo questa guerra segnerà l'arrivo dell'infausto "tempo di tribolazione", un periodo di sofferenze senza precedenti che Cristo stesso ha predetto:

"Perché allora vi sarà una tribolazione così grande, quale non vi fu mai dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà." 
(Matteo 24:21)

Dove sono la Siria e l'Egitto? E' importante notare che nell'invasione russa di Israele predetta da Ezechiele non compaiono né la Siria né l'Egitto fra gli alleati della Russia. Perché? Perché queste due nazioni saranno neutralizzate prima che tutto ciò accada. Dato che la Siria e l'Egitto sono sempre state importanti nella storia d'Israele e sono state soggetto di profezie bibliche, è inconcepibile che la loro assenza da Ezechiele non sia intenzionale -- particolarmente perché tutti gli altri opponenti islamici sono menzionati precisamente per nome.
Lo scenario in cui verrà coinvolto il Medio Oriente è destinato a coinvolgere tutta la terra forse prima e più profondamente di quanto i cristiani che si soffermano sulle profezie o gli ebrei possano immaginare. I nemici del moderno Stato di Israele si stanno muovendo rapidamente in modo conforme a quanto predetto nelle profezie bibliche. Ora non è il tempo di essere fondati "sulla sabbia", bensì sull'eterna roccia della parola di Dio e della fede in Gesù Cristo nostro Signore. Uomini e donne con l'aiuto di Dio potranno uscire vincitori dai tempi che avremo di fronte.
Per ulteriori informazioni sulla guerra di Ezechiele cliccate qui (in inglese). Per altre informazioni concernenti le profezie della distruzione di Damasco, compresa l'invasione russa descritta da Ezechiele vi invitiamo a leggere l'eccellente articolo di Paul Robertson, Damasco sarà una città ancora per poco tempo (in inglese).


2022, addio Israele


Tensione tra ebrei osservanti e palestinesi nelle strade di Gerusalemme (foto LaPresse)

Mancano sette anni alla distruzione dello stato ebraico. Non è un fantaromanzo, è l’ossessione apocalittica che unisce Isis e Iran. Lo Stato islamico ha appena pubblicato un libretto in cui spiega che “nel 2022 avranno fine i quarant’anni di pace di Israele”.

Di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il premier israeliano Benjamin Netanyahu la scorsa settimana non ha soltanto fissato negli occhi per quaranta secondi i rappresentanti degli altri paesi, mentre li accusava di essere rimasti in silenzio di fronte alla promessa iraniana di distruggere Israele. Netanyahu ha anche tirato fuori un libro in farsi, la lingua iraniana. L’autore è la Guida suprema Ali Khamenei: “Quattrocento pagine che illustrano in dettaglio il suo piano per distruggere lo stato di Israele”, ha detto Netanyahu. “Ha promesso, cito testualmente, che ‘entro 25 anni non ci sarà più nessun Israele’”. Khamenei iniziò a predicare la fine dello stato ebraico nel 1991, quando disse che “la questione palestinese è come un osso rimasto di traverso nella gola degli oppressori e non sarà risolta se non con l’eliminazione di Israele”. Il minuscolo stato israelitico da allora è al centro della sua guerra messianica, metafisica, che ne fa una preda prelibata per ogni disegno di conquista.

C’è una data che ricorre in maniera ossessiva nei proclami e nei discorsi dei leader del mondo arabo-islamico: il 2022. E’ l’anno della fine di Israele. “Entro il 2022, forse anche prima, Israele sarà distrutto”, ha appena declamato Hassan Rahimpour Azghadi del Consiglio supremo iraniano per la rivoluzione, il braccio destro di Khamenei. E’ come quando si guarda un vulcano che fuma e ancora non si sa che cosa succederà. Se e quando erutterà. E’ questo che accade quando posi lo sguardo sullo stato di Israele. Nel libro di Khamenei, di cui è stata appena pubblicata un’edizione in inglese, Israele viene definito “un albero malefico”, un “tumore di corruzione”, un “cancro”. Poi ci sono le previsioni sul fatto che l’entità sionista non supererà i quindici anni di vita.

Un anno fa il ministro dell’Interno di Hamas, Fathi Hamad, dichiarò che i palestinesi avrebbero liberato tutta la Palestina “entro otto anni”. Dunque nel 2022. Hamad ha fatto riferimento a “Hittin”, la cittadina in Galilea dove le forze islamiche del Saladino sconfissero i cavalieri crociati di Guido di Lusignano. Il movimento islamico palestinese ricorda tutti gli anni presso Tiberiade la storica vittoria del Saladino nei “Corni di Hittin”, quando il 4 luglio 1187 i suoi fiday (volontari della Guerra santa) letteralmente bruciarono il terreno sotto i cavalieri cristiani, già assetati ed esausti per una lunga marcia sotto il torrido sole estivo. I Crociati governarono senza sosta Gerusalemme, per 88 anni. Con la truce profezia del 2022, e partendo dalla sua fondazione nel 1948, Israele non supererebbe i 74.


Un libretto distribuito in tutto il mondo arabo e pubblicato in Siria porta il titolo “I nuovi Crociati in Palestina”. Recita così: “Se la storia si ripete non dobbiamo temere, avendo espulso l’occidente nei tempi antichi, gli arabi non avranno difficoltà a espellere questo assortimento di stranieri oggi”. E ancora quella data, il 2022.

Lo scorso maggio, in un’intervista sul canale libanese Nbn Tv, lo ha detto anche l’imam della moschea di al Quds a Sidone, Maher Hamoud: secondo i calcoli basati sul Corano, “la fine di Israele sarà nel 2022”. Della stessa opinione era lo sceicco Ahmed Yassin, il fondatore di Hamas, che al massimo aggiungeva cinque anni di vita allo stato ebraico, collocandone la fine nel 2027, quarant’anni dopo la prima Intifada. Il giornalista Huda al Husseini ha scritto che “da un incontro con i leader di Hamas sono stato sorpreso di scoprire che la maggior parte dei suoi membri sostiene che nel 2022 sarà fondato uno stato islamico in Palestina”. Un altro libro iraniano, pubblicato qualche mese fa, basandosi su scienze occulte, interpretazione del Corano e calcoli matematici, prevede che Israele sarà distrutto, sempre nel 2022.


Di recente anche lo Stato islamico ha pubblicato un libro di duecento pagine, in cui si afferma che “l’inizio della fine di Israele avverrà nel 2022”, due anni dopo la presa di Roma, il simbolo della cristianità. “Nel 2022 avranno fine i quarant’anni di pace e sicurezza di Israele, e contro di esso inizieranno le grandi guerre”. Il testo chiave di questa allucinazione islamica, dal titolo “Il crollo dell’impero israeliano nel 2022”, è stato scritto da un religioso palestinese, Bassam Nihad Jarrar, e spiega che Israele rappresenta “l’apice della corruzione e della barbarie”. Calcoli numerologici portano gli studiosi islamici a prevedere che Israele governerà per settantasei anni islamici (lunari), che equivalgono a settantaquattro anni solari. Dividono questo periodo in quattro quarti da diciannove ciascuno: il primo, fino alla Guerra dei sei giorni (diciannove anni dopo la fondazione dello stato) ha visto l’ascesa di Israele, conclusasi nel 1986, quando è iniziata l’ascesa musulmana che culminerà nella distruzione di Israele nel 2022. Il libro di Jarrar, pubblicato in arabo nel 1990, è stato ripreso da un editore di Londra, tradotto in inglese e ampiamente distribuito in Malesia nei primi anni Duemila. Da allora è un bestseller nel mondo arabo-islamico. Una data, quella del 2022, diventata quasi leggenda. Un giornalista siriano intervistato dalla televisione dell’Autorità palestinese ha affermato di essere venuto a conoscenza di un rapporto della Cia che aveva informato l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton che Israele non sarebbe esistito dopo il 2022. “Quello che sto per dire nessuno lo ha mai sentito, si tratta di una relazione presentata dalla Central Intelligence Agency all’allora presidente degli Stati Uniti Clinton. La Cia dice che ‘se le cose continuano così come sono, non pensiamo che Israele continuerà ad esistere dopo il 2022’”.



[**Video_box_2**]E’ questa la “dark obsession” del leader iraniano Khamenei in copertina sul settimanale Weekly Standard, con un articolo a firma di Ali Alfoneh e Reuel Marc Gerecht.



Si dice che l’ayatollah Khamenei abbia un appetito vorace per la trota e il caviale, che soffra di attacchi di depressione, che sia un un appassionato collezionista di pregiati bastoni da passeggio, che due dei suoi palazzi – Niavaran e Vakilabad – siano dotati di bunker nucleari in cemento in grado di sopportare un attacco nucleare. Ma Khamenei ha una passione quasi patologica verso Israele e gli ebrei. In gioventù divenne un devoto ammiratore di Sayyid Qutb, il teorico del jihad egiziano. E tuttavia le radici della sua antipatia per gli ebrei e Israele si trovano nella biografia della sua città natale, Mashhad. Nei salotti islamici che Khamenei frequentava al tempo, le correnti marxiste e nazionaliste che ritraggono Israele come strumento dell’imperialismo occidentale erano comuni; contemporaneamente, l’ayatollah Ruhollah Khomeini attaccava l’“influenza ebraica” nella corte reale Pahlevi. Nel maggio del 1963 il giovane Khamenei ricevette una lettera scritta a mano da Khomeini, da consegnare alle autorità religiose a Mashhad. Il messaggio diceva: “Preparatevi per la lotta contro il sionismo”. La principale fonte è una raccolta di citazioni nei discorsi di Khamenei dal 1979 al 2011. “Khamenei ha sempre evitato qualsiasi contatto personale con gli ebrei, trattandoli in pratica come se fossero intoccabili”, scrivono Gerecht e Alfoneh.


Nel marzo del 1973, Khamenei è un docente a Mashhad. Lì presenta la sua interpretazione di al Baqara (la mucca), la seconda e più lunga Sura del Corano, in cui il profeta Maometto discute il rapporto tra musulmani, ebrei e cristiani in un sistema politico musulmano. Khamenei attacca “l’opposizione degli ebrei al profeta”, “l’avidità degli ebrei” e “la magia nera dei rabbini”.


Il 5 Agosto 1980, Khamenei tiene uno dei suoi più famosi sermoni. “La nazione iraniana è l’avanguardia della lotta per la liberazione della Palestina… La rivoluzione iraniana ha raggiunto la vittoria entro i confini, ma fino a quando una piaga contagiosa, un tumore sporco chiamato Stato di Israele usurpa le terre arabe e islamiche, non possiamo sentire la vittoria e non possiamo tollerare la presenza del nemico nelle terre usurpate e occupate”. Khamenei aggiunge che “se ogni membro della grande comunità islamica di un miliardo di fedeli getta un secchio d’acqua contro Israele, Israele sarà annegato dal diluvio e sarà sepolto”.


L’appuntamento è fra sette anni a Gerusalemme. Per avere un assaggio di quello che la umma ha in mente per Israele, ad agosto Khamenei ha ordinato alle Guardie della rivoluzione di diffondere un video in cui si vedono soldati musulmani che guardano Gerusalemme e si preparano a conquistarla. La sequenza si apre con dei primi piani di quattro soldati dal volto coperto mentre si allacciano gli stivali e preparano le armi. Sulle divise sono visibili gli stemmi delle Guardie rivoluzionarie iraniane, di Hamas e di Hezbollah. L’inquadratura si allarga e mostra il gruppo di combattenti su una collina mentre scrutano Gerusalemme e la Moschea di al Aqsa in attesa dell’attacco. La clip porta il titolo “Preparazione alla completa distruzione di Israele da parte delle Guardie rivoluzionarie islamiche in Iran”.

Se si accosta l’orecchio a Israele come a una conchiglia di mare, si sente il rumore della solitudine. La sopravvivenza dello stato ebraico non è certa. Ma tutto per adesso indica il contrario. I cittadini israeliani vivono in media ottant’anni, quanto nella placida e pacificata Norvegia. Gli omicidi pro capite in Israele sono un terzo di quelli commessi negli Stati Uniti. La popolazione israeliana oggi è nove volte superiore a quella del 1948, l’anno della creazione dello stato e della guerra per l’indipendenza. Israele cresce annualmente più di qualunque paese industrializzato. E’ uno degli stati più ricchi, più liberi e meglio istruiti del mondo, dove la durata media della vita è più alta di quella della Germania e dell’Olanda, nazioni che hanno conosciuto l’ultimo conflitto settant’anni fa, mentre Israele è da settant’anni in guerra. La cosa più significativa è che gli israeliani sembrano amare la vita e detestare la morte più di qualsiasi altra popolazione del mondo.

Per il 2022, il mondo islamico sogna Israele come una nazione di case vuote e di tegole rovesciate. Ma, per adesso, le case di Israele sono piene di gioia e di bambini.



Come l’Italia si giocò il ruolo di grande potenza

Come l’Italia si giocò il ruolo di grande potenza
Fonte: Accademia nuova Italia
Il club della grandi potenze, nella prima metà del XX secolo, comprendeva l’Italia, specialmente dopo la scomparsa dell’Austria-Ungheria e la partecipazione italiana alla vittoria dell’Intesa nella Prima guerra mondiale. La decisione del nostro Comando Supremo di rinviare per più di quattro mesi l’offensiva sul Piave, dopo l’insuccesso austriaco nella Battaglia del Solstizio del giugno 1918, ebbe il suo peso nel far apparire come non decisiva la vittoria sul fronte italiano, mentre la verità è che essa fu realmente decisiva. Infatti la Germania si arrese – l’ammissione è del generale Ludendorff – quando, in seguito al crollo dell’Austria, si trovò con il fianco meridionale scoperto e l’esercito italiano in condizioni di proseguire la marcia da Trento e Bolzano, attraverso il Brennero, fino al cuore della Germania stessa. Il ritardo nell’offensiva finale compromise fatalmente la posizione della delegazione italiana a Versailles, indebolendo la forza diplomatica dell’Italia, sicché Orlando e Sonnino vennero trattati come parenti poveri da Clemenceau, Lloyd George e Wilson, liberi ormai di disporre del mondo a loro piacimento. Ad ogni modo, qualche anno dopo l’Italia ottenne la parità negli armamenti navali con la Francia, per cui la Marina italiana entrò nel gruppo delle cinque marine da guerra più potenti del mondo. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, sia la Germania che l’Unione Sovietica si erano rialzate dal tracollo di vent’anni prima ed erano di nuovo potenze di prima grandezza; e benché l’Italia non potesse certo sostenere un confronto sul piano della forza militare o industriale con simili giganti, pure il possesso di una grande marina, unito alla conquista dell’Impero, ne faceva comunque una delle grandi potenze mondiali, sicché il 27 settembre del 1940 l’Italia poté firmare il patto Tripartito con la Germania e il Giappone su un piano di assoluta parità formale con esse. Del resto, nemmeno il Giappone possedeva le materie prime strategiche, e quanto all’industria, era ben lungi dal poter competere con quella statunitense, o russa, o britannica. I capi politici e militari del Giappone avevano però una cosa che faceva difetto ai loro colleghi italiani: una chiara concezione strategica per fare del loro Paese una grande potenza non solo nominale, ma effettiva. La grande marina giapponese era destinata ad essere gettata nella lotta senza riguardi, ma badando unicamente alla meta da raggiungere: il dominio del Pacifico. E quel dominio, a sua volta, aveva una ragione precisa: assicurare alla madrepatria le materie prime strategiche per rendere il Giappone autonomo dal punto di vista industriale, a cominciare dal combustibile. I capi politici e militari dell’Italia, invece – e questa è una precisa responsabilità del fascismo – si cullarono nello status teorico di grande potenza e pretesero di fare una politica da grande potenza, senza avere non solo i mezzi di una vera grande potenza, ma senza averne neppure una chiara concezione strategica. Le trasvolate atlantiche di Italo Balbo, ad esempio, avevano creato l’impressione che l’Italia fosse all’avanguardia nella nuova arma aerea; invece, quando si arrivò al dunque, si vide che era stata curata l’apparenza, ma non la sostanza, che è fatta di continui aggiornamenti tecnologici. I nostri aerei che andarono a bombardare l’Inghilterra apparvero agli alleati tedeschi come veri pezzi da museo; e a subire l’incursione degli aerosiluranti a Taranto fu l’Italia, la cui flotta subì un colpo durissimo, proprio come gli Stati Uniti subirono quella di Pearl Harbor, con la differenza che l’Italia, come il Giappone, aveva scelto di entrare in guerra contro un nemico già impegnato nella lotta, ma, a differenza del Giappone, non aveva saputo sfruttare il fattore sorpresa. Se i capi politici e militari dell’Italia avessero avuto una chiara concezione strategica, avrebbero sferrato subito, nell’estate del 1940, il colpo su Malta, che avrebbe reso la marina italiana padrona del Mediterraneo, proprio come i giapponesi sferrarono subito il colpo su Singapore: la flotta britannica di Gibilterra e quella di Alessandria si tenevano già pronte a evacuare il Mediterraneo. Non lo fecero quando si resero conto che l’Italia aveva dichiarato guerra, ma non aveva nessuna voglia di farla. Se l’Italia avesse preso Malta e Suez nei primi mesi di guerra, l’intero conflitto avrebbe avuto un andamento completante diverso, a noi molto più favorevole.
Ma per essere una grande potenza, bisogna che i capi possiedano una mentalità da grande potenza; cosa che non solo non avveniva, ma la realtà era tutto il contrario: una bella fetta delle classi dirigenti faceva il tifo per il nemico e si augurava la sconfitta dell’Italia. Questo obiettivo accomunava la grande borghesia finanziaria e industriale e la dirigenza dei partiti di sinistra, comunisti e socialisti, più i cattolici; in altre parole, nel 1940 esisteva già la convergenza d’interessi che avrebbe portato alla Repubblica democratica e antifascista del 1946, un brutto compromesso tra forze politiche e sociali diversissime, accomunate solo da una cosa: l’odio e il disprezzo per la propria Patria e il desiderio di mettersi al più presto possibile all’ombra di un protettore straniero: gli Stati Uniti per le classi dirigenti borghesi, l’Unione Sovietica per i dirigenti e i militanti socialisti e comunisti. Fra parentesi, il quadro non è mutato: quel senso di odio e disprezzo per la propria Patria e quel servile desiderio di mettersi al riparo di un potere straniero sono rimasti, sono solo cambiati gli schieramenti: ora a sostenere gli Stati Uniti (e l’Unione Europea) sono i gruppi dirigenti di sinistra, più il vertice della Chiesa cattolica (questa è la grande novità, si fa per dire), mentre a guardare con speranza alla Russia sono i gruppi populisti e sovranisti, considerati come espressioni della destra. Ma su una cosa sono tutti d’accordo: che l’Italia non sa far da sola; non può far da sola; non può, per esempio, uscire dall’UE e neppure dall’euro, perché da sola non conterebbe nulla (come se attualmente contasse qualcosa): mentalità auto-svalutativa che è l’esatto contrario di quel che si richiede a un popolo, anche a un grande popolo, come lo è il popolo italiano, per essere una grande potenza. Il nodo della questione è tutto qui: se la Germania è in procinto di ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mentre l’Italia no, la vera ragione è questa, non il fatto che l’economia tedesca va più forte di quella italiana (il che dipende in gran parte dai meccanismi truffaldini dell’euro, voluti dalla BCE appunto per favorire la Germania e penalizzare l’Italia). E se l’India ha potuto trattenere per anni i nostri due marò come non avrebbe osato fare con un altro grande Paese europeo, ad esempio la Francia, non è perché l’Italia ha una minor forza militare della Francia, ma perché l’Italia, anche se avesse una forza militare rispettabile, non avrebbe la propensione ad usarla. Lo si è visto nel caso della marina, quando l’Italia aveva una delle maggiori marine al mondo, appunto nel 1940. Vale la pena di rievocare quella vicenda, perché è la chiave per capire tante cose, anche del presente.
Dicevamo che il pre-requisito essenziale per essere una grande potenza è quello di ragionare da grande potenza. Se un Paese ha una grande marina, ma non sa o non vuole usarla, come è accaduto nel 1940; se preferisce giocare al risparmio e attendere che a vincere la guerra siano i suoi alleati, ciò crea fatalmente le condizioni perché quel Paese venga retrocesso, a guerra finita, al rango di potenza secondaria, perfino indipendentemente dall’esito della guerra. La Germania è uscita distrutta dalla Seconda guerra mondiale, ma è di nuovo il primo Paese d’Europa e sta per avere un seggio permanente all’ONU: questa è la prova che l’essenziale non è vincere o perdere, ma avere una classe dirigente che crede fermissimamente nel destino della propria Patria. Credere nel destino significa saper rischiare anche la cosa più preziosa, e tale era il caso della nostra flotta nel1940. Pur senza il radar e con molti altri difetti (la mancanza di addestramento al combattimento notturno, per esempio) la flotta italiana del 1940 era magnifica, ed era costata molti quattrini. Fu un errore non gettarla decisamente nella lotta; fu un errore non impegnare lo scontro decisivo con la flotta britannica - la Francia era già uscita di scena, e con lei la sua flotta -; ma l’errore peggiore di tutti fu quello di consegnarla, l’8 settembre del 1943, senza averla gettata nella battaglia finale. Battaglia finale che essa, probabilmente, avrebbe perduto: ma il solo fatto di combatterla avrebbe salvato all’Italia il rango di grande potenza, almeno in senso morale; e quando c’è quello, il futuro è ancora aperto a tutte le possibilità. Mentre quando ci si arrende come l’Italia si è arresa, e quando si consegna una flotta come la flotta italiana si è consegnata, si perde ogni diritto a essere stimati dalle altre nazioni e bisogna rassegnarsi al ruolo di nazione secondaria. Le cose stanno così: era la flotta a fare dell’Italia una grande potenza, ma quella flotta bisognava usarla da grande potenza, a costo di perderla (come il Giappone perse la sua a Midway). Persa la flotta, l’Italia ha perso il rango di grande potenza; ma il male più grande è come l’ha persa, cioè consegnandola senza combattere e vanificando, così, il lungo sacrificio di tanti coraggiosi marinai.
Una delle migliori ricostruzioni del clima in cui L’Italia ha consegnato la sua flotta, e con ciò stesso non solo ha perduto il rango di grande potenza, ma si è giocata il suo futuro di nazione rispettata e autorevole nel consesso delle altre nazioni, lo abbiamo trovato nel libro di Enrico Cacciari Due guerre per una sconfitta, (Palermo, Cusimano Editore, 1967, pp. 224-226):

La resa della nostra marina ebbe conseguenze politico-militari di indubbio valore per le sorti della guerra; e ciò perché essa rappresentò per gli alleati l’immediato beneficio di diventare, da un’ora all’altra, padroni del Mediterraneo e perché consentì loro di intensificare con l’accresciuta disponibilità di naviglio, la lotta nel Pacifico contro il Giappone. Commentò allora il Primo Lord dell’Ammiragliato che “la capitolazione della flotta italiana significa una svolta decisiva nella guerra marittima. L’equilibrio delle forze marittime si è completamente spostato e noi saremo in grado di concentrare tutte le nostre in Estremo oriente in soccorso della Cina”. Tutto questo non poteva sfuggire alla valutazione degli Stati Maggiori delle nostre navi, composti da uomini scelti per cultura e intelligenza, educati alla scuola severa del dovere e animati dalle leggi dell’onore di una lunga tradizione marinara, che combatterono una tremenda battaglia interiore prima di risolversi a prendere il partito che presero soltanto perché ingannati dagli uomini di Roma.
Questo va detto, questa va ricordato. Gli anglo-americani ottennero la nostra flotta con il bluff che precedette la firma della capitolazione e per l’aiuto di coloro che, della capitolazione artefici, vollero a tutti i costi perfezionare il loro delitto.  E va detto e va ricordato, non fosse altro per trovare in noi la forza per insegnare ai nostri figli la necessità di smentire concretamente quanto Smith [Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore del comandante in capo alleato, l’americano D. Eisenhover] nell’occasione ebbe a dire: che, cioè, “con la consegna della sua flotta, l’Italia era sparita dalla scena politica e non avrebbe potuto mai più ritornare ad essere una grande potenza”.
E veniamo al racconto delle peripezie che portarono le nostre navi a Malta.
Il 6 settembre, tre giorni dopo la forma dell’armistizio, l’ammiraglio De Courten, che dell’avvenuta capitolazione era edotto, impartiva telegraficamente questi ordini alle nostre squadre navali di Taranto e de La Spezia: predisporsi ad attaccare un grosso convoglio nemico in presunta rotta su Salerno; tentare ad ogni costo di impedire lo sbarco delle fanterie; le navi da battaglia, ove non fosse loro riuscito di prendere contatto con le grosse unità nemiche, dovevano portarsi sulla costa – magari affondandosi – e di là porre fine all’ultimo colpo contro il convoglio.
Con questi ordini – impartiti con la coscienza di non farli eseguire – logico che i nostri equipaggi, la mattina dell’otto settembre, pensassero unicamente allo scontro che, tra poche ore, li avrebbe messi di fronte all’avversario da essi mai temuto. Sempre in quella mattinata, gli ammiragli di squadra erano stati convocati a Roma da De Courten il quale confermò gli ordini, raccomandò di stare all’erta, ma non fece cenno alcuno di quanto era stato combinato a Cassibile.
Gli ammiragli comandanti delle Squadre erano appena rientrati in sede che la radio inglese, americana e italiana – annunciavano la capitolazione. Ma gli anglo-americani, come continuazione del bluff iniziato a Lisbona, cominciarono a barare e furono diffuse, sempre via radio, comunicazioni atte ad ingannare gli stati maggiori delle nostre navi ai quali già da Roma cominciavano a pervenire strani messaggi-ordine.
Tra le notizie che gli alleati si affrettarono a diffondere, a proposito della resa della Marina, nell’evidente preoccupazione di un auto-affondamento della nostra flotta, era quella rassicurante sulla sorte delle nostre unità che garantiva esse non sarebbero state considerate né prigioniere, né bottino di guerra. Un proclama dell’ammiraglio Cunningham, trasmesso quasi in continuazione dalla radio di Algeri e di Malta, esortava i nostri equipaggi ad eseguire gli ordini ricevuti per poter concorrere - diceva lui – ad assicurare l’approvvigionamento dell’Italia affamata. Alle menzogne degli alleati si aggiunse l’inganno di Roma; telegrafò il Supermarina agli ammiragli di portare la squadra a Malta; ma raccomandava e assicurava: “per ordine del re eseguite lealmente le clausole dell’armistizio, siate certi che la bandiera non sarà ammainata e ricordatevi che dalla vostra obbedienza dipendono le sorti della Patria”.
Abbiamo già avuto occasione di parlarne nelle pagine precedenti: negli alti comandi della nostra marina si era purtroppo annidato il tradimento. La struttura del telegramma sopra riferito dà la misura della capacità e del grado di fellonia di questi uomini indegni che ben sapevano come ricattare sentimentalmente l’animo leale dei nostri marinai. Con quell’oscura dizione “ricordatevi che dalla vostra obbedienza  dipendono le sorti della Patria”, essi riuscirono ad insinuare, nella mente e nel cuore dei nostri equipaggi, il dubbio, poiché la salvezza della Patria era per essi preminente sopra ogni altra valutazione.

Il tradimento, quindi, ci fu, ma fu più politico che militare; non degli ammiragli in mare - ricordiamo il valoroso ammiraglio Begamini, che si sacrificò con la Roma, ma che certamente non avrebbe accettato di condurre la sua corazzata a Malta, una volta compreso che di una resa si trattava, e di una resa ignominiosa, senza condizioni – ma piuttosto degli ammiragli ben piazzati sulle loro poltrone, a Roma, presso Supermarina. In altre parole, il tradimento era parte integrante della nostra classe dirigente, e non solo della casta navale e militare, ma dei finanzieri, dei grandi industriali e dei diplomatici di carriera: tutti interessati a saltar giù dal carro del perdente e ad assicurarsi un posto su quello del vincitore. L’ammiraglio De Courten, che ingannava deliberatamente comandanti ed equipaggi e li spediva a Malta, ad arrendersi, quando già sapeva che l’Italia, tramite il generale Castellano, aveva firmato l’armistizio di Cassibile, offre un esempio del clima torbido che regnava nelle alte sfere politico-militari di un Paese impegnato strenuamente in una guerra gigantesca, che già aveva avuto centinaia di migliaia di morti e lottava disperatamente per la vita e per la morte, cioè per sopravvivere come nazione indipendente e sovrana.
Enrico Cacciari sostiene che, se comandanti ed equipaggi avessero saputo che la meta dell’ultima crociera era Malta, si sarebbero rifiutati di sottostare a una tale umiliazione: che avrebbero scelto o di affrontare il nemico in un’ultima battaglia, se la resa non era ancora stata firmata, oppure di autoaffondarsi, se la resa era già stata firmata. Certo, è possibile vedere le cose in questo modo. Noi, però, invece di arrischiare ipotesi su quel che avrebbe potuto essere, preferiamo restare sul terreno dei fatti; e osserviamo che, per una marina degna di questo nome, la marina di una grande potenza, non vi è spazio per il “dubbio” adombrato dal menzognero telegramma di Supermarina, nel senso che non è nemmeno pensabile una “salvezza della Patria” che prescinda dall’onore delle sue forze armate. Vi sono cose che una nazione non può sacrificare, se vuol conservare la stima di se stessa e degli altri, e l’onore è la prima fra esse. Supermarina scelse le navi senza onore, e alla fine l’Italia perse sia l’onore che le navi. Le navi, dopotutto, sono pezzi di lamiera muniti di motori e cannoni: non hanno un’anima. L’anima della flotta è la volontà di coloro che la guidano in battaglia: perché le navi sono fatte per essere usate, non per essere risparmiate in vista di giochetti politici e furberie da quattro soldi. L’Italia, al tavolo della pace, fu trattata come meritava; a nulla valse che De Courten, tardivamente, chiedesse che la flotta rimanesse, intatta, all’Italia, in considerazione della sua co-belligeranza: gli alleati se ne infischiarono di promesse e blandizie ormai superate, e se la spartirono. E neppure allora essa ebbe la fierezza di auto-affondarsi.  Il dottor Goebbles, che era un uomo intelligente, in quei giorni scriveva sul suo diario: Gli italiani non vogliono essere una grande potenza. Giudizio esattissimo. Ma una mentalità da grande potenza non s’improvvisa; e un popolo che per secoli, come diceva Mussolini, è stato incudine, non diviene martello da un giorno all’altro. E qui torniamo al presente. Gli italiani sono stati abituati a pensare che l’Italia, da sola, non può farcela, che non conta nulla; che può essere qualcosa, che può avere una ripresa economica, solo restando in un’alleanza, che sia la NATO o l’UE. Perciò, se capita un governo che vuol fare gli interessi dell’Italia, e non della NATO o della UE, subito una parte degli italiani, e la maggior parte della classe dirigente, si mette a fare il tifo contro di lui, e a dar ragione ai poteri stranieri. Si arriva al punto che l’ultrasinistra, tramite il Manifesto, difende il neocolonialismo francese, pur di dar torto a Di Maio sulla questione del franco africano; mentre la solita magistratura di sinistra mette sotto inchiesta il ministro dell’Interno, reo di aver difeso i confini, proibendo lo sbarco all’ennesimo barcone di clandestini. Si spiega così la nostra irrilevanza internazionale. Ed ecco la Francia attaccare la Libia, poi alimentarne il caos, per soffiarci il suo petrolio sotto il  naso...

Così Usa e Israele stanno costruendo una fakenews per fare la guerra all'Iran

Così Usa e Israele stanno costruendo una fakenews per fare la guerra all'Iran

SEMPRE PIU' VICINI ALLE PROFEZIE BIBLICHE SULL'ARMAGEDDON? QUANDO QUESTO AVVERRA' GUAI AI PAESI CHE SI SARANNO SCHIERATI CON ISRAELE, SECONDO LA PROFEZIA BIBLICA DELL'APOCALISSE......
Fonte: Alberto Negri
Gli Stati Uniti insieme a Israele e alle monarchie del Golfo stanno fabbricando una nuova devastante “fake news”, come quella che nel 2003 portò all’attaccò contro l’Iraq di Saddam Hussein. La notizia falsa allora era che Baghdad avesse armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Vennero corrotti politici, pagati esperti e i media furono inondati di informazioni fasulle e distorte, salvo poi _ dopo anni e avere compiuto un disastro senza rimedio _ ammettere di avere imbrogliato l’opinione pubblica mondiale.
Adesso l’idea è quella di stringere d'assedio e muovere guerra all’Iran affermando, come è stato fatto giovedì scorso alla riunione di Varsavia, “che si tratta della peggiore minaccia alla pace nel Medio Oriente”. In realtà l’Iran era già il bersaglio della guerra per procura in Siria, maggiore alleato di Teheran, ma quel conflitto è stato vinto dal regime di Bashar Assad con l’aiuto di russi, iraniani e delle milizie libanesi Hezbollah. Insomma si tratta per gli Usa, Israele e i sauditi di prendersi la rivincita mirando stavolta al bersaglio grosso.
Viene così usata la propaganda, la più micidiale della armi di distruzione di massa. Non fa niente se l’Arabia Saudita e gli Emirati con il sostegno Usa conducono una guerra in Yemen con l’uccisione di migliaia e di civili. Di questo è meglio non parlare anche perché pure l’Italia vende a Riad bombe, di marca tedesca ma fabbricate in Sardegna. L’Iran viene denunciato come un regime oscurantista: cos’è allora la monarchia saudita rappresentata dal principe Mohammed bin Salman, mandante, secondo la stessa Cia, dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi? La verità è che come al solito si adotta un doppio standard. I nemici sono quelli che non comprano armi dell’Occidente, gli amici sono sauditi e le monarchie assolute del Golfo che da decenni riempiamo di armamenti e che sono state anche sponsor di estremisti islamici e jihadisti.
Al summit di Varsavia Francia, Germania e Unione europea hanno mandato delegazioni di basso livello mentre l’Italia si è presentata con il ministro degli Esteri Moavero Milanesi. Vale la pena ricordare che prima delle nuove sanzioni americane, seguite all’abbandono da parte di Trump dell’accordo sul nucleare del 2015, l’Italia era comunque il maggio partner commerciale di Teheran e che le nuove sanzioni americane hanno cancellato commesse italiane in Iran per 25 miliardi di euro. Mentre Parigi e Berlino hanno messo a punto uno strumento per aggirare l’embargo _ per altro assai difficoltoso _ l’Italia è andata a Varsavia contro i suoi stessi interessi economici. Non solo: pur avendo l’Italia un periodo di sei mesi di esenzione concesso da Washington, ha già rinunciato all’acquisto di petrolio iraniano.
In sintesi l’Italia, che era stata scelta da Teheran come partner privilegiato in Europa, è il solito Paese di voltagabbana e che per di più non porta a casa nessun vantaggio. Così come aveva già dimostrato nel 2011 con la Libia di Gheddafi. Il 30 agosto del 2010 il raìs libico veniva ricevuto a Roma in pompa magna firmando contratti per dozzine di miliardi e sei mesi dopo l’Italia si univa ai raid della Nato contro Tripoli. Sappiamo tutti cosa ha significato il crollo del regime: ondate di migranti e destabilizzazione.
L’Italia si sta dimostrando un paese da operetta. Litighiamo con i francesi sui gilet gialli ma intanto il generale Khalifa Haftar, alleato della Francia della Russia e dell’Egitto, sta conquistando i pozzi petroliferi libici nel Sud del Fezzan. Adesso con l’Iran dimostriamo ancora una volta la nostra incapacità di manovra: perdiamo soldi e mandiamo pure il nostro ministro a fare la figura del cameriere degli Stati Uniti a Varsavia. Ma c’è di peggio. Per fabbricare una fake news credibile, ovvero che l’Iran è il diavolo e i suoi nemici sono angeli, bisogna mobilitare al massimo l’apparato di propaganda. Così sulle nostre tv stanno comparendo sedicenti esperti che ci raccontano come l’Iran sia un Paese terrorista e sponsor del terrorismo.
Ricordiamo a questi signori che nel 2014, quando l’Isis ha fatto la sua avanzata in Iraq e in Siria, i primi a opporsi ai tagliagole del Califfato sono stati proprio i pasdaran iraniani e le milizie sciite mentre i jihadisti venivano sostenuti dalla Turchia, dalle monarchie del Golfo e anche dall’Occidente pur di abbattere il regime di Assad in Siria, poi salvato dall’intervento della Russia di Putin. Quel terrorismo sunnita, ispirato per decenni dall’ideologia oscurantista di sauditi, Qatar, Emirati, è stato quello che ha colpito anche in Europa.
I veri terroristi sono gli Stati Uniti e i loro alleati che vorrebbero adesso la guerra all’Iran anche contro la volontà dell’Europa che rispetta l’accordo del 2015 sul nucleare con Teheran voluto da Obama. Quindi stanno accelerando sulla propaganda per convincere l’opinione pubblica occidentale che abbiano un nuovo mostro da combattere. Non importa se in caso di conflitto arriveranno altri milioni profughi e l’intera regione sarà destabilizzata, l’obiettivo è avere un nemico che giustifichi gli affari legati all’apparato militare industriale americano. Del resto il maggiore cliente di armamenti Usa è l’Arabia Saudita: bisognerà in qualche modo darle soddisfazione, non è vero?
All’Italia si pone il problema di sempre: concedere o meno le basi militari per eventuali raid contro l’Iran. Insomma lo stesso interrogativo della guerra in Libia nel 2011 quando le abbiamo date per far fuori il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo. Con l’Iran si attende una tragica replica, la coazione a ripetere gli stessi errori di un Paese che blatera di sovranismo senza sapere neppure di cosa si tratti.


https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61622

L'avveramento delle profezie....





In questi giorni di fortissima tensione tra l’Iran e lo stato di Israele tornano in mente le profezie nere di Khomeini e la battaglia finale del libro dell’Apocalisse. Sono questi gli ultimi tempi che vedranno l’Armageddon?



La Palestina in questi giorni è teatro di fatti terribili, la scelta di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele ha acceso un fuoco che sta divenendo incontrollabile. Molti già parlano di Armageddon, la battaglia finale che vedrà vittoriose le forze di Cristo contro il male.

Intanto al canto di “morte a Israele” gli oltranzisti della rivoluzione khomeinista hanno ricordato la “profezia” dell’ayatollah Khomeini, Guida suprema della Repubblica islamica in Iran: “niente” rimarrà dello Stato ebraico “entro il 2040”

Il corriere.it in una vignetta ha mostrato chiaramente la situazione attuale, ve la proponiamo:

Lo scontro tra Iran e Israele è sempre più vicino

In molti siti americani di spiccata provenienza fanatico-cristiana si legge della profezia dell’apocalisse e della battaglia dell’Armageddon. Sono più che convinti che questi anni siano la “fine dei tempi” e presto il ritorno di Cristo metterà fine agli scontri:

“Così parla il Signore: Eccomi da te o Gog, principe sovrano di Mescec e di Tubal, io ti trarrò fuori, te e tutto il tuo esercito, e con loro persiani (la Persia è l’Iran), e popoli numerosi saranno con te.
Tu verrai contro il paese sottratto alla spada, contro la nazione raccolta fra molti popoli, sui monti d’Israele; tu verrai come un uragano.
In quel giorno, quando il mio popolo Israele dimorerà al sicuro, tu verrai dal luogo dove tu stai, dall’estremità del settentrione (probabilmente qui si parla della Russia che attualmente ha buone relazioni con l’Iran, e la parola Mescec menzionata prima, probabilmente è Mosca).
Tu verrai con popoli numerosi, e salirai contro il mio popolo Israele.
Questo avverrà alla fine dei giorni. In quel giorno il mio furore salirà.
Io chiamerò contro di lui la spada su tutti i miei monti, dice il Signore, la spada di ognuno si volgerà contro il suo fratello.
E verrò in giudizio contro di lui e farò piovere torrenti di pioggia, di grandine e fuoco e zolfo su lui e sui popoli numerosi che saranno con lui.
Così mi magnificherò e mi farò conoscere agli occhi di molte nazioni ed esse sapranno che io sono l’Eterno.
E gli abitanti delle città d’Israele usciranno e faranno dei fuochi bruciando le armi dei loro nemici e faranno del fuoco per 7 anni”.
Rimaniamo con il fiato sospeso

Ci avviciniamo all’Armageddon? Non lo sappiamo, quello che possiamo solo constatare è che il medio-oriente è sempre più nel caos ed è un vulcano che aspetta solo di esplodere. Questo 2018 si è aperto con il grande pericolo di una guerra atomica Nord Korea-USA, lo spettro di questo conflitto sembra ricacciato ma il mondo è tutt’altro che salvo da possibili conflitti.

Siena, bimbi maltrattati e insultati all'asilo nido domiciliare, arrestata "educatrice"

Siena, bimbi maltrattati e insultati all'asilo nido domiciliare, arrestata "educatrice"

Siena, bimbi maltrattati e insultati all'asilo nido domiciliare, arrestata "educatrice"
Nel centro storico di Siena: ospitava bambini tra i 6 mesi e i 3 anni di età


Aveva creato e gestiva un asilo nido domiciliare, ovvero in casa sua, nel centro storico di Siena, dove ospitava bambini tra i 6 mesi e i 3 anni di età, che con il passare del tempo si è rivelato un "inferno" per i piccoli ospiti, che venivano continuamente insultati e picchiati. Così una sedicente educatrice, una donna italiana di 52 anni, è stata arrestata con l'accusa di maltrattamenti.

Siena, arrestata donna di 52 anni: maltrattamenti nido domiciliare

Le indagini, condotte dai carabinieri di Siena, hanno consentito di ricostruire "numerosi episodi consistenti in condotte violente, quali strattonamenti, percosse", anche con piccole lesioni procurate ai bimbi, "alimentazione coattiva attraverso pressioni sullo sterno o occlusione del naso per imporre l'apertura della bocca, urla continue e insulti".

Maltrattamenti asilo nido domiciliare Siena, retta 600 euro al mese

La donna, con due figli maggiorenni, è risultata avere precedenti penali specifici per maltrattamenti in famiglia: aveva organizzato nella sua ampia casa un 'nido domiciliare' che era frequentato da sei bambini, figli di famiglie agiate, che si potevano permettere di pagare rette fino a 600 euro al mese.



Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito

Riserve oro Banca d'Italia | Debito pubblico | Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito

Riserve oro Banca d'Italia | Debito pubblico | Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito
L'ITALIA SECONDO LA GERMANIA HA DUE ALTERNATIVE: O VENDERE IL SUO ORO O PRIVATIZZARE TUTTE LE IMPRESE E LE BANCHE. IN UNA PAROLA: RIDURRE IN MUTANDE IL PAESE!

Perché sarebbe un gesto disperato, un pessimo segnale, secondo il direttore generale di Banca d'Italia. Ecco a cosa servono le riserve auree e chi possiede il debito pubblico italiano
Nei primi mesi del 2018 il debito pubblico italiano corre ad un ritmo vertiginoso: in media 4.469 euro in più ogni secondo, contro una media annuale che nel 2017 era attorno a 1.160. Oggi si attesta intorno ai 2.300 miliardi di euro. Il debito rappresenta una palla al piede per la nostra economia, considerando che gli interessi che lo Stato paga drenano ogni anno decine di miliardi. Malgrado i richiami continui da parte di Bankitalia, dell'Ufficio parlamentare di bilancio, di Confindustria e della Ue, le ricette messe in campo dai partiti si sono rivelate improbabili, quasi come il resto delle promesse elettorali. La situazione italiana suscita preoccupazione, insomma, soprattutto da parte dei grandi investitori internazionali: l'instabilità politica post voto potrebbe esporci al rischio-attacco della speculazione in Borsa.

Le riserve auree della Banca d'Italia: cosa sono e a cosa servono

La domanda è: vendere l'oro di Bankitalia per ridurre il debito pubblico potrebbe essere una soluzione percorribile? La nostra banca nazionale conserva 2.452 tonnellate di oro in lingotti e monete: al 31 dicembre 2015 il controvalore dell'oro di Bankitalia era pari a circa 77 miliardi di euro. Si tratta della cosiddetta riserva aurea. L'oro di Bankitalia si trova per la maggior parte nei caveau della Banca in via Nazionale a Roma e in parte in alcune altre banche centrali, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Le riserve auree hanno la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica, soprattutto durante i periodi di crisi. La riserva di oro assicura che, in ogni caso, la nostra Banca centrale nazionale ha "in pancia" i soldi necessari per svolgere le proprie funzioni, anche in periodi di forte turbolenza sui mercati. Bankitalia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve (Usa), la Bundesbank (Germania) e il Fondo monetario internazionale.
 

Uno stock di lingotti in oro, in un'immagine d'archivio. ARCHIVIO - ANSA-I51

Perché vendere l'oro "non è una soluzione percorribile ed efficace"

Tornando alla domanda iniziale, vendere parte delle nostre riserve auree aiuterebbe a ridurre il debito? "No, non è una strada praticabile e nemmeno efficace. Innanzitutto per ragioni pratiche - ha detto Salvatore Rossi, Direttore generale di Bankitalia, nel corso di "24Mattino" su Radio24 -. Parliamo di 90 miliardi di euro quando il nostro debito pubblico è intorno a 2.300 miliardi. E', al momento, giuridicamente impossibile. C'è un accordo internazionale tra le banche centrali, che prevede che le vendite siano razionate, dunque ne potremmo vendere per poche centinaia di milioni alla volta. Nei fatti non si risolverebbe il problema del debito pubblico e daremmo un pessimo segnale al mondo. La vendita di oro da parte di un Paese darebbe il segnale di un gesto disperato". Rossi ha assicurato che al momento non ci sono segnali di dissaffezione sui titoli del debito pubblico italiano da parte degli investitori: "Ovviamente la situazione è sempre precaria, nel senso che il rischio di un cambiamento di opinione è sempre possibile".

Chi possiede il debito pubblico italiano?

Oltre un terzo del debito pubblico italiano è in mano agli investitori stranieri, anche se la quota degli investitori esteri è un po' calata, negli ultimi due anni, passando dal 34% al 32%. E' quanto emerge da un'analisi del Centro studi di Unimpresa sul debito pubblico italiano secondo cui i titoli sottoscritti da fondi e assicurazioni sono calati di 28 miliardi (-19%) a 120 miliardi. Tra il 2015 e il 2017 è invece raddoppiata la fetta di titoli pubblici detenuta dalla Banca d'Italia che ha incrementato di quasi 200 miliardi di euro (+108%) gli acquisti di Bot e Btp nell'ambito del piano promosso dalla Banca centrale europea. Scende da 149 miliardi a 120 miliardi (-20%), complice anche il forte calo dei rendimenti, lo stock di obbligazioni pubbliche emesse dal Tesoro detenuto da famiglie e imprese. Si è alleggerito di quasi 32 miliardi, invece, il portafoglio di bond dello Stato italiano posseduto dalle banche.
"Enorme potere delle grandi banche": nuovo governo sotto pressione

"Questi numeri sono fondamentali per capire il grado di attenzione degli osservatori mondiali in vista della formazione del nuovo governo," ha osservato il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. "Chiunque riuscirà a formare una maggioranza e a dar vita a un nuovo esecutivo dovrà fare i conti con i big mondiali della finanza, esattamente come è accaduto negli ultimi decenni. Nonostante gli sforzi della Bce, siamo sempre sotto pressione e il potere delle grandi banche d'affari internazionali, che hanno la maggioranza relativa di 'Italia spa', è enorme". Secondo lo studio dell'associazione, basato su dati della Banca d'Italia aggiornati ad ottobre scorso, negli ultimi due anni il debito pubblico è salito di 116,3 miliardi (+5,35%) dai 2.173,3 miliardi del 2015 ai 2.289,6 miliardi del 2017. Un periodo nel quale accanto a una crescita costante del "buco" nei conti dello Stato si è registrata qualche modifica nella composizione dei sottoscrittori di Bot, Btp e Cct.


Nel 2015, la Banca d'Italia deteneva 169,4 miliardi di titoli pubblici del nostro Paese, cifra corrispondente al 7,80% del totale del debito; la fetta di debito sottoscritta dall'istituto di Via Nazionale, nell'ambito del piano di acquisti avviato dalla Banca centrale europea, è salita a 353,7 miliardi a fine 2017 e la fetta raddoppiata al 15,45%; l'incremento è di 184,3 miliardi (+108,81%). Lo stock di debito sottoscritto dalle banche (categoria nella quale viene conteggiato pure il portafoglio dei fondi monetari) è sceso di 31,9 miliardi (-4,87%) da 655,9 miliardi a 624,04 miliardi e la quota dal 30,18% al 27,25%. Per quanto riguarda i fondi d'investimento e le assicurazioni, l'ammontare di Bot e Btp è leggermente diminuito di 2,6 miliardi (-0,58%) da 457,7 miliardi a 455,1 miliardi, con la percentuale complessiva calata lievemente dal 21,06% al 19,88%. Sensibile calo, invece, delle obbligazioni statali acquistate da famiglie e imprese: la diminuzione registrata negli ultimi due anni è pari a 28,8 miliardi (-19,34%) da 149,04 miliardi a 120,2 miliardi. Sostanzialmente stabile e rilevante, nella mappa dei sottoscrittori di debito, il peso degli investitori stranieri: il totale di Bot e Btp in mano alle grandi banche mondiali e alle istituzioni finanziarie internazionali è passato da 741,08 miliardi a 736,5 miliardi con una regressione di 4,5 miliardi (-0,62%) che porta dal 34,10% al 32,17% la quota complessiva.


ESCLUSIVO! TRUMP DICHIARA EMERGENZA NAZIONALE U.S.A... TUTTO QUELLO CHE NON TI DICONO E CHE DEVI SAPERE

LA RECESSIONE GLOBALE CHE NON CI DICONO.....




DI CHI E' L'ORO DELLA BANCA D'ITALIA?


I burattini europei, lo scontro su Bankitalia e l'asse di Natanyahu


In questa puntata di sette+ l'attacco a Conte e al governo italiano alla sessione plenaria del parlamento europeo, lo scontro con i vertici di Bankitalia e l'asse tra Netanyahu e i regimi arabi per la guerra all'iran

DEDICATO ALL'ITALIA, ALLA FRANCIA DEI GILET GIALLI, AL VENEZUELA, ALL'AFRICA, ALLA SIRIA, ALLA PALESTINA, A CHI SI ARRABATTA PER ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE E AI FURBI AI VERTICI DELLA "PIRAMIDE".....



VASCO ROSSI: GLI SPARI SOPRA