MACRON E I ROTHSCHILD DIETRO LA STRAGE DI NIZZA. CHARLIE HEBDO E' DI PROPRIETA' DEI ROTHSCHILD DAL 2015. LA PROVOCAZIONE AL MONDO ISLAMICO E' SERVITA. LE VIGNETTE BLASFEME DI CHARLIE HEBDO COLPISCONO SEMPRE LA RELIGIONE CRISTIANA E QUELLA ISLAMICA, MA MAI LA RELIGIONE EBRAICA. LA PROSSIMA MOSSA? L'ITALIA COINVOLTA NELLE STRAGI IN FRANCIA PER LA SUA SCELLERATA POLITICA DI ACCOGLIENZA. IN ITALIA ABBIAMO ANCORA IL COPASIR? E QUANDO INTENDEVA "SUGGERIRE" AL NOSTRO GOVERNO CHE L'ACCOGLIENZA INDISCRIMINATA PROVOCA PROBLEMI SERI DI SICUREZZA NAZIONALE E DESTABILIZZAZIONE SOCIALE?!!
Nel mega-attentato dell’11 settembre, occorsero alcune coincidenze fortunate. La ZIM Shipping, compagnia israeliana di spedizione, che occupava l’intero 16° piano di una delle due Torri, traslocò il 4 settembre in un nuovo spazio uffici a Norfolk, Virginia. L’immobiliarista Larry Silverstein, fiero sionista, affittò l’intero World Trade Center per 99 anni il 24 luglio 2001, pagò una sola rata, pari a 124 milioni di dollari, e intanto subito assicuro entrambe le Torri, separatamente, per il caso di impatto aereo terroristico: per 7 miliardi di dollari. Distrutte le Towers, la Swiss Re, ha dovuto versare a Silverstein un risarcimento di 4.6 miliardi di dollari, un principesco compenso per un «investimento» di 124 milioni di dollari. Anche la strage alla Redazione di Charlie Hebdo avvenuta il 7 gennaio 2015 comporta alcune «coincidenze ebraiche».
Il padrone dell’Hyper Cacher aveva ceduto la sua ditta un giorno prima che Coulibaly vi facesse irruzione prendendo ostaggi gli avventori del negozio di Porte de Vincennes. Lo ha rivelato incidentalmente un giornale americano, il New York Post del 21 gennaio, perché è stato l’unico ad intervistare il proprietario: costui, di nome Michel Edmon Mimoun Emsalem, è infatti da poco cittadino statunitense. Ha trasferito tutta la famiglia a New York diversi mesi prima dell’attentato, per «metterla al sicuro dall’antisemitismo francese».
Il signor Mimoun Emsalem, oltre alla catena di negozi kasher, possiede la società finanziaria Emsalem, con un capitale di 2,5 milioni di euro. Gli affari della rete di supermercati kasher non andavano bene, da anni subivano perdite. Meglio vendere... prima.
La famiglia Rotschild ha acquisito Charlie Hebdo poco prima dell’attentato. Un giornalaccio che vendeva a malapena qualche migliaio di copie, di colto è passato a venderne 7 milioni. Un ottimo affare del tutto imprevisto. E pensare – come ha confidato il barone Philippe de Rotschild in una intervista al periodico economico olandese Quote – che la famiglia non voleva saperne di tale acquisto. «C’è stata una discussione riguardo all’acquisto compiuto da mio zio Edouard (de Rotschild), certi membri della famiglia volevano impedirlo, perché quel settimanale ci avrebbe dato un potere politico...». Noi Rotschild, dice il barone, non vogliamo assolutamente avere un potere politico.
Una delicatezza che non condivisa da altri settori del mondo ebraico francese. Patrick Drahi, miliardario franco-israeliano, variamente definito come «oligarca dei media» e «mafioso», fiscalmente domiciliato in Svizzera, già possessore di SFR (operatore di telefonia mobile) e Numéricable (internet via cavo), si è accaparrato anche Libération (il gauchiste-sionista), il settimanale L’Express, ed anche i24News, la tv israeliana di notizie in inglese che trasmette 24 ore su 24 la propaganda di Sion. Il tutto è riunito in un gruppo multimedia chiamato Mag&NewsCo, con l’altro socio di Drahi, Marc Laufer, ebreo di simile temperamento; Mag&NewsCo formerà il terzo gruppo mediatico in Francia per dimensioni. Drahi ha ospitato i superstiti di Charlie Hebdo dopo la strage, perché lavorassero al nuovo numero da 7 milioni di copie, nella sede di Libération.
La catena israeliana i24News di Drahi è stata la prima a rivelare che gli autori dell’attentato avvenuto da poche ore erano due franco-algerini e si chiamavano Kouachi. Coincidenza, era anche il primo giorno che la i24News cominciava a trasmettere in Francia. Manifesti pubblicitari che lo annunciavano erano stati affissi la mattina stessa dell’attentato, il 7 gennaio. Uno scoop il primo giorno, che fortuna.
I due assassini hanno cambiato auto davanti a un locale utilizzato da Tsahal...
La fuga dei fratelli Kouachi (se erano loro) è stata così descritta dal procuratore della Repubblica di Parigi François Molins: «I sospetti, in numero di tre secondo la testimonianza di una persona con cui avevano avuto un incidente, continuando la loro corsa verso il Nord di Parigi, urtavano con violenza un Volkswagen ferendo la guidatrice. Hanno tentato allora di proseguire ma dovevano infine abbandonare in fretta il veicolo al livello della rue de Meaux ed impadronirsi di un veicolo di marca Clio. Si sono impadroniti di questo e hanno preso la fuga con esso».
Forse nel racconto c’è più di una inesattezza: il terzo terrorista, alla fin fine, è scomparso dall’attenzione mediatica. Ma non basta. Nella foto qui sotto, si può vedere la vettura abbandonata dai terroristi (è quella con la carta d’identità dimenticata di uno dei Koauchi?), perquisita da agenti, davanti a un negozio.
Questo negozio si chiama Patistory, ed è un ristorante-pasticceria kasher, che ha un solo motivo di interesse: è uno dei sette punti-vendita (7 in tutta la Francia) dei biglietti per un gala annuale che ha lo scopo di raccogliere fondi per l’armata israeliana, il glorioso Tsahal. Il gran ballo è organizzato dall’associazione Migdal, un’entità sionista che il suo presidente, tale David Bittan, descrive come «una delle rare associazioni al 100% francesi rivolta al 100% verso Israele. Tutte le nostre azioni, le nostre raccolte di denaro, i nostri doni sono destinati ai nostri fratelli israeliani»: Fra i doni, Bittan cita «450 giubbotti antiproiettile, la consegna di oltre 20 mila pacchi d’amore per i soldati di Tsahal combattenti...». Insomma il luogo ideale dove eventuali kidonim (gli assassini professionali del Mossad) possono trovare assistenza a rifugio. Tano più che il gran galà di Migdal si tiene sotto la protezione di un gruppo di picchiatori ebraici notorio per la sua violenza sistematica, la Ligue pour la Défense Juive, degli aspiranti kidonim di cui è stata talvolta chiesta la messa fuorilegge.
I proprietari del negozio sono i coniugi MartineBismuth Bellaïche e Patrick Bellaïche, due sionisti militanti. Del resto la loro pasticceria sorge nel mezzo del quartiere dove vive la più grande comunità ebraica di Francia; strano che proprio qui i due assassini musulmani ed antisemiti cambino auto, proprio in questo quartiere…
Le testimonianze sui fatti di rue de Meaux ricavabili dalle cronache sono sei, alcune confuse, di passanti. Un tal Cédric Le Bléchec, agente immobiliare descrive «un’auto nera ferma in mezzo alla strada, due grandi neri (? deux grans blacks) vestiti alla militare ne escono, uno con un lanciarazzi. Hanno tirato fuori un uomo dal sedile posteriore della vettura e ci sono saliti dicendo: “direte ai media che è Al Qaeda nello Yemen”». Un avventore che usciva dal bar Le Dauphin è rimasto colpito «dagli scarponi militari». Un giovane: «Sono usciti dall’auto con dei kalashnikov ed hanno gridato Allah è con noi»; un altro dice di aver sentito gridare il due «dite ai giornalisti che siamo Al Qaeda in Allah». Sic. Un abitante del luogo ricorda: «Non avevano più il passamontagna a questo punto». Il sesto, sentito da Europe 1, è l’uomo la cui macchina è stata portata via: «Quello che guidava è sceso, aveva un mitragliatore. Non erano più mascherati. Sembravano le persone che avete visto (nelle foto, ndr). Solo che a quel momento erano in tenuta militare e con le armi in pugno. Partendo mi hanno detto: Se ti rivolgi... se i media ti interrogano, di’: È Al Qaeda in Yemen». Insomma i due volevano che gli astanti si imprimessero bene nella mente la frase. Nessun giornale o nessuna tv francese ha avuto la curiosità di intervistare i coniugi padroni della pasticceria kasher, che a quell’ora era aperta e con avventori.
L’altro misterioso operatore
Solo venti minuti dopo la strage, già la rete I-Télé diffondeva le prime immagini dei due uomini in nero che sparavano al poliziotto sul marciapiede; immagini confuse e mosse, apparentemente riprese con uno smartphone. Varie ore dopo i tg mandavano in onda un’altra ripresa – quella dove si vedono i due in nero che sparano all’auto bianca dalla polizia – ripresa da tutt’altra angolatura e da un edificio diverso. La ripresa è di Martin Boudot, un giornalista che a suo dire s’era rifugiato sul tetto.
Il punto è che sopra i due assassini che sparano, sulla terrazza d’angolo, appaiono due uomini. Uno di loro sta riprendendo, apparentemente calmo e senza angoscia, senza la minima paura di essere raggiunto da un proiettile vagante.
Ebbene: queste immagini sono state volutamente mandate in onda con sfocature e imperfezioni da TF1, France 2 e BFM (una tv ebraica: quella che ha mandato in onda le interviste dal vivo, sicuramente autentiche, a Coulibaly asserragliato e raggiunto al telefono, e ai due fratelli Kouachi in fuga....) in modo che quei due strani personaggi in alto non fossero notati dal pubblico.
Soltanto la corrispondente parigina di Vice News, un website americano, diffonde l’immagine come era originariamente: netta e chiara.
Un sito web chiamato Panamza - Info Subersive fa un ottimo lavoro di giornalista, che i media francesi non hanno fatto: va alla ricerca del secondo operatore.
Chi era?, domanda bussando a tutte le porte della via. Panamza anzi è in grado di produrre una foto, dove l’anonimo video-operatore sul terrazzo si vede benissimo sulla sinistra in alto; ha in testa un copricapo che sembra un elmetto.
Solo una settimana dopo Panamza riesce a sapere che si tratterebbe di un «operaio polacco» che stava lavorando nel piccolo cantiere, ed aveva venduto le immagini da lui riprese alla Reuters. Il padrone dell’aziendina di costruzioni che si occupava del rifacimento di quel terrazzo, David Dahan (nome J), riceve la telefonata di Panamza: quando sente che l’interlocutore al telefono vuol sapere il nome del «polacco», la telefonata viene interrotta brutalmente. Panamnza rifà il numero, e stavolta Dahan dice in fretta: non ho più niente a che fare con quei lavori. Magari, conclude, si metta in contatto con «Monsieur Geoffroy, il proprietario dell’immobile» da cui il polacco ha videografato. Monsieur Geoffroy risponderà: anch’io non ho più niente a che fare con quel cantiere, e racconterà che ha licenziato in tronco quell’uomo, indignato perché invece di lavorare faceva riprese che poi ha venduto alla Reuters... Si può sapere dove rintracciare il polacco? Sapere almeno come si chiama? «Janek, ma non ricordo il cognome».
Insomma «Janek» è uccel di bosco, irreperibile. Né i giornalisti francesi né gli inquirenti hanno ritenuto interessante ascoltare questo importante testimone oculare della tragedia, che l’ha seguita da un angolo visuale così favorevole. Panamza invece ha avuto la curiosità, ed ha raggiunto Monsier Geoffroy. Non è stato facile perché, come ha capito, Geoffroy non è il cognome del personaggio, ma solo il nome proprio.
Il cognome è Sciard. Geoffroy Sciard.
Famiglia importante ed altamente interessante. Il padre di Geoffroy, Alain Sciard, capitano di marina, militare d’alto livello a fianco dell’allora capo dello SDECE (i servizi militari) divenne famoso per aver messo sotto intercettazione, insieme a complici d’alto bordo, i telefoni dell’Eliseo nel 1983-85: un’oscura vicenda che noi chiameremmo di servizi «deviati», mai chiarita. Il figlio di tanto padre, Geoffroy, è invece fondatore di un hotel di lusso e gay-friendly nel III Arrondissement, gestore di un’agenzia immobiliare nelle vicinanze della sede di Charlie Hebdo, ma soprattutto è amico e socio d’affari di Laurent Dassault, rampollo della famosa famiglia di miliardari dell’aeronautica militare.
Curiosa famiglia, anche questa dei Dassault. Il capostipite, Serge Dassault, senatore dell’UMP, quarta ricchezza di Francia, si chiamava Serge Bloch prima di convertirsi al cristianesimo e cambiare cognome. Un donmeh di Francia. O marrano, se volete.
Nel dicembre 2013, Geoffroy Sciard ha venduta una sua prestigiosa tenuta vinicola, il Château Faurie de Souchard, al vicino ed amico di tenuta, che è appunto Laurent Dassault. Quattro mesi dopo la vendita, il Gruppo Dassault è entrato nel capitale (col 15%) della società di gestione fondata da Thibaut Sciard, fratello del Geoffroy. Quindi gli Sciard sono soci d’affari di Dassault Laurent. E costui non è solo viticoltore, ma vicepresidente del gruppo familiare, appunto il Gruppo Dassault. Inutile precisare gli intimi rapporti di collaborazione fra il Gruppo e la DGSE, attuale nome dell’intelligence francese; rapporti che sono perfino d’affari, come ha spiegato un numero del settimanale Le Point.
Laurent Dassault (rimasto Bloch nel cuore) frequenta assiduamente i numerosi parenti che vivono in Israele, ma coltiva là anche e soprattutto intimi rapporti con il sistema militare-industriale israeliano e politici-militari sionisti dell’estrema destra: come Yair Shamir, figlio di Ytzak Shamir (Primo Ministro a suo tempo, ma prima terrorista dell’Irgun), membro del partito razzista-suprematista di Avigdor Liberman. In più il Dassault ha un fondo d’investimento in Israele di cui ha la direzione l’amico Edouard Cuckierman, ex portavoce di Tsahal. Intimo dei potenti di estrema destra sionisti.
Nel 2008, intervistato da Haaretz, Laurent Dassault si dichiarava «in continuità con il nonno Marcel Dassault che, quando nacque lo Stato d’Israele, lo armò coi suoi primi aerei» da caccia. Violando, è utile ricordare, l’embargo decretato da De Gaulle contro le vendite di armi ad Israele.
Ognuno tragga le sue conclusioni. Noi, sia chiaro, ci dissociamo energicamente da ogni conclusione complottista. Si tratta certamente di un insieme di coincidenze.
Ne mettiamo un’altra, giusto perché la riportano altri siti complottisti francesi.
I fratelli Kouachi si fecero notare davanti a Charlie Hebdo nell’estate 2014
La data esatta non è precisata dal blog. Ma in quel periodo la sede di Carlie Hebdo era sotto sorveglianza. Due individui appaiono nel quartiere e chiedono l’indirizzo del giornale. Lo fanno «in modo talmente minaccioso che il giornalista di un’agenzia di stampa lì vicina (è una zona di media) prende la targa della loro vettura e segnala il fatto al commissariato dell’11 Arrondissement». Il giornalista si chiama Didier Hassoux, e sostiene che la polizia ha scritto un verbale sullo strano fatto.
Insomma i fratelli Kouachi – se erano loro – «si sono fatti notare» qualche mese prima di commettere il delitto. Se sono stati loro a commetterlo.
La strana faccenda ricorda quei dirottatori di aerei dell’11 settembre, che la sera prima si fecero notare ubriacandosi in un nude-bar con le ragazze in topless, urlando oscure minacce, pagando con le loro carte di credito, e «dimenticando» un Corano nel bar (normale, tutti i musulmani che hanno deciso di diventare martiri prima sì ubriacano e dimenticano corani). Ricorda anche il povero Oswald, l’assassino solitario che uccise Kennedy secondo la versione ufficiale. Mesi prima, un uomo che gli somigliava molto andava in giro nei bar di Houston a gridacchiare: «Un giorno o l’altro io gli sparo, a questo Kennedy, parola di Lee Oswald». Peccato che in quei mesi il vero Oswald si trovava in Russia, dove aveva chiesto asilo politico come militante comunista....
Al mattino di quello che sarà il tragico 7 gennaio, molto presto – ore 7.30. tutti gli immobili da ufficio sono vuoti – un testimone (sentito da France Info) attesta che un’auto della polizia stava davanti alla sede della redazione di Charlie; e c’è anche un individuo che il testimone stesso dice d’aver trovato «sospetto».
Sarà necessario ricordare che IBT (International Business Times, terzo giornale economico in linea, con base a New York — ma è indiano) a caldo ha ventilato che la strage di Charlie Hebdo fosse una «vendetta del Mossad» contro la Francia perché colpevole di aver riconosciuto lo Stato palestinese. Poche ore dopo il pezzo veniva ritirato e l’autore, Gopi Chandra Kharel, obbligato a scusarsi in linea: stava solo saggiando le teorie del complotto turbinanti in quelle ore.
Il guaio è che a non credere alla versione ufficiale sono un po’ troppi per i gusti delle autorità e dei media. La cosa ha preoccupato a tal punto, che l’Express, il noto settimanale massonico fondato da Jean-Jacques Servan-Schreiber, ovviamente J, ha pensato bene di correre ai ripari: stilando una «lista nera» di ben 61 siti complottisti, che non bisogna assolutamente leggere per non farsi infettare la mente dalle loro informazioni. Il complottismo, il pensare fuori dalle linee, il rifiutarsi di «essere Charlie» è infatti, secondo le autorità francesi (1), una malattia mentale e forse un delitto penale. Naturalmente c’è Panamza, c’è Wikistrike, c’è Les Mutons Enragés... tutti siti che avevo nei preferiti, e che ho personalmente provveduto a cancellare.
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