Ha provocato grande scalpore la frase di Papa Francesco in occasione dell’apertura dei lavori della Conferenza internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America: “Costruiamo la giustizia sociale sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata”.
Lo scalpore non scaturisce tanto dalla frase in sé (tratta dall’enciclica Laborem exercens, di Giovanni Paolo II), quanto dalla sua unilateralità. Tutti i Pontefici precedenti (compresso Papa Wojtyla) hanno sempre esordito insegnando la legittimità intrinseca del diritto di proprietà privata e il suo fondamento divino e naturale, salvo poi spiegarne le limitazioni derivanti dalla sua “funzione sociale”. Capovolgendo tale Magistero, Papa Francesco pone invece l’accento esclusivamente sul carattere “secondario” della proprietà: un diritto subordinato e soggetto all’arbitrio dello Stato in nome della “giustizia sociale”.
Tale unilateralità s’inserisce perfettamente nella linea finora seguita da Papa Francesco, e va letta in questa luce: dalla denuncia dell’ “economia che uccide” (cioè quella basata sulla proprietà privata e la libera iniziativa) alla sua evidente simpatia con regimi socialisti che riducono al minimo la proprietà privata. Ricordiamo che Marx e Engels scrissero nel «Manifesto comunista»: “In questo senso i comunisti possono riassumere le loro teorie in questa proposta: abolizione della proprietà privata”.
Per Marx, infatti, la proprietà privata è un furto e un fattore di “alienazione”. Possedere proprietà implica, ipso facto, schiavizzare qualcun altro. Ci domandiamo se è a questo che allude Papa Francesco quando afferma: “Solidarietà nella lotta alle cause strutturali della povertà, disuguaglianza, mancanza di lavoro, di terra e di case. (…) Combattere contro quella cultura che porta ad usare gli altri, a rendere schiavi gli altri, e finisce per togliere la dignità agli altri. Fare giustizia significa restituire, non dare le nostre cose, né quelle di terzi, ma noi restituiamo ciò che è loro. Abbiamo perso molte volte questa idea di restituire ciò che gli appartiene”.
Lo scalpore è stato tanto più sconcertante quanto, all’unilateralità sulla proprietà privata è seguita un’altra sulle gerarchie sociali. Secondo Papa Bergoglio occorre “essere un popolo, senza pretendere di essere un’élite”, bisogna combattere contro ogni “disuguaglianza”. E anche questo s’inserisce nella sua linea di denuncia costante delle élite e l’esaltazione unilaterale del “popolo”, presentato secondo categorie prettamente ideologiche, come quelle della Teologia del popolo, a lui tanto cara. Ciò capovolge il Magistero della Chiesa, che insegna l’intrinseca legittimità delle gerarchie sociali armoniche, salvo poi richiamare l’attenzione sui doveri morali derivanti da una situazione di preminenza.
Oltre che sul diritto naturale, la proprietà privata si fonda su due comandamenti della Legge di Dio: il 7° e il 10°. Ed è così che l’ha intesa il Magistero della Chiesa, da Leone XIII fino a Benedetto XVI. Ecco una breve raccolta di testi pontifici in tema di proprietà privata:
La proprietà privata è di diritto naturale
“Naturale diritto dell’uomo è, come vedemmo, la privata proprietà dei beni e l’esercitare questo diritto é, specialmente nella vita socievole, non pur lecito, ma assolutamente necessario. È lecito, dice san Tommaso, anzi necessario all’umana vita che l’uomo abbia la proprietà dei beni (S. Th. III-II, q. 66, a. 2)” (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 19).
Un diritto ineccepibile
“L’uomo ha sui beni della terra non solo il semplice uso, come i bruti; ma sì ancora il diritto di proprietà stabile: né soltanto proprietà di quelle cose, che si consumano usandole; ma eziandio di quelle cui l’uso non consuma. È diritto ineccepibile di natura la proprietà privata, frutto di lavoro o d'industria, ovvero di altrui cessione o donazione; e ciascuno può ragionevolmente disporne come a lui pare” (S. Pio X, Fin Dalla Prima, n. 5-6).
La proprietà ci rende diversi dagli animali
“Il peggio si è che il rimedio da costoro [i socialisti] proposto è una aperta ingiustizia, giacché la proprietà è diritto di natura. Poiché anche in questo passa gran differenza tra l’uomo e il bruto. (…) Il gran privilegio dell’uomo, ciò che lo costituisce tale o lo distingue essenzialmente dal bruto, è l’intelligenza, ossia la ragione. E appunto perché ragionevole, si deve concedere all’uomo qualche cosa di più che il semplice uso dei beni della terra, comune anche agli altri animali: e questo non può essere altro che il diritto di proprietà stabile; né proprietà soltanto di quelle cose che si consumano usandole, ma anche di quelle che l’uso non consuma” (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 5).
La proprietà privata è sancita dalla legge divina
“Né manca [alla proprietà privata] il suggello della legge divina, la quale vieta strettissimamente perfino il desiderio della roba altrui: Non desiderare la moglie del prossimo tuo: non la casa, non il podere, non la serva, non il bue, non l’asino, non alcuna cosa di tutte quelle che a lui appartengono (Deut. 5,21) (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 8).
Il Vangelo e la proprietà privata
“Ci piace qui ricordare come nel Vangelo il diritto di proprietà privata sui beni è ritenuto legittimo. Però nello stesso tempo il Maestro divino rivolge spesso ai ricchi pressanti inviti perché convertano i loro beni materiali, dispensandoli ai bisognosi, in beni spirituali” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 109).
Lavoro e proprietà per obbedire Dio
“Quando nel primo capitolo della Bibbia sentiamo che l’uomo deve soggiogare la terra, noi sappiamo che queste parole si riferiscono a tutte le risorse, che il mondo visibile racchiude in sé, messe a disposizione dell’uomo. Tuttavia, tali risorse non possono servire all’uomo se non mediante il lavoro. Col lavoro rimane pure legato sin dall’inizio il problema della proprietà” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, n. 12).
La Chiesa difende il diritto di proprietà
“Difendendo il principio della proprietà privata la Chiesa persegue un altro fine etico-sociale. Essa non intende già sostenere puramente e semplicemente il presente stato di cose, come se vi vedesse l’espressione della volontà divina, né di proteggere per principio il ricco e il plutocrate, contro il povero e il non abbiente... La Chiesa mira piuttosto a far si che l’istituto della proprietà privata sia quale deve essere secondo il disegno della Sapienza divina e le disposizioni della natura” (Pio XII, Radiomessaggio 10 settembre 1944).
La Chiesa ha sempre difeso la proprietà
“Nella Rerum novarum Leone XIII affermava con forza e con vari argomenti, contro il socialismo del suo tempo, il carattere naturale del diritto di proprietà privata. Tale diritto, fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della persona, è stato sempre difeso dalla Chiesa fino ai nostri giorni. Parimenti, la Chiesa insegna che la proprietà dei beni non è un diritto assoluto, ma porta inscritti nella sua natura di diritto umano i propri limiti” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 30).
La proprietà privata va diffusa fra tutte le classi sociali
“Non basta affermare il carattere naturale del diritto di proprietà privata anche sui beni produttivi; ma ne va pure insistentemente propugnata l’effettiva diffusione fra tutte le classi sociali” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 100).
La proprietà non può essere fattore di lotta di classi
“Inoltre, la proprietà secondo l’insegnamento della Chiesa non è stata mai intesa in modo da poter costituire un motivo di contrasto sociale nel lavoro. Come è già stato ricordato precedentemente in questo testo, la proprietà si acquista prima di tutto mediante il lavoro perché essa serva al lavoro. Ciò riguarda in modo particolare la proprietà dei mezzi di produzione. Il considerarli isolatamente come un insieme di proprietà a parte al fine di contrapporlo nella forma del «capitale» al «lavoro» e ancor più di esercitare lo sfruttamento del lavoro, è contrario alla natura stessa di questi mezzi e del loro possesso” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 14).
Le mutate circostanze storiche non inficiano il diritto di proprietà
“Il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi ha valore permanente, appunto perché è diritto naturale fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società. Del resto, vano sarebbe ribadire la libera iniziativa personale in campo economico, se a siffatta iniziativa non fosse acconsentito di disporre liberamente dei mezzi indispensabili alla sua affermazione. Inoltre, storia ed esperienza attestano che nei regimi politici, che non riconoscono il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi, sono compresse o soffocate le fondamentali espressioni della libertà; perciò è legittimo dedurre che esse trovino in quel diritto garanzia e incentivo” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 96).
La proprietà privata è essenziale al bene comune
“Noi pure abbiamo insegnato poc’anzi nel riaffermare che la spartizione dei beni in private proprietà è stabilita dalla natura stessa, affinché le cose create possano dare agli uomini tale comune utilità stabilmente e con ordine” (Pio XI, Quadragesimo Anno, n. 57).
La proprietà è necessaria per la vita familiare e sociale
“Scaturisce pure dalla natura dell’uomo il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi: diritto che costituisce un mezzo idoneo all’affermazione della persona umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi, un elemento di consistenza e di serenità per la vita familiare e di pacifico e ordinato sviluppo nella convivenza” (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 10).
La proprietà è necessaria al bene familiare
“Per quanto riguarda la famiglia, affermiamo che la proprietà privata dei beni materiali va pure considerata come spazio vitale della famiglia; e cioè un mezzo idoneo ad assicurare al padre di famiglia la sana libertà di cui ha bisogno per poter adempiere i doveri assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale, religioso della famiglia” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 32).
Il doppio carattere della proprietà: individuale e sociale
“In primo luogo, si ha da ritenere per certo, che né Leone XIII né i teologi che insegnarono sotto la guida e il vigile magistero della Chiesa, negarono mai o misero in dubbio la doppia specie di proprietà, detta individuale e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto del dominio privato viene largito agli uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del Creatore, essendo destinati a tutta l'umana famiglia, servano veramente a questo fino; il che in nessun modo si potrebbe ottenere senza l'osservanza di un ordine certo e determinato. Pertanto occorre guardarsi diligentemente dall'urtare contro un doppio scoglio. Giacché, come negando o affievolendo il carattere sociale e pubblico del diritto di proprietà si cade e si rasenta il cosiddetto «individualismo», così respingendo e attenuando il carattere privato e individuale del medesimo diritto, necessariamente si precipita nel «collettivismo» o almeno si sconfina verso le sue teorie” (Pio XI, Quadragesimo Anno, n. 45-46).
A vantaggio proprio e a bene degli altri
“La proprietà privata, anche dei beni strumentali, è un diritto naturale che lo Stato non può sopprimere. Ad essa è intrinseca una funzione sociale, e però è un diritto che va esercitato a vantaggio proprio e a bene degli altri” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 11).
La funzione sociale della proprietà
“Torna opportuno ricordare che al diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale” (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 10).
La proprietà è subordinata alla destinazione universale dei beni
“Mentre proclamava il diritto di proprietà privata, [Leone XIII] affermava con pari chiarezza che l«uso» dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione comune di beni creati ed anche alla volontà di Gesù Cristo, manifestata nel Vangelo. Infatti scriveva: «I fortunati dunque sono ammoniti ...: i ricchi debbono tremare, pensando alle minacce di Gesù Cristo ...; dell’uso dei loro beni dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto a Dio giudice»; e, citando san Tommaso d’Aquino, aggiungeva: «Ma se si domanda quale debba essere l’uso di tali beni, la Chiesa ... non esita a rispondere che a questo proposito l’uomo non deve possedere i beni esterni come propri, ma come comuni», perché «sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge, il giudizio di Cristo». I successori di Leone XIII hanno ripetuto la duplice affermazione: la necessità e, quindi, la liceità della proprietà privata ed insieme i limiti che gravano su di essa” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 30).
Tutti devono poter usufruire della proprietà
“Il diritto di proprietà dei beni è un diritto naturale; però, secondo l’ordine obiettivo stabilito da Dio, il diritto di proprietà va configurato in maniera da non costituire un ostacolo a che sia soddisfatta l’inderogabile esigenza che i beni, da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 30).
L’abuso della proprietà non toglie l’uso
“Per contenere poi nei giusti limiti le controversie, sorti ultimamente intorno alla proprietà e ai doveri a essa inerenti, rimanga fermo anzitutto il fondamento stabilito da Leone XIII: che il diritto cioè di proprietà si distingue dall’uso di esso. La giustizia, infatti, che si dice commutativa, vuole che sia scrupolosamente mantenuta la divisione dei beni, e che non si invada il diritto altrui col trapassare i limiti del dominio proprio; che poi i padroni non usino se non onestamente della proprietà, ciò non è ufficio di questa speciale giustizia, ma di altre virtù, dei cui doveri non si può esigere l’adempimento per vie giuridiche. Onde a torto certuni pretendono che la proprietà e l’onesto uso di essa siano ristretti dentro gli stessi confini; e molto più è contrario a verità il dire che il diritto di proprietà venga meno o si perda per l’abuso o il non uso che se ne faccia” (Pio XI, Quadragesimo Anno, n. 47).
Lo Stato deve assicurare la proprietà privata
“Ma giova discendere espressamente ad alcuni particolari di maggiore importanza. Principalissimo è questo: i governi devono per mezzo di sagge leggi assicurare la proprietà privata” (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 30).
Lo Stato non può cancellare il diritto di proprietà
“Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune” (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 35).
Negare la proprietà privata è marxismo
“I raggruppamenti, ispirati dall’ideologia marxista come partiti politici, tendono, in funzione del principio della «dittatura del proletariato» ed esercitando influssi di vario tipo, compresa la pressione rivoluzionaria, al monopolio del potere nelle singole società, per introdurre in esse, mediante l’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, il sistema collettivistico” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, n. 11).
Socialismo: falso rimedio
“A rimedio di questi disordini [sociali ed economici], i socialisti, attizzando nei poveri l’odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello stato. Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con l’eguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, non che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze degli uffici dello Stato, e scompiglia tutto l'ordine sociale” (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 3).
Il socialismo reale, nemico del popolo
“Occorre qui sottolineare due cose: da una parte, la grande lucidità nel percepire, in tutta la sua crudezza, la reale condizione dei proletari, uomini, donne e bambini; dall'altra, la non minore chiarezza con cui si intuisce il male di una soluzione che, sotto l’apparenza di un’inversione delle posizioni di poveri e ricchi, andava in realtà a detrimento di quegli stessi che si riprometteva di aiutare. Il rimedio si sarebbe così rivelato peggiore del male. Individuando la natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della proprietà privata, Leone XIII arrivava al nodo della questione. (…) Non si potrebbero indicar meglio i mali indotti dall’instaurazione di questo tipo di socialismo come sistema di Stato: quello che avrebbe preso il nome di «socialismo reale»” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 12).
Il marxismo è fondamentalmente errato
“Il marxismo ha criticato le società borghesi capitalistiche, rimproverando loro la mercificazione e l’alienazione dell’esistenza umana. Certamente, questo rimprovero è basato su una concezione errata ed inadeguata dell’alienazione, che la fa derivare solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, cioè assegnandole un fondamento materialistico e, per di più, negando la legittimità e la positività delle relazioni di mercato anche nell’ambito che è loro proprio. Si finisce così con l’affermare che solo in una società di tipo collettivistico potrebbe essere eliminata l’alienazione. Ora, l’esperienza storica dei Paesi socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non sopprime l’alienazione, ma piuttosto l’accresce, aggiungendovi la penuria delle cose necessarie e l’inefficienza economica” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 41).