QUELLO DI CUI LA CHIESA DI BERGOGLIO SI VERGOGNA O SI COMPIACE, MA SEMPRE NELL'ASSOLUTO SILENZIO....
(SI AVVERTONO I LETTORI CHE L'ARTICOLO CONTIENE IMMAGINI FORTI)
AGOSTO DI SANGUE IN AFRICA, ASIA E SUDAMERICA
PRELATI UCCISI DA CLAN TRIBALE E JIHADISTI IN NIGERIA
RAPIMENTI DI MASSA DI DONNE INCINTE E BAMBINI
PARROCCHIANA IVORIANA TRUCIDATA COL MACHETE
VOLONTARIA GESUITA FILIPPINA TRAFITTA A MORTE
SACERDOTE ASSASSINATO A COLTELLATE IN MESSICO
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Rapimenti di massa con il sequestro per violenza sessuale o richiesta di riscatto, di donne, anche incinte, e bambini. Un sacerdote ucciso a colpi di arma bianca e poi bruciato, la segretaria di una parrocchia cattolica trucidata col machete, orrendamente mutilata e lasciata in una pozza di sangue.
Se è sempre l’Africa la terra dove i nuovi barbari del Terzo Millennio compiono atrocità da primitivi negli ultimi giorni anche l’Asia evidenzia una violenza demoniaca contro i cristiani: nelle Filippine una giovane volontaria gesuita è stata infatti colpita da una raffica di pugnalate per il tentativo di rapina di una manciata di Peso (la moneta filippina) mentre in Messico, che si rivela la nazione dell’America Latina più pericolosa per i sacerdoti cattolici, è stato ucciso a coltellate in parrocchia un altro prete da una delle gang criminali che infestano il paese.
Come riferisce il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire nel 2019 sono già 11 i sacerdoti uccisi nel Continente Nero che rappresenta quello più critico per i cristiani per la presenza di tre tipologie di spietati e belluini aggressori. Oltre alle milizie islamiche jihadiste organizzate come Boko Aram (Nigeria), i qaedisti al-Murabitun e i filo-isis Ansar Ul Islam (Burkina Faso e Sahel), Al Shabaab (Somalia-Kenya), ci sono i pastori nomadi Peuls o Fulani, che sotto la fomite della guerra santa musulmana ispirata dal Salafismo Sunnita, imperversano dal Sahel alla Nigeria per strappare terre rigogliose agli agricoltori cristiani.
Infine agiscono i delinquenti di bande tribali che non esitano ad uccidere chi si mette sulla loro strada come padre David Tanko, barbaramente assassinato e bruciato con la sua auto mentre era in viaggio per una missione di pace il 28 agosto scorso.
IL SACERDOTE UCCISO IN UNA GUERRA TRIBALE
L’ultimo assassinio omicidio è avvenuto nello stato di Taraba, nell’est della Nigeria. «Il 28 agosto don David Tanko è stato fermato da uomini armati sulla strada per il villaggio di Takum, dove avrebbe dovuto partecipare ad un incontro per mediare un accordo di pace volto a mettere fine alla crisi che oppone le popolazioni Tiv e Jukun – riferisce Fides, l’agenzia delle Pontificie Opere Missionarie Secondo fonti locali, i malviventi, forse appartenenti ad un milizia Tiv, dopo aver ucciso don Tanko hanno dato fuoco al corpo del sacerdote e alla sua automobile».
Padre David Tanko e il suo corpo orrendamente bruciato dopo l’omicidio
«Appena avuta la notizia della sua morte siamo rimasti scioccati. La diocesi è in lutto – ha dichiarato monsignor Charles Michael Hammawa, Vescovo di Jalingo – Abbiamo predicato la pace e fatto sforzi per portare entrambe le parti al tavolo negoziale. La polizia dello Stato mi ha promesso che sta indagando sul caso, preghiamo che gli autori siano assicurati alla giustizia. Non vogliamo che vi sia alcuna rappresaglia che non farà che peggiorare la situazione».
«Il conflitto tra i Tiv e i Jukun risale al 1953 (per altri al 1959 o al 1977), tra tregue e ritorni di fiamma della violenza. Secondo alcuni studi storici le due popolazioni vivevano in armonia fino all’avvento della colonizzazione britannica, quando le autorità del Regno Unito favorirono i Jukun a scapito dei Tiv, piantando il seme della discordia che è germogliato e fruttificato fino ai giorni nostri» rammenta l’agenzia Fides.
La lotta è riesplosa con violenza il 1° aprile. A fare da detonatore una disputa tra un Tiv e un Jukun scoppiata nel villaggio di Kente nell’area di Wukari, presto degenerata in una serie di raid nei villaggi delle due popolazioni, con morti e saccheggi. Le violenze si sono estese anche al confinante Stato di Benue. A luglio i governatori dei due Stati interessati, Benue e Taraba, hanno lanciato un appello alla pacificazione, mentre il dottor Isaiah Jirapye, Presidente della locale sezione della Christian Association of Nigeria (CAN), ha chiesto alle due parti di dialogare, affermando di “aver preso i contatti necessari per un dialogo immediato per garantire la fine delle ostilità”.
Il reverendo David Tanko con la casula talare rossa che rievoca il sangue di Gesù Cristo e ei martiri ma anche lo Spirito Santo fiammeggiante
L’omicidio di padre Tanko ha scosso anche le autorità nazionali. «L’assassinio di un prete cattolico sottolinea l’urgenza di affrontare questo conflitto duraturo e imbarazzante. A nome del governo federale e dell’intera popolazione del Paese, porgo le mie condoglianze alla comunità cattolica, al governo e al popolo di Taraba per le perdite derivanti dalle violenze che hanno sconvolto le comunità» ha affermato il Presidente della Nigeria Muhammadu Buhari chiedendo ai governatori di Taraba e Benue, ai capi tradizionali, ai leader religiosi di «incontrarsi urgentemente per porre fine a persistenti scontri violenti tra Jukun e Tiv». Il Capo dello Stato ha anche aggiunto che non rimarrà fermo a guardare.
IL PRETE UCCISO DAI PASTORI ISLAMICI FULANI
Agosto era già iniziato nel segno del sangue. Il primo del mese si era già consumanto l’assassinio del sacerdote cattolico Paul Offu, Padre Paul Offu, parroco della chiesa di San Giacomo maggiore a Ugbawka, nella Diocesi di Enugu, la capitale dell’omonimo stato nella Nigeria settentrionale. Il sacerdote, è caduto sotto i colpi di arma da fuoco sparati da un gruppo di persone armate definite “pastori fulani” mentre percorreva in automobile la Ihe-Agbudu Road a Awgu. Secondo le prime ricostruzioni, il presbitero non si sarebbe fermato davanti agli assalitori che gli intimavano di bloccare la sua vettura. Gli estremisti islamici Peuls girano sempre muniti di potenti fucili d’assalto semiautomatici AK 47, i kalashnikov assai diffusi tra i jihadisti.
Il sacerdote Paul Offu, ucciso in Nigeria all’inizio di agosto dai pastori terroristi islamici Fulani
La la comunità cattolica locale si è raccolta nell’arena della Sacra Famiglia, presso la cattedrale di Enugu, per prendere parte a una concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Callisto Onaga ed invocare, nella preghiera, pace e sicurezza per tutta la regione. La Diocesi ha anche diffuso un comunicato ufficiale in cui ricorda la drammatica condizione dell’area, segnata da massacri, rapimenti, stupri, incendi dolosi e devastazioni, e si chiamano in causa anche le responsabilità delle autorità politiche davanti agli scenari di devastazione delineati.
Il comunicato, pervenuto all’Agenzia Fides, descrive uno scenario di anarchia e di totale annullamento di ogni presidio di legalità, in cui “un numero inquietante di persone del nostro popolo – tra cui preti e ufficiali di governo – è stato ucciso”. Per paura di essere stuprate – si legge tra l’altro nel documento – le nostre donne non possono più svolgere le loro attività regolari nei villaggi, nel lavoro agricolo e nelle altre imprese”. Nella dichiarazione si richiede al governo di “cacciare i cattivi Fulanis dal nostro Stato”, e di “equipaggiare in maniera appropriata i gruppi di vigilantes per fornire protezione e sicurezza nelle diverse località”.
Alcuni pastori nigeriani Fulani sempre armati da guerriglieri
Di tutt’altro avviso le parole di un altro alto prelato che al fine di scongiurare ulteriori rappresaglie è intervenuto con un invito esattamente opposto che, vista la gravità della situazione, equivale ad un appello al martirio.
«La diffusione di discorsi di incitamento all’odio contro i pastori Fulani, in corso sui social media, costituisce una minaccia per l’unità e la pace della Nigeria» ha avvertito monsignor Matthew Hassan Kukah, Vescovo di Sokoto, nel suo intervento ad un seminario organizzato dal Centro di studi africani Olusegun Obasanjo, della National Open University della Nigeria (NOUN) della capitale federale Abuja.
Il Vescovo ha ricordato che storicamente i discorsi incitanti all’odio verso un particolare gruppo di persone hanno sempre preceduto i genocidi, in qualsiasi parte del mondo. Ma l’ex presidente Olusegun Obasanjo ha scritto una lettera aperta al presidente Muhammadu Buhari, avvertendolo del rischio di un “genocidio in stile rwandese” in Nigeria se il governo non prenderà misure immediate per fermare le violenze.
RAPIMENTI DI MASSA E VIOLENZE SENZA SOSTA IN NIGERIA
A conferma della tragica emergenza nei giorni scorsi c’è stato un vero e proprio assalto armato a un villaggio nel nord-ovest della Nigeria. I media locali riferiscono che almeno 50 persone, tra cui donne incinte e bambini, sono stati rapite durante l’attacco, come riporta il quotidiano Avvenire.
Il blitz compiuto da almeno cento criminali armati è avvenuto martedì 27 agosto a tarda sera nel villaggio di Wurma, vicino a Katsina. Una donna, le cui due figlie erano tra le persone sequestrate, ha detto che più di 100 banditi hanno lanciato l’assalto «sparando da tutte le angolazioni». «Hanno operato per circa tre ore senza che nessuno li sfidasse», ha detto. Hanno preso anche pecore, capre e cibo. Alcuni rapiti sarebbero stati rilasciati in seguito a scontri armati con le forze dell’ordine.
I danni causati dal raid con sequestro di 40 persone nel villaggio di Wurma in Nigeria
La polizia riferisce che i rapiti sono 15, ma secondo la testimonianza di alcuni abitanti sono almeno 53. Alcune famiglie avrebbero ricevuto richieste di riscatto. Non si sa a quale gruppo appartenesse il commandos ma le modalità d’azione sono identiche a quelle dei terroristi Peuls.
«La popolazione è tra due fuochi: i soprusi di politici, militari e forze dell’ordine, da una parte, le violenze e le razzie dei pastori Fulani e di altri banditi, dall’altra» denunciano in una lettera pastorale i vescovi della Provincia ecclesiastica di Owerri (capitale dello stato dell’Imo), nel del sud-est della Nigeria, che comprende anche le diocesi suffraganee di Aba, Ahiara, Okigwe, Orlu e Umuahia (capitale dello Stato Federato di Abia).
«Ogni giorno, in tutti i nostri Stati, ascoltiamo storie strazianti di rapimenti, stupri, mutilazioni, estorsioni, accaparramento di terre, uccisioni e distruzione delle fonti di sostentamento delle persone. Continuiamo a sperare invano che i pubblici funzionari eletti e gli agenti di sicurezza proteggano i nostri cittadini come previsto e sancito dalla Costituzione» si legge nel documento, pervenuto all’Agenzia Fides.
I vescovi esortano i fedeli a pregare e a rimanere vigili «nel promuovere la visione cristiana al fine di contrastare l’ideologia brutale dell’odio, della malvagità e della violenza», ma lanciano anche un messaggio ai politici: «Il governo nigeriano e i suoi leader devono assumersi l’obbligo costituzionale di proteggere e difendere ogni cittadino nigeriano indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa o etnica».
SEGRETARIA DI PARROCCHIA MUTILATA E UCCISA COL MACHETE
Questa efferata e barbara violenza in Africa non ha confini ma anzi si aggrava per l’instabilità in Burkina Faso, dove il 19 agosto in un attacco jihadista sono morti 24 militari, altri 7 sono feriti mentre 5 loro commilitoni sono dati per dispersi. L’assalto si è verificato nelle prime ore del giorno a Koutougou, nel nord del Paese.
«Il popolo del Burkina Faso è sempre rimasto saldo nella lotta di grande durata contro il terrorismo» ha affermato il presidente Roch Marc Christian Kaboré che ha ribadito che «il Burkina Faso non cederà mai nessuna parte del suo territorio, a costo delle nostre vite». Dallo scorso febbraio sono cinque gli attacchi compiuti nella stessa zona da gruppi armati di matrice jihadista: nei primi giorni di agosto a Diblou, un villaggio nel nord del Paese sono infatti rimaste uccise almeno 15 persone.
La segretaria di una parrocchia Faustine Brou N’Guessan, mutilata e uccisa a colpi di machete in Costa d’Avorio
Ma il più brutale e insensato degli omicidi di agosto è avvenuto in Costa d’Avorio dove è stata trucidata Faustine Brou N’Guessan. «L’uccisione della segretaria della parrocchia Sainte-Cécile du Vallon era stata preceduta dalla profanazione di alcune statue della Vergine Maria e da aggressioni contro sacerdoti e laici impegnati in servizi parrocchiali – evidenzia Fides – Il corpo agonizzante di Faustine Brou N’Guessan, attinto da colpi di machete, è stato trovato in una pozza di sangue intorno alle 11 del mattino del 10 agosto nel suo ufficio situato nell’edificio Jean Pierre Cardinale Kutwa della parrocchia. Portata alla clinica più vicina purtroppo è spirata poco dopo». La sessantenne era madre di una figlia e avrebbe dovuto andare in pensione alla fine dell’anno.
Agghiacciante lo spettacolo che si è trovata di fronte un’altra operatrice della parrocchia: «Ha ricevuto un colpo al cranio, uno al collo, le mani tagliate ma anche alcune dita amputate, ed ha ricevuto un taglio anche ad una gamba» ha riferito il media ivoriano Koaci. Nel giro di quindici giorni la polizia è riuscita ad individuare ed arrestare il presunto assassino, Heiman Tchi Niamké Anderson insieme a tre complici, grazie al cellulare rubato alla vittima. Resta però misterioso il movente in quanto, come riportato dai media locali, non sono stati rubati né il denaro in un cassetto della segreteria, né i soldi che la donna aveva nella borsa e nemmeno i monili d’oro che indossava.
«L’arcidiocesi di Abidjan si congratula con la polizia criminale per aver arrestato in così poco tempo il presunto assassino della segretario della parrocchia, insieme ai suoi tre complici» ha affermato padre Augustin Obrou, responsabile diocesano della comunicazione, che ha tuttavia aggiunto di attendere le conclusioni delle indagini. «Vogliamo sapere chi li ha inviati, perché lo hanno fatto e perché l’hanno fatto a Santa Cecilia e non da qualche altra parte» ha insistito, lasciando intendere che si sospetta che gli assassini abbiano agito su mandato di qualcuno. Il sacerdote ha sottolineato infine che sono state rafforzate le misure di sicurezza nelle parrocchie.
VOLONTARIA GESUITA PUGNALATA NELLE FILIPPINE
Misterioso è anche il delitto crudele avvenuto nelle Filippine ai danni di una giovane volontaria gesuita. Il 23 agosto scorso, Genifer Buckley, giovane filippina di 24 anni, originaria di Zamboanga del Sur, è stata pugnalata a morte diverse volte da un aggressore all’interno della casa dove risiedeva con una collega. L’altra volontaria, l’avvocato Anne Kathleen Gatdula, 30 anni, è stata ferita ma riuscita a scappare dopo essere stata inseguita, e attualmente è ricoverata in un ospedale locale. Le due volontarie stavano prestando servizio presso la Pangantucan Community High School, Bukidnon, in un progetto del movimento JVP.
La volontaria gesuita Genifer Buckley, pugnalata a morte nelle Filippine
Secondo fonti della polizia, l’aggressore, Arnold Naquilla, 36 anni, residente a Pangantucan, è stato arrestato. Avrebbe attaccato le due giovani con allo scopo di una rapina, ma non è ancora chiaro il motivo dell’omicidio. «E’ un atto esecrabile, che condanniamo: chiediamo giustizia, mentre preghiamo per lei e per la sua famiglia» ha detto a Fides il gesuita padre Jason Dy, Cappellano del movimento dei Volontari Gesuiti delle Filippine (Jesuit Volunteer Philippines, JVP).
Genifer aveva conseguito la laurea in Scienze dell’educazione presso l’Università Ateneo de Zamboanga gestita dai Gesuiti nel 2015 e, successivamente, ha insegnato alla Junior High School dell’università per quattro anni, prima di iscriversi al JVP quest’anno. Successivamente si è offerta volontaria per insegnare alla Pangantucan Community High School dal 27 maggio scorso.
Il Gesuita padre Karel San Juan, presidente dell’Ateneo de Zamboanga University ha elogiato Buckly per il suo servizio alla comunità come insegnante e volontaria: «Ci mancherà molto. La ricordiamo con affetto e per il suo prezioso servizio alle persone. Era un’anima coraggiosa, desiderosa di intraprendere la strada dell’amorevole servizio per Dio e per il Paese».
Il JVP si impegna a portare speranza alle popolazioni emarginate. Da 39 anni, i volontari gesuiti sono operano con scuole, parrocchie o organizzazioni non governative (ONG) per insegnare, formare leader della comunità di base, assistere le cooperative, attuare progetti di sostentamento, assistere i disabili e le vittime di violenza, impegnarsi nella formazione dei giovani, sostenere questioni ambientali, difendere la dignità delle popolazioni indigene, lottare per il diritto degli oppressi.
SACERDOTE ACCOLTELLATO IN MESSICO
Per i diritti dei più poveri stanno lottando anche i sacerdoti dell’America Latina esponendosi così al rischio di rappresaglie delle gang malavitose che invece vivono sull’estorsione e lo sfruttamento della popolazione. Il 22 agosto José Martín Guzmán Vega, 55 anni, parroco di Cristo Rey de la Paz, Ejido Santa Adelaida, nella Diocesi di Matamoros, Tamaulipas, in Messico, è stato raggiunto da un criminale all’interno degli uffici parrochiali e aggredito a morte.
Padre José Martín Guzmán Vega, ucciso in Messico
«Fonti vicine a questi media – ha riportato CCM, il Centro Catolico Multimedial messicano – hanno detto che giovedì sera intorno alle 22:00, il padre è stato ferito più volte con un coltello; i vicini hanno sentito le grida di aiuto all’interno della parrocchia, quando si sono avvicinati hanno visto padre José Martín gravemente ferito, quindi è stato trasferito all’ospedale generale della città». Lì, nel nosocomio Dr. Alfredo Pumarejo, è deceduto pochi minuti dopo il suo arrivo.
Per un fatale presagio lo stesso organo d’informazione, domenica scorsa, aveva pubblicato un editoriale intitolato “Sacerdoti nel mirino del crimine” in cui si evidenziava che «nel 2019, fortunatamente, non vi è traccia di omicidi perpetrati contro ministri cattolici, ma ci sono avvertimenti su minacce forti e intimidatorie contro la sicurezza e la vita dei sacerdoti che non dovrebbero essere sottovalutate». Pochi giorni dopo è giunta la notizia data alla Chiesa e alla Diocesi dal vescovo Eugenio Lira Rugarcía.
José Martín Guzmán Vega è nato a La Piedad, Michoacán, il 27 marzo 1964. Ordinato il 2 febbraio 2004 per il clero della diocesi di Matamoros, esercitava il suo ministero nel ministero pastorale della prigione diocesana e nella comunità di Cristo Rey de La Paz, ejido Santa Adelaida.
Il suo nome si unisce a quello di altri 26 sacerdoti uccisi in situazioni tragiche e violente dal 2012. Una lunghissima lista di martiri di una bieca violenza anticristiana che può trovare spiegazione solo in un’attenta lettura demonologica del Vangelo e del Libro dell’Apocalisse.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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